CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede
Introduzione "Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio" (Lc 2, 6-7). Queste parole dell’Evangelista Luca, proclamate e meditate specialmente nel periodo liturgico del Natale, ci portano spiritualmente nella mangiatoia di Betlemme, città di Davide ove è nato il Signore Gesù (cfr Mt 2, 1; Lc 2, 4). Secondo la profezia di Isaia il Messia avrà il nome "Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace" (Is 9, 5). La tradizione cristiana attribuisce tali titoli alla persona di Gesù, dichiarandolo vero Emmanuele, Dio con noi (cfr Mt 1, 23). Tra essi, quello della pace occupa un posto privilegiato. Infatti, il Messia "sarà egli stesso la pace" (Mi 5, 3). Pertanto Betlemme, come ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI, "è anche una città simbolo di pace in Terra Santa e nel mondo intero. Purtroppo, ai nostri giorni, essa non rappresenta una pace raggiunta e stabile, ma una pace faticosamente ricercata e attesa" (Angelus del 20 dicembre 2009). Betlemme, Nazaret, Gerusalemme, nomi noti e cari al cuore dei cristiani e di tutti gli uomini di buona volontà, diventano attuali anche nella preparazione dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. Accogliendo la richiesta di numerosi Vescovi della regione che va dall’Egitto all’Iran, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto tale Assise sinodale che avrà luogo dal 10 al 24 ottobre 2010 sul tema: La Chiesa Cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza. "La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola" (At 4, 32). Per preparare tale importante evento, in ossequio alla volontà del Sommo Pontefice, è stato formato un Consiglio Presinodale composto da 7 Patriarchi delle 6 Chiese Orientali Cattoliche sui iuris e dal Patriarca latino di Gerusalemme. Membri del menzionato Consiglio sono anche 4 Capi dei Dicasteri della Curia Romana più interessati al tema dell’Assemblea sinodale. Ad essi sono inoltre uniti i Presidenti delle Conferenze Episcopali della Turchia e dell’Iran. Con l’aiuto di alcuni esperti, i membri del Consiglio Presinodale hanno redatto i Lineamenta che oggi vengono presentati in 4 lingue: arabo, francese, inglese e italiano. Struttura dei Lineamenta I testo dei Lineamenta ha tre Capitoli, preceduti da una Introduzione in cui si indica lo scopo principalmente pastorale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi e cioè: "confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i Sacramenti" e "ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese particolari, affinché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente". Come di consueto, ogni parte dei Lineamenta è accompagnata da alcune domande che nell’insieme sono 32. Esse aiuteranno i destinatari istituzionali: i Sinodi dei Vescovi delle Chiese Orientali Cattoliche, le Conferenze Episcopali, i Dicasteri della Curia Romana, l’Unione dei Superiori Maggiori, a discutere sui contenuti del Documento, applicandone le affermazioni alla realtà dei rispettivi enti ecclesiali. Le risposte dovrebbero pervenire, come menzionato nella Prefazione, entro la solennità di Pasqua del 2010 che quest’anno celebreremo tutti i cristiani insieme. La sintesi di tali risposte formerà, in seguito, l’Instrumentum laboris, Documento di lavoro dell’Assise sinodale che il Santo Padre Benedetto XVI consegnerà ai rappresentanti delle Chiese Orientali Cattoliche durante la sua Visita Apostolica a Cipro dal 4 al 6 giugno prossimo. Considerando la grande importanza della Terra Santa per ogni cristiano, non sono escluse le osservazioni anche di altri Istituti e di persone singole del mondo intero, concernenti, in particolare, l’appoggio spirituale e materiale ai cristiani e alle Chiese particolari del Medio Oriente. Primo Capitolo: La Chiesa Cattolica in Medio Oriente Il Documento accenna brevemente alla storia gloriosa delle Chiese di Oriente che, ancor più che le altre Chiese particolari del mondo, risalgono alla prima Chiesa cristiana di Gerusalemme. Da questa, esse si sono diffuse nella regione mantenendo l’unità essenziale nella pluralità delle espressioni. Tali Chiese sono state caratterizzate dall’apostolicità e da una forte