Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2017, 07.02.2017


Messaggio del Santo Padre

Testo in lingua francese

Testo in lingua inglese

Testo in lingua tedesca

Testo in lingua spagnola

Testo in lingua portoghese

Testo in lingua polacca

Testo in lingua araba

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2017 sul tema “La Parola è un dono. L’altro è un dono”.

Messaggio del Santo Padre

La Parola è un dono. L'altro è un dono.

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» ( Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell'amicizia con il Signore. Gesù è l 'amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa attesa, manifesta la sua volontà di perdono (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016).

La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l'elemosina. Alla base di tutto c'è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità. In particolare, qui vorrei soffermarmi sulla parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19- 31). Lasciamoci ispirare da questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci ad una sincera conversione.

1. L'altro è un dono

La parabola comincia presentando i due personaggi principali , ma è il povero che viene descritto in maniera più dettagliata: egli si trova in una condizione disperata e non ha la forza di risollevarsi, giace alla porta del ricco e mangia le briciole che cadono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr vv. 20-21). Il quadro dunque è cupo, e l'uomo degradato e umiliato.

La scena risulta ancora più drammatica se si considera che il povero si chiama Lazzaro: un nome carico di promesse, che alla lettera significa «Dio aiuta». Perciò questo personaggio non è anonimo, ha tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale. Mentre per il ricco egli è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare, diventa un volto; e, come tale, un dono, una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016).

Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore all'altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole. Ma per poter fare questo è necessario prendere sul serio anche quanto il Vangelo ci rivela a proposito dell'uomo ricco.

2. Il peccato ci acceca

La parabola è impietosa nell'evidenziare le contraddizioni in cui si trova il ricco (cfr v. 19). Questo personaggio, al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome, è qualificato solo come "ricco". La sua opulenza si manifesta negli abiti che indossa, di un lusso esagerato. La porpora infatti era molto pregiata, più dell'argento e dell'oro, e per questo era riservato alle divinità (cfr Ger 10,9) e ai re (cfr Gdc 8,26). Il bisso era un lino speciale che contribuiva a dare al portamento un carattere quasi sacro. Dunque la ricchezza di quest'uomo è eccessiva, anche perché esibita ogni giorno, in modo abitudinario: «Ogni giorno si dava a lauti banchetti» (v. 19). In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato, che si realizza in tre momenti successivi: l'amore per il denaro, la vanità e la superbia (cfr Omelia nella S. Messa, 20 settembre 2013).

Dice l'apostolo Paolo che «l'avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6, 10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 55). Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero ad una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace.

La parabola ci mostra poi che la cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua personalità si realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può permettersi. Ma l'apparenza maschera il vuoto interiore. La sua vita è prigioniera dell'esteriorità, della dimensione più superficiale ed effimera dell’esistenza (cfr ibid., 62).

Il gradino più basso di questo degrado morale è la superbia. L'uomo ricco si veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio, dimenticando di essere semplicemente un mortale. Per l'uomo corrotto dall'amore per le ricchezze non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo. Il frutto dell'attaccamento al denaro è dunque una sorta di cecità: il ricco non vede il povero affamato, piagato e prostrato nella sua umiliazione.

Guardando questo personaggio, si comprende perché il Vangelo sia così netto nel condannare l'amore per il denaro: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24).

3. La Parola è un dono

Il Vangelo del ricco e del povero Lazzaro ci aiuta a prepararci bene alla Pasqua che si avvicina. La liturgia del Mercoledì delle Ceneri ci invita a vivere un’esperienza simile a quella che fa il ricco in maniera molto drammatica. Il sacerdote, imponendo le ceneri sul capo, ripete le parole: «Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai». Il ricco e il povero, infatti, muoiono entrambi e la parte principale della parabola si svolge nell'aldilà. I due personaggi scoprono improvvisamente che «non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via» (1 Tm 6,7).

Anche il nostro sguardo si apre all'aldilà, dove il ricco ha un lungo dialogo con Abramo, che chiama «padre» (Lc 16,24.27), dimostrando di far parte del popolo di Dio. Questo particolare rende la sua vita ancora più contraddittoria, perché finora non si era detto nulla della sua relazione con Dio. In effetti, nella sua vita non c’era posto per Dio, l’unico suo dio essendo lui stesso.

Solo tra i tormenti dell'aldilà il ricco riconosce Lazzaro e vorrebbe che il povero alleviasse le sue sofferenze con un po' di acqua. I gesti richiesti a Lazzaro sono simili a quelli che avrebbe potuto fare il ricco e che non ha mai compiuto. Abramo, tuttavia, gli spiega: «Nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti» (v. 25). Nell'aldilà si ristabilisce una certa equità e i mali della vita vengono bilanciati dal bene.

La parabola si protrae e così presenta un messaggio per tutti i cristiani. Infatti il ricco, che ha dei fratelli ancora in vita, chiede ad Abramo di mandare Lazzaro da loro per ammonirli; ma Abramo risponde: «Hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro» (v. 29). E di fronte all'obiezione del ricco, aggiunge: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (v. 31).

In questo modo emerge il vero problema del ricco: la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla Parola di Dio; questo lo ha portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo. La Parola di Dio è una forza viva, capace di suscitare la conversione nel cuore degli uomini e di orientare nuovamente la persona a Dio. Chiudere il cuore al dono di Dio che parla ha come conseguenza il chiudere il cuore al dono del fratello.

Cari fratelli e sorelle, la Quaresima è il tempo favorevole per rinnovarsi nell'incontro con Cristo vivo nella sua Parola, nei Sacramenti e nel prossimo. Il Signore - che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto ha vinto gli inganni del Tentatore - ci indica il cammino da seguire. Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cammino di conversione, per riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi. Incoraggio tutti i fedeli ad esprimere questo rinnovamento spirituale anche partecipando alle Campagne di Quaresima che molti organismi ecclesiali, in diverse parti del mondo, promuovono per far crescere la cultura dell'incontro nell'unica famiglia umana. Preghiamo gli uni per gli altri affinché, partecipi della vittoria di Cristo, sappiamo aprire le nostre porte al debole e al povero. Allora potremo vivere e testimoniare in pienezza la gioia della Pasqua.

Dal Vaticano, 18 ottobre 2016,
Festa di San Luca Evangelista

FRANCESCO

[00196-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Testo in lingua francese

La Parole est un don. L’autre est un don.

Chers Frères et Sœurs,

Le Carême est un nouveau commencement, un chemin qui conduit à une destination sûre: la Pâques de la Résurrection, la victoire du Christ sur la mort. Et ce temps nous adresse toujours un appel pressant à la conversion: le chrétien est appelé à revenir à Dieu «de tout son cœur» (Jl 2,12) pour ne pas se contenter d’une vie médiocre, mais grandir dans l’amitié avec le Seigneur. Jésus est l’ami fidèle qui ne nous abandonne jamais, car même lorsque nous péchons, il attend patiemment notre retour à Lui et, par cette attente, il manifeste sa volonté de pardon (cf. Homélie du 8 janvier 2016).

Le Carême est le moment favorable pour intensifier la vie de l’esprit grâce aux moyens sacrés que l’Eglisenous offre: le jeûne, la prière et l’aumône. A la base de tout il y a la Parole de Dieu, que nous sommes invités à écouter et à méditer avec davantage d’assiduité en cette période. Je voudrais ici m’arrêter en particulier sur la parabole de l’homme riche et du pauvre Lazare (cf. Lc 16,19-31). Laissons-nous inspirer par ce récit si important qui, en nous exhortant à une conversion sincère, nous offre la clé pour comprendre comment agir afin d’atteindre le vrai bonheur et la vie éternelle.

1. L’autre est un don

La parabole commence avec la présentation des deux personnages principaux; cependant le pauvre y est décrit de façon plus détaillée: il se trouve dans une situation désespérée et n’a pas la force de se relever, il gît devant la porte du riche et mange les miettes qui tombent de sa table, son corps est couvert de plaies que les chiens viennent lécher (cf. vv. 20-21). C’est donc un tableau sombre, et l’homme est avili et humilié.

La scène apparaît encore plus dramatique si l’on considère que le pauvre s’appelle Lazare: un nom chargé de promesses, qui signifie littéralement«Dieu vient en aide». Ainsi ce personnage ne reste pas anonyme mais il possède des traits bien précis; il se présente comme un individu avec son histoire personnelle. Bien qu’il soit comme invisible aux yeux du riche, il nous apparaît connu et presque familier, il devient un visage; et, comme tel, un don, une richesse inestimable, un être voulu, aimé, dont Dieu se souvient, même si sa condition concrète est celle d’un déchet humain (cf. Homélie du 8 janvier 2016).

Lazare nous apprend que l’autre est un don. La relation juste envers les personnes consiste à reconnaître avec gratitude leur valeur. Ainsi le pauvre devant la porte du riche ne représente pas un obstacle gênant mais un appel à nous convertir et à changer de vie. La première invitation que nous adresse cette parabole est celle d’ouvrir la porte de notre cœur à l’autre car toute personne est un don, autant notre voisin que le pauvre que nous ne connaissons pas. Le Carême est un temps propice pour ouvrir la porte à ceux qui sont dans le besoin et reconnaître en eux le visage du Christ. Chacun de nous en croise sur son propre chemin. Toute vie qui vient à notre rencontre est un don et mérite accueil, respect, amour. La Parole de Dieu nous aide à ouvrir les yeux pour accueillir la vie et l’aimer, surtout lorsqu’elle est faible. Mais pour pouvoir le faire il est nécessaire de prendre au sérieux également ce que nous révèle l’Évangile au sujet de l’homme riche.

