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Santa Messa con i nuovi Cardinali e il Collegio Cardinalizio, 15.02.2015


Santa Messa con i nuovi Cardinali e il Collegio Cardinalizio

Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Alle ore 10 di oggi, VI Domenica del Tempo Ordinario, il Santo Padre Francesco ha presieduto nella Basilica Vaticana la concelebrazione eucaristica con i Cardinali creati nel Concistoro di ieri e con tutti i Porporati convenuti a Roma per il Concistoro.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Papa ha pronunciato dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

Omelia del Santo Padre

"Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi". Gesù, mosso a compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, sii purificato!" (cfr Mc 1,40-41). La compassione di Gesù! Quel "patire con" che lo avvicinava ad ogni persona sofferente. Gesù non si risparmia, anzi si lascia coinvolgere nel dolore e nel bisogno della gente, semplicemente perché Egli sa e vuole "patire con", perché ha un cuore che non si vergogna di avere "compassione".

«Non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti» (Mc 1,45). Questo significa che, oltre a guarire il lebbroso, Gesù ne ha preso su di sé anche l’emarginazione che la legge di Mosè imponeva (cfr Lv 13,1-2.45-46). Gesù non ha paura del rischio di assumere la sofferenza dell’altro, ma ne paga fino in fondo il prezzo (cfr Is 53,4).

La compassione porta Gesù ad agire in concreto: a reintegrare l’emarginato. E questi sono i tre concetti-chiave che la Chiesa ci propone oggi nella liturgia della Parola: la compassione di Gesù di fronte all’emarginazione e la sua volontà di integrazione.

Emarginazione: Mosè, trattando giuridicamente la questione dei lebbrosi, chiede che vengano allontanati ed emarginati dalla comunità, finché perduri il loro male, e li dichiara "impuri" (cfr Lv 13,1-2.45-46).

Immaginate quanta sofferenza e quanta vergogna doveva provare un lebbroso: fisicamente, socialmente, psicologicamente e spiritualmente! Egli non è solo vittima della malattia, ma sente di esserne anche il colpevole, punito per i suoi peccati! È un morto vivente, "come uno a cui suo padre ha sputato in faccia" (cfr Nm 12,14).

Inoltre, il lebbroso incute paura, disdegno, disgusto e per questo viene abbandonato dai propri familiari, evitato dalle altre persone, emarginato dalla società, anzi la società stessa lo espelle e lo costringe a vivere in luoghi distanti dai sani, lo esclude. E ciò al punto che se un individuo sano si fosse avvicinato a un lebbroso sarebbe stato severamente punito e spesso trattato, a sua volta, da lebbroso.

E’ vero, la finalità di tale normativa era quella di salvare i sani, proteggere i giusti e, per salvaguardarli da ogni rischio, emarginare "il pericolo" trattando senza pietà il contagiato. Così, infatti, esclamò il sommo sacerdote Caifa: «È meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera» (Gv 11, 50).

Integrazione: Gesù rivoluziona e scuote con forza quella mentalità chiusa nella paura e autolimitata dai pregiudizi. Egli, tuttavia, non abolisce la Legge di Mosè ma la porta a compimento (cfr Mt 5,17), dichiarando, ad esempio, l’inefficacia controproducente della legge del taglione; dichiarando che Dio non gradisce l’osservanza del Sabato che disprezza l’uomo e lo condanna; o quando, di fronte alla donna peccatrice, non la condanna, anzi la salva dallo zelo cieco di coloro che erano già pronti a lapidarla senza pietà, ritenendo di applicare la Legge di Mosè. Gesù rivoluziona anche le coscienze nel Discorso della montagna (cfr Mt 5), aprendo nuovi orizzonti per l’umanità e rivelando pienamente la logica di Dio. La logica dell’amore che non si basa sulla paura ma sulla libertà, sulla carità, sullo zelo sano e sul desiderio salvifico di Dio: «Dio, nostro salvatore, … vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,3-4). «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 12,7; Os 6,6).

Gesù, nuovo Mosè, ha voluto guarire il lebbroso, l’ha voluto toccare, l’ha voluto reintegrare nella comunità, senza "autolimitarsi" nei pregiudizi; senza adeguarsi alla mentalità dominante della gente; senza preoccuparsi affatto del contagio. Gesù risponde alla supplica del lebbroso senza indugio e senza i soliti rimandi per studiare la situazione e tutte le eventuali conseguenze! Per Gesù ciò che conta, soprattutto, è raggiungere e salvare i lontani, curare le ferite dei malati, reintegrare tutti nella famiglia di Dio. E questo scandalizza qualcuno!

E Gesù non ha paura di questo tipo di scandalo! Egli non pensa alle persone chiuse che si scandalizzano addirittura per una guarigione, che si scandalizzano di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo che non entri nei loro schemi mentali e spirituali, a qualsiasi carezza o tenerezza che non corrisponda alle loro abitudini di pensiero e alla loro purità ritualistica. Egli ha voluto integrare gli emarginati, salvare coloro che sono fuori dall’accampamento (cfr Gv 10).

Sono due logiche di pensiero e di fede: la paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti. Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori della legge, ossia emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio.

Queste due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare. San Paolo, attuando il comandamento del Signore di portare l’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini della terra (cfr Mt 28,19), scandalizzò e incontrò forte resistenza e grande ostilità soprattutto da coloro che esigevano un’incondizionata osservanza della Legge mosaica anche da parte dei pagani convertiti. Anche san Pietro venne criticato duramente dalla comunità quando entrò nella casa del centurione pagano Cornelio (cfr At 10).

La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione. Questo non vuol dire sottovalutare i pericoli o fare entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figlio prodigo pentito; sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato; rimboccarsi le maniche e non rimanere a guardare passivamente la sofferenza del mondo. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle "periferie" essenziali dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio; di seguire il Maestro che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Lc 5,31-32).

Guarendo il lebbroso, Gesù non reca alcun danno a chi è sano, anzi lo libera dalla paura; non gli apporta un pericolo ma gli dona un fratello; non disprezza la Legge ma apprezza l’uomo, per il quale Dio ha ispirato la Legge. Infatti, Gesù libera i sani dalla tentazione del "fratello maggiore" (cfr Lc 15,11-32) e dal peso dell’invidia e della mormorazione degli "operai che hanno sopportato il peso della giornata e il caldo" (cfr Mt 20,1-16).

Di conseguenza: la carità non può essere neutra, asettica, indifferente, tiepida o imparziale! La carità contagia, appassiona, rischia e coinvolge! Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita! (cfr 1 Cor 13). La carità è creativa nel trovare il linguaggio giusto per comunicare con tutti coloro che vengono ritenuti inguaribili e quindi intoccabili. Trovare il linguaggio giusto... Il contatto è il vero linguaggio comunicativo, lo stesso linguaggio affettivo che ha trasmesso al lebbroso la guarigione. Quante guarigioni possiamo compiere e trasmettere imparando questo linguaggio del contatto! Era un lebbroso ed è diventato annunciatore dell’amore di Dio. Dice il Vangelo: «Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto» (Mc 1,45).

Cari nuovi Cardinali, questa è la logica di Gesù, questa è la strada della Chiesa: non solo accogliere e integrare, con coraggio evangelico, quelli che bussano alla nostra porta, ma uscire, andare a cercare, senza pregiudizi e senza paura, i lontani manifestando loro gratuitamente ciò che noi abbiamo gratuitamente ricevuto. «Chi dice di rimanere in [Cristo], deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2,6). La totale disponibilità nel servire gli altri è il nostro segno distintivo, è l’unico nostro titolo di onore!

E pensate bene, in questi giorni in cui avete ricevuto il titolo cardinalizio, invochiamo l’intercessione di Maria, Madre della Chiesa, che ha sofferto in prima persona l’emarginazione a causa delle calunnie (cfr Gv 8,41) e dell’esilio (cfr Mt 2,13-23), affinché ci ottenga di essere servi fedeli a Dio. Ci insegni Lei - che è la Madre - a non avere paura di accogliere con tenerezza gli emarginati; a non avere paura della tenerezza. Quante volte abbiamo paura della tenerezza! Ci insegni a non avere paura della tenerezza e della compassione; ci rivesta di pazienza nell’accompagnarli nel loro cammino, senza cercare i risultati di un successo mondano; ci mostri Gesù e ci faccia camminare come Lui.

Cari fratelli nuovi Cardinali, guardando a Gesù e alla nostra Madre, vi esorto a servire la Chiesa in modo tale che i cristiani - edificati dalla nostra testimonianza - non siano tentati di stare con Gesù senza voler stare con gli emarginati, isolandosi in una casta che nulla ha di autenticamente ecclesiale. Vi esorto a servire Gesù crocifisso in ogni persona emarginata, per qualsiasi motivo; a vedere il Signore in ogni persona esclusa che ha fame, che ha sete, che è nuda; il Signore che è presente anche in coloro che hanno perso la fede, o che si sono allontanati dal vivere la propria fede, o che si dichiarano atei; il Signore che è in carcere, che è ammalato, che non ha lavoro, che è perseguitato; il Signore che è nel lebbroso - nel corpo o nell’anima -, che è discriminato! Non scopriamo il Signore se non accogliamo in modo autentico l’emarginato! Ricordiamo sempre l’immagine di san Francesco che non ha avuto paura di abbracciare il lebbroso e di accogliere coloro che soffrono qualsiasi genere di emarginazione. In realtà, cari fratelli, sul vangelo degli emarginati, si gioca e si scopre e si rivela la nostra credibilità!