indole missionaria. Infatti, oltre alla Chiesa di rito latino, vi sono Chiese Orientali Cattoliche di ben cinque Tradizioni: Alessandrina (Chiesa Copta e Chiesa Etiopica); Antiochena (Chiesa Siro-Malankarese, Chiesa Maronita e Chiesa Sira); Armena (Chiesa Armena); Caldea o Siro-Orientale (Chiesa Caldea e Chiesa Siro-Malabarese); Bizantina o Costantinopolitana (tra cui la Chiesa Greco-Melchita). Grati alla divina Provvidenza che ha voluto che tali Chiese rimassero nei singoli Paesi per quasi 2.000 anni di storia del cristianesimo, nonostante non poche difficoltà, i Lineamenta si soffermano su alcune sfide attuali: - conflitti politici nella regione, menzionandone alcuni (Israele - Palestina, Iraq, Libano); - libertà di religione e di coscienza, lamentando non pochi ostacoli all’esercizio di tale diritto fondamentale della persona umana e di ogni comunità religiosa. Si menziona l’evoluzione dell’Islam contemporaneo in cui non mancano correnti estremiste che sono una minaccia per tutti, cristiani e musulmani. Inoltre, si constata una forte emigrazione dei cristiani dai loro Paesi d’origine. D’altra parte si sottolinea l’immigrazione di cristiani, soprattutto come operai, provenienti da vari Paesi del mondo. Di fronte a tale situazione, il Documento propone la formazione dei cristiani affinché possano vivere con fedeltà ancora più grande la propria fede nella vita privata e pubblica. Inoltre, essi sono chiamati a continuare a dare il loro prezioso contributo all’edificazione di una società democratica, rispettosa dei diritti e dei doveri di tutti i suoi membri. Secondo Capitolo: La comunione ecclesiale Accennando alla natura teologica della comunione, che ha il suo fondamento nel mistero della Santissima Trinità, il Documento entra nella questione della comunione all’interno della Chiesa Cattolica e cioè tra le varie Chiese Orientali Cattoliche che dovrebbe diventare sempre di più una ricchezza per tutti i cristiani del Medio Oriente, anzi per tutta la Chiesa Cattolica. Vi sono due segni principali della comunione cattolica: la celebrazione dell’Eucaristia e la comunione con il Vescovo di Roma, Successore di San Pietro Apostolo e Capo visibile di tutta la Chiesa. Ovviamente, la comunione si esprime anche nei rapporti tra i Vescovi delle diverse Chiese Orientali Cattoliche come pure tra essi e i fedeli. Essa, poi, si manifesta nella vita di ogni giorno, e l’ espressioni di essa sembra essere più facile a livello dei fedeli che dei Gerarchi. Il Documento tratta dunque aspetti assai concreti della comunione tra i cristiani come, per esempio, l’iscrizione in scuole e istituti d’istruzione superiore, la possibilità di ricevere l’assistenza da parte di enti di natura caritativa come ospedali, orfanotrofi, case di riposo, ecc. Un aspetto importante e pratico è la frequentazione dei fedeli in altre chiese cattoliche nella regione. Capitolo terzo: La testimonianza cristiana È il capitolo più lungo in cui si tratta della testimonianza dei cattolici all’interno della Chiesa stessa, in particolare per mezzo della catechesi e delle opere, e al di fuori di essa. Il dialogo con le altre Chiese e comunità cristiane esiste ma ha bisogno di essere incrementato. In tale urgente opera, grande ruolo svolge il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, che praticamente raccoglie tutti i rappresentanti dei cristiani della regione. Inoltre, vi sono progetti pastorali comuni elaborati nel Consiglio dei Patriarchi Cattolici riuniti con i Patriarchi ortodossi di Libano e Siria. Insieme con tutta la Chiesa Cattolica, le Chiese Orientali Cattoliche partecipano anche al dialogo teologico con la Chiesa Ortodossa. Sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione anche nel campo liturgico. Il dialogo con l’ebraismo è la peculiarità delle Chiese di Gerusalemme (6 Cattoliche e 5 Ortodosse, più 2 comunità ecclesiali protestanti). Esistono in Palestina e in Israele varie associazioni di dialogo ebraico-cristiano. Tuttavia i rapporti con l’ebraismo sono condizionati dalla situazione politica che oppone da una parte Palestinesi e mondo arabo e dall’altra lo Stato d’Israele. Al riguardo, i Lineamenta citano le parole del Santo Padre pronunciate durante la sua Visita Apostolica