2. Le péché nous rend aveugles

La parabole met cruellement en évidence les contradictions où se trouve le riche (cf. v. 19). Ce personnage, contrairement au pauvre Lazare, ne possède pas de nom, il est seulement qualifié de “riche”. Son opulence se manifeste dans son habillement qui est exagérément luxueux. La pourpre en effet était très précieuse, plus que l’argent ou l’or, c’est pourquoi elle était réservée aux divinités (cf. Jr 10,9) et aux rois (cf. Jg 8,26). La toile de lin fin contribuait à donner à l’allure un caractère quasi sacré. Bref la richesse de cet homme est excessive d’autant plus qu’elle est exhibée tous les jours, de façon habituelle: «Il faisait chaque jour brillante chère» (v.19). On aperçoit en lui, de manière dramatique, la corruption du péché qui se manifeste en trois moments successifs: l’amour de l’argent, la vanité et l’orgueil (cf. Homélie du 20 septembre 2013).

Selon l’apôtre Paul,«la racine de tous les maux c’est l’amour de l’argent» (1 Tm 6,10). Il est la cause principale de la corruption et la source de jalousies, litiges et soupçons. L’argent peut réussir à nous dominer et devenir ainsi une idole tyrannique (cf. Exhort. ap. Evangelii Gaudium, n. 55). Au lieu d’être un instrument à notre service pour réaliser le bien et exercer la solidarité envers les autres, l’argent peut nous rendre esclaves, ainsi que le monde entier, d’une logique égoïste qui ne laisse aucune place à l’amour et fait obstacle à la paix.

La parabole nous montre ensuite que la cupidité rend le riche vaniteux. Sa personnalité se réalise dans les apparences, dans le fait de montrer aux autres ce que lui peut se permettre. Mais l’apparence masque le vide intérieur. Sa vie reste prisonnière de l’extériorité, de la dimension la plus superficielle et éphémère de l’existence (cf. ibid., n. 62).

Le niveau le plus bas de cette déchéance morale est l’orgueil. L’homme riche s’habille comme un roi, il singe l’allure d’un dieu, oubliant d’être simplement un mortel. Pour l’homme corrompu par l’amour des richesses, il n’existe que le propre moi et c’est la raison pour laquelle les personnes qui l’entourent ne sont pas l’objet de son regard. Le fruit de l’attachement à l’argent est donc une sorte de cécité: le riche ne voit pas le pauvre qui est affamé, couvert de plaies et prostré dans son humiliation.

En regardant ce personnage, on comprend pourquoi l’Évangile est aussi ferme dans sa condamnation de l’amour de l’argent:«Nul ne peut servir deux maîtres: ou bien il haïra l’un et aimera l’autre, ou bien il s’attachera à l’un et méprisera l’autre. Vous ne pouvez pas servir à la fois Dieu et l’Argent» (Mt 6,24).

3. La Parole est un don

L’évangile du riche et du pauvre Lazare nous aide à bien nous préparer à Pâques qui s’approche. La liturgie du Mercredi des Cendres nous invite à vivre une expérience semblable à celle que fait le riche d’une façon extrêmement dramatique. Le prêtre, en imposant les cendres sur la tête, répète ces paroles: «Souviens-toi que tu es poussière et que tu retourneras en poussière». Le riche et le pauvre, en effet, meurent tous les deux et la partie la plus longue du récit de la parabole se passe dans l’au-delà. Les deux personnages découvrent subitement que «nous n’avons rien apporté dans ce monde, et nous n’en pourrons rien emporter» (1 Tm 6,7).

Notre regard aussi se tourne vers l’au-delà, où le riche dialogue avec Abraham qu’il appelle «Père» (Lc 16, 24; 27) montrant qu’il fait partie du peuple de Dieu. Ce détail rend sa vie encore plus contradictoire car, jusqu’à présent, rien n’avait été dit sur sa relation à Dieu. En effet dans sa vie, il n’y avait pas de place pour Dieu, puisqu’il était lui-même son propre dieu.

Ce n’est que dans les tourments de l’au-delà que le riche reconnaît Lazare et il voudrait bien que le pauvre allège ses souffrances avec un peu d’eau. Les gestes demandés à Lazare sont semblables à ceux que le riche aurait pu accomplir et qu’il n’a jamais réalisés. Abraham néanmoins lui explique que «tu as reçu tes biens pendant ta vie et Lazare pareillement ses maux; maintenant ici il est consolé et toi tu es tourmenté» (v.25). L’au-delà rétablit une certaine équité et les maux de la vie sont compensés par le bien.

La parabole acquiert une dimension plus large et délivre ainsi un message pour tous les chrétiens. En effet le riche, qui a des frères encore en vie, demande à Abraham d’envoyer Lazare les avertir; mais Abraham répond:«ils ont Moïse et les Prophètes; qu’ils les écoutent» (v. 29). Et devant l’objection formulée par le riche, il ajoute: «Du moment qu’ils n’écoutent pas Moïse et les Prophètes, même si quelqu’un ressuscite d’entre les morts, ils ne seront pas convaincus» (v.31).

Ainsi se manifeste le vrai problème du riche: la racine de ses maux réside dans le fait de ne pas écouter la Parole de Dieu; ceci l’a amené à ne plus aimer Dieu et donc à mépriser le prochain. La Parole de Dieu est une force vivante, capable de susciter la conversion dans le cœur des hommes et d’orienter à nouveau la personne vers Dieu. Fermer son cœur au don de Dieu qui nous parle a pour conséquence la fermeture de notre cœur au don du frère.

Chers frères et sœurs, le Carême est un temps favorable pour nous renouveler dans la rencontre avec le Christ vivant dans sa Parole, dans ses Sacrements et dans le prochain. Le Seigneur qui – au cours des quarante jours passés dans le désert a vaincu les pièges du Tentateur – nous montre le chemin à suivre. Que l’Esprit Saint nous aide à accomplir un vrai chemin de conversion pour redécouvrir le don de la Parole de Dieu, être purifiés du péché qui nous aveugle et servir le Christ présent dans nos frères dans le besoin. J’encourage tous les fidèles à manifester ce renouvellement spirituel en participant également aux campagnes de Carême promues par de nombreux organismes ecclésiaux visant à faire grandir la culture de la rencontre au sein de l’unique famille humaine. Prions les uns pour les autres afin que participant à la victoire du Christ nous sachions ouvrir nos portes aux faibles et aux pauvres. Ainsi nous pourrons vivre et témoigner en plénitude de la joie pascale.

Du Vatican, le 18 octobre 2016,
Fête de Saint Luc, évangéliste

FRANÇOIS

[00196-FR.01] [Texte original: Français]

Testo in lingua inglese

The Word is a gift. Other persons are a gift.

Dear Brothers and Sisters,

Lent is a new beginning, a path leading to the certain goal of Easter, Christ’s victory over death. This season urgently calls us to conversion. Christians are asked to return to God “with all their hearts” (Joel 2:12), to refuse to settle for mediocrity and to grow in friendship with the Lord. Jesus is the faithful friend who never abandons us. Even when we sin, he patiently awaits our return; by that patient expectation, he shows us his readiness to forgive (cf. Homily, 8 January 2016).

Lent is a favorable season for deepening our spiritual life through the means of sanctification offered us by the Church: fasting, prayer and almsgiving. At the basis of everything is the word of God, which during this season we are invited to hear and ponder more deeply. I would now like to consider the parable of the rich man and Lazarus (cf. Lk 16:19-31). Let us find inspiration in this meaningful story, for it provides a key to understanding what we need to do in order to attain true happiness and eternal life. It exhorts us to sincere conversion.

1. The other person is a gift

The parable begins by presenting its two main characters. The poor man is described in greater detail: he is wretched and lacks the strength even to stand. Lying before the door of the rich man, he fed on the crumbs falling from his table. His body is full of sores and dogs come to lick his wounds (cf. vv. 20-21). The picture is one of great misery; it portrays a man disgraced and pitiful.

The scene is even more dramatic if we consider that the poor man is called Lazarus: a name full of promise, which literally means “God helps”. This character is not anonymous. His features are clearly delineated and he appears as an individual with his own story. While practically invisible to the rich man, we see and know him as someone familiar. He becomes a face, and as such, a gift, a priceless treasure, a human being whom God loves and cares for, despite his concrete condition as an outcast (cf. Homily, 8 January 2016).

Lazarus teaches us that other persons are a gift. A right relationship with people consists in gratefully recognizing their value. Even the poor person at the door of the rich is not a nuisance, but a summons to conversion and to change. The parable first invites us to open the doors of our heart to others because each person is a gift, whether it be our neighbor or an anonymous pauper. Lent is a favorable season for opening the doors to all those in need and recognizing in them the face of Christ. Each of us meets people like this every day. Each life that we encounter is a gift deserving acceptance, respect and love. The word of God helps us to open our eyes to welcome and love life, especially when it is weak and vulnerable. But in order to do this, we have to take seriously what the Gospel tells us about the rich man.

2. Sin blinds us

The parable is unsparing in its description of the contradictions associated with the rich man (cf. v. 19). Unlike poor Lazarus, he does not have a name; he is simply called “a rich man”. His opulence was seen in his extravagant and expensive robes. Purple cloth was even more precious than silver and gold, and was thus reserved to divinities (cf. Jer 10:9) and kings (cf. Jg 8:26), while fine linen gave one an almost sacred character. The man was clearly ostentatious about his wealth, and in the habit of displaying it daily: “He feasted sumptuously every day” (v. 19). In him we can catch a dramatic glimpse of the corruption of sin, which progresses in three successive stages: love of money, vanity and pride (cf. Homily, 20 September 2013).

The Apostle Paul tells us that “the love of money is the root of all evils” (1 Tim 6:10). It is the main cause of corruption and a source of envy, strife and suspicion. Money can come to dominate us, even to the point of becoming a tyrannical idol (cf. Evangelii Gaudium, 55). Instead of being an instrument at our service for doing good and showing solidarity towards others, money can chain us and the entire world to a selfish logic that leaves no room for love and hinders peace.

