PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
L'esempio di Giovanni voce della Parola
Lunedì, 24 giugno 2013
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 144, Lun. 24 - Mart. 25/06/2013)
Una Chiesa ispirata alla figura di Giovanni il Battista: che «esiste per proclamare, per essere voce di una parola, del suo sposo che è la parola» e «per proclamare questa parola fino al martirio» per mano «dei più superbi della terra». L’ha proposta Papa Francesco durante la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae, stamane, lunedì 24 giugno, festa liturgica della natività del santo, che la Chiesa venera come «l’uomo più grande nato da donna». Con il Pontefice ha concelebrato, tra gli altri, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, che accompagnava un gruppo di officiali e collaboratori delle due realtà. Tra i presenti anche un gruppo dell’Ufficio filatelico e numismatico del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.
Tutta la riflessione del Santo Padre è stata incentrata su questo parallelismo, perché «la Chiesa ha qualcosa di Giovanni», sebbene — ha messo subito in guardia — sia difficile delineare la sua figura. Del resto «Gesù dice che è l’uomo più grande che sia nato»; ma se poi «vediamo cosa fa» e «pensiamo alla sua vita», ha fatto notare Papa Francesco, ci si accorge che «è un profeta che è passato, un uomo che è stato grande», prima di finire tragicamente.
Ecco allora l’invito a domandarsi chi sia veramente Giovanni, lasciando la parola al protagonista stesso. Egli, infatti quando «gli scribi, i farisei, vanno a chiedergli di spiegare meglio chi fosse», risponde chiaramente: «Io non sono il Messia. Io sono una voce, una voce nel deserto». Di conseguenza la prima cosa che si capisce è che «il deserto» sono i suoi interlocutori; gente con «un cuore così, senza niente», li ha definiti il Pontefice. Mentre lui è «la voce, una voce senza parola, perché la parola non è lui, è un altro. Lui è quello che parla, ma non dice; quello che predica su un altro che verrà dopo». In tutto questo — ha spiegato il Papa — c’è «il mistero di Giovanni» che «mai si impadronisce della parola; la parola è un altro. E Giovanni è quello che indica, quello che insegna», utilizzando i termini «dietro di me... io non sono quello che voi pensate; ecco viene dopo di me uno al quale io non sono degno di allacciare i sandali». Dunque «la parola non c’è», c’è invece «una voce che indica un altro». Tutto il senso della sua vita «è indicare un altro».
Proseguendo nella sua omelia Papa Francesco ha poi evidenziato come la Chiesa scelga per la festa di san Giovanni «i giorni più lunghi dell’anno; i giorni che hanno più luce, perché nelle tenebre di quel tempo Giovanni era l’uomo della luce: non una luce propria, ma una luce riflessa. Come una luna. E quando Gesù cominciò a predicare», la luce di Giovanni iniziò ad affievolirsi, «a diminuire, ad andare giù». Egli stesso lo dice chiaramente parlando della propria missione: «È necessario che lui cresca e io venga meno».
Riassumendo, quindi: «Voce, non parola; luce, ma non propria, Giovanni sembra essere niente». Ecco svelata “la vocazione” del Battista, ha affermato il Pontefice: «Annientarsi. E quando noi contempliamo la vita di quest’uomo tanto grande, tanto potente — tutti credevano che fosse il Messia — quando contempliamo come questa vita si annienta fino al buio di un carcere, contempliamo un mistero» enorme. Infatti, ha proseguito, «noi non sappiamo come sono stati» i suoi ultimi giorni. È noto solo che è stato ucciso e che la sua testa è finita «su un vassoio come grande regalo da una ballerina a un’adultera. Credo che più di così non si possa andare giù, annientarsi».
Però sappiamo quello che è successo prima, durante il tempo trascorso nel carcere: conosciamo «quei dubbi, quell’angoscia che lui aveva»; al punto da chiamare i suoi discepoli e mandarli «a fare la domanda alla parola: sei tu o dobbiamo aspettare un altro?». Perché non gli fu risparmiato nemmeno «il buio, il dolore sulla sua vita»: la mia vita ha un senso o ho sbagliato?
Insomma, ha detto il Papa, il Battista poteva vantarsi, sentirsi importante, ma non lo ha fatto: egli «indicava soltanto, si sentiva voce e non parola». Questo è per Papa Francesco «il segreto di Giovanni». Egli «non ha voluto essere un ideologo». È stato un «uomo che si è negato a se stesso, perché la parola» crescesse. Ecco allora l’attualità del suo insegnamento: «Noi come Chiesa possiamo chiedere oggi la grazia — ha auspicato il Santo Padre — di non diventare una Chiesa ideologizzata», per essere invece «soltanto la Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans», ha detto citando l’incipit della costituzione conciliare sulla divina rivelazione. Una «Chiesa che ascolta religiosamente la parola di Gesù e la proclama con coraggio»; una «Chiesa senza ideologie, senza vita propria»; una «Chiesa che è mysterium lunae, che ha luce dal suo sposo» e che deve affievolire la propria luce perché a risplendere sia la luce di Cristo. Non ha dubbi Papa Francesco: «Il modello che ci offre oggi Giovanni» è quello di «una Chiesa sempre al servizio della Parola; una Chiesa che mai prenda niente per se stessa». E poiché nella colletta e nella preghiera dei fedeli era stata invocata «la grazia della gioia», ed era stato «chiesto al Signore di allietare questa Chiesa nel suo servizio alla parola, di essere voce di questa parola, di predicare questa parola», il Pontefice ha esortato a invocare «la grazia di imitare Giovanni: senza idee proprie, senza un vangelo preso come proprietà»; per essere «soltanto una Chiesa voce che indica la parola, fino al martirio».
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