in Terra Santa circa il diritto del popolo Palestinese e di quello Israeliano di vivere in pace e di avere ognuno una patria propria all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti. A tal proposito, occorre sempre rammentare la distinzione tra il piano religioso e quello politico, non adoperando la Bibbia a scopi politici né la politica a scopi religiosi. In tale contesto è importante sottolineare il legame religioso tra il Giudaismo e il Cristianesimo, tra l’Antico e il Nuovo Testamento. I cristiani sono chiamati ad incoraggiare ogni pacifico mezzo che possa condurre alla pace attraverso la giustizia. In tale opera importante e difficile sono guidati dall’attitudine cristiana, espressa dal Venerabile Papa Giovanni Paolo II: "Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002). I rapporti con i musulmani occupano una parte rilevante del Documento. Le Costituzioni della maggior parte dei Paesi del Medio Oriente garantiscono l’uguaglianza tra i cittadini a tutti i livelli. Tale quadro giuridico permette ai cristiani di esigere il rispetto dei loro diritti e doveri di cittadini. Purtroppo, per la mancanza di distinzione tra religione e politica in pratica i cristiani sono spesso in posizione di non-cittadinanza. Per migliorare la situazione, occorre promuovere di più il dialogo anche per conoscersi meglio. Bisogna incoraggiare la presentazione oggettiva del cristianesimo e dell’Islam tramite i mass media come pure in opuscoli accessibili anche a gente semplice. In tale opera grande importanza hanno non solamente i gruppi di dialogo interreligioso, bensì le opere cattoliche, come scuole e ospedali frequentati anche da musulmani. Di fronte a questa situazione non facile in vari Paesi, i cristiani sono chiamati a dare un contributo specifico e insostituibile alla società in cui vivono: essere testimoni di Cristo e dei valori del Vangelo in tutti i settori della vita personale, famigliare e pubblica. Vi sono alcuni punti che uniscono i cristiani e i musulmani, come i diritti dell’uomo, che pertanto bisognerebbe promuovere insieme per ottenere risultati più qualificati. Ispirandosi all’esempio e all’insegnamento di Gesù, i cristiani condannano la violenza da qualunque parte essa provenga e suggeriscono il dialogo come il mezzo migliore per risolvere i problemi. Inoltre, essi non si stancano di proporre il messaggio della riconciliazione basato sul perdono reciproco che è frutto soprattutto dello Spirito Santo e non solamente di sforzi umani. Con tale spirito sarà possibile, emarginando gli estremismi politici e religiosi, aprirsi al processo di edificazione di una umanità nuova. Pertanto, la testimonianza di vita dei cristiani, come fermento di una società rinnovata, rimane essenziale per il presente e il futuro del Medio Oriente. Conclusione Nella Conclusione si ripropongono le ragioni non tanto di politica quanto di fede per cui è essenziale che i cristiani rimangano nel Medio Oriente e continuino ad offrire il loro contributo specifico alla costruzione di una società giusta, pacifica e prospera. Non temere piccolo gregge (Lc 12, 32) è la migliore risposta ai dubbi di non pochi cristiani per rimanere in Terra Santa, forti della promessa della vicinanza di Dio. Nato a Betlemme, Egli si è fatto vicino a tutti gli uomini, soprattutto ai suoi compaesani. La parola del Vangelo di non temere è vivificata anche dalla solidarietà dei cristiani del mondo intero che appoggiano con la preghiera e con le opere di aiuto concreto i loro confratelli del Medio Oriente, culla del cristianesimo, come pure di altri due monoteismi: l’ebraismo e l’Islam. La speranza cristiana, nata in Terra Santa, ha animato i fedeli per 2000 anni. Anche oggi, pure in mezzo alle difficoltà e alle sfide essa rimane per i cristiani e gli uomini di buona volontà la sorgente inesauribile della fede, della carità, della gioia di essere testimoni del Signore Gesù risorto, presente in mezzo alla comunità dei suoi discepoli. Come una volta nel cenacolo di Gerusalemme, egli continua a riempire dello Spirito Santo i suoi con le parole di vita: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi" (Gv 20, 21).