The parable then shows that the rich man’s greed makes him vain. His personality finds expression in appearances, in showing others what he can do. But his appearance masks an interior emptiness. His life is a prisoner to outward appearances, to the most superficial and fleeting aspects of existence (cf. ibid., 62).

The lowest rung of this moral degradation is pride. The rich man dresses like a king and acts like a god, forgetting that he is merely mortal. For those corrupted by love of riches, nothing exists beyond their own ego. Those around them do not come into their line of sight. The result of attachment to money is a sort of blindness. The rich man does not see the poor man who is starving, hurting, lying at his door.

Looking at this character, we can understand why the Gospel so bluntly condemns the love of money: “No one can be the slave of two masters: he will either hate the first and love the second, or be attached to the first and despise the second. You cannot be the slave both of God and of money” (Mt 6:24).

3. The Word is a gift

The Gospel of the rich man and Lazarus helps us to make a good preparation for the approach of Easter. The liturgy of Ash Wednesday invites us to an experience quite similar to that of the rich man. When the priest imposes the ashes on our heads, he repeats the words: “Remember that you are dust, and to dust you shall return”. As it turned out, the rich man and the poor man both died, and the greater part of the parable takes place in the afterlife. The two characters suddenly discover that “we brought nothing into the world, and we can take nothing out of it” (1 Tim 6:7).

We too see what happens in the afterlife. There the rich man speaks at length with Abraham, whom he calls “father” (Lk 16:24.27), as a sign that he belongs to God’s people. This detail makes his life appear all the more contradictory, for until this moment there had been no mention of his relation to God. In fact, there was no place for God in his life. His only god was himself.

The rich man recognizes Lazarus only amid the torments of the afterlife. He wants the poor man to alleviate his suffering with a drop of water. What he asks of Lazarus is similar to what he could have done but never did. Abraham tells him: “During your life you had your fill of good things, just as Lazarus had his fill of bad. Now he is being comforted here while you are in agony” (v. 25). In the afterlife, a kind of fairness is restored and life’s evils are balanced by good.

The parable goes on to offer a message for all Christians. The rich man asks Abraham to send Lazarus to warn his brothers, who are still alive. But Abraham answers: “They have Moses and the prophets, let them listen to them” (v. 29). Countering the rich man’s objections, he adds: “If they will not listen either to Moses or to the prophets, they will not be convinced even if someone should rise from the dead” (v. 31).

The rich man’s real problem thus comes to the fore. At the root of all his ills was the failure to heed God’s word. As a result, he no longer loved God and grew to despise his neighbor. The word of God is alive and powerful, capable of converting hearts and leading them back to God. When we close our heart to the gift of God’s word, we end up closing our heart to the gift of our brothers and sisters.

Dear friends, Lent is the favorable season for renewing our encounter with Christ, living in his word, in the sacraments and in our neighbor. The Lord, who overcame the deceptions of the Tempter during the forty days in the desert, shows us the path we must take. May the Holy Spirit lead us on a true journey of conversion, so that we can rediscover the gift of God’s word, be purified of the sin that blinds us, and serve Christ present in our brothers and sisters in need. I encourage all the faithful to express this spiritual renewal also by sharing in the Lenten Campaigns promoted by many Church organizations in different parts of the world, and thus to favor the culture of encounter in our one human family. Let us pray for one another so that, by sharing in the victory of Christ, we may open our doors to the weak and poor. Then we will be able to experience and share to the full the joy of Easter.

From the Vatican, 18 October 2016,
Feast of Saint Luke the Evangelist

FRANCIS

[00196-EN.01] [Original text: English]

Testo in lingua tedesca

Das Wort Gottes ist ein Geschenk. Der andere ist ein Geschenk.

Liebe Brüder und Schwestern,

Die österliche Bußzeit ist ein Neuanfang, ein Weg, der zu einem sicheren Ziel führt: zum Pascha der Auferstehung, zum Sieg Christi über den Tod. Und immer richtet diese Zeit eine nachdrückliche Einladung zur Umkehr an uns: Der Christ ist aufgerufen, »von ganzem Herzen« (Joel 2,12) zu Gott zurückzukehren, um sich nicht mit einem mittelmäßigen Leben zufriedenzugeben, sondern in der Freundschaft mit dem Herrn zu wachsen. Jesus ist der treue Freund, der uns nie verlässt, denn auch wenn wir sündigen, wartet er geduldig auf unsere Rückkehr zu ihm und zeigt mit diesem Warten, dass er willig ist, zu vergeben (vgl. Homilie, Domus Sanctae Marthae, 8. Januar 2016).

Die österliche Bußzeit ist der günstige Moment, das Leben des Geistes durch die heiligen Mittel, welche die Kirche uns bietet, zu intensivieren: durch Fasten, Gebet und Almosengeben. Die Grundlage von alldem ist das Wort Gottes, und in dieser Zeit sind wir eingeladen, es mit größerem Eifer zu hören und zu meditieren. Besonders möchte ich hier auf das Gleichnis vom reichen Prasser und dem armen Lazarus eingehen (vgl. Lk 16,19-31). Lassen wir uns von dieser so bedeutungsvollen Erzählung anregen: Sie bietet uns den Schlüssel, der uns begreifen lässt, was wir tun müssen, um das wahre Glück und das ewige Leben zu erlangen, und ermahnt uns zu aufrichtiger Umkehr.

1. Der andere ist ein Geschenk

Das Gleichnis beginnt mit einer Vorstellung der beiden Hauptfiguren, doch der Arme wird wesentlich ausführlicher beschrieben: Er befindet sich in einer verzweifelten Lage und hat nicht die Kraft, sich wieder aufzurichten. Er liegt vor der Tür des Reichen und würde gerne von dem essen, was von dessen Tisch fällt; sein Leib ist voller Geschwüre, und die Hunde kommen und lecken daran (vgl. V. 20-21). Ein düsteres Bild also von einem entwürdigten und erniedrigten Menschen.

Die Szene erscheint noch dramatischer, wenn man bedenkt, dass der Arme Lazarus heißt – ein verheißungsvoller Name, der wörtlich bedeutet „Gott hilft“. Er ist daher keine anonyme Figur; er hat ganz deutliche Züge und zeigt sich als ein Mensch, dem eine persönliche Geschichte zuzuordnen ist. Während er für den Reichen gleichsam unsichtbar ist, wird er uns bekannt und fast vertraut, er bekommt ein Gesicht; und als solcher wird er ein Geschenk, ein unschätzbarer Reichtum, ein Wesen, das Gott gewollt hat, das er liebt und an das er denkt, auch wenn seine konkrete Situation die eines Stücks menschlichen Mülls ist (vgl. Homilie, Domus Sanctae Marthae, 8. Januar 2016).

Lazarus lehrt uns, dass der andere ein Geschenk ist. Die rechte Beziehung zu den Menschen besteht darin, dankbar ihren Wert zu erkennen. Auch der Arme vor der Tür des Reichen ist nicht etwa ein lästiges Hindernis, sondern ein Appell, umzukehren und das eigene Leben zu ändern. Der erste Aufruf, den dieses Gleichnis an uns richtet, ist der, dem anderen die Tür unseres Herzens zu öffnen, denn jeder Mensch ist ein Geschenk, sowohl unser Nachbar, als auch der unbekannte Arme. Die österliche Bußzeit ist eine günstige Zeit, um jedem Bedürftigen die Tür zu öffnen und in ihm oder ihr das Antlitz Christi zu erkennen. Jeder von uns trifft solche auf seinem Weg. Jedes Leben, das uns entgegenkommt, ist ein Geschenk und verdient Aufnahme, Achtung und Liebe. Das Wort Gottes hilft uns, die Augen zu öffnen, um das Leben aufzunehmen und zu lieben, besonders wenn es schwach ist. Doch um dazu fähig zu sein, muss man auch ernst nehmen, was das Evangelium uns in Bezug auf den reichen Prasser offenbart.

2. Die Sünde macht uns blind

Mitleidlos stellt das Gleichnis die Gegensätze heraus, in denen sich der Reiche befindet (vgl. V. 19). Diese Gestalt hat im Unterschied zum armen Lazarus keinen Namen; der Mann wird als „reich“ bezeichnet. Sein üppiger Lebensstil zeigt sich in den übertrieben luxuriösen Kleidern, die er trägt. Purpur war nämlich etwas sehr Wertvolles, mehr als Silber und Gold, und daher war er den Gottheiten (vgl. Jer 10,9) und den Königen (vgl. Ri 8,26) vorbehalten. Byssus war ein besonderes Leinen, das dazu beitrug, der Erscheinung einen fast sakralen Charakter zu verleihen. Der Reichtum dieses Mannes ist also übertrieben, auch weil er tagtäglich und gewohnheitsmäßig zur Schau gestellt wird: Er lebte »Tag für Tag herrlich und in Freuden« (V. 19). In ihm scheint in dramatischer Weise die Verdorbenheit durch die Sünde auf, die sich in drei aufeinander folgenden Schritten verwirklicht: Liebe zum Geld, Eitelkeit und Hochmut (vgl. Homilie, Domus Sanctae Marthae, 20. September 2013).

Der Apostel Paulus sagt: »Die Wurzel aller Übel ist die Habsucht« (1Tim 6,10). Sie ist der Hauptgrund für die Verdorbenheit und ein Quell von Neid, Streitigkeiten und Verdächtigungen. Das Geld kann uns schließlich so beherrschen, dass es zu einem tyrannischen Götzen wird (vgl. Apost. Schreiben Evangelii gaudium, 55). Anstatt ein Mittel zu sein, das uns dient, um Gutes zu tun und Solidarität gegenüber den anderen zu üben, kann das Geld uns und die Welt einer egoistischen Denkweise unterwerfen, die der Liebe keinen Raum lässt und den Frieden behindert.

