RICEVIMENTO DEL PREMIO “GIOVANNI PAOLO II” PER LA PACE DISCORSO DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE, Associazione Anassilaos, Reggio Calabria
Cari amici, sono lieto di trovarmi ancora una volta in terra di Calabria, nel capoluogo della vostra Regione, ricca di storia e di nobili tradizioni, per prendere parte a questa suggestiva cerimonia promossa dalla benemerita Associazione Anassilaos, nel segno dei valori più autentici che hanno fecondato l’arte e la cultura di questo territorio. Vi saluto tutti con affetto, ad iniziare dal Pastore di questa Arcidiocesi, l’Arcivescovo Metropolita Mons. Vittorio Mondello. Con lui saluto gli altri cari Fratelli nell’episcopato e nel presbiterato, impegnati nel servizio pastorale alle comunità cristiane della Calabria, per trasmettere la fiaccola della fede alle generazioni di oggi e di domani. Un deferente saluto rivolgo alle Autorità civili e militari, ai rappresentanti della varie realtà associative della Regione e specialmente al Comitato di Presidenza del “Premio Anassilaos arte, cultura, economia e scienze”, che mi ha invitato per consegnarmi un significativo riconoscimento: il Premio per la Pace, intitolato al Beato Giovanni Paolo II. Grazie per questo apprezzato e cortese gesto, che accetto volentieri! In esso vedo l’espressione dei profondi sentimenti di amore alla Chiesa e ai valori spirituali delle genti di Calabria, ancorate alle proprie radici, specialmente ai fondamenti cristiani della loro storia. Nel contesto di questo incontro, mi sembra quanto mai significativo proporvi una riflessione circa alcune linee del magistero del Beato Giovanni Paolo II a proposito della pace. Nel vasto panorama degli insegnamenti di questo grande Pontefice, il tema della pace è stato qualificante sia perché strettamente connesso con la sua vicenda personale, segnata dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, sia perché innovativo, per taluni aspetti. Specie negli ultimi scampoli del tormentato secolo ventesimo e agli albori del terzo millennio cristiano, il suo magistero riprende e aggiorna, con accenti inediti, alla luce del nuovo scenario internazionale, l'eredità dei Papi che l’hanno preceduto. Alcune celebri espressioni dei suoi Predecessori, infatti, s'intrecciano nella predicazione di Giovanni Paolo II. Penso al «Mai più la guerra!» del Servo di Dio Paolo VI, alla Pacem in terris del Beato Giovanni XXIII, al “Nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra” del venerabile Pio XII, il primo Papa a dare consistenza a un pensiero critico nei confronti della guerra, il quale proclamò queste pregnanti parole poco dopo l’elezione, un mese prima dell’invasione della Polonia da parte di Hitler. Nella prima Enciclica del suo pontificato, la Redemptor hominis, del 4 marzo 1979, Giovanni Paolo II individua nel rispetto dei diritti umani la via maestra per assicurare la pace tra i popoli. «In definitiva – scrive il Pontefice – la pace si riduce al rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo, mentre la guerra nasce dalla violazione di questi diritti». Questo legame tra giustizia e pace costituirà il punto nodale degli innumerevoli interventi pontifici per la realizzazione della pace nel mondo, sia in ambito locale e regionale, sia in prospettiva mondiale. Un magistero ricchissimo, quello di Giovanni Paolo II, a cominciare dai suoi messaggi per la Giornata Mondiale della Pace, che si celebra ogni anno il 1° gennaio. Altrettanti moniti a una pacifica convivenza tra i popoli, altrettanti richiami al dovere della pace. Pagine di un ‘sillabario’ sulla concordia da sfogliare con attenzione, dove è chiaro l'intento pedagogico, come nel messaggio del 1979: “Per giungere alla pace, educare alla pace”, e in quello del 2004: “Un impegno sempre attuale: educare alla pace”. Se è vero che la Giornata Mondiale della Pace è diventata una risorsa per tutta l'umanità, anno dopo anno, per merito del Papa, non meno importante per la causa della pacifica convivenza tra i popoli è la tradizionale Udienza riservata al Corpo diplomatico presso la Santa Sede nei primi giorni di gennaio. Occasione privilegiata che Giovanni Paolo II ha sempre sfruttato per uno sguardo a tutto campo sulla situazione internazionale e per dare un personale contributo alla concordia tra le nazioni. In questi suoi discorsi è possibile leggere in filigrana l'ansia del Pastore della Chiesa universale per la promozione della pace, della giustizia e della solidarietà nella comunità internazionale. Non soltanto parole, ma anche fatti concreti accompagnano gli anni del pontificato wojtyliano, come provano i viaggi a popoli in guerra o visite in zone sconvolte dal terrorismo, le iniziative collaterali e la dottrina del dovere da parte della comunità internazionale di fermare le guerre disarmando l'aggressore. Per favorire una nuova era di concordia, Giovanni Paolo II si è speso senza risparmio, compiendo viaggi internazionali, incontrando capi di Stato e di Governo, uomini di cultura ed esponenti di spicco della società civile, non lesinando messaggi perfino ai Parlamenti nazionali. Dalla guerra delle isole Falkland al conflitto in Bosnia, dalla guerra del Golfo alla crisi Usa-Iraq, dall'area mediorientale a quella dei Grandi Laghi in Africa: non c'è zona infuocata del pianeta che non abbia ricevuto attenzione dal Papa. In questo disegno rientrano a pieno titolo le tre giornate mondiali di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo, ad Assisi, nel 1986, nel 1993 e poi nel 2002. Tre tappe essenziali nel pontificato, scandite dalla preghiera, dal pellegrinaggio e dal digiuno, in cui per la prima volta le parole e i gesti di tutte le tradizioni religiose si associano