La Terra Santa Gesù, Figlio di Dio, fatto uomo, ha condiviso tutto, eccetto il peccato (Ebr 4, 15), con gli uomini del suo tempo e della sua terra. Venne in una terra che poteva dire sua perché in essa si svolse la sua vita, la sua storia umana. Nacque in Giudea, a Betlemme, piccolo centro e grande nello stesso tempo (Mi 5, 1), la città di Davide, di Booz con Noemi e Rut (Rt 1, 22; 2, 1), dei pastori e degli innocenti trucidati da Erode (Mt 2, 16), la città del censimento ordinato da Cesare Augusto (Lc 2, 1-7). Un altro luogo gli fu proprio, perché in esso avevano dimora i suoi genitori Giuseppe e Maria (Lc 2, 4.5), Nazaret, sperduto paese della Galilea, terra dei popoli (Is 9, 1), sconosciuto e umiliato borgo (Gv 1, 46) ai confini con le regioni straniere e pagane. Tanto grande e nobile Betlemme, quanto piccolo punto in geografia e stima Nazaret! In questa geografia, come linea d’orizzonte, si è mosso Gesù. Una prima volta nel seno di sua madre, da Nazaret fino a Betlemme, quasi alla periferia di Gerusalemme, la città del tempio (Lc 2, 22) e della festa annuale di pasqua (Lc 2, 41), città della nostalgia (Sal 137, 1ss) e delle ascensioni dei pellegrini (Sal 120-134). L’itinerario annuale di Pasqua da Nazaret a Gerusalemme corrisponde quasi all’intero asse longitudinale della Palestina, a congiunzione di due luoghi distintivi della vita del Signore: Nazaret con la sua casa (Lc 2, 51s) e Gerusalemme, meta del suo viaggio definitivo (Lc 9, 53). Se è vero che i tessuti oftalmici e le fibre cerebrali restano impressionati dalle sollecitazioni visive provenienti dall’esterno, sotto forma di immagini con qualità e durata variabili, dobbiamo concludere che il giorno dell’ascensione al cielo, quando fu elevato in alto (At 1, 9) e sottratto agli occhi fissi degli uomini di Galilea (At 1, 11), l’uomo Gesù portava con sé le immagini di questa terra: Galilea, Samaria, Giudea, perché da uomo non attraversò altra terra che questa, nessun’altra geografia che quella della Palestina, terra dei padri e della promessa (Gen 12, 1). Gesù non fu un missionario internazionale. La sua appartenenza territoriale era chiara e gli fu tanto cara da farlo piangere di fronte alla grandezza tradita della città «unita e compatta» (Sal 122, 3ss), di Gerusalemme (Lc 19, 41-44). Quella che noi chiamiamo Terra Santa non è semplicemente una realtà geografica. Come territorio somiglia ad un trapezoide i cui lati sono ad occidente la costa mediterranea, a nord una linea che da Tiro raggiunge le falde meridionali dell’Hermon, ad est il deserto arabico, a sud un confine che dalla sponda meridionale del Mar Morto tocca il Mediterraneo presso la frontiera egiziana. L’altezza del trapezoide è di circa 255 chilometri, la larghezza massima, a sud, è di 120 chilometri, la minima, a nord, di 70 chilometri, con un’area di circa 25.000 chilometri quadrati: meno della Sicilia, un po’ più della Sardegna. Anche sotto l’aspetto geografico la Palestina è uno dei paesi più straordinari: in tanto poco spazio racchiude la più profonda depressione della terra con il livello del Mar Morto che è quasi di 400 metri sotto il Mediterraneo, e la più grande varietà di clima, fauna e flora. In questa piccola superficie, stretta tra mare e deserto, si svolsero anche i circa 2000 anni di storia del popolo ebreo, dalla venuta di Abramo fino alla dinastia degli Asmonei nel II secolo a.C., e, successivamente , la vicenda umana del Figlio di Dio fatto uomo e dei suoi discepoli ed apostoli. Passando dall’Antico al Nuovo Testamento, non abbiamo la sensazione di cambiare paese. La prima pagina del Nuovo Testamento è una genealogia che registra persone, richiamando storie pubbliche e private, come anche luoghi e territorio, contrade e città. Il paese è lo stesso, è medesima l’atmosfera, anche se si respira aria diversa. Nell’Antico Testamento è tangibile una gradualità della rivelazione, un affinamento della religiosità, una linea di progrediente innalzamento della fede e dei costumi operato da Dio attraverso uomini scelti, quali i profeti e finalmente il Figlio suo, nato da donna (Gal 4, 4), originario di Nazaret. Terra Santa e Sinodo Il sinodo si occuperà di tutto il Medio Oriente, dall’Asia Minore all’Iraq, e di questa vasta ed eterogenea area la Terra Santa è parte geografica, storicamente