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             DICASTERIUM

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      DIREZIONE EDITORIALE   

 

       L’Osservatore Romano

Commento al Decreto Le associazioni internazionali di fedeli

di Ulrich Rhode[1]

Gli organi di governo nelle associazioni di fedeli finora non sono stati oggetto di molte norme canoniche. Il diritto canonico demandava la regolamentazione di molti aspetti che riguardano tali organi di governo agli statuti di ciascuna associazione. In modo particolare, le associazioni godevano di un alto livello di libertà – forse troppo alto –, per quanto riguarda il modo di conferire gli incarichi e la durata massima dei mandati. A questo proposito, finora si poteva osservare una notevole differenza fra le associazioni di fedeli e gli istituti di vita consacrata. In effetti, per questi ultimi è obbligatorio prevedere un capitolo generale, che rappresenta l’intero istituto e che elegge il moderatore supremo (cf. can. 631); vi sono anche disposizioni che limitano la durata dei mandati dei Superiori religiosi (cf. can. 624). Ora il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha emanato norme riguardanti questi stessi aspetti – la rappresentatività degli organi di governo e la durata massima degli incarichi – per le associazioni internazionali soggette alla vigilanza diretta del Dicastero. Il Decreto pone, pertanto, determinati limiti alla libertà delle associazioni di scegliere i propri organi d governo – una libertà che rientra nel diritto di associarsi.

La libertà di associarsi

Uno dei diritti di tutti i fedeli, riconosciuti dal Codice di diritto canonico del 1983, è il diritto di associarsi. Esso consiste, secondo la dicitura del can. 215, nel “diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l'incremento della vocazione cristiana nel mondo”. Definito in questo modo, il diritto di associarsi include anche il diritto di scegliere liberamente i moderatori e gli altri membri degli organi di governo delle associazioni. Questo diritto, tuttavia, non è senza limiti. Spetta, infatti, “all’autorità ecclesiastica, in vista del bene comune, regolare l’esercizio dei diritti che sono propri dei fedeli” (can. 223 § 2). Ad oggi il diritto canonico prevede già limitazioni del diritto delle associazioni di scegliere i propri moderatori: per esempio, alle associazioni pubbliche finalizzate direttamente all’esercizio dell’apostolato è fatto divieto di scegliere come moderatori persone “che occupano compiti direttivi nei partiti politici” (can. 317 § 4). Si capisce facilmente che questo divieto protegge il bene comune, evitando conflitti di interesse che potrebbero facilmente sorgere se la stessa persona ricoprisse contemporaneamente compiti direttivi in una tale associazione e in un partito politico. Ora, sia le nuove norme sulla durata massima degli incarichi sia quelle sulla rappresentatività dell’organo centrale di governo prevedono nuove limitazioni della libertà delle associazioni destinatarie del Decreto, per quanto riguarda la scelta del moderatore e dell’organo centrale di governo. Per essere legittime, anche queste limitazioni devono servire il bene comune. Il proemio del Decreto e soprattutto la Nota esplicativa cercano di spiegare questa intenzione delle nuove norme. Fra altri argomenti, accennano a esperienze negative che si sono verificate nel caso di associazioni che hanno conservato le stesse persone negli incarichi di governo per molto tempo, o nel caso di associazioni che non hanno coinvolto efficacemente tutti i membri nella scelta di chi governa l’associazione. Il Decreto mostra che il Dicastero intende contrastare i rischi di un’esagerata libertà delle associazioni senza prevedere nei singoli casi interventi dell’autorità ecclesiastica amministrativa nella procedura di conferimento degli incarichi. In effetti, regolare i diritti dei fedeli in vista del bene comune in modo generale, tramite nuove norme uguali per tutte le associazioni coinvolte, senza interventi nei singoli casi, evita il rischio di un uso arbitrario – o anzi abusivo – della potestà di vigilanza dell’autorità ecclesiastica.

Destinatari del Decreto

Il Decreto si rivolge a una parte delle associazioni di fedeli di cui ai cann. 298-329 del Codice di diritto canonico, e più dettagliatamente alle “associazioni internazionali di fedeli riconosciute o erette dalla Sede Apostolica e soggette alla vigilanza diretta del Dicastero”. L’accenno alla vigilanza del Dicastero per il Laici, la Famiglia e la Vita fa riferimento al fatto che nella Curia Romana vi sono altri Dicasteri competenti per determinati tipi di associazioni (si pensi a quelle che promuovono l’apostolato liturgico, la musica, il canto o l’arte sacra; alle associazioni clericali; alle associazioni delle vergini consacrate; alle associazioni che vengono erette con l’intento di divenire un giorno istituti di vita consacrata o società di vita apostolica; e anche alle associazioni soggette alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e alla Congregazione per le Chiese Orientali). Sarà interessante osservare se nel futuro norme analoghe a quelle emanate ora dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita verranno date anche per le associazioni che si trovano sotto la vigilanza di altri Dicasteri.