[00266-01.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

"Seigneur, si tu le veux, tu peux me purifier"… Jésus, saisi de compassion, étendit la main, le toucha et lui dit : " Je le veux, sois purifié!" (cf. Mc 1, 40-41). La compassion de Jésus ! Ce "pâtir avec" qui le rapprochait de toute personne souffrante! Jésus, ne se ménage pas, au contraire il se laisse impliquer dans la douleur et dans le besoin des gens… simplement, parce qu’il sait et veut "pâtir avec", parce qu’il a un cœur qui n’a pas honte d’avoir "compassion".

« Il ne pouvait plus entrer ouvertement dans une ville, mais restait à l’écart, dans des endroits déserts » (Mc 1, 45). Cela signifie que, en plus de guérir le lépreux, Jésus a pris aussi sur lui la marginalisation que la loi de Moïse imposait (cf. Lv 13, 1-2. 45-46). Jésus n’a pas peur du risque d’assumer la souffrance de l’autre, mais il en paie le prix jusqu’au bout (cf. Is 53, 4).

La compassion porte Jésus à agir concrètement : à réintégrer celui qui est exclu ! Et ce sont les trois concepts-clé que l’Église nous propose aujourd’hui dans la liturgie de la parole : la compassion de Jésus face à l’exclusion et sa volonté d’intégration.

Exclusion : Moïse, traitant juridiquement la question des lépreux, demande qu’ils soient éloignés et exclus de la communauté, tant que dure leur mal, et il les déclare « impurs » (cf. Lv 13, 1-2. 45-46).

Imaginez combien de souffrance et combien de honte devait éprouver un lépreux : physiquement , socialement, psychologiquement et spirituellement ! Il n’est pas seulement victime de la maladie, mais il éprouve en être aussi le coupable, puni pour ses péchés ! C’est un mort-vivant, "comme quelqu’un à qui son père a craché au visage" ( cf. Nb 12, 14).

En outre, le lépreux inspire la peur, le dédain, le dégoût et pour cela il est abandonné de sa propre famille, évité par les autres personnes, exclu de la société, ou plutôt la société elle-même l’expulse et le contraint à vivre dans des lieux éloignés des gens bien-portants, l’exclut. Et cela au point que si un individu bien-portant s’était approché d’un lépreux il aurait été sévèrement puni et souvent traité, à son tour, de lépreux.

C’est vrai, le but de cette règlementation était de "sauver les bien-portants", "protéger les justes" et pour les sauvegarder de tout risque, exclure "le danger", traitant sans pitié celui qui est contaminé. Ainsi, en effet, s’exclama le grand-prêtre Caïphe : « Il vaut mieux qu’un seul homme meure pour le peuple, et que l’ensemble de la nation ne périsse pas » (Jn 11, 50).

Intégration : Jésus révolutionne et secoue avec force cette mentalité enfermée dans la peur et autolimitée par les préjugés. Toutefois, il n’abolit pas la Loi de Moïse mais il la porte à son accomplissement (cf. Mt 5, 17), déclarant, par exemple, l’inefficacité contre-productive de la loi du talion ; déclarant que Dieu n’apprécie pas l’observance du Sabbat qui méprise l’homme et le condamne ; ou quand, face à la pécheresse, il ne la condamne pas mais au contraire la sauve du zèle aveugle de ceux qui étaient déjà prêts à la lapider sans pitié, estimant appliquer la Loi de Moïse. Jésus révolutionne aussi les consciences dans le Discours sur la montagne (cf. Mt 5), ouvrant de nouveaux horizons pour l’humanité et révélant pleinement la logique de Dieu. La logique de l’amour qui ne se fonde pas sur la peur mais sur la liberté, sur la charité, sur le zèle sain et sur le désir salvifique de Dieu : « Dieu notre Sauveur veut que tous les hommes soient sauvés et parviennent à la pleine connaissance de la vérité » (1 Tm 2, 3-4). « Je veux la miséricorde, non le sacrifice » (Mt 12, 7 ; Os 6, 6).

Jésus, nouveau Moïse, a voulu guérir le lépreux, il a voulu le toucher, il a voulu le réintégrer dans la communauté, sans "s’autolimiter" dans les préjugés ; sans s’adapter à la mentalité dominante des gens ; sans se préoccuper du tout de la contagion. Jésus répond à la supplication du lépreux sans hésitation et sans les habituels renvois pour étudier la situation et toutes les éventuelles conséquences ! Pour Jésus ce qui compte, avant tout, c’est de rejoindre et de sauver ceux qui sont loin, soigner les blessures des malades, réintégrer tous les hommes dans la famille de Dieu ! Et cela scandalise certains !

Et Jésus n’a pas peur de ce type de scandale ! Il ne pense pas aux personnes fermées qui se scandalisent même pour une guérison, qui se scandalisent face à n’importe quelle ouverture, à n’importe quel pas qui n’entre pas dans leurs schémas mentaux et spirituels, à n’importe quelle caresse ou tendresse qui ne correspond pas à leurs habitudes de pensée et à leur pureté rituelle. Il a voulu intégrer les exclus, sauver ceux qui sont en dehors du campement (cf. Jn 10).

Il y a deux logiques de pensée et de foi : la peur de perdre ceux qui sont sauvés et le désir de sauver ceux qui sont perdus. Aujourd’hui aussi il arrive, parfois, de nous trouver au croisement de ces deux logiques : celle des docteurs de la loi, c’est-à-dire marginaliser le danger en éloignant la personne contaminée, et la logique de Dieu qui, avec sa miséricorde, serre dans ses bras et accueille en réintégrant et en transfigurant le mal en bien, la condamnation en salut et l’exclusion en annonce.

Ces deux logiques parcourent toute l’histoire de l’Église : exclure et réintégrer. Saint Paul, mettant en œuvre le commandement du Seigneur de porter l’annonce de l’Évangile jusqu’aux extrêmes limites de la terre (cf. Mt 28, 19), scandalisa et rencontra une forte résistance et une grande hostilité surtout de ceux qui exigeaient aussi une observance inconditionnelle de la Loi mosaïque de la part des païens convertis. Même saint Pierre fut durement critiqué par la communauté quand il entra dans la maison du Centurion païen Corneille (cf. Ac 10).

La route de l’Église, depuis le Concile de Jérusalem, est toujours celle de Jésus : celle de la miséricorde et de l’intégration. Cela ne veut pas dire sous-évaluer les dangers ou faire entrer les loups dans le troupeau, mais accueillir le fils prodigue repenti ; guérir avec détermination et courage les blessures du péché ; se retrousser les manches et ne pas rester regarder passivement la souffrance du monde. La route de l’Église est celle de ne condamner personne éternellement ; de répandre la miséricorde de Dieu sur toutes les personnes qui la demandent d’un cœur sincère ; la route de l’Église c’est justement de sortir de son enceinte pour aller chercher ceux qui sont loin dans les « périphéries » essentielles de l’existence ; celle d’adopter intégralement la logique de Dieu ; de suivre le Maître qui dit : « Ce ne sont pas les gens en bonne santé qui ont besoin du médecin, mais les malades. Je ne suis pas venu appeler les justes mais les pécheurs » (Lc 5, 31-32).

En guérissant le lépreux, Jésus ne porte aucun dommage à qui est bien-portant, au contraire, il le libère de la peur ; il ne lui apporte pas un danger mais il lui donne un frère ; il ne méprise pas la Loi mais il apprécie l’homme, pour qui Dieu a inspiré la Loi. En effet, Jésus libère les bien-portants de la tentation du "frère-ainé" (cf. Lc 15, 11-32) et du poids de l’envie et des murmures des ouvriers qui ont « enduré le poids du jour et la chaleur » (Mt 20, 1-16).

En conséquence : la charité ne peut être neutre, aseptisée, indifférente, tiède ou impartiale ! La charité contamine, passionne, risque et implique ! Parce que la charité véritable est toujours imméritée, inconditionnelle et gratuite ! (cf. 1 Co 13). La charité est créative pour trouver le langage juste afin de communiquer avec tous ceux qui sont considérés comme inguérissables et donc intouchables. Trouver le langage juste… Le contact est le vrai langage communicatif, le même langage affectif qui a transmis la guérison au lépreux. Que de guérisons nous pouvons accomplir et transmettre en apprenant ce langage du contact ! C’était un lépreux et il est devenu annonciateur de l’amour de Dieu. L’Évangile dit : « Un fois parti, cet homme se mit à proclamer et à répandre la nouvelle » (Mc 1, 45).

Chers nouveaux Cardinaux, ceci est la logique de Dieu, ceci est la route de l’Église : non seulement accueillir et intégrer, avec un courage évangélique, ceux qui frappent à notre porte, mais sortir, aller chercher, sans préjugés et sans peur, ceux qui sont loin en leur manifestant gratuitement ce que nous avons reçu gratuitement. « Celui qui déclare demeurer dans le Christ doit, lui aussi, marcher comme Jésus lui-même a marché » (1 Jn 2, 6). La totale disponibilité pour servir les autres est notre signe distinctif, est notre unique titre d’honneur !