Das Gleichnis zeigt uns außerdem, dass die Habsucht des Reichen ihn eitel macht. Seine Persönlichkeit geht in der äußeren Erscheinung auf, darin, den anderen zu zeigen, was er sich leisten kann. Doch die Erscheinung tarnt die innere Leere. Sein Leben ist gefangen in der Äußerlichkeit, in der oberflächlichsten und vergänglichsten Dimension des Seins (vgl. ebd., 62).

Die tiefste Stufe dieses moralischen Verfalls ist der Hochmut. Der reiche Mann kleidet sich, als sei er ein König, er täuscht die Haltung eines Gottes vor und vergisst, dass er bloß ein Sterblicher ist. Für den von der Liebe zum Reichtum verdorbenen Menschen gibt es nichts anderes, als das eigene Ich, und deshalb gelangen die Menschen, die ihn umgeben, nicht in sein Blickfeld. Die Frucht der Anhänglichkeit ans Geld ist also eine Art Blindheit: Der Reiche sieht den hungrigen, mit Geschwüren bedeckten und in seiner Erniedrigung entkräfteten Armen überhaupt nicht.

Wenn man diese Gestalt betrachtet, versteht man, warum das Evangelium in seiner Verurteilung der Liebe zum Geld so deutlich ist: »Niemand kann zwei Herren dienen; er wird entweder den einen hassen und den andern lieben oder er wird zu dem einen halten und den andern verachten. Ihr könnt nicht beiden dienen, Gott und dem Mammon« (Mt 6,24).

3. Das Wort Gottes ist ein Geschenk

Das Evangelium vom reichen Prasser und dem armen Lazarus hilft uns, uns gut auf das Osterfest vorzubereiten, das näher rückt. Die Liturgie des Aschermittwochs lädt uns zu einer Erfahrung ein, die jener ähnlich ist, die der Reiche in sehr dramatischer Weise macht. Der Priester spricht beim Auflegen der Asche: »Bedenke, Mensch, dass du Staub bist und wieder zum Staub zurückkehren wirst.« Beide – der Reiche und der Arme – sterben nämlich, und der Hauptteil des Gleichnisses spielt im Jenseits. Beide entdecken plötzlich eine Grundwahrheit: »Wir haben nichts in die Welt mitgebracht, und wir können auch nichts aus ihr mitnehmen« (1Tim 6,7).

Auch unser Blick öffnet sich dem Jenseits, wo der Reiche ein langes Gespräch mit Abraham führt, den er »Vater« nennt (Lk 16,24.27) und damit zeigt, dass er zum Volk Gottes gehört. Dieses Detail macht sein Leben noch widersprüchlicher, denn bis zu diesem Zeitpunkt war von seiner Beziehung zu Gott keine Rede gewesen. Tatsächlich war in seinem Leben kein Platz für Gott gewesen, da sein einziger Gott er selber gewesen war.

Erst in den Qualen des Jenseits erkennt der Reiche den Lazarus und möchte, dass der Arme seine Leiden mit ein wenig Wasser lindert. Was er von Lazarus erbittet, ähnelt dem, was der Reiche hätte tun können, aber nie getan hat. Doch Abraham erklärt ihm: »Denk daran, dass du schon zu Lebzeiten deinen Anteil am Guten erhalten hast, Lazarus aber nur Schlechtes. Jetzt wird er dafür getröstet, du aber musst leiden« (V. 25). Im Jenseits wird eine gewisse Gerechtigkeit wieder hergestellt und das Schlechte aus dem Leben wird durch das Gute ausgeglichen.

Das Gleichnis geht noch weiter und vermittelt so eine Botschaft für alle Christen. Der Reiche, der Brüder hat, die noch leben, bittet nämlich Abraham, Lazarus zu ihnen zu schicken, um sie zu warnen. Doch Abraham antwortet: »Sie haben Mose und die Propheten, auf die sollen sie hören« (V. 29). Und auf den Einwand des Reichen fügt er hinzu: »Wenn sie auf Mose und die Propheten nicht hören, werden sie sich auch nicht überzeugen lassen, wenn einer von den Toten aufersteht« (V. 31).

Auf diese Weise kommt das eigentliche Problem des Reichen zum Vorschein: Die Wurzel seiner Übel besteht darin, dass er nicht auf das Wort Gottes hört; das hat ihn dazu gebracht, Gott nicht mehr zu lieben und darum den Nächsten zu verachten. Das Wort Gottes ist eine lebendige Kraft, die imstande ist, im Herzen der Menschen die Umkehr auszulösen und die Person wieder auf Gott hin auszurichten. Das Herz gegenüber dem Geschenk zu verschließen, das der sprechende Gott ist, hat zur Folge, dass sich das Herz auch gegenüber dem Geschenk verschließt, das der Mitmensch ist.

Liebe Brüder und Schwestern, die österliche Bußzeit ist die günstige Zeit, um sich zu erneuern in der Begegnung mit Christus, der in seinem Wort, in den Sakramenten und im Nächsten lebendig ist. Der Herr, der in den vierzig Tagen in der Wüste die List des Versuchers überwunden hat, zeigt uns den Weg, dem wir folgen müssen. Möge der Heilige Geist uns leiten, einen wahren Weg der Umkehr zu gehen, um das Geschenk des Wortes Gottes neu zu entdecken, von der Sünde, die uns blind macht, gereinigt zu werden und Christus in den bedürftigen Mitmenschen zu dienen. Ich ermutige alle Gläubigen, diese geistliche Erneuerung auch durch die Teilnahme an den Fastenaktionen zum Ausdruck zu bringen, die viele kirchliche Organismen in verschiedenen Teilen der Welt durchführen, um die Kultur der Begegnung in der einen Menschheitsfamilie zu fördern. Beten wir füreinander, dass wir am Sieg Christi Anteil erhalten und verstehen, unsere Türen dem Schwachen und dem Armen zu öffnen. Dann können wir die Osterfreude in Fülle erleben und bezeugen.

Aus dem Vatikan, am 18. Oktober 2016,
dem Fest des heiligen Lukas

FRANZISKUS

[00196-DE.01] [Originalsprache: Deutsch]

Testo in lingua spagnola

La Palabra es un don. El otro es un don.

Queridos hermanos y hermanas:

La Cuaresma es un nuevo comienzo, un camino que nos lleva a un destino seguro: la Pascua de Resurrección, la victoria de Cristo sobre la muerte. Y en este tiempo recibimos siempre una fuerte llamada a la conversión: el cristiano está llamado a volver a Dios «de todo corazón» (Jl 2,12), a no contentarse con una vida mediocre, sino a crecer en la amistad con el Señor. Jesús es el amigo fiel que nunca nos abandona, porque incluso cuando pecamos espera pacientemente que volvamos a él y, con esta espera, manifiesta su voluntad de perdonar (cf. Homilía, 8 enero 2016).

La Cuaresma es un tiempo propicio para intensificar la vida del espíritu a través de los medios santos que la Iglesia nos ofrece: el ayuno, la oración y la limosna. En la base de todo está la Palabra de Dios, que en este tiempo se nos invita a escuchar y a meditar con mayor frecuencia. En concreto, quisiera centrarme aquí en la parábola del hombre rico y el pobre Lázaro (cf. Lc 16,19-31). Dejémonos guiar por este relato tan significativo, que nos da la clave para entender cómo hemos de comportarnos para alcanzar la verdadera felicidad y la vida eterna, exhortándonos a una sincera conversión.

1. El otro es un don

La parábola comienza presentando a los dos personajes principales, pero el pobre es el que viene descrito con más detalle: él se encuentra en una situación desesperada y no tiene fuerza ni para levantarse, está echado a la puerta del rico y come las migajas que caen de su mesa, tiene llagas por todo el cuerpo y los perros vienen a lamérselas (cf. vv. 20-21). El cuadro es sombrío, y el hombre degradado y humillado.

La escena resulta aún más dramática si consideramos que el pobre se llama Lázaro: un nombre repleto de promesas, que significa literalmente «Dios ayuda». Este no es un personaje anónimo, tiene rasgos precisos y se presenta como alguien con una historia personal. Mientras que para el rico es como si fuera invisible, para nosotros es alguien conocido y casi familiar, tiene un rostro; y, como tal, es un don, un tesoro de valor incalculable, un ser querido, amado, recordado por Dios, aunque su condición concreta sea la de un desecho humano (cf. Homilía, 8 enero 2016).

Lázaro nos enseña que el otro es un don. La justa relación con las personas consiste en reconocer con gratitud su valor. Incluso el pobre en la puerta del rico, no es una carga molesta, sino una llamada a convertirse y a cambiar de vida. La primera invitación que nos hace esta parábola es la de abrir la puerta de nuestro corazón al otro, porque cada persona es un don, sea vecino nuestro o un pobre desconocido. La Cuaresma es un tiempo propicio para abrir la puerta a cualquier necesitado y reconocer en él o en ella el rostro de Cristo. Cada uno de nosotros los encontramos en nuestro camino. Cada vida que encontramos es un don y merece acogida, respeto y amor. La Palabra de Dios nos ayuda a abrir los ojos para acoger la vida y amarla, sobre todo cuando es débil. Pero para hacer esto hay que tomar en serio también lo que el Evangelio nos revela acerca del hombre rico.