La limitazione dell’applicazione del nuovo Decreto generale alle associazioni “internazionali” fa riferimento alla distinzione fra associazioni diocesane, nazionali, e internazionali (cf. can. 312). Le associazioni diocesane e nazionali non sono obbligate a osservare le norme del Decreto che viene oggi promulgato. Certamente le Conferenze episcopali e i singoli Vescovi potranno considerare l’opportunità di emanare norme simili per le associazioni nel loro rispettivo ambito di competenza. Può comunque anche essere prudente per le stesse associazioni nazionali e diocesane prendere in considerazione le nuove norme, non solo in considerazione di una loro eventuale trasformazione in associazione internazionale o di una futura estensione delle norme, quanto piuttosto a causa della ragionevolezza delle nuove norme.

Il Decreto non distingue fra associazioni pubbliche e private: si applica dunque a entrambi i tipi di associazioni. Poiché non distingue neppure tra associazioni che godono di personalità giuridica e associazioni che non ne sono provviste, si applica indistintamente alle une e alle altre.

Ai destinatari principali del Decreto, l’articolo 7 aggiunge alcuni altri destinatari, ossia “altri enti ... a cui è stata concessa personalità giuridica e che sono soggetti alla vigilanza diretta del Dicastero per il Laici, la Famiglia e la Vita”. Fra questi enti vi sono, tra altri, il Cammino Neocatecumenale, l’Organismo Internazionale di Servizio del Sistema delle Cellule Parrocchiali di Evangelizzazione, l’Organismo Mondiale dei Cursillos de Cristiandad e il Catholic Charismatic Renewal International Service (CHARIS). A tali enti si applicano le norme del Decreto relative alla durata massima degli incarichi (artt. 1-2 e 4-6), non però le norme di cui all’articolo 3, sulla voce attiva di tutti i membri pleno iure nella costituzione delle istanze che eleggono l’organo centrale di governo. L’applicazione solo parziale del Decreto a questi enti consegue alla loro peculiare natura.

Sul proprio sito web il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita offre un “Repertorio delle associazioni internazionali di fedeli” che recensisce i nomi e le descrizioni sommarie delle 109 entità riconosciute o erette dal Dicastero, fra cui anche gli enti di cui all’articolo 7 del Decreto in parola.

Durata massima degli incarichi

Il Decreto fa riferimento all’“organo centrale di governo a livello internazionale” (artt. 1 e 2), ossia all’organo che governa l’intera associazione e che include il “moderatore” (art. 2 §§ 3-4). L’incarico di moderatore è previsto dal diritto canonico per tutte le associazioni. Sebbene il Codice di diritto canonico, come anche il Decreto, utilizzino il termine “moderatore” sempre al singolare, non si può escludere la possibilità di una pluralità di moderatori di un’associazione (per es., un uomo e una donna), se una siffatta struttura è prevista negli statuti. In tali casi le limitazioni di cui all’articolo 2 §§ 3-4 del Decreto si applicheranno a ciascuno dei moderatori.

Il termine “organo centrale di governo a livello internazionale”, utilizzato negli articoli 1 e 3 del Decreto, è di nuovo conio. Fa riferimento a un organo collegiale che, come accennato, include il moderatore (art. 2 § 3). Spetta agli statuti di ciascuna istituzione determinare concretamente la relazione giuridica fra il moderatore e l’intero organo centrale di governo. In italiano, fra le denominazioni usate per l’organo centrale di governo ci saranno quelle di “Consiglio direttivo” o “Consiglio generale”. L’applicazione delle norme, tuttavia, non dipende da una determinata denominazione dell’organo. All’interno dell’organo centrale di governo possono essere previsti incarichi specifici, per es., quelli del tesoriere, del segretario o del vicepresidente. Le norme contenute nel Decreto si applicano senz’altro anche a tali incarichi.

Le limitazioni che riguardano gli incarichi nell’organo centrale di governo sono regolate negli articoli 1 e 2 del Decreto. Innanzitutto, per i mandati in quest’organo si stabilisce una durata massima di cinque anni (art. 1). Il Decreto non richiede che tutti gli incarichi siano conferiti contemporaneamente. Non viene neppure richiesto che la durata dei mandati del moderatore e degli altri membri dell’organo centrale di governo debba essere identica. È lecito che gli statuti prevedano durate diverse per incarichi specifici, per es., per il tesoriere.