Et pensez bien, en ces jours où vous avez reçu le titre cardinalice, invoquons l’intercession de Marie, Mère de l’Église, qui a souffert elle-même l’exclusion à cause des calomnies (cf. Jn 8, 41) et de l’exil (cf. Mt 2, 13-23), afin qu’elle nous obtienne d’être des serviteurs fidèles à Dieu. Qu’elle nous enseigne – elle qui est la Mère – à ne pas avoir peur d’accueillir avec tendresse les exclus ; à ne pas avoir peur de la tendresse. Que de fois nous avons peur de la tendresse ! Qu’elle nous enseigne à ne pas avoir peur de la tendresse et de la compassion ; qu’elle nous revête de patience pour les accompagner sur leur chemin, sans chercher les résultats d’un succès mondain ; qu’elle nous montre Jésus et nous fasse marcher comme lui.

Chers frères nouveaux Cardinaux, regardant vers Jésus et vers notre Mère, je vous exhorte à servir l’Église, de façon que les chrétiens – édifiés par notre témoignage – ne soient pas tentés d’être avec Jésus sans vouloir être avec les exclus, s’isolant dans une caste qui n’a rien d’authentiquement ecclésial. Je vous exhorte à servir Jésus crucifié en toute personne exclue, pour quelque motif que ce soit ; à voir le Seigneur en toute personne exclue qui a faim, qui a soif, qui est nue : le Seigneur qui est présent aussi en ceux qui ont perdu la foi, ou qui se sont éloignés de leur propre foi ou qui se déclarent athées; le Seigneur qui est en prison, qui est malade, qui n’a pas de travail, qui est persécuté ; le Seigneur qui est dans le lépreux – en son corps ou en son âme –, qui est discriminé ! Nous ne découvrons pas le Seigneur, si nous n’accueillons pas l’exclu de façon authentique ! Rappelons-nous toujours l’image de saint François qui n’a pas eu peur d’embrasser le lépreux et d’accueillir ceux qui souffrent toutes sortes de marginalisation. En réalité, chers frères, sur l’évangile des exclus, se joue, se découvre et se révèle notre crédibilité !

[00266-03.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

"Lord, if you choose, you can make me clean"… Jesus, moved with compassion, stretched out his hand and touched him, and said: "I do choose. Be made clean!" (Mk 1:40-41). The compassion of Jesus! That com-passion which made him draw near to every person in pain! Jesus does not hold back; instead, he gets involved in people’s pain and their need… for the simple reason that he knows and wants to show com-passion, because he has a heart unashamed to have "compassion".

"Jesus could no longer go into a town openly, but stayed in the country; and people came to him from every quarter" (Mk 1:45). This means that Jesus not only healed the leper but also took upon himself the marginalization enjoined by the law of Moses (cf. Lev 13:1-2, 45-46). Jesus is unafraid to risk sharing in the suffering of others; he pays the price of it in full (cf. Is 53:4).

Compassion leads Jesus to concrete action: he reinstates the marginalized! These are the three key concepts that the Church proposes in today’s liturgy of the word: the compassion of Jesus in the face of marginalization and his desire to reinstate.

Marginalization: Moses, in his legislation regarding lepers, says that they are to be kept alone and apart from the community for the duration of their illness. He declares them: "unclean!" (cf. Lev 13:1-2, 45-46).

Imagine how much suffering and shame lepers must have felt: physically, socially, psychologically and spiritually! They are not only victims of disease, but they feel guilty about it, punished for their sins! Theirs is a living death; they are like someone whose father has spit in his face (cf. Num 12:14).

In addition, lepers inspire fear, contempt and loathing, and so they are abandoned by their families, shunned by other persons, cast out by society. Indeed, society rejects them and forces them to live apart from the healthy. It excludes them. So much so that if a healthy person approached a leper, he would be punished severely, and often be treated as a leper himself.

True, the purpose of this rule was "to safeguard the healthy", "to protect the righteous", and, in order to guard them from any risk, to eliminate "the peril" by treating the diseased person harshly. As the high priest Caiaphas exclaimed: "It is better to have one man die for the people than to have the whole nation destroyed" (Jn 11:50).

Reinstatement: Jesus revolutionizes and upsets that fearful, narrow and prejudiced mentality. He does not abolish the law of Moses, but rather brings it to fulfillment (cf. Mt 5:17). He does so by stating, for example, that the law of retaliation is counterproductive, that God is not pleased by a Sabbath observance which demeans or condemns a man. He does so by refusing to condemn the sinful woman, but saves her from the blind zeal of those prepared to stone her ruthlessly in the belief that they were applying the law of Moses. Jesus also revolutionizes consciences in the Sermon on the Mount (cf. Mt 5), opening new horizons for humanity and fully revealing God’s "logic". The logic of love, based not on fear but on freedom and charity, on healthy zeal and the saving will of God. For "God our Saviour desires everyone to be saved and to come to the knowledge of the truth" (1 Tim 2:3-4). "I desire mercy and not sacrifice" (Mt 12:7; Hos 6:6).

Jesus, the new Moses, wanted to heal the leper. He wanted to touch him and restore him to the community without being "hemmed in" by prejudice, conformity to the prevailing mindset or worry about becoming infected. Jesus responds immediately to the leper’s plea, without waiting to study the situation and all its possible consequences! For Jesus, what matters above all is reaching out to save those far off, healing the wounds of the sick, restoring everyone to God’s family! And this is scandalous to some people!

Jesus is not afraid of this kind of scandal! He does not think of the closed-minded who are scandalized even by a work of healing, scandalized before any kind of openness, by any action outside of their mental and spiritual boxes, by any caress or sign of tenderness which does not fit into their usual thinking and their ritual purity. He wanted to reinstate the outcast, to save those outside the camp (cf. Jn 10).

There are two ways of thinking and of having faith: we can fear to lose the saved and we can want to save the lost. Even today it can happen that we stand at the crossroads of these two ways of thinking. The thinking of the doctors of the law, which would remove the danger by casting out the diseased person, and the thinking of God, who in his mercy embraces and accepts by reinstating him and turning evil into good, condemnation into salvation and exclusion into proclamation.

These two ways of thinking are present throughout the Church’s history: casting off and reinstating. Saint Paul, following the Lord’s command to bring the Gospel message to the ends of the earth (cf. Mt 28:19), caused scandal and met powerful resistance and great hostility, especially from those who demanded unconditional obedience to the Mosaic law, even on the part of converted pagans. Saint Peter, too, was bitterly criticized by the community when he entered the house of the pagan centurion Cornelius (cf. Acts 10).

The Church’s way, from the time of the Council of Jerusalem, has always always been the way of Jesus, the way of mercy and reinstatement. This does not mean underestimating the dangers of letting wolves into the fold, but welcoming the repentant prodigal son; healing the wounds of sin with courage and determination; rolling up our sleeves and not standing by and watching passively the suffering of the world. The way of the Church is not to condemn anyone for eternity; to pour out the balm of God’s mercy on all those who ask for it with a sincere heart. The way of the Church is precisely to leave her four walls behind and to go out in search of those who are distant, those essentially on the "outskirts" of life. It is to adopt fully God’s own approach, to follow the Master who said: "Those who are well have no need of the physician, but those who are sick; I have come to call, not the righteous but sinners" (Lk 5:31-32).

In healing the leper, Jesus does not harm the healthy. Rather, he frees them from fear. He does not endanger them, but gives them a brother. He does not devalue the law but instead values those for whom God gave the law. Indeed, Jesus frees the healthy from the temptation of the "older brother" (cf. Lk 15:11-32), the burden of envy and the grumbling of the labourers who bore "the burden of the day and the heat" (cf. Mt 20:1-16).

In a word: charity cannot be neutral, antiseptic, indifferent, lukewarm or impartial! Charity is infectious, it excites, it risks and it engages! For true charity is always unmerited, unconditional and gratuitous! (cf. 1 Cor 13). Charity is creative in finding the right words to speak to all those considered incurable and hence untouchable. Finding the right words… Contact is the language of genuine communication, the same endearing language which brought healing to the leper. How many healings can we perform if only we learn this language of contact! The leper, once cured, became a messenger of God’s love. The Gospel tells us that "he went out and began to proclaim it freely and to spread the word" (cf. Mk 1:45).

Dear new Cardinals, this is the "logic", the mind of Jesus, and this is the way of the Church. Not only to welcome and reinstate with evangelical courage all those who knock at our door, but to go out and seek, fearlessly and without prejudice, those who are distant, freely sharing what we ourselves freely received. "Whoever says: ‘I abide in [Christ]’, ought to walk just as he walked" (1 Jn 2:6). Total openness to serving others is our hallmark, it alone is our title of honour!

Consider carefully that, in these days when you have become Cardinals, we have asked Mary, Mother of the Church, who herself experienced marginalization as a result of slander (cf. Jn 8:41) and exile (cf. Mt 2:13-23), to intercede for us so that we can be God’s faithful servants. May she - our Mother - teach us to be unafraid of tenderly welcoming the outcast; not to be afraid of tenderness. How often we fear tenderness! May Mary teach us not to be afraid of tenderness and compassion. May she clothe us in patience as we seek to accompany them on their journey, without seeking the benefits of worldly success. May she show us Jesus and help us to walk in his footsteps.