2. El pecado nos ciega

La parábola es despiadada al mostrar las contradicciones en las que se encuentra el rico (cf. v. 19). Este personaje, al contrario que el pobre Lázaro, no tiene un nombre, se le califica sólo como «rico». Su opulencia se manifiesta en la ropa que viste, de un lujo exagerado. La púrpura, en efecto, era muy valiosa, más que la plata y el oro, y por eso estaba reservada a las divinidades (cf. Jr 10,9) y a los reyes (cf. Jc 8,26). La tela era de un lino especial que contribuía a dar al aspecto un carácter casi sagrado. Por tanto, la riqueza de este hombre es excesiva, también porque la exhibía de manera habitual todos los días: «Banqueteaba espléndidamente cada día» (v. 19). En él se vislumbra de forma patente la corrupción del pecado, que se realiza en tres momentos sucesivos: el amor al dinero, la vanidad y la soberbia (cf. Homilía, 20 septiembre 2013).

El apóstol Pablo dice que «la codicia es la raíz de todos los males» (1 Tm 6,10). Esta es la causa principal de la corrupción y fuente de envidias, pleitos y recelos. El dinero puede llegar a dominarnos hasta convertirse en un ídolo tiránico (cf. Exh. ap. Evangelii gaudium, 55). En lugar de ser un instrumento a nuestro servicio para hacer el bien y ejercer la solidaridad con los demás, el dinero puede someternos, a nosotros y a todo el mundo, a una lógica egoísta que no deja lugar al amor e impide la paz.

La parábola nos muestra cómo la codicia del rico lo hace vanidoso. Su personalidad se desarrolla en la apariencia, en hacer ver a los demás lo que él se puede permitir. Pero la apariencia esconde un vacío interior. Su vida está prisionera de la exterioridad, de la dimensión más superficial y efímera de la existencia (cf. ibíd., 62).

El peldaño más bajo de esta decadencia moral es la soberbia. El hombre rico se viste como si fuera un rey, simula las maneras de un dios, olvidando que es simplemente un mortal. Para el hombre corrompido por el amor a las riquezas, no existe otra cosa que el propio yo, y por eso las personas que están a su alrededor no merecen su atención. El fruto del apego al dinero es una especie de ceguera: el rico no ve al pobre hambriento, llagado y postrado en su humillación.

Cuando miramos a este personaje, se entiende por qué el Evangelio condena con tanta claridad el amor al dinero: «Nadie puede estar al servicio de dos amos. Porque despreciará a uno y querrá al otro; o, al contrario, se dedicará al primero y no hará caso del segundo. No podéis servir a Dios y al dinero» (Mt 6,24).

3. La Palabra es un don

El Evangelio del rico y el pobre Lázaro nos ayuda a prepararnos bien para la Pascua que se acerca. La liturgia del Miércoles de Ceniza nos invita a vivir una experiencia semejante a la que el rico ha vivido de manera muy dramática. El sacerdote, mientras impone la ceniza en la cabeza, dice las siguientes palabras: «Acuérdate de que eres polvo y al polvo volverás». El rico y el pobre, en efecto, mueren, y la parte principal de la parábola se desarrolla en el más allá. Los dos personajes descubren de repente que «sin nada vinimos al mundo, y sin nada nos iremos de él» (1 Tm 6,7).

También nuestra mirada se dirige al más allá, donde el rico mantiene un diálogo con Abraham, al que llama «padre» (Lc 16,24.27), demostrando que pertenece al pueblo de Dios. Este aspecto hace que su vida sea todavía más contradictoria, ya que hasta ahora no se había dicho nada de su relación con Dios. En efecto, en su vida no había lugar para Dios, siendo él mismo su único dios.

El rico sólo reconoce a Lázaro en medio de los tormentos de la otra vida, y quiere que sea el pobre quien le alivie su sufrimiento con un poco de agua. Los gestos que se piden a Lázaro son semejantes a los que el rico hubiera tenido que hacer y nunca realizó. Abraham, sin embargo, le explica: «Hijo, recuerda que recibiste tus bienes en vida, y Lázaro, a su vez, males: por eso encuentra aquí consuelo, mientras que tú padeces» (v. 25). En el más allá se restablece una cierta equidad y los males de la vida se equilibran con los bienes.

La parábola se prolonga, y de esta manera su mensaje se dirige a todos los cristianos. En efecto, el rico, cuyos hermanos todavía viven, pide a Abraham que les envíe a Lázaro para advertirles; pero Abraham le responde: «Tienen a Moisés y a los profetas; que los escuchen» (v. 29). Y, frente a la objeción del rico, añade: «Si no escuchan a Moisés y a los profetas, no harán caso ni aunque resucite un muerto» (v. 31).

De esta manera se descubre el verdadero problema del rico: la raíz de sus males está en no prestar oído a la Palabra de Dios; esto es lo que le llevó a no amar ya a Dios y por tanto a despreciar al prójimo. La Palabra de Dios es una fuerza viva, capaz de suscitar la conversión del corazón de los hombres y orientar nuevamente a Dios. Cerrar el corazón al don de Dios que habla tiene como efecto cerrar el corazón al don del hermano.

Queridos hermanos y hermanas, la Cuaresma es el tiempo propicio para renovarse en el encuentro con Cristo vivo en su Palabra, en los sacramentos y en el prójimo. El Señor ―que en los cuarenta días que pasó en el desierto venció los engaños del Tentador― nos muestra el camino a seguir. Que el Espíritu Santo nos guie a realizar un verdadero camino de conversión, para redescubrir el don de la Palabra de Dios, ser purificados del pecado que nos ciega y servir a Cristo presente en los hermanos necesitados. Animo a todos los fieles a que manifiesten también esta renovación espiritual participando en las campañas de Cuaresma que muchas organizaciones de la Iglesia promueven en distintas partes del mundo para que aumente la cultura del encuentro en la única familia humana. Oremos unos por otros para que, participando de la victoria de Cristo, sepamos abrir nuestras puertas a los débiles y a los pobres. Entonces viviremos y daremos un testimonio pleno de la alegría de la Pascua.

Vaticano, 18 de octubre de 2016
Fiesta de San Lucas Evangelista

FRANCISCO

[00196-ES.01] [Texto original: Español]

Testo in lingua portoghese

A Palavra é um dom. O outro é um dom.

Amados irmãos e irmãs!

A Quaresma é um novo começo, uma estrada que leva a um destino seguro: a Páscoa de Ressurreição, a vitória de Cristo sobre a morte. E este tempo não cessa de nos dirigir um forte convite à conversão: o cristão é chamado a voltar para Deus «de todo o coração» (Jl 2, 12), não se contentando com uma vida medíocre, mas crescendo na amizade do Senhor. Jesus é o amigo fiel que nunca nos abandona, pois, mesmo quando pecamos, espera pacientemente pelo nosso regresso a Ele e, com esta espera, manifesta a sua vontade de perdão (cf. Homilia na Santa Missa, 8 de janeiro de 2016).

A Quaresma é o momento favorável para intensificarmos a vida espiritual através dos meios santos que a Igreja nos propõe: o jejum, a oração e a esmola. Na base de tudo isto, porém, está a Palavra de Deus, que somos convidados a ouvir e meditar com maior assiduidade neste tempo. Aqui queria deter-me, em particular, na parábola do homem rico e do pobre Lázaro (cf. Lc 16, 19-31). Deixemo-nos inspirar por esta página tão significativa, que nos dá a chave para compreender como temos de agir para alcançarmos a verdadeira felicidade e a vida eterna, incitando-nos a uma sincera conversão.

1. O outro é um dom

A parábola inicia com a apresentação dos dois personagens principais, mas quem aparece descrito de forma mais detalhada é o pobre: encontra-se numa condição desesperada e sem forças para se solevar, jaz à porta do rico na esperança de comer as migalhas que caem da mesa dele, tem o corpo coberto de chagas, que os cães vêm lamber (cf. vv. 20-21). Enfim, o quadro é sombrio, com o homem degradado e humilhado.

A cena revela-se ainda mais dramática, quando se considera que o pobre se chama Lázaro, um nome muito promissor pois significa, literalmente, «Deus ajuda». Não se trata duma pessoa anónima; antes, tem traços muito concretos e aparece como um indivíduo a quem podemos atribuir uma história pessoal. Enquanto Lázaro é como que invisível para o rico, a nossos olhos aparece como um ser conhecido e quase de família, torna-se um rosto; e, como tal, é um dom, uma riqueza inestimável, um ser querido, amado, recordado por Deus, apesar da sua condição concreta ser a duma escória humana (cf. Homilia na Santa Missa, 8 de janeiro de 2016).

Lázaro ensina-nos que o outro é um dom. A justa relação com as pessoas consiste em reconhecer, com gratidão, o seu valor. O próprio pobre à porta do rico não é um empecilho fastidioso, mas um apelo a converter-se e mudar de vida. O primeiro convite que nos faz esta parábola é o de abrir a porta do nosso coração ao outro, porque cada pessoa é um dom, seja ela o nosso vizinho ou o pobre desconhecido. A Quaresma é um tempo propício para abrir a porta a cada necessitado e nele reconhecer o rosto de Cristo. Cada um de nós encontra-o no próprio caminho. Cada vida que se cruza connosco é um dom e merece aceitação, respeito, amor. A Palavra de Deus ajuda-nos a abrir os olhos para acolher a vida e amá-la, sobretudo quando é frágil. Mas, para se poder fazer isto, é necessário tomar a sério também aquilo que o Evangelho nos revela a propósito do homem rico.

2. O pecado cega-nos

A parábola põe em evidência, sem piedade, as contradições em que vive o rico (cf. v. 19). Este personagem, ao contrário do pobre Lázaro, não tem um nome, é qualificado apenas como «rico». A sua opulência manifesta-se nas roupas, de um luxo exagerado, que usa. De facto, a púrpura era muito apreciada, mais do que a prata e o ouro, e por isso se reservava para os deuses (cf. Jr 10, 9) e os reis (cf. Jz 8, 26). O linho fino era um linho especial que ajudava a conferir à posição da pessoa um caráter quase sagrado. Assim, a riqueza deste homem é excessiva, inclusive porque exibida habitualmente: «Fazia todos os dias esplêndidos banquetes» (v. 19). Entrevê-se nele, dramaticamente, a corrupção do pecado, que se realiza em três momentos sucessivos: o amor ao dinheiro, a vaidade e a soberba (cf. Homilia na Santa Missa, 20 de setembro de 2013).