Sebbene un mandato di cinque anni possa sembrare lungo, restringere ulteriormente la durata massima potrebbe essere svantaggioso. Infatti è opportuno un tempo che permetta a chi governa di impostare e sviluppare un progetto governativo efficace e di poter effettuare una valutazione utile dell’azione compiuta dal governo. Inoltre, mandati brevi suppongono elezioni frequenti, spesso con procedure elettorali lunghe, il che pregiudica il buon governo delle associazioni. Sarà adeguato creare una sufficiente coincidenza fra il ritmo del cambio degli incarichi e il ritmo delle riunioni dell’assemblea elettorale. A questo riguardo, il Decreto non determina nulla, lasciando questi dettagli agli statuti delle associazioni.

Per quanto concerne l’appartenenza all’organo centrale di governo, si prescrive una durata massima continuativa di dieci anni (art. 2 § 1). Se, per esempio, gli statuti prevedono incarichi con una durata di tre anni, dopo tre mandati non è possibile espletarne un quarto consecutivamente. Se tuttavia interviene un’interruzione dell’appartenenza all’organo per la durata di almeno un mandato, quel determinato membro dell’organo centrale potrà essere eletto nuovamente (art. 2 § 2). Quanto detto finora vale indipendentemente dalla funzione concreta che una persona svolge nell’organo centrale di governo. Se, nell’esempio menzionato, qualcuno è stato membro nell’organo centrale di governo per tre mandati consecutivi come segretario, nei tre anni susseguenti non sarà possibile eleggerlo membro dello stesso organo, neppure conferendogli una funzione diversa, sia essa quella di tesoriere o di consigliere tout court.

A questo riguardo, l’incarico di moderatore fa eccezione (art. 2 § 3). Indipendentemente dal fatto che qualcuno sia già stato membro dell’organo centrale di governo con una funzione diversa per la durata massima prevista, potrà comunque essere eletto moderatore. Quest’eccezione è necessaria per proteggere la libertà dell’associazione nell’eleggere il proprio moderatore. Se l’eccezione menzionata non esistesse, si creerebbero dinamiche indesiderate: sarebbe naturale non affidare a una persona idonea un incarico nell’organo centrale di governo per il mero fatto che questo conferimento potrebbe successivamente escludere l’elezione della stessa persona a moderatore.

D’altra parte, il Decreto prevede una limitazione più stretta per l’incarico di moderatore. Se qualcuno è già stato moderatore, di guisa che un nuovo mandato supererebbe la durata totale di dieci anni, non potrà essere eletto moderatore per un nuovo mandato, nemmeno dopo un’interruzione di qualsiasi durata (art. 2 § 4). Chi ha raggiunto il periodo massimo come moderatore, potrà però diventare di nuovo membro dell’organo centrale di governo con un incarico diverso da quello di moderatore. Questo presuppone, tuttavia, che dalla conclusione dell’ultimo mandato come moderatore sia intercorsa una vacanza di due mandati (che si riferiscono alla durata del nuovo incarico che si assume).

Il Decreto prevede alcune norme transitorie per il caso in cui, al momento della sua entrata in vigore, coloro che attualmente ricoprono incarichi nell’organo centrale di governo abbiano già superato i limiti stabiliti oppure li supereranno durante il mandato in corso (art. 4). In tali casi l’associazione dovrà organizzare nuove elezioni entro le scadenze stabilite. Con le nuove elezioni i titolari attuali decadranno dai loro rispettivi incarichi.

Riguardo i fondatori il Decreto menziona la possibilità di concedere una dispensa dalle summenzionate limitazioni (art. 5). Poiché la possibilità di dispensa sussisterebbe comunque, menzionarla esplicitamente consente di riconoscere una certa disponibilità del Dicastero a concederla. Rimane comunque chiaro che una dispensa è sempre una grazia (cf. can. 59) e, in quanto tale, nessun’associazione avrà il diritto di ottenerla.

La rappresentatività dell’organo centrale di governo

Mentre tutte le norme finora menzionate (artt. 1, 2, 4, 5, 7) riguardano la durata massima degli incarichi, l’articolo 3 tratta il secondo grande tema del Decreto, cioè la rappresentatività dell’organo centrale di governo. In linea generale, la rappresentatività richiesta include l’obbligo che gli incarichi nell’organo centrale di governo vengano conferiti tramite elezione.