Dear new Cardinals, my brothers, as we look to Jesus and our Mother, I urge you to serve the Church in such a way that Christians - edified by our witness - will not be tempted to turn to Jesus without turning to the outcast, to become a closed caste with nothing authentically ecclesial about it. I urge you to serve Jesus crucified in every person who is emarginated, for whatever reason; to see the Lord in every excluded person who is hungry, thirsty, naked; to see the Lord present even in those who have lost their faith, or turned away from the practice of their faith, or say that they are atheists; to see the Lord who is imprisoned, sick, unemployed, persecuted; to see the Lord in the leper – whether in body or soul - who encounters discrimination! We will not find the Lord unless we truly accept the marginalized! May we always have before us the image of Saint Francis, who was unafraid to embrace the leper and to accept every kind of outcast. Truly, dear brothers, the Gospel of the marginalized is where our credibility is at stake, is discovered and is revealed!

[00266-02.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

»Herr, wenn du willst, kannst du machen, dass ich rein werde«. Von Mitleid bewegt, streckte Jesus die Hand aus, berührte ihn und sagte zu ihm: »Ich will es – werde rein!« (vgl. Mk 1,40-41). Das Mitleid Jesu! Dieses Mit-leiden, das ihn jedem leidenden Menschen nahebringt! Jesus schont sich nicht, nein, er lässt sich hineinziehen in den Schmerz und in die Not der Menschen, einfach weil er „mit-leiden" kann und will, weil er ein Herz hat, das sich nicht schämt, „Mitleid" zu haben.

»Jesus [konnte sich] in keiner Stadt mehr zeigen … er hielt sich nur noch außerhalb der Städte an einsamen Orten auf« (Mk 1,45). Das bedeutet, dass Jesus den Aussätzigen nicht nur geheilt hat, sondern außerdem auch dessen Ausgrenzung auf sich genommen hat, die das Gesetz des Mose vorschrieb (vgl.Lev13,1-2.45-46). Jesus hat keine Angst vor dem Risiko, das Leiden des anderen auf sich zu nehmen, sondern er zahlt dessen Preis bis zum Äußersten (vgl. Jes 53,4).

Das Mitleid bringt Jesus dazu, konkret zu handeln: den Ausgegrenzten wieder einzugliedern! Und das sind die drei Schlüsselbegriffe, die die Kirche uns heute im Wortgottesdienst vorstellt: das Mitleid Jesu angesichts der Ausgrenzung und sein Wille zur Eingliederung.

Ausgrenzung: Mose behandelt das Problem der Aussätzigen unter juristischem Gesichtspunkt und verlangt, dass sie aus der Gesellschaft entfernt und ausgegrenzt werden, solange das Übel anhält, und erklärt sie für »unrein« (vgl. Lev 13,1-2.45-46).

Stellt euch vor, wie viel Leiden und wie viel Scham ein Aussätziger empfinden musste: physisch, gesellschaftlich, psychologisch und spirituell! Er ist nicht nur Opfer der Krankheit, sondern meint, sie auch verschuldet zu haben und fühlt sich für seine Sünden bestraft!Er ist tot bei lebendigem Leibe, wie einer, dem sein Vater »ins Gesicht gespuckt« hat (Num 12,14).

Außerdem flößt der Aussätzige Angst, Verachtung und Ekel ein und wird darum von den eigenen Angehörigen verlassen, von den anderen gemieden, von der Gesellschaft ausgegrenzt, ja, die Gesellschaft selbst stößt ihn aus und zwingt ihn, an Orten zu leben, die von den Gesunden entfernt sind, sie schließt ihn aus. Und das geht so weit, dass ein Gesunder, sollte er sich einem Aussätzigen genähert haben, schwer bestraft und oft selbst wie ein Aussätziger behandelt wird.

Es ist wahr, der Zweck dieser Rechtsvorschrift war der, „die Gesunden zu retten", „die Gerechten zu schützen" und, um sie vor jedemRisiko zu bewahren, „die Gefahr" zu bannen, indem man den Ansteckenden erbarmungslos behandelte.So betonte ja der Hohepriester Kajaphas,»dass es besser… ist, wenn ein einziger Mensch für das Volk stirbt, als wenn das ganze Volk zugrunde geht« (Joh 11,50).

Eingliederung: Jesus stürzt jene Mentalitätum, die sich in Angst verschließt und in ihren Vorurteilen selbst beschränkt, und erschüttert sie nachdrücklich. Er hebt jedoch das Gesetz des Mose nicht auf, sondern erfüllt es (vgl. Mt 5,17), wenn er zum Beispiel das Talionsystem für unwirksam und schädlich erklärt; wenn er erklärt, dass eine Beobachtung des Sabbat, die den Menschen verachtet und verurteilt, Gott nicht gefällt, oder wenn er angesichts der Ehebrecherin diese nicht verurteilt, sondern sie sogar rettet vor dem blinden Eifer derer, die schon bereit waren, sie erbarmungslos zu steinigen, weil sie meinten, so das Gesetz des Mose anzuwenden (vgl. Joh 8,3-11). Auch in der Bergpredigt (vgl. Mt5) krempelt Jesus die Gewissen um, indem er der Menschheit neue Horizonte eröffnet und die Logik Gottes vollkommen offenbart – die Logik der Liebe, die sich nicht auf die Angst gründet, sondern auf die Freiheit, die Liebe, auf den gesunden Eifer und auf den Heilswillen Gottes: »Das … gefällt Gott, unserem Retter;er will, dass alle Menschen gerettet werden und zur Erkenntnis der Wahrheit gelangen« (1 Tim 2,3-4). »Barmherzigkeit will ich, nicht Opfer«(vgl. Mt 12,7; Hos 6,6)).

Jesus, der neue Mose, wollte den Aussätzigen heilen, er wollte ihn berühren, er wollte ihn wieder in die Gesellschaft eingliedern, ohne sich in Vorurteilen selbst zu beschränken, ohne sich der herrschenden Mentalität der Leute anzupassen, ohne sich über die Ansteckung überhaupt Gedanken zu machen. Jesus antwortet auf die flehentliche Bitte des Aussätzigen unverzüglich und ohne die üblichen Verzögerungen, um die Situation zu untersuchen und alle eventuellen Folgen abzuwägen! Was für Jesus zählt, ist vor allem, die Fernen zu erreichen und zu retten, die Wunden der Kranken zu heilen und alle wieder in die Familie Gottes einzugliedern Und das ist manchem ein Ärgernis!

Vor dieser Art von Ärgernis hat Jesus keine Angst! Er denkt nicht an die Verschlossenen, für die sogar eine Heilung ein Ärgernis ist, die an jeglicher Öffnung Anstoß nehmen, an jedwedem Schritt, der nicht in ihr geistiges und geistliches Schema passt, an jeder Liebkosung oder Zärtlichkeit, die nicht ihren Denkgewohnheiten und ihrer ritualistischen Reinheit entspricht. Er wollte die Ausgegrenzten eingliedern und diejenigen retten, die sich außerhalb des Lagers befinden (vgl. Joh 10).

Es sind zwei Arten von Logik des Denkens und des Glaubens: die Angst, die Geretteten zu verlieren, und der Wunsch, die Verlorenen zu retten. Auch heute geschieht es manchmal, dass wir uns am Kreuzungspunkt dieser beiden Arten der Logik befinden: der Logik der Gesetzeslehrer, das heißt die Gefahr zu bannen durch Entfernen der angesteckten Person, und der Logik Gottes, der mit seiner Barmherzigkeit den Menschen umarmt und aufnimmt, ihnwiedereingliedert und so das Böse in Gutes, die Verurteilung in Rettung und die Ausgrenzung in Verkündigung verwandelt.

Diese beiden Arten der Logik durchziehen die gesamte Geschichte der Kirche:ausgrenzen und wiedereingliedern. Als der heilige Paulus den Auftrag des Herrn ausführte, die Verkündigung des Evangeliums bis an die Grenzen der Erde zu tragen (vgl. Mt 28,19; Apg 1,8), erregte er Ärgernis und stieß auf starken Widerstand und große Feindseligkeit vor allem bei denen, die eine bedingungslose Befolgung des mosaischen Gesetzes auch von den konvertierten Heiden verlangten. Selbst der heilige Petrus wurde von der Gemeinde hart kritisiert, als er das Haus des heidnischen Hauptmanns Kornelius betreten hatte (vgl. Apg 10).

Der Weg der Kirche ist vom Jerusalemer Konzil an immer der Weg Jesu: der Weg der Barmherzigkeit und der Eingliederung. Das bedeutet nicht, die Gefahr zu unterschätzen oder die Wölfe in die Herde eindringen zu lassen, sondern den verlorenen Sohn aufzunehmen, entschieden und mutig die Verletzungen der Sünde zu heilen, sich die Ärmel aufzukrempeln und nicht darin zu verharren, passiv das Leiden der Welt zu beobachten. Der Weg der Kirche ist der, niemanden auf ewig zu verurteilen, die Barmherzigkeit Gottes über alle Menschen auszugießen, die sie mit ehrlichen Herzen erbitten. Der Weg der Kirche ist genau der, aus der eigenen Umzäunung herauszugehen, um in den grundlegenden Randgebieten der Existenz die Fernen aufzusuchen; der Weg, ganz und gar die Logik Gottes zu übernehmen und dem Meister zu folgen, der sagte: »Nicht die Gesunden brauchen den Arzt, sondern die Kranken.Ich bin gekommen, um die Sünder ... zu rufen, nicht die Gerechten« (Lk 5,31-32).