O apóstolo Paulo diz que «a raiz de todos os males é a ganância do dinheiro» (1 Tm 6, 10). Esta é o motivo principal da corrupção e uma fonte de invejas, contendas e suspeitas. O dinheiro pode chegar a dominar-nos até ao ponto de se tornar um ídolo tirânico (cf. Exort. ap. Evangelii gaudium, 55). Em vez de instrumento ao nosso dispor para fazer o bem e exercer a solidariedade com os outros, o dinheiro pode-nos subjugar, a nós e ao mundo inteiro, numa lógica egoísta que não deixa espaço ao amor e dificulta a paz.

Depois, a parábola mostra-nos que a ganância do rico fá-lo vaidoso. A sua personalidade vive de aparências, fazendo ver aos outros aquilo que se pode permitir. Mas a aparência serve de máscara para o seu vazio interior. A sua vida está prisioneira da exterioridade, da dimensão mais superficial e efémera da existência (cf. ibid., 62).

O degrau mais baixo desta deterioração moral é a soberba. O homem veste-se como se fosse um rei, simula a posição dum deus, esquecendo-se que é um simples mortal. Para o homem corrompido pelo amor das riquezas, nada mais existe além do próprio eu e, por isso, as pessoas que o rodeiam não caiem sob a alçada do seu olhar. Assim o fruto do apego ao dinheiro é uma espécie de cegueira: o rico não vê o pobre esfomeado, chagado e prostrado na sua humilhação.

Olhando para esta figura, compreende-se por que motivo o Evangelho é tão claro ao condenar o amor ao dinheiro: «Ninguém pode servir a dois senhores: ou não gostará de um deles e estimará o outro, ou se dedicará a um e desprezará o outro. Não podeis servir a Deus e ao dinheiro» (Mt 6, 24).

3. A Palavra é um dom

O Evangelho do homem rico e do pobre Lázaro ajuda a prepararmo-nos bem para a Páscoa que se aproxima. A liturgia de Quarta-Feira de Cinzas convida-nos a viver uma experiência semelhante à que faz de forma tão dramática o rico. Quando impõe as cinzas sobre a cabeça, o sacerdote repete estas palavras: «Lembra-te, homem, que és pó da terra e à terra hás de voltar». De facto, tanto o rico como o pobre morrem, e a parte principal da parábola desenrola-se no Além. Dum momento para o outro, os dois personagens descobrem que nós «nada trouxemos ao mundo e nada podemos levar dele» (1 Tm 6, 7).

Também o nosso olhar se abre para o Além, onde o rico tece um longo diálogo com Abraão, a quem trata por «pai» (Lc 16, 24.27), dando mostras de fazer parte do povo de Deus. Este detalhe torna ainda mais contraditória a sua vida, porque até agora nada se disse da sua relação com Deus. Com efeito, na sua vida, não havia lugar para Deus, sendo ele mesmo o seu único deus.

Só no meio dos tormentos do Além é que o rico reconhece Lázaro e queria que o pobre aliviasse os seus sofrimentos com um pouco de água. Os gestos solicitados a Lázaro são semelhantes aos que o rico poderia ter feito, mas nunca fez. Abraão, porém, explica-lhe: «Recebeste os teus bens na vida, enquanto Lázaro recebeu somente males. Agora, ele é consolado, enquanto tu és atormentado» (v. 25). No Além, restabelece-se uma certa equidade, e os males da vida são contrabalançados pelo bem.

Mas a parábola continua, apresentando uma mensagem para todos os cristãos. De facto o rico, que ainda tem irmãos vivos, pede a Abraão que mande Lázaro avisá-los; mas Abraão respondeu: «Têm Moisés e os Profetas; que os oiçam» (v. 29). E, à sucessiva objeção do rico, acrescenta: «Se não dão ouvidos a Moisés e aos Profetas, tão-pouco se deixarão convencer, se alguém ressuscitar dentre os mortos» (v. 31).

Deste modo se patenteia o verdadeiro problema do rico: a raiz dos seus males é não dar ouvidos à Palavra de Deus; isto levou-o a deixar de amar a Deus e, consequentemente, a desprezar o próximo. A Palavra de Deus é uma força viva, capaz de suscitar a conversão no coração dos homens e orientar de novo a pessoa para Deus. Fechar o coração ao dom de Deus que fala, tem como consequência fechar o coração ao dom do irmão.

Amados irmãos e irmãs, a Quaresma é o tempo favorável para nos renovarmos, encontrando Cristo vivo na sua Palavra, nos Sacramentos e no próximo. O Senhor – que, nos quarenta dias passados no deserto, venceu as ciladas do Tentador – indica-nos o caminho a seguir. Que o Espírito Santo nos guie na realização dum verdadeiro caminho de conversão, para redescobrirmos o dom da Palavra de Deus, sermos purificados do pecado que nos cega e servirmos Cristo presente nos irmãos necessitados. Encorajo todos os fiéis a expressar esta renovação espiritual, inclusive participando nas Campanhas de Quaresma que muitos organismos eclesiais, em várias partes do mundo, promovem para fazer crescer a cultura do encontro na única família humana. Rezemos uns pelos outros para que, participando na vitória de Cristo, saibamos abrir as nossas portas ao frágil e ao pobre. Então poderemos viver e testemunhar em plenitude a alegria da Páscoa.

Vaticano, 18 de outubro de 2016,
Festa do Evangelista São Lucas

FRANCISCO

[00196-PO.01] [Texto original: Português]

Testo in lingua polacca

Słowo jest darem. Druga osoba jest darem.

Drodzy Bracia i Siostry!

Wielki Post to nowy początek, to droga prowadząca do bezpiecznego celu: Paschy Zmartwychwstania, zwycięstwa Chrystusa nad śmiercią. Okres ten zawsze kieruje ku nam stanowczą zachętę do nawrócenia: chrześcijanin jest wezwany, by powrócił do Boga „całym swym sercem” (Jl 2,12), aby nie zadowalał się życiem przeciętnym, ale wzrastał w przyjaźni z Panem. Jezus jest wiernym przyjacielem, który nas nigdy nie opuszcza, bo nawet kiedy grzeszymy, czeka cierpliwie na nasz powrót do Niego, a wraz z tym oczekiwaniem, ukazuje swoje pragnienie przebaczenia (por. Homilia podczas Mszy św., 8 stycznia 2016).

Wielki Post jest czasem sprzyjającym zintensyfikowaniu życia duchowego poprzez święte środki, jakie oferuje nam Kościół: post, modlitwę i jałmużnę. U podstaw wszystkiego jest Słowo Boże, do którego słuchania i bardziej pilnego rozważania jesteśmy w tym okresie zachęcani. Chciałbym zwłaszcza zatrzymać się tutaj nad przypowieścią o bogaczu i Łazarzu (por. Łk 16,19-31). Pozwólmy się zainspirować tą tak znamienną kartą, która daje nam klucz do zrozumienia, jak działać, aby osiągnąć prawdziwe szczęście i życie wieczne, zachęcając nas do szczerego nawrócenia.

1. Druga osoba jest darem

Przypowieść rozpoczyna się od przedstawienia dwóch głównych bohaterów, ale to człowiek ubogi jest opisany bardziej szczegółowo: jest on w stanie rozpaczliwym i nie ma siły, aby się podnieść, leży u bramy bogacza i je okruszyny, które spadają z jego stołu, całe jego ciało jest pokryte ranami a psy przychodzą je lizać (por. ww. 20-21). Obraz jest więc ponury, a człowiek jest powalony na obie łopatki i poniżony.

Scena okazuje się jeszcze bardziej dramatyczna, jeśli weźmiemy pod uwagę, że ubogi nazywa się Łazarz: jest to imię pełne obietnic, które dosłownie oznacza „Bóg pomaga”. Zatem nie jest to osoba anonimowa, ma wyraźnie określone rysy i ukazuje się jako człowiek, z którym należy łączyć jakąś historię osobistą. Chociaż dla bogacza jest on jakby niewidoczny, dla nas staje się znany i niemal bliski, staje się obliczem; a jako takie - darem, bezcennym bogactwem, istotą chcianą, kochaną, zapamiętaną przez Boga, nawet jeżeli jej konkretna kondycja jest sytuacją odrzucenia przez ludzi (por. Homilia na Mszy św., 8 stycznia 2016).

Łazarz uczy nas, że druga osoba jest darem. Właściwa relacja z ludźmi polega na uznaniu z wdzięcznością ich wartości. Również ubogi przy bramie bogacza nie jest irytującą przeszkodą, ale wezwaniem do pokuty i przemiany swojego życia. Pierwszą zachętą jaką kieruje ta przypowieść jest wezwanie do otwarcia drzwi naszego serca na drugą osobę, ponieważ każdy człowiek jest darem, czy jest to ktoś nam bliski, czy też obcy biedak. Wielki Post jest czasem sprzyjającym otwarciu drzwi każdemu potrzebującemu i rozpoznaniu w nim, czy też w niej, oblicza Chrystusa. Każdy z nas spotyka ich na swojej drodze. Każde życie, które napotykamy, jest darem i zasługuje na akceptację, szacunek, miłość. Słowo Boże pomaga nam otworzyć nasze oczy, aby przyjąć życie i je umiłować, zwłaszcza gdy jest słabe. By jednak móc to uczynić, trzeba potraktować poważnie także to, co Ewangelia mówi nam o bogaczu.