non secondaria, civilmente non trascurabile, spiritualmente eminente. Le tre religioni monoteiste infatti trovano in essa, specificamente a Gerusalemme, in modo proprio a ciascuna, radici e vincoli vitali. Gerusalemme è città sacra per gli ebrei, per i cristiani, per i musulmani: tre religioni monoteiste, sorte in area medio orientale in epoche diverse. Posta su di un’altura -una santa montagna- per gli ebrei Gerusalemme è "il centro della terra"; mentre il centro di questa città è il "Santo dei Santi", il luogo più sacro dell’unico tempio per il culto divino, del quale, distrutto nel 70 d. C. e mai più ricostruito, rimane il Muro del pianto. Per i cristiani è il luogo della crocifissione, risurrezione e ascensione al cielo di Gesù, che significa "Salvatore": luoghi tutti monumentalizzati da Costantino Magno († 337), che costruì l’Anàstasis, il Martyrion e altri santuari; ma è anche una città dalla valenza mistica: è infatti modello e anticipazione della "Gerusalemme celeste", il regno di Dio cui appartengono i credenti, la Chiesa sposa del Cristo, composta di angeli e di salvati (S. Agostino, Contra Faustum, XV, 11). Anche i musulmani considerano Gerusalemme città santa perché legata a Maometto (†632) fondatore dell’islam. Quivi, stando alla sura 17 del Corano (sura del viaggio notturno), Maometto fu trasportato dall’arcangelo Gabriele (in una notte del 619); mentre dalla roccia di Moriah -luogo destinato al sacrificio di Isacco- il Profeta intraprese un’ascesa ai cieli sul cavallo antroponfalo al-Burag e fu portato in paradiso, dinanzi al trono di Allah. Dai suoi seguaci questo luogo, in cui si erano verificati detti eventi, fu identificato con la spianata del tempio di Erode e, una trentina di anni dopo la presa della città da parte del califfo ‘Umar, vi fu eretta una moschea. Questi vincoli vitali interessano direttamente la fase originaria delle tre religioni, storiche, ma ci si domanda se l’appartenenza a questa porzione del territorio mediorientale possa fomentare la coscienza dell’autenticità e della purezza delle fede e della prassi religiosa. Inoltre ci si interroga se la comune terra di origine e di convivenza possa favorire la reciprocità nel riconoscimento e nel rispetto fino ad influenzare positivamente le relazioni nell’intera area mediorientale. Per quanto impegnative siano le risposte a tali quesiti, si possono trovare osservazioni pertinenti nel documento che oggi si presenta, i Lineamenta per l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, dal titolo «La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza "La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola" (At 4, 32)». Esso esamina lucidamente condizionamenti e problemi direttamente connessi con quelle domande, che di volta in volta si affacciano nel viver quotidiano in quell’area, nella grande società come anche nella concreta convivenza di persone e di gruppi. I Pastori della Chiesa in Medio Oriente, concludendo nei Lineamenta l’esposizione degli elementi caratteristici della situazione attuale delle loro Chiese particolari, delle sfide, della comunione ecclesiale e della testimonianza cristiana, guardano al futuro e scrivono: «La nostra situazione attuale, di presenza piuttosto ridotta, è una conseguenza della storia. Ma noi, con il nostro comportamento, possiamo migliorare il nostro presente e anche il futuro. Da una parte, le politiche mondiali sono un fattore che influirà sulla nostra decisione di restare nei nostri Paesi o di emigrare. Dall’altra, l’accettazione della nostra vocazione di cristiani nelle e per le nostre società sarà un fattore principale della nostra presenza e testimonianza nei nostri Paesi» (n. 87). E infine si affidano ad un auspicio: «La speranza, nata in Terra Santa, anima tutti i popoli e le persone in difficoltà del mondo da 2000 anni. Nel mezzo delle difficoltà e delle sfide, essa resta una fonte inesauribile di fede, carità e gioia per formare i testimoni del Signore risorto, sempre presente tra la comunità dei suoi discepoli. In tutti i nostri Paesi, questa speranza ci sostiene, con la parola di Gesù: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno" (Lc 12, 32)» (n. 89).
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