Il martirio della pazienza è frutto di una riflessione a cui il cardinale Casaroli ha dedicato un lavoro personale e accurato, condotto con rigore e acribia negli ultimi suoi anni. È la narrazione dei rapporti tra la Santa Sede e i regimi comunisti dellÂÂEuropa dellÂÂEst, un racconto pacato, vigile, discreto, corretto nellÂÂesporre i fatti, onesto nel documentarli senza celare difficoltà e obiezioni. Una vicenda storica che parte dal 1963 e arriva al 1989.
È la cosiddetta Ostpolitik della Santa Sede, contrassegnata da tre fasi. La prima, dal 1945 al 1963, è lÂÂantefatto della narrazione, che il cardinale Casaroli chiama "abominatio desolationis", con gli arresti, le condanne, la relegazione di un gran numero di vescovi, sacerdoti, persone religiose e in primo luogo di Mons. Stepinac, del Card. Mindszenty, di Mons. Beran e Mons. Wyszynski, la rottura drastica delle relazioni diplomatiche fra i governi dellÂÂEuropa dellÂÂest e la Santa Sede, e delle relazioni ecclesiali tra questa e i vescovi e le comunità cattoliche. Agli inizi degli anni sessanta molti pastori erano incarcerati o confinati, i monasteri e le case religiose confiscate, i seminari chiusi o ridotti al minimo, le scuole cattoliche e le organizzazioni di carità e apostolato soppresse; le curie vescovili erano governate o controllate da commissari governativi; mentre infuriava una pesante propaganda ateistica nei mass media e nelle scuole, ed erano attuate discriminazioni sistematiche dei credenti nelle scuole e nelle università, nelle amministrazioni, nelle aziende e in ogni manifestazione della vita sociale.
Giovanni XXIII, che aveva appena aperto il Concilio Vaticano II, sentiva profondo il desiderio di aprire una breccia in questo isolamento. Nacquero, voluti da lui, i primi approcci ad opera del Card. Koenig e di Mons. Casaroli: al primo venne affidata una missione di solidarietà verso i pastori di quei paesi che erano legati allÂÂAustria da una storia comune, al secondo il tentativo di una soluzione negoziata dei casi Mindszenty e Beran.
Nel racconto emergono subito tre grandi figure: il Card. Mindszenty, che impersonava la tragedia della Chiesa e del popolo ungherese; Mons. Beran, Arcivescovo di Praga, mite protagonista di una duplice resistenza al nazismo e al comunismo; e il Card. Wyszynski, che dopo tre anni di relegazione aveva ripreso a guidare con vigore impavido e ardente la resistenza a un regime che era in contrasto con tutta la tradizione religiosa e storica della nazione polacca.
Accanto a queste tre figure di pastori tre grandi pontefici: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II.
Giovanni XXIII, tutto proteso a cogliere le misteriose vie della Provvidenza per tentare qualche cosa di nuovo che favorisse un cambiamento. Paolo VI che, pur rendendosi conto che il dialogo con i regimi comunisti era difficile per non dire impossibile, affrontava "in nomine Domini" un dovere morale che sentiva incombente al suo ministero: portare soccorso ad una Chiesa che parlava solo con la sua sofferenza, e darle energie per un respiro lungo nella incerta durata del comunismo ateo. EÂÂ durante il pontificato di Paolo VI che si svolge tutta la prima fase più faticosa della Ostpolitik, e cioè il negoziato relativo alla situazione del Card. Mindszenty e alla possibilità di nominare vescovi in Ungheria, le estenuanti interminabili trattative col governo cecoslovacco, che si protrassero fino alla caduta del muro, lÂÂaccordo di Belgrado col governo di Tito, e infine le conversazioni col governo polacco. In quegli anni in Polonia emerge il capolavoro del Card. Wyszynski con le celebrazioni per il millennio del battesimo della nazione (1966) e con il messaggio profetico di riconciliazione, inviato dallÂÂepiscopato polacco a quello tedesco, per accordare e chiedere perdono per le guerre e gli odi che avevano contrapposto i due popoli. E si registrò allora anche il rifiuto del governo a un viaggio di Paolo VI, anche solo per un pellegrinaggio brevissimo a Czestochowa. Seguì la visita di Mons. Casaroli alle diocesi polacche nel 1967, che lo portò a Cracovia per un incontro cordiale e significativo col Card. Wojtyla.