Si prescrive, nell’articolo 3, che “tutti i membri pleno iure abbiano voce attiva, diretta o indiretta, nella costituzione delle istanze che eleggono l’organo centrale di governo a livello internazionale”. Con il termine “membri pleno iure” il Decreto fa riferimento ai membri che possiedono tutti i diritti e doveri di un membro; presuppone, dunque, la possibilità di un’altra categoria (o di altre categorie) di membri che possiedono solo parte dei diritti e doveri. Si pensi, ad esempio, ad associazioni i cui statuti distinguono fra membri in senso proprio e “associati”, ossia persone legate da vincoli meno stretti all’associazione, in quanto non cattolici o perché non intendono assumere tutti gli obblighi dei membri in senso stretto; oppure si pensi a coloro che sono incorporati definitivamente e coloro i quali lo sono temporaneamente, di modo che solo ai primi sono riconosciuti pieni diritti. Sebbene il Decreto disponga che debbono avere voce attiva tutti i membri pleno iure, tuttavia non proibisce l’ipotesi che venga conferita voce attiva anche a chi non appartiene pleno iure all’associazione.

Riferendosi alle “istanze” che eleggono l’organo centrale di governo a livello internazionale, l’articolo 3 utilizza un termine molto generico: ovviamente intende lasciare spazio a procedure variegate. Tipicamente le associazioni internazionali prevedono un tipo di “assemblea generale” (o “assemblea elettorale”) che possiede, almeno in molti casi, la competenza di conferire gli incarichi nel governo centrale di governo. Per tale caso l’articolo 3 richiede che tutti i membri pleno iure abbiano voce attiva, diretta o indiretta, nella costituzione di tale assemblea elettorale. “Voce diretta” significa che tutti i membri pleno iure dell’associazione eleggono i membri dell’assemblea elettorale. “Voce indiretta” vuol dire che lo fanno tramite un organo intermedio, per es., un’assemblea nazionale (oppure anzi tramite diversi organi intermedi). Parlando di “voce attiva” – un termine tipico nel contesto delle elezioni (cf. can. 171 § 1, 2°) – il Decreto stabilisce che una mera consultazione (non vincolante) di tutti i membri non sarebbe sufficiente per implementare quanto richiesto. È da notare, inoltre, che si può parlare di elezione solo quando i membri godono di una vera libertà di voto, senza essere sottoposti a pressioni o indebiti suggerimenti. Le associazioni i cui statuti attualmente non corrispondono al principio di rappresentatività indicato nel Decreto, dovranno provvedere ad una revisione dei rispettivi statuti.

L’articolo 6 permette alcune eccezioni che possono riguardare sia la durata dei mandati, sia la dovuta rappresentatività. Tratta i casi in cui un incarico di governo è vincolato a norme statutarie che dipendono dall’applicazione di statuti di associazioni clericali, di istituti di vita consacrata o di società di vita apostolica. Tali statuti, infatti, non dipendono dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. Per es., può essere previsto che l’incarico di consigliere di un’associazione internazionale spetti ex officio al superiore di un istituto religioso. In tale caso ovviamente sia la durata dell’incarico sia la procedura del conferimento dell’incarico dipenderanno dalle costituzioni dell’istituto religioso.

Un Decreto avente forza di legge

Il nuovo Decreto non è un semplice atto amministrativo generale volto a promuovere l’osservanza di una legge già esistente. Il contenuto del Decreto è una nuova legge. Perciò la frase finale, riguardante l’approvazione da parte del Romano Pontefice, parla di “Decreto generale, avente forza di legge”. Per poter emanare Decreti di questo genere, i Dicasteri della Curia Romana necessitano dell’approvazione in forma specifica da parte del Romano Pontefice. La clausola finale informa dell’avvenuta concessione di tale approvazione.

Il Decreto entrerà in vigore tre mesi dopo la sua promulgazione, che avviene mediante pubblicazione ne L’Osservatore Romano. A partire dall’entrata in vigore, le norme in esso contenute avranno forza vincolante per le rispettive associazioni. Se gli statuti di una associazione contengono norme contrarie a quanto stabilito nel Decreto, tali norme saranno abrogate a partire della stessa data (art. 8). Le associazioni destinatarie del decreto dovranno esaminare la conformità dei loro statuti con il Decreto. Ci si può aspettare che molte associazioni dovranno convocare un’assemblea generale che decida le modifiche da apportare agli statuti da sottoporre al Dicastero per la necessaria approvazione. Una particolare urgenza sussiste per quelle associazioni in cui i limiti previsti dal Decreto sono già stati superati o lo saranno durante il periodo del mandato in corso (art. 4).

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[1] Decano della Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università Gregoriana