Indem Jesus den Aussätzigen heilt, fügt er keinem Gesunden Schaden zu, vielmehr befreit er ihn von der Angst; ersetzt ihn nicht einer Gefahr aus, sondern schenkt ihm einen Bruder; er verachtet nicht das Gesetz, sondern achtet den Menschen, für den Gott das Gesetz gegeben hat. Tatsächlich befreit Jesus die Gesunden von der Versuchung des „älteren Bruders" (vgl. Lk 15,11-32) wie auch von der Last des Neids und dem Murren der Arbeiter, die „den ganzen Tag über die Last der Arbeit und die Hitze ertragen haben" (vgl. Mt 20,1-16).

Daraus folgt: Die Liebe kann nicht neutral, „keimfrei", gleichgültig, lau oder unparteiisch sein! Die Liebe steckt an, begeistert, wagt und bezieht ein! Denn die wirkliche Liebe ist immer unverdient, bedingungslos und gegenleistungsfrei (vgl. 1 Kor 13). Die Liebe ist kreativ, wenn es darum geht, die richtige Sprache zu finden, um mit all denen Verbindung aufzunehmen, die als unheilbar und darum unberührbar angesehen werden. Die richtige Sprache finden… Die Berührung ist die wirklich kommunikative Sprache, dieselbe affektive Sprache, die dem Aussätzigen die Heilung vermittelt hat. Wie viele Heilungen können wir vollbringen und vermitteln, wenn wir diese Sprache der Berührung lernen! Er war ein Aussätziger und ist ein Verkünder der Liebe Gottes geworden. Das Evangelium berichtet: »Der Mann aber ging weg und erzählte bei jeder Gelegenheit, was geschehen war« (Mk 1,45).

Liebe neue Kardinäle, das ist die Logik Jesu, das ist der Weg der Kirche: nicht nur jene, die an unsere Tür klopfen, mit dem Mut, der dem Evangelium entspricht, aufnehmen und eingliedern, sondern hinausgehen, sich aufmachen und ohne Vorurteile und Angst die Fernstehenden suchen und ihnen gegenleistungsfrei das offenbaren, was wir selber gegenleistungsfrei empfangen haben. »Wer sagt, dass er in ihm [Christus] bleibt, muss auch leben, wie er gelebt hat« (1 Joh 2,6). Die rückhaltlose Verfügbarkeit im Dienst an den anderen ist unser Erkennungszeichen, ist unser einziger Ehrentitel!

Und denkt daran, in diesen Tagen, in denen ihr den Kardinalstitel erhalten habt, bitten wir um die Fürsprache Marias, der Mutter der Kirche, die selber die Ausgrenzung erlitten hat aufgrund von Verleumdungen (vgl. Joh 8,41) und Exil (vgl.Mt 2,13-23). Sie erwirke uns die Gnade, Diener in der Treue zu Gott zu sein. Sie, die Mutter, lehre uns, keine Angst zu haben, die Ausgegrenzten mit Zärtlichkeit aufzunehmen; keine Angst vor Zärtlichkeit zu haben – wie oft haben wir Angst vor Zärtlichkeit! Sie lehre uns, keine Angst vor Zärtlichkeit und Mitleid zu haben. Sie statte uns mit Geduld aus, wenn wir jene Menschen auf ihrem Weg begleiten, ohne Ergebnisse eines weltlichen Erfolgs zu suchen. Sie zeige uns Jesus und lasse uns vorangehen wie er.

Liebe Brüder, ihr neuen Kardinäle, im Blick auf Jesus und auf unsere Mutter rufe ich euch auf, der Kirche so zu dienen, dass die Christen – durch unser Beispiel angeregt – nicht in Versuchung kommen, bei Jesus zu sein, aber nicht bei den Ausgegrenzten sein zu wollen, und sich in einer Kaste abkapseln, die nichts mit echter Kirchlichkeit zu tun hat. Ich rufe euch auf, dem gekreuzigten Christus in jedem Menschen zu dienen, der ausgegrenzt ist, ganz gleich aus welchem Grund; den Herrn in jedem Ausgeschlossenen zu sehen, der hungert, der dürstet, der nackt ist; den Herrn, der auch in denen gegenwärtig ist, die den Glauben verloren haben oder die davon Abstand genommen haben, ihren Glauben zu leben, oder die sich als Atheisten bezeichnen; den Herrn, der im Gefängnis ist, der krank ist, der keine Arbeit hat, der verfolgt wird; den Herrn, der im körperlich oder seelisch Aussätzigen ist, der diskriminiert ist! Wir entdecken den Herrn nicht, wenn wir den Ausgegrenzten nicht ehrlich aufnehmen! Erinnern wir uns immer an den heiligen Franziskus, der sich nicht scheute, den Aussätzigen zu umarmen und die aufzunehmen, die unter jeglicher Art von Ausgrenzung leiden. Tatsächlich, liebe Brüder,wenn es um das Evangelium der Ausgegrenzten geht, steht unsere Glaubwürdigkeit auf dem Spiel, an ihm zeigt und erweist sie sich!

[00266-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«Señor, si quieres, puedes limpiarme…» Jesús, sintiendo lástima; extendió la mano y lo tocó diciendo: «Quiero: queda límpio» (cf. Mc 1,40-41). La compasión de Jesús. Ese padecer con que lo acercaba a cada persona que sufre. Jesús, se da completamente, se involucra en el dolor y la necesidad de la gente… simplemente, porque Él sabe y quiere padecer con, porque tiene un corazón que no se avergüenza de tener compasión.

«No podía entrar abiertamente en ningún pueblo; se quedaba fuera, en descampado» (Mc 1, 45). Esto significa que, además de curar al leproso, Jesús ha tomado sobre sí la marginación que la ley de Moisés imponía (cf. Lv 13,1-2. 45-46). Jesús no tiene miedo del riesgo que supone asumir el sufrimiento de otro, pero paga el precio con todas las consecuencias (cf. Is 53,4).

La compasión lleva a Jesús a actuar concretamente: a reintegrar al marginado. Y éstos son los tres conceptos claves que la Iglesia nos propone hoy en la liturgia de la palabra: la compasión de Jesús ante la marginación y su voluntad de integración.

Marginación: Moisés, tratando jurídicamente la cuestión de los leprosos, pide que sean alejados y marginados por la comunidad, mientras dure su mal, y los declara: «Impuros» (cf. Lv 13,1-2. 45.46).

Imaginad cuánto sufrimiento y cuánta vergüenza debía de sentir un leproso: físicamente, socialmente, psicológicamente y espiritualmente. No es sólo víctima de una enfermedad, sino que también se siente culpable, castigado por sus pecados. Es un muerto viviente, como «si su padre le hubiera escupido en la cara» (Nm 12,14).

Además, el leproso infunde miedo, desprecio, disgusto y por esto viene abandonado por los propios familiares, evitado por las otras personas, marginado por la sociedad, es más, la misma sociedad lo expulsa y lo fuerza a vivir en lugares alejados de los sanos, lo excluye. Y esto hasta el punto de que si un individuo sano se hubiese acercado a un leproso, habría sido severamente castigado y, muchas veces, tratado, a su vez, como un leproso.

Es verdad, la finalidad de esa norma era la de salvar a los sanos, proteger a los justos y, para salvaguardarlos de todo riesgo, marginar el peligro,tratando sin piedad al contagiado. De aquí, que el Sumo Sacerdote Caifás exclamase: «Conviene que uno muera por el pueblo, y que no perezca la nación entera» (Jn 11,50).

Integración: Jesús revoluciona y sacude fuertemente aquella mentalidad cerrada por el miedo y recluida en los prejuicios. Él, sin embargo, no deroga la Ley de Moisés, sino que la lleva a plenitud (cf. Mt 5, 17), declarando, por ejemplo, la ineficacia contraproducente de la ley del talión; declarando que Dios no se complace en la observancia del Sábado que desprecia al hombre y lo condena; o cuando ante la mujer pecadora, no la condena, sino que la salva de la intransigencia de aquellos que estaban ya preparados para lapidarla sin piedad, pretendiendo aplicar la Ley de Moisés. Jesús revoluciona también las conciencias en el Discurso de la montaña (cf. Mt 5) abriendo nuevos horizontes para la humanidad y revelando plenamente la lógica de Dios. La lógica del amor que no se basa en el miedo sino en la libertad, en la caridad, en el sano celo y en el deseo salvífico de Dios, Nuestro Salvador, «que quiere que todos se salven y lleguen al conocimiento de la verdad» (1Tm 2,4). «Misericordia quiero y no sacrificio» (Mt 12,7; Os6,6).

Jesús, nuevo Moisés, ha querido curar al leproso, ha querido tocar, ha querido reintegrar en la comunidad, sin autolimitarse por los prejuicios; sin adecuarse a la mentalidad dominante de la gente; sin preocuparse para nada del contagio. Jesús responde a la súplica del leproso sin dilación y sin los consabidos aplazamientos para estudiar la situación y todas sus eventuales consecuencias. Para Jesús lo que cuenta, sobre todo, es alcanzar y salvar a los lejanos, curar las heridas de los enfermos, reintegrar a todos en la familia de Dios. Y eso escandaliza a algunos.

Y Jesús no tiene miedo de este tipo de escándalo. Él no piensa en las personas obtusas que se escandalizan incluso de una curación, que se escandalizan de cualquier apertura, a cualquier paso que no entre en sus esquemas mentales o espirituales, a cualquier caricia o ternura que no corresponda a su forma de pensar y a su pureza ritualista. Él ha querido integrar a los marginados, salvar a los que están fuera del campamento (cf. Jn 10).