Nel pontificato di Paolo VI prende avvio anche lÂÂesperienza multilaterale della Santa Sede nella conferenza di Helsinki (1973-75), quando la delegazione vaticana ottiene un esplicito riconoscimento della libertà religiosa (7° principio dellÂÂAtto finale), che offrì una formale legittimazione alle richieste della Chiesa nei negoziati bilaterali coi singoli governi. Il pontificato si concludeva con la richiesta fatta dal Papa al corpo diplomatico nel gennaio 1978 a che i cattolici, e i credenti di ogni confessione, "potessero beneficiare" dello spazio dovuto di libertà per la loro fede nelle sue espressioni sia personali sia comunitarie. Questa richiesta solenne sembrò avere il valore profetico di una consegna morale data da Paolo VI al suo successore.
NellÂÂottobre del 1978 lÂÂelezione di Giovanni Paolo II introduceva delle novità di grande rilievo nei rapporti con lÂÂEst: 1) lÂÂesperienza personale di un Pastore che aveva sofferto le oppressioni e le ingiustizie della sua gente; 2) lÂÂaffermazione, contenuta nella enciclica Redemptor hominis, che i diritti dellÂÂuomo e le libertà fondamentali hanno unÂÂunica radice nella dignità della persona e costituiscono il criterio di verifica per la legittimità dei regimi di qualsiasi paese; 3) la fierezza della nazione polacca che rivendicava la restituzione della propria dignità cristiana. Fu una sfida a tutto campo che il Papa venuto dallÂÂEst lanciò allÂÂURSS e agli altri regimi comunisti, mentre i negoziati con i governi proseguirono con più forte impulso, sempre sotto la guida del Card. Casaroli, divenuto segretario di stato.
Dalla narrazione minuziosa e pacata dei complessi negoziati con i singoli regimi, è interessante raccogliere di Mons. Agostino Casaroli non solo la pazienza instancabile, perseverante, collaudata da una grande esperienza diplomatica, ma anche la sua fede sacerdotale, che egli esprime con un salmo che gli era familiare: "Saldo è il mio cuore, o Dio, saldo è il mio cuore ÂÂ
voglio destare lÂÂaurora" (salmo 56). Egli voleva far sorgere lÂÂaurora di una luce di speranza nelle tenebre che gravavano su quelle Chiese. Nello stesso tempo lÂÂintelligenza acuta, finissima, dava a lui il senso delle cose possibili e la priorità delle cose necessarie. Egli riteneva che il soccorso più urgente per quelle comunità oppresse fosse nellÂÂassicurare la possibilità di una loro comunicazione con la Santa Sede, la quale a sua volta potesse dare alle diocesi prive di pastore vescovi moralmente degni, fedeli alla Chiesa che, accettati dai governi, provvedessero alla cura pastorale della maggioranza dei credenti, che altrimenti sarebbero rimasti senza possibilità di avere una vita religiosa e sacramentale.
Il confronto tenace, spesso durissimo di quelle trattative riguardava quindi la pretesa dei funzionari governativi di strappare la nomina di ecclesiastici legati al regime a cui si contrapponeva la resistenza ad oltranza della Santa Sede per ottenere che fossero accettate soltanto persone in grado di essere vescovi degni, animati da sicura ispirazione pastorale. Le nomine ecclesiastiche, che il sistema di durissimo giurisdizionalismo dei regimi comunisti voleva utilizzare per fare della Chiesa un "instrumentum regni", furono il fulcro di un braccio di ferro condotto con tenace intransigenza oltre venticinque anni, al fine di assicurare alla Chiesa e alla vita religiosa un respiro di sopravvivenza, con una sfida rivolta al futuro. "EÂÂ per porre rimedio a così doloroso stato di cose, per correggerne il corso nel senso della giustizia, che la Santa Sede ha intrapreso un dialogo attivo e instancabile, paziente, franco, tanto fermo nellÂÂaffermazione dei principi e del buon diritto della Chiesa e dei credenti quanto pronto alle intese oneste e leali che con quei principi siano conciliabili" disse Paolo VI al collegio dei cardinali il 21 giugno 1976. Queste "intese oneste e leali" erano rivolte a ricuperare spazi di preghiera, possibilità di formazione per la catechesi, diffusione di idee come la dignità della persona e la libertà di coscienza, che erano in contrasto con lÂÂideologia e lÂÂorganizzazione del mondo comunista. In tal modo questa azione paziente e instancabile contribuì, nel lungo tempo, come ha rilevato una studiosa di valore, Helene Carrère dÂÂEncausse, a operare quella "erosione del sistema" dei regimi comunisti, che li colpiva proprio in ciò che essi consideravano essenziale per la loro ideologia, il "controllo degli spiriti".