2. Grzech nas zaślepia

Przypowieść bezlitośnie podkreśla sprzeczności, w których znajduje się bogacz (por. w. 19). Człowiek ten, w przeciwieństwie do ubogiego Łazarza nie ma imienia, jest określony jedynie jako „bogacz”. Jego bogactwo przejawia się w noszonych ubraniach, przesadnym luksusie. Purpura była rzeczywiście bardzo ceniona, bardziej niż srebro i złoto, i dlatego była zastrzeżona dla bogów (por. Jer 10,9) i królów (por. Sdz 8,26). Bisior był specjalnym rodzajem tkaniny, która sprawiała, że ubiór nabierał niemal sakralnego charakteru. Zatem bogactwo tego człowieka było przesadne, również dlatego, że okazywane było codziennie, rutynowo: „dzień w dzień świetnie się bawił” (w. 19). Dostrzega się w nim dramatycznie zepsucie grzechu, które dokonuje się w trzech następujących po sobie etapach: umiłowanie pieniędzy, próżność i pycha (por. Homilia podczas Mszy św., 20 września 2013).

Apostoł Paweł powiedział, że „korzeniem wszelkiego zła jest chciwość pieniędzy” (1 Tm 6,10). Jest ona głównym powodem korupcji i źródłem zawiści, konfliktów i podejrzeń. Może dojść do tego, że pieniądz może nad nami zapanować tak bardzo, iż stanie się tyrańskim bożkiem (por. Adhort, ap. Evangelii gaudium, 55). Zamiast być narzędziem, które nam służy, by czynić dobro i realizować solidarność z innymi, pieniądz może podporządkować nas i cały świat egoistycznej logice, która nie pozostawia miejsca dla miłości i stanowi przeszkodę dla pokoju.

Przypowieść ukazuje nam ponadto, że chciwość bogacza czyni go próżnym. Jego osobowość spełnia się w pozorach, w pokazywaniu innym, na co może sobie pozwolić. Pozory jednak maskują ​​wewnętrzną pustkę. Jego życie jest uwięzione w zewnętrzności, najbardziej powierzchownym i ulotnym wymiarze egzystencji (por. tamże, 62).

Najniższym szczeblem tego upadku moralnego jest pycha. Bogacz ubiera się jak by był królem, udaje zachowanie Boga, zapominając, że jest po prostu śmiertelnikiem. Dla człowieka zdemoralizowanego umiłowaniem bogactwa nie ma nic oprócz własnego „ja”, i dlatego jego spojrzenie nie dostrzega otaczających go osób. Owocem przywiązania do pieniędzy jest zatem pewien rodzaj ślepoty: bogacz nie widzi głodnego biedaka, poranionego i leżącego w swym upokorzeniu.

Patrząc na tę osobę możemy zrozumieć, dlaczego Ewangelia tak wyraźnie potępia miłość pieniędzy: „Nikt nie może dwom panom służyć. Bo albo jednego będzie nienawidził, a drugiego będzie miłował; albo z jednym będzie trzymał, a drugim wzgardzi. Nie możecie służyć Bogu i Mamonie” (Mt 6,24).

3. Słowo jest darem

Ewangelia o bogaczu i ubogim Łazarzu pomaga nam dobrze przygotować się na zbliżające się Święta Paschalne. Liturgia Środy Popielcowej zaprasza nas do przeżycia doświadczenia podobnego, do tego, jakie w sposób bardzo dramatyczny było udziałem bogacza. Kapłan, nakładając popiół na głowę, powtarza słowa: „Pamiętaj, że prochem jesteś i w proch się obrócisz”. Rzeczywiście zarówno bogacz jak i ubogi umierają, a zasadnicza część przypowieści ma miejsce w zaświatach. Obie postacie nagle odkrywają, że „nic nie przynieśliśmy na ten świat; nic też nie możemy [z niego] wynieść” (1 Tm 6,7).

Również nasze spojrzenie otwiera się na zaświaty, gdzie bogacz prowadzi długi dialog z Abrahamem, którego nazywa „Ojcem” (Łk 16,24.27), wykazując, że należy do ludu Bożego. Ten szczegół czyni jego życie jeszcze bardziej niespójnym, ponieważ do tej pory nic nie powiedziano na temat jego relacji z Bogiem. W istocie w jego życiu nie było miejsca dla Boga, bo jego jedynym bogiem był on sam.

Dopiero pośród udręk zaświatów bogacz rozpoznał Łazarza i chciałby, aby biedak ulżył jego cierpieniom przez odrobinę wody. Gesty, o które prosi Łazarza są podobne do tych, których bogacz sam mógł dokonać, ale których nigdy nie dopełnił. Abraham jednak wyjaśnia jemu: „za życia otrzymałeś swoje dobra, a Łazarz przeciwnie, niedolę; teraz on tu doznaje pociechy, a ty męki cierpisz” (w. 25). W zaświatach zostaje przywrócona pewna sprawiedliwość i cierpienia życiowe są równoważone przez dobro.

Przypowieść idzie dalej i tak przedstawia przesłanie dla wszystkich chrześcijan. Bogacz bowiem, który ma braci jeszcze żyjących, prosi Abrahama, aby posłał do nich Łazarza, aby ich przestrzec. Lecz Abraham odparł: „Mają Mojżesza i Proroków; niechże ich słuchają” (w. 29). A wobec sprzeciwów bogacza dodał: „Jeśli Mojżesza i Proroków nie słuchają, to choćby kto z umarłych powstał, nie uwierzą” (w. 31).

W ten sposób ukazuje się prawdziwy problem bogacza: źródłem jego nieszczęść jest nie słuchanie Słowa Bożego. To go doprowadziło do tego, że już nie kochał Boga, a zatem gardził innymi. Słowo Boże jest żywą siłą, zdolną do wzbudzenia nawrócenia ludzkiego serca i do ponownego ukierunkowania człowieka ku Bogu. Konsekwencją zamknięcia serca na dar przemawiającego Boga jest zamknięcie serca na dar brata.

Drodzy bracia i siostry, Wielki Post jest czasem sprzyjającym odnowieniu siebie w spotkaniu z Chrystusem żyjącym w Jego Słowie, w sakramentach i w bliźnim. Pan – który podczas czterdziestu dni spędzonych na pustyni zwyciężył podstępy kusiciela – wskazuje nam drogę, którą trzeba pójść. Niech Duch Święty prowadzi nas do podjęcia prawdziwej pielgrzymki nawrócenia, by odkryć na nowo dar Słowa Bożego, by zostać oczyszczonymi z grzechu, który nas zaślepia i służyć Chrystusowi obecnemu w braciach potrzebujących. Zachęcam wszystkich wiernych do wyrażenia tej duchowej odnowy poprzez uczestnictwo w Kampaniach Wielkopostnych, promowanych przez wiele organizacji kościelnych, w różnych częściach świata, aby rozwijać kulturę spotkania w jednej rodzinie ludzkiej. Módlmy się za siebie nawzajem, abyśmy uczestnicząc w zwycięstwie Chrystusa umieli otworzyć nasze drzwi dla osób słabych i ubogich. Wówczas będziemy mogli w pełni żyć i świadczyć o radości paschalnej.

W Watykanie, 22 października 2016 r.,
w Święto św. Łukasza Ewangelisty

FRANCISZEK

[00196-PL.02] [Testo originale: Polacco]

Testo in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

لزمن الصوم الأربعيني 2017

الكلمة هي عطية. الآخر هو عطية.

أيها الإخوة والأخوات،

زمن الصوم هو بداية جديدة، طريق تؤدي إلى هدف أكيد: فصح القيامة، انتصار المسيح على الموت. ويوجّه لنا هذا الزمن دومًا دعوة قويّة إلى التوبة: المسيحيّ مدعوّ للعودة إلى الله "بكلّ قلبه" (را. يوء 2، 12)، كي لا نكتفي بحياة سطحية، إنما ننمو بالصداقة مع الرب. يسوع هو الصديق المخلص الذي لا يتخلّى عنّا أبدًا، لأنه ينتظر بصبر أن نعود إليه، حتى عندما نخطئ، ويظهر عبر هذا الانتظار، استعداده للغفران (را. عظة خلال القداس الإلهي، 8 يناير/كانون الثاني 2016).

زمن الصوم هو الزمن المناسب لتكثيف حياة الروح عبر الوسائل المقدسة التي تقدّمها الكنيسة: الصوم، والصلاة، والصدقة. أساسُ كلّ شيء كلمة الله، التي نحن مدعوّون إلى الاصغاء إليها والتأمّل بها باجتهادٍ أكبر. أودّ التوقّف هنا، عند مثل الرجل الغنيّ ولعازر الفقير (را. لو 16، 19- 31). لنستلهم من هذه الصفحة المهمّة، التي تقدّم لنا مفتاح فهم كيفية التصرّف كي نتوصّل إلى السعادة الحقّ والحياة الأبديّة، وتحضّنا على توبة حقيقية.

1. الآخر هو عطية

يبدأ المثل بتقديم الشخصيّتين الأساسيّتين، ولكن الفقير هو من يتمّ وصفه بطريقة مفصّلة: إنه في حالة يائسة ولا قوّة له لاسترداد عافيته؛ إنه ملقى عند باب الغني ويأكل من الفتات الذي يسقط من مائدته، القروح تغطي جسمه والكلاب تأتي وتلحسها (را. الآيات 20- 21). الصورة هي بالتالي قاتمة والرجل مهان ومذلول.