Son dos lógicas de pensamiento y de fe: el miedo de perder a los salvados y el deseo de salvar a los perdidos. Hoy también nos encontramos en la encrucijada de estas dos lógicas: a veces, la de los doctores de la ley,o sea, alejarse del peligro apartándose de la persona contagiada, y la lógica de Dios que, con su misericordia, abraza y acoge reintegrando y transfigurando el mal en bien, la condena en salvación y la exclusión en anuncio.

Estas dos lógicas recorren toda la historia de la Iglesia: marginar y reintegrar. San Pablo, dando cumplimiento al mandamiento del Señor de llevar el anuncio del Evangelio hasta los extremos confines de la tierra (cf. Mt 28,19), escandalizó y encontró una fuerte resistencia y una gran hostilidad sobre todo de parte de aquellos que exigían una incondicional observancia de la Ley mosaica, inclusoa los paganos convertidos. Tambiénsan Pedro fue duramente criticado por la comunidad cuando entró en la casa de Cornelio, elcenturión pagano (cf. Hch 10).

El camino de la Iglesia, desde el concilio de Jerusalén en adelante, es siempre el camino de Jesús, el de la misericordia y de la integración.Esto no quiere decir menospreciar los peligros o hacer entrar los lobos en el rebaño, sino acoger al hijo pródigo arrepentido; sanar con determinación y valor las heridas del pecado; actuar decididamente y no quedarse mirando de forma pasiva el sufrimiento del mundo. El camino de la Iglesia es el de no condenar a nadie para siempre y difundir la misericordia de Dios a todas las personas que la piden con corazón sincero; el camino de la Iglesia es precisamente el de salir del propio recinto para ir a buscar a los lejanos en las "periferias" esenciales de la existencia; es el de adoptar integralmente la lógica de Dios; el de seguir al Maestro que dice: «No necesitan médico los sanos, sino los enfermos. No he venido a llamar a los justos, sino a los pecadores» (Lc 5,31-32).

Curando al leproso, Jesús no hace ningún daño al que está sano, es más, lo libra del miedo; no lo expone a un peligro sino que le da un hermano; no desprecia la Ley sino que valora al hombre, para el cual Dios ha inspirado la Ley. En efecto, Jesús libra a los sanos de la tentación del «hermano mayor» (cf. Lc 15,11-32) y del peso de la envidia y de la murmuración de los trabajadores que han soportado el peso de la jornada y el calor (cf. Mt 20,1-16).

En consecuencia: la caridad no puede ser neutra, aséptica, indiferente, tibia o imparcial. La caridad contagia, apasiona, arriesga y compromete. Porque la caridad verdadera siempre es inmerecida, incondicional y gratuita (cf. 1Cor 13). La caridad es creativa en la búsqueda del lenguaje adecuado para comunicar con aquellos que son considerados incurables y, por lo tanto, intocables. Encontrar el lenguaje justo… El contacto es el auténtico lenguaje que transmite, fue el lenguaje afectivo, el que proporcionó la curación al leproso. ¡Cuántas curaciones podemos realizar y transmitir aprendiendo este lenguaje del contacto! Era un leproso y se ha convertido en mensajero del amor de Dios. Dice el Evangelio: «Pero cuando se fue, empezó a pregonar bien alto y a divulgar el hecho» (Mc 1,45).

Queridos nuevos Cardenales, ésta es la lógica de Jesús, éste es el camino de la Iglesia: no sólo acoger y integrar, con valor evangélico, aquellos que llaman a la puerta, sino salir, ir a buscar, sin prejuicios y sin miedos, a los lejanos, manifestándoles gratuitamente aquello que también nosotros hemos recibido gratuitamente. «Quien dice que permanece en Éldebe caminar como Él caminó» (1Jn 2,6). ¡La disponibilidad total para servir a los demás es nuestro signo distintivo, es nuestro único título de honor!

Pensadlo bien en estos días en los que habéis recibido el título cardenalicio. Invoquemos la intercesión de María, Madre de la Iglesia, que sufrió en primera persona la marginación causada por las calumnias(cf. Jn 8,41) y el exilio (cf. Mt 2,13-23), para que nos conceda el ser siervos fieles de Dios. Ella, que es la Madre, nos enseñe a no tener miedo de acoger con ternura a los marginados; a no tener miedo dela ternura. Cuántas veces tenemos miedo de la ternura. Que Ella nos enseñe a no tener miedo de la ternura y de la compasión; nos revista de paciencia para acompañarlos en su camino, sin buscar los resultados del éxito mundano; nos muestre a Jesús y nos haga caminar como Él.

Queridos hermanos nuevos Cardenales, mirando a Jesús y a nuestra Madre, os exhorto a servir a la Iglesia, en modo tal que los cristianos – edificados por nuestro testimonio – no tengan la tentación de estar con Jesús sin querer estar con los marginados, aislándose en una casta que nada tiene de auténticamente eclesial. Os invito a servira Jesús crucificado en toda persona marginada, por el motivo que sea; a ver al Señor en cada persona excluida que tiene hambre, que tiene sed, que está desnuda; al Señor que está presente también en aquellos que han perdido la fe, o que, alejados, no viven la propia fe, o que se declaran ateos;al Señor que está en la cárcel, que está enfermo, que no tiene trabajo, que es perseguido; al Señor que está en el leproso – de cuerpo o de alma -, que está discriminado. No descubrimos al Señor, si no acogemos auténticamente al marginado. Recordemos siempre la imagen de san Francisco que no tuvo miedo de abrazar al leproso y de acoger a aquellos que sufren cualquier tipo de marginación. En realidad, queridos hermanos, sobre el evangelio de los marginados, se juega y se descubre y se revela nuestra credibilidad.

[00266-04.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Senhor, se quiseres, podes purificar-me». Compadecido, Jesus, estendeu a mão, tocou-o e disse: «Quero, fica purificado» (cf. Mc 1, 40-41). A compaixão de Jesus! Aquele «padecer com» levava-O a aproximar-Se de cada pessoa atribulada! Jesus não Se retrai, antes, pelo contrário, deixa-Se comover pelo sofrimento e as necessidades do povo, simplesmente porque Ele sabe e quer «padecer com», porque possui um coração que não se envergonha de ter «compaixão».

Ele «já não podia entrar abertamente numa cidade; ficava fora, em lugares despovoados» (Mc 1, 45). Isto significa que, além de curar o leproso, Jesus tomou sobre Si também a marginalização que impunha a Lei de Moisés (cf. Lv 13, 1-2.45-46). Não teme o risco de assumir o sofrimento alheio, mas paga por inteiro o seu preço (cf. Is 53, 4).

A compaixão leva Jesus a agir de forma concreta: a reintegrar o marginalizado. E estes são os três conceitos-chave que a Igreja nos propõe na liturgia da palavra hodierna: a compaixão de Jesus perante a marginalização e a sua vontade de integração.

Marginalização: Moisés, ao tratar juridicamente a questão dos leprosos, reclama que sejam afastados e marginalizados da comunidade, enquanto persistir o mal, e declara-os «impuros» (cf. Lv 13, 1-2.45-46).

Imaginai quanto sofrimento e quanta vergonha devia sentir, física, social, psicológica e espiritualmente, um leproso! Não é apenas vítima da doença, mas sente que é também o culpado, punido pelos seus pecados. É um morto-vivo, como «se o pai lhe tivesse cuspido na cara» (cf. Nm 12, 14).

Além disso, o leproso suscita medo, desprezo, nojo e, por isso, é abandonado pelos seus familiares, evitado pelas outras pessoas, marginalizado pela sociedade; mais, a própria sociedade o expulsa e constringe a viver em lugares afastados dos sãos, exclui-o. E o modo como o faz é tal que, se um indivíduo são se aproximasse de um leproso seria severamente punido e com frequência tratado, por sua vez, como leproso.

É verdade, a finalidade desta legislação era «salvar os sãos», «proteger os justos» e, para os defender de qualquer risco, marginalizava «o perigo» tratando sem piedade o contagiado. De facto, assim exclamou o sumo sacerdote Caifás: «Convém que morra um só homem pelo povo, e não pereça a nação inteira» (Jo 11, 50).

Integração: Jesus revoluciona e sacode intensamente aquela mentalidade fechada no medo e autolimitada pelos preconceitos. Contudo Ele não abole a Lei de Moisés, mas leva-a à perfeição (cf. Mt 5, 17), declarando, por exemplo, a ineficácia contraproducente da lei de talião; declarando que Deus não gosta da observância do sábado que despreza o homem e o condena; ou, quando perante a mulher pecadora, não a condena, pelo contrário salva-a do zelo cego de quantos já estavam prontos para a lapidar sem dó nem piedade, convictos de aplicar a Lei de Moisés. Jesus revoluciona também as consciências no Sermão da Montanha (cf. Mt 5), abrindo novos horizontes para a humanidade e revelando plenamente a lógica de Deus: a lógica do amor, que não se baseia no medo mas na liberdade, na caridade, no zelo salutar e no desígnio salvífico de Deus: «Deus, nosso Salvador, quer que todos os homens sejam salvos e cheguem ao conhecimento da verdade» (1 Tm 2, 3-4). «Prefiro a misericórdia ao sacrifício» (Mt 12, 7; cf. Os 6, 6).

Jesus, novo Moisés, quis curar o leproso, quis tocá-lo, quis reintegrá-lo na comunidade, sem Se «autolimitar» nos preconceitos; sem Se adequar à mentalidade dominante do povo; sem Se preocupar de modo algum com o contágio. Jesus responde à súplica do leproso sem demora e sem os habituais adiamentos para estudar a situação e todas as eventuais consequências. Para Jesus, o que importa acima de tudo é alcançar e salvar os afastados, curar as feridas dos doentes, reintegrar a todos na família de Deus. E isto deixou alguém escandalizado!

E Jesus não teme este tipo de escândalo. Não olha às mentes fechadas que se escandalizam até por uma cura, que se escandalizam diante de qualquer abertura, qualquer passo que não entre nos seus esquemas mentais e espirituais, qualquer carícia ou ternura que não corresponda aos seus hábitos de pensar e à sua pureza ritualista. Ele quis integrar os marginalizados, salvar aqueles que estão fora do acampamento (cf. Jo 10).

Trata-se de duas lógicas de pensamento e de fé: o medo de perder os salvos e o desejo de salvar os perdidos. Hoje, às vezes, também acontece encontrarmo-nos na encruzilhada destas duas lógicas: a dos doutores da lei, ou seja marginalizar o perigo afastando a pessoa contagiada, e a lógica de Deus que, com a sua misericórdia, abraça e acolhe reintegrando e transformando o mal em bem, a condenação em salvação e a exclusão em anúncio.

Estas duas lógicas percorrem toda a história da Igreja: marginalizar e reintegrar. São Paulo, ao pôr em prática o mandamento do Senhor de levar o anúncio do Evangelho até aos últimos confins da terra (cf. Mt 28, 19), escandalizou e encontrou forte resistência e grande hostilidade sobretudo da parte daqueles que exigiam, inclusive aos pagãos convertidos, uma observância incondicional da Lei mosaica. O próprio São Pedro foi duramente criticado pela comunidade, quando entrou na casa de Cornélio, um centurião pagão (cf. Act 10) .

O caminho da Igreja, desde o Concílio de Jerusalém em diante, é sempre o de Jesus: o caminho da misericórdia e da integração. Isto não significa subestimar os perigos nem fazer entrar os lobos no rebanho, mas acolher o filho pródigo arrependido; curar com determinação e coragem as feridas do pecado; arregaçar as mangas em vez de ficar a olhar passivamente o sofrimento do mundo. O caminho da Igreja é não condenar eternamente ninguém; derramar a misericórdia de Deus sobre todas as pessoas que a pedem com coração sincero; o caminho da Igreja é precisamente sair do próprio recinto para ir à procura dos afastados nas «periferias» essenciais da existência; adoptar integralmente a lógica de Deus; seguir o Mestre, que disse: «Não são os que têm saúde que precisam de médico, mas os que estão doentes. Não foram os justos que Eu vim chamar ao arrependimento, mas os pecadores» (Lc 5, 31-32).

Curando o leproso, Jesus não provoca qualquer dano a quem é são, antes livra-o do medo; não lhe cria um perigo, mas dá-lhe um irmão; não despreza a Lei, mas preza o homem, para o qual Deus inspirou a Lei. De facto, Jesus liberta os sãos da tentação do «irmão mais velho» (cf. Lc 15, 11-32) e do peso da inveja e da murmuração dos «trabalhadores que suportaram o cansaço do dia e o seu calor» (cf. Mt 20, 1-16).

Consequentemente, a caridade não pode ser neutra, asséptica, indiferente, morna ou equidistante. A caridade contagia, apaixona, arrisca e envolve. Porque a caridade verdadeira é sempre imerecida, incondicional e gratuita (cf. 1 Cor 13). A caridade é criativa, encontrando a linguagem certa para comunicar com todos aqueles que são considerados incuráveis e, portanto, intocáveis. Encontrando a linguagem certa… O contacto é a verdadeira linguagem comunicativa, a mesma linguagem afectiva que comunicou a cura ao leproso. Quantas curas podemos realizar e comunicar, aprendendo esta linguagem do contacto! Era um leproso e tornou-se arauto do amor de Deus. Diz o Evangelho: «Ele, porém, assim que se retirou, começou a proclamar e a divulgar o sucedido» (cf. Mc 1, 45).

Amados novos Cardeais, esta é a lógica de Jesus, este é o caminho da Igreja: não só acolher e integrar, com coragem evangélica, aqueles que batem à nossa porta, mas sair, ir à procura, sem preconceitos nem medo, dos afastados revelando-lhes gratuitamente aquilo que gratuitamente recebemos. «Quem diz que permanece em [Cristo], deve caminhar como Ele caminhou» (1 Jo 2, 6). A disponibilidade total para servir os outros é o nosso sinal distintivo, é o nosso único título de honra!

E um bom pensamento, nestes dias em que recebestes o título cardinalício, será o de invocar a intercessão de Maria, Mãe da Igreja, que sofreu pessoalmente a marginalização por causa das calúnias (cf. Jo 8, 41) e do exílio (cf. Mt 2, 13-23), para que nos alcance a graça de sermos servos fiéis a Deus. Ensine-nos Ela – que é a Mãe – a não termos medo de acolher com ternura os marginalizados; a não temermos a ternura. Quantas vezes temos medo da ternura! Que Ela nos ensine a não temer a ternura e a compaixão; que Ela nos revista de paciência acompanhando-os no seu caminho, sem buscar os triunfos dum sucesso mundano; que Ela nos mostre Jesus e faça caminhar como Ele.

Amados irmãos novos Cardeais, com os olhos fixos em Jesus e na nossa Mãe, exorto-vos a servir a Igreja de tal maneira que os cristãos – edificados pelo nosso testemunho – não se sintam tentados a estar com Jesus, sem quererem estar com os marginalizados, isolando-se numa casta que nada tem de autenticamente eclesial. Exorto-vos a servir Jesus crucificado em toda a pessoa marginalizada, seja pelo motivo que for; a ver o Senhor em cada pessoa excluída que tem fome, que tem sede, que não tem com que se cobrir; a ver o Senhor que está presente também naqueles que perderam a fé, que se afastaram da prática da sua fé ou que se declaram ateus; o Senhor, que está na cadeia, que está doente, que não tem trabalho, que é perseguido; o Senhor que está no leproso, no corpo ou na alma, que é discriminado. Não descobrimos o Senhor, se não acolhemos de maneira autêntica o marginalizado. Recordemos sempre a imagem de São Francisco, que não teve medo de abraçar o leproso e acolher aqueles que sofrem qualquer género de marginalização. Verdadeiramente, amados irmãos, é no evangelho dos marginalizados que se joga, descobre e revela a nossa credibilidade!

[00266-06.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

"Panie, jeśli chcesz, możesz mnie oczyścić... Jezus, zdjęty litością, wyciągnął rękę, dotknął go i rzekł do niego: Chcę, bądź oczyszczony!" (por. Mk 1,40-41). Współczucie Jezusa to "współcierpienie", które zbliżało Go do każdej osoby cierpiącej! Jezus się nie oszczędza, a wręcz pozwala się wciągnąć w cierpienie i potrzeby ludzi... Zwyczajnie, bo potrafi i pragnie "współcierpieć", gdyż ma serce, które nie wstydzi się tego, że "współczuje".

"Nie mógł już jawnie wejść do miasta, lecz przebywał w miejscach pustynnych" (Mk 1,45). Oznacza to, że oprócz uzdrowienia trędowatego, Jezus wziął na siebie także wykluczenie, jakie nakładało prawo Mojżesza (zob. Kpł 13,1-2. 45-46). Jezus nie boi się ryzyka, by podjąć cierpienie drugiego, ale aż do końca płaci za to cenę (por. Iz 53,4).

Współczucie popycha Jezusa do konkretnego działania: do reintegracji wykluczonego! Trzy kluczowe pojęcia, jakie proponuje nam dzisiaj Kościół w liturgii słowa, są następujące: współczucie Jezusa w obliczu marginalizacji oraz Jego wola integracji.

Marginalizacja: Mojżesz, traktując kwestię trędowatych w sposób prawniczy, domaga się, aby byli oni oddaleni i usuwani na margines wspólnoty, tak długo, jak trwa ich choroba i określa ich jako "nieczystych" (por. Kpł 13.1-2. 45-46).

Wyobraźcie sobie, jak wiele cierpienia i wstydu musiał doświadczać trędowaty: fizycznie, społecznie, psychologicznie i duchowo! Jest on nie tylko ofiarą choroby, ale ma także poczucie, że jest jej winny, ukarany za swoje grzechy! Jest żywym trupem, jak ten, "któremu ojciec splunął w twarz" (Lb 12, 14).

Ponadto, trędowaty budzi strach, obrzydzenie i pogardę, i z tego powodu zostaje opuszczony przez swoją rodzinę, unikają go inni ludzie, jest zepchnięty na margines społeczeństwa, a wręcz samo społeczeństwo go wydala i zmusza do życia w miejscach oddalonych od ludzi zdrowych, wyklucza go. I to do tego stopnia, że jeśli jakaś osoba zdrowa zbliżyłaby się do trędowatego, to zostałaby surowo ukarana, a często sama potraktowana z kolei, jak trędowaty.