والمشهد يصبح أكثر دراماتيكية إن اعتبرنا أن الفقير يدعى لعازر: اسم يحمل العديد من الوعود، ويعني حرفيًّا "الله يعين". لذا فهذا الشخص ليس مجهولا، ملامحه واضحة ويظهر كفرد يرتبط بقصّة شخصيّة. وبينما يبدو غير مرئي بالنسبة للغني، فهو بالنسبة لنا ملحوظ ومألوف تقريبا، إنه وجه؛ وكوجه، إنه هبة، وكنز لا يُقَدَّر بثمن، كائن مرغوب فيه، ومحبوب، موجود في ذاكرة الله، حتى وإن كان وضعه هو وضعَ رفضٍ بشري (را. عظة خلال القداس الإلهي، 8 يناير/كانون الثاني 2016).

يعلّمنا لعازر أن الآخر هو عطية. العلاقة الصحيحة مع الأشخاص تقتضي الاعتراف بقيمتهم بامتنان. فالفقير على باب الغني ليس حِملًا مزعجًا، إنما دعوةً إلى التوبة وإلى تغيير حياتنا. أوّل دعوة يوجّهها إلينا هذا المثل هي الدعوة إلى فتح باب قلبنا للآخر، لأن كلّ شخص هو هبة، أكان قريبنا أم الفقير المجهول. والصوم هو الزمن الملائم لنفتح الباب لكلّ مُحتاجٍ ونرى فيه أو فيها وجهَ المسيح. كلٌّ منا يلتقي بهم في مسيرته الشخصية. كلُّ حياة نلتقي بها هي عطية، وتستحقّ الاستقبال والاحترام والمحبّة. كلمة الله تساعدنا على فتح أعيننا لنستقبل الحياة ونحبّها، وخاصة عندما تكون ضعيفة. لكن كي يكون باستطاعتنا أن نصنع هذا فمن الضروري أن نأخذ على محمل الجدّ كلّ ما يكشفه لنا الإنجيل بشأن الرجل الغني.

2. الخطيئة تعمينا

المثل لا يرحم في إشارته إلى التناقضات التي تحيط بالرجل الغني (را. آية 19). هذا الرجل، على عكس لعازر المسكين، ليس له اسم، ويتم وصفه كرجل "غنيّ" وحسب. ويظهر ترفُه في الثياب التي يرتديها، ترفٌ مبالغ فيه. الأُرجُوان كان ثمينا للغاية، أكثر من الفضة والذهب، لذا فكان مخصّصا بالآلهة (را. إر 10، 9) والملوك (را. قض 8، 26). والكَتَّانَ النَّاعِم كان نوعًا خاصًا من الكتان يساهم في إعطاء الملبس طابعًا شبه مقدّس. غنى هذا الرجل هو بالتالي مبالغ فيه، لأنه يظهر أيضًا يوميًّا، بشكل اعتيادي: "ويَتَنَعَّمُ كُلَّ يَومٍ تَنَعُّمًا فاخِرًا" (آية 19). يمكننا أن نرى من خلاله وبقوة، فساد الخطيئة، الذي يتحقّق في ثلاثة أوقات متتالية: حب المال، الغرور والكبرياء (را. عظة خلال القداس الإلهي، 20 سبتمبر/أيلول 2013).

يقول بولس الرسول أن "حُبّ المالِ أَصْلُ كُلِّ شَرّ" (1 طيم 6، 10). فهو الدافع الأساسي للفساد ومصدر الحسد، والخلافات والشكوك. وقد يتوصل المال إلى السيطرة علينا، لدرجة أن يصبح وثنًا استبداديًّا (را. الارشاد الرسولي فرح الإنجيل، 55). وبدل أن يكون أداة في خدمتنا للقيام بأعمال خير وعيش التضامن مع الآخرين، يستطيع المال أن يستعبدنا ويستعبد العالم بأسره في منطق الأنانية الذي لا يترك المجال للمحبة ويعيق السلام.

يرينا المثل من ثم أن جشع الغني يجعله مغرورًا. وتتحقق شخصيته عبر الاهتمام بالمظاهر، عبر إظهاره للآخرين كل ما بقدرته. ولكن المظاهر تحجب الفراغ الداخلي. حياته هي سجينة المظاهر، البعد الوجودي الفاني والأكثر سطحية (را. نفس المرجع، 62).

والدرجة الأدنى لهذا التدني هو الكبرياء. الرجل الغني يلبس كما لو كان ملك، ويتشبه بمظهر الآلهة، ناسيًا أنّه مجرد إنسان بشريّ. بالنسبة للرجل الذي أفسده حبّ الغنى لا يوجد إلّا الـ "أنا"، لذا فهو لا يرى الأشخاص الذين يحيطون به. ثمرة التعلق بالمال هو بالتالي نوعٌ من العَمى: الغنيّ لا يرى الفقير الجائع، المغطّى بالقروح والملقى في ذلّه.

إذ ننظر إلى هذا المثل، نفهم لماذا يدين الإنجيلُ حبَّ المال بهذا الوضوح: "ما مِن أَحَدٍ يَستَطيعُ أَن يَعمَلَ لِسَيِّدَيْن، لأَنَّه إِمَّا أَن يُبغِضَ أَحَدَهُما ويُحِبَّ الآخَر، وإِمَّا أَن يَلزَمَ أَحَدَهُما ويَزدَرِيَ الآخَر. لا تَستَطيعونَ أَن تَعمَلوا لِلّهِ ولِلمال" (متى 6، 24).

3. الكلمة هي عطية

إن إنجيل الغنيّ ولعازر المسكين يساعدنا لنتحضّر لعيد الفصح الذي يقترب. وتدعونا ليتورجيا أربعاء الرماد إلى عيش اختبار شبيه بالاختبار الذي عاشه الغني. يردّد الكاهن وهو يضع الرماد على الجبين الكلمات التالية: "أذكر أنك من تراب وإلى التراب تعود". في الواقع يموت كلّ من الغني والفقير والجزء الرئيسي من المثل يجري في الآخرة. وتكتشف الشخصيتان فجأة أننا "لم نَأتِ العالَمِ وَمَعَنا شَيء، ولا نَستَطيعُ أَن نَخرُجَ مِنه ومَعَنا شَيء" (1 طيم 6، 7).

وينفتح نظرُنا أيضًا على الآخرة، حيث يدور حوار طويل بين الغني وابراهيم، الذي يدعوه "يا أبتِ" (لو 16، 24. 27)، مبيّنا انتماءه إلى شعب الله. وهذه الميزة تجعل حياته أكثر تناقضًا، لأن النصّ لم يذكر شيئًا عن علاقته مع الله حتى الآن. في الواقع، لم يكن هناك مكان لله في حياته، فإلهه الوحيد هو نفسه.

يتعرّف الغني على لعازر وسط عذابات الآخرة فقط ويتمنّى لو أن المسكين يخفّف من آلامه بالقليل من الماء. الأعمال المطلوبة من لعازار تشابه تلك التي كان باستطاعة الغني أن يعملها ولم يقم بها أبدًا. لكن ابراهيم يفسّر له: "يا بُنَيَّ، تَذَكَّرْ أَنَّكَ نِلتَ خَيراتِكَ في حَياتِكَ ونالَ لَعاَزرُ البَلايا. أَمَّا اليَومَ فهو ههُنا يُعزَّى وأَنت تُعَذَّب" (آية 25). ففي الآخرة يُقام الإنصاف والخير يعادل شرور الحياة.

ويتابع المثل مقدمًا رسالة للمسيحيين عامة. في الواقع، الغنيّ، الذي ما زال لديه إخوة أحياء، يسأل ابراهيم أن يرسل لهم لعازر كي ينصحهم؛ لكن ابراهيم يجيب: "عندَهُم موسى والأَنبِياء، فَلْيَستَمِعوا إِلَيهم" (آية 29). وإزاء اعتراض الغني، يضيف: "إِن لم يَستَمِعوا إِلى موسى والأَنبِياء، لا يَقَتَنِعوا ولو قامَ واحِدٌ مِنَ الأَموات" (آية 31).

وتظهر بهذه الطريقة مشكلة الغني الحقيقية: أساس كل شروره هو عدم الإصغاء إلى كلمة الله؛ وهذا ما قاده إلى الابتعاد عن حب الله وبالتالي إلى ازدراء القريب. إن كلمة الله هي قوّة حيّة، قادرة على أن تولّد التوبة في قلوب البشر وأن توجّه الشخص مجدّدًا نحو الله. فنتيجة غلق القلب على عطية الله الذي يتكلّم، هي غلق القلب على عطية الأخ.

أيها الإخوة والأخوات الأعزّاء، الصوم هو الزمن المناسب لنتجدّد من خلال لقائنا بالمسيح الحيّ في كلمته، عبر الأسرار والقريب. الرب -الذي تغلّب على مكايد الشرير طيلة الأربعين يوم في البرية- يدلّنا على الطريق الذي يجب اتخاذها. وليرشدنا الروح القدس لنحقّق مسيرة توبة حقيقيّة، كي نكتشف من جديد عطيّة كلمة الله، ونُطَهَّر من الخطيئة التي تعمينا، ونخدم المسيح الحاضر في الإخوة المحتاجين. إني أشجّع كلّ المؤمنين على التعبير عن هذا التجدّد الروحي عبر المشاركة أيضًا في حملات الصوم الكبير التي تعزّزها الكثير من المنظمات الكنسية في مختلف أنحاء العالم، كي تنمو ثقافة اللقاء في الأسرة البشرية الواحدة. لنصلِّ بعضُنا لبعض كي نعرف، ونحن شركاء انتصار المسيح، كيف نفتح أبوابنا للضعيف وللفقير. يمكننا حينها أن نحيا ونشهد بالملء لفرح القيامة.

من الفاتيكان، 18 أكتوبر / تشرين أول 2016، عيد القديس لوقا الإنجيلي.

فرنسيس

[00196-AR.01] [Testo originale: Arabo]

[B0082-XX.02]