To prawda, że celem tego unormowania było "ocalenie zdrowych", "ochrona sprawiedliwych" i, żeby ocalić ich od wszelkiego niebezpieczeństwa, usunięcie na margines "zagrożenia", traktując bez litości zarażonego. Tak w istocie zawyrokował arcykapłan Kajfasz: "lepiej jest dla was, gdy jeden człowiek umrze za lud, niż miałby zginąć cały naród" (J 11, 50).

Integracja: Jezus rewolucjonizuje i gwałtownie wstrząsa tą mentalnością zamkniętą w strachu i samo-ograniczoną uprzedzeniami. Nie znosi On jednak Prawa Mojżeszowego, ale je doprowadza do pełni (por. Mt 5, 17), wskazując na przykład na wywołującą odwrotny skutek nieskuteczność prawa odwetu; oznajmiając, że Bóg nie cieszy się takim zachowywaniem szabatu, które pogardza człowiekiem i go potępia; lub gdy mając do czynienia z jawnogrzesznicą nie potępia jej, a wręcz ją ocala od ślepej gorliwości tych, którzy byli już gotowi ukamienować ją bezlitośnie, utrzymując, że stosują prawo Mojżeszowe. Jezus rewolucjonizuje sumienia także w Kazaniu na Górze (por. Mt 5), otwierając nowe perspektywy dla ludzkości i objawiając w pełni logikę Boga. Logikę miłości, która nie opiera się na strachu, ale na wolności, miłości, zdrowej gorliwości oraz zbawczym pragnieniu Boga: "Zbawiciel nasz, Bóg, pragnie, by wszyscy ludzie zostali zbawieni i doszli do poznania prawdy" (1 Tm 2, 3-4). "Chcę raczej miłosierdzia niż ofiary" (Mt 12, 7; Oz 6,6).

Jezus, nowy Mojżesz, chciał uzdrowić trędowatego, chciał go dotknąć, chciał go ponownie włączyć do społeczności, nie "samoograniczając się" w uprzedzeniach; nie dostosowując się do panującej mentalności ludzi; wcale nie obawiając się zakażenia. Jezus odpowiada na błaganie trędowatego bezzwłocznie i bez typowych odwołań, by zbadać sytuację i wszystkie ewentualne konsekwencje! Dla Jezusa liczy się przede wszystkim osiągnięcie zbawienia dalekich, leczenie ran chorych, ponowne włączenie wszystkich do rodziny Bożej! A to niektórych gorszy!

Jezus nie boi się skandalu tego rodzaju! On nie myśli o ludziach zamkniętych, którzy wręcz się gorszą z powodu uzdrowienia, którzy się gorszą w obliczu wszelkiej otwartości, jakiegokolwiek kroku, który nie mieści się w ich schematach myślowych i duchowych, wobec wszelkiej czułości czy delikatności nie odpowiadającej ich nawykom myślowym oraz ich rytualnej czystości. Zechciał On włączyć wykluczonych, zbawić tych, którzy są poza obozem (por. J 10).

Istnieją dwie logiki myślenia i wiary: strach, by nie stracić zbawionych i pragnienie zbawienia straconych. Zdarza się niekiedy także i dziś, że stajemy na skrzyżowaniu tych dwóch logik: logiki uczonych w Prawie: usunąć zagrożenie, oddalając osobę zarażoną, i logiki Boga, który w swoim miłosierdziu obejmuje i przyjmuje włączając i przemieniając zło w dobro, potępienie w zbawienie, a wykluczenie w przepowiadanie.

Te dwie logiki przemierzają całe dzieje Kościoła: usunąć na margines i włączyć. Święty Paweł, aktualizując nakaz Pana, by głosić Ewangelię aż po krańce ziemi (por. Mt 28, 19), gorszył i napotkał silny opór oraz wielką wrogość, zwłaszcza od tych, którzy domagali się bezwarunkowego przestrzegania prawa mojżeszowego również przez nawróconych pogan. Także święty Piotr był ostro krytykowany przez wspólnotę, kiedy wszedł do pogańskiego domu setnika Korneliusza (por. Dz 10).

Drogą Kościoła, począwszy od Soboru Jerozolimskiego jest zawsze droga Jezusa: droga miłosierdzia i integracji. Nie oznacza to nie docenienie zagrożeń czy wpuszczenie do owczarni wilków, ale powitanie skruszonego syna marnotrawnego; leczenie z determinacją i odwagą ran grzechu; zakasanie rękawów, a nie stanie i patrzenie biernie na cierpienia świata. Drogą Kościoła jest niepotępianie kogokolwiek na wieki; obdarzanie miłosierdziem Boga wszystkich ludzi, którzy szczerym sercem o to proszą; drogą Kościoła jest właśnie wyjście z własnego ogrodzenia, aby pójść i szukać dalekich na "peryferiach" egzystencji; to zastosowanie w pełni logiki Boga; naśladować Nauczyciela, który powiedział: "Nie potrzebują lekarza zdrowi, ale ci, którzy się źle mają. Nie przyszedłem wezwać do nawrócenia sprawiedliwych, lecz grzeszników" (Łk 5, 31-32).

Uzdrawiając trędowatego, Jezus nie wyrządza żadnej szkody tym, którzy są zdrowi, a nawet wyzwala ich z lęku; nie powoduje niebezpieczeństwa, ale daje im brata; nie gardzi prawem, ale docenia człowieka, dla którego Bóg zainspirował prawo. Faktycznie Jezus uwalnia zdrowych od pokusy "starszego brata" (por. Łk 15,11- 32.) i ciężaru nienawiści oraz "szemrania pracowników, którzy znosili ciężar dnia i spiekoty" (por. Mt 20 1-16).

Tak więc miłość nie może być neutralna, jałowa, obojętna, letnia i bezstronna! Miłość zaraża, jest namiętna, wiąże się z ryzykiem i angażuje! Ponieważ prawdziwa miłość zawsze jest niezasłużona, bezwarunkowa i bezinteresowna! (por. 1 Kor 13). Miłość jest kreatywna, znajduje odpowiedni język, by komunikować się z tymi wszystkimi, którzy uważani są za nieuleczalnych a więc nietykalnych. Znaleźć odpowiedni język… Kontakt jest prawdziwym językiem komunikatywnym, tym samym językiem uczuciowym, który trędowatemu przekazał uzdrowienie. Jak wiele uzdrowień możemy dokonać i przekazać, ucząc się tego języka kontaktu! Był trędowatym, a stał się głosicielem miłości Boga. Ewangelia powiada: "Lecz on po wyjściu zaczął wiele opowiadać i rozgłaszać to, co zaszło" (Mk 1, 45).

Drodzy nowi kardynałowie, taka jest logika Jezusa, to jest droga Kościoła: nie tylko przyjąć i włączyć z ewangeliczną odwagą tych, którzy pukają do naszych drzwi, ale wyjść i szukać dalekich, bez uprzedzeń i bez strachu, ukazując im bezinteresownie to, co sami darmo otrzymaliśmy: "Kto twierdzi, że w Nim trwa, powinien również sam postępować tak, jak On postępował" (1 J 2, 6). Całkowita dyspozycyjność w posługiwaniu innym jest naszym znakiem rozpoznawczym, naszym jedynym tytułem honorowym!

I pomyślcie dobrze, w tych dniach, w których otrzymaliście tytuł kardynalski przyzywajmy wstawiennictwa Maryi, Matki Kościoła, która osobiście znosiła wykluczenie z powodu oszczerstw (por. J 8, 41) i wygnania (por. Mt 2,13- 23), żeby nam wyprosiła, byśmy byli wiernymi sługami Boga. Niech Ona, która jest Matką, nauczy nas, byśmy się nie lękali czule przyjmować wykluczonych: byśmy nie obawiali się czułości. Ile razy boimy się czułości! Niech nas nauczy nie bać się czułości i współczucia; niech nas przyodzieje w cierpliwość, by im towarzyszyć na ich drodze, nie szukając rezultatów doczesnego sukcesu: niech nam ukaże Jezusa i sprawi, byśmy z Nim podążali.

Drodzy bracia, nowi Kardynałowie, patrząc na Jezusa i naszą Matkę, zachęcam was do służby Kościołowi, tak aby chrześcijanie - zbudowani naszym świadectwem - nie byli kuszeni, żeby być z Jezusem, nie chcąc być z ludźmi zmarginalizowanymi, izolując się w takiej kaście, która nie ma nic z tego, co autentycznie kościelne. Zachęcam was do służby Jezusowi ukrzyżowanemu w każdej osobie zmarginalizowanej, z jakiegokolwiek powodu; do dostrzegania Pana w każdej osobie wykluczonej, która jest głodna, spragniona, która jest naga; Pana, który jest obecny także w tych, którzy stracili wiarę, lub oddalili się od życia wiary, albo deklarują się ateistami; Pana, który jest w więzieniu, który jest chory, który nie ma pracy, który jest prześladowany; Pana, który jest w trędowatym - na ciele i na duchu, który jest dyskryminowany! Nie odkryjemy Pana, jeśli autentycznie nie zaakceptujemy osoby usuniętej na margines! Pamiętajmy zawsze o obrazie świętego Franciszka, który nie bał się objąć trędowatego i przyjąć tych, którzy cierpią z powodu wszelkiego rodzaju marginalizacji. Istotnie, drodzy bracia, w Ewangelii usuniętych na margines wchodzi w grę, odsłania się i ukazuje nasza wiarygodność!

[00266-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0120-XX.03]