in un'unica invocazione di pace. Tra i vari interventi di pacificazione promossi dal Beato Giovanni Paolo II, appare molto significativo quello nei Balcani. Quando la gravissima crisi politica scoppiata nel cuore dell'Europa assume i connotati di una guerra a sfondo etnico, egli interviene con vigore per richiamare il rispetto dei diritti di ogni persona e di ogni comunità nazionale. Nello spazio di poco meno di un anno, dal 30 gennaio 1991 al 13 gennaio del 1992, il Successore di Pietro leva la sua voce per ben 37 volte durante la prima fase della crisi jugoslava. Alla preghiera dell'Angelus di domenica 21 luglio 1991, dal Palazzo apostolico di Castel Gandolfo, afferma: «Uno scontro armato di più ampie proporzioni tra questi due popoli sarebbe, infatti, una inutile catastrofe per la Jugoslavia, che potrebbe avere gravi ripercussioni in Europa». Quando lo spettro del conflitto si allarga anche al Kosovo, egli fa di tutto per richiamare le parti in causa alla ragione. Le atrocità perpetrate in Bosnia ed Erzegovina furono tali, però, che spinsero Giovanni Paolo II a prendere nettamente posizione in favore del diritto-dovere di ingerenza umanitaria. Al riguardo, nel discorso rivolto alla XXVI Conferenza della FAO, afferma: «All'interno della comunità internazionale sta quindi maturando l'idea che l'azione umanitaria, lontano dall'essere un diritto dei più forti, debba essere ispirata dalla convinzione che l'intervento, o persino l'ingerenza quando le situazioni obiettive lo richiedono, è una risposta all'obbligo morale di soccorrere individui, popoli o gruppi etnici» (Discorso alla XXVII Conferenza della FAO, 11 novembre 1993, n.5). L’azione del Beato Giovanni Paolo II in favore della pace si fa insistente in occasione della prima guerra del Golfo, definita «un'avventura senza ritorno» (Messaggio Urbi et Orbi, 25 dicembre 1990); e diventa pressante durante la seconda guerra del Golfo, quando invia suoi rappresentanti personali, i Cardinali Roger Etchegaray a Baghdad e Pio Laghi a Washington, intensificando altresì i colloqui con i maggiori leaders europei. Il 16 marzo 2003, poi, pronuncia queste vibranti parole davanti alla folla riunita per la preghiera dell'Angelus in piazza San Pietro: "Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest'esperienza: "Mai più la guerra!", come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità. E quindi preghiera e penitenza!" (Angelus, 16 marzo 2003). Questi ripetuti e appassionati interventi contribuirono in modo decisivo a dimostrare l'estraneità dell'aspetto religioso da quel conflitto, specialmente all'opinione pubblica araba o di fede islamica. Un elemento significativo, e per certi versi nuovo, del magistero di pace di Papa Wojtyla è quello del perdono. Nel messaggio per la Giornata Mondiale del 1° gennaio 2002 è contenuta infatti una novità nel pensiero teologico del Papa sulla pace. In questo messaggio, che giunge all’indomani della data spartiacque dell’11 settembre 2001, egli afferma: «La vera pace è frutto della giustizia, …ma poiché la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, esposta com'è ai limiti e agli egoismi personali e di gruppo, essa va esercitata e in certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati. ... Il perdono non si contrappone in alcun modo alla giustizia, perché non consiste nel soprassedere alle legittime esigenze di riparazione dell'ordine leso». In questo Messaggio non viene proposto solo il consueto invito all’esercizio della virtù personale del perdono – la Chiesa ha sempre detto a tutti i cristiani di perdonare i nemici –. Qui si tratta di proporre il perdono considerandolo nel livello politico, cui l’atteggiamento della riconciliazione può giungere. Viene posta l’attenzione della comunità cristiana e civile alla necessità della giustizia e del perdono a livello politico. In questo senso è nuovo il concetto di perdono; infatti il Papa precisa: «Solo nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono si può sperare in una politica del perdono e una politica del perdono che deve essere espressa in atteggiamenti sociali e in istituti giuridici nei quali la stessa giustizia assuma un volto umano» (n. 8). Il passo è significativo e importante perché non si può solo accontentarsi di usare definizioni classiche, di ricercare la pace attraverso il diritto. Neppure è sufficiente fermarsi al pacifismo sociale, nelle due diverse accezioni di sostegno della rivoluzione sociale e della eliminazione delle ingiustizie. Occorre mettere in campo il perseguimento ostinato e dotato di strumenti concreti del perdono a livello di polis. Un altro elemento che ha contraddistinto lo stile con cui Giovanni Paolo II durante il suo pontificato ha esortato i fedeli di tutto il mondo alla pace, è quello di spronare i singoli a trasformarsi in operatori di pace, coraggiosi e responsabili. Scorrendo i testi dei Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace di quegli anni, vi si trovano citate con particolare attenzione tre categorie di persone cui il Papa assegna un ruolo di grande importanza e incisività. A) I giovani: fu in occasione di uno dei primi Messaggi (1985) che Giovanni Paolo II tratteggiò l’irrinunciabile ruolo delle nuove generazioni, alle cui fondamentali scelte morali è legato il futuro della pace e quindi dell’umanità intera. B) La donna: basandosi sulla considerazione da lui stesso già espressa nella lettera apostolica Mulieris dignitatem, secondo la quale alla donna è affidato da Dio in maniera speciale l’essere umano, Giovanni Paolo II invita ogni donna ad assumere il ruolo di educatrice di pace. In profonda comunione e perfetta reciprocità con l’uomo, la donna deve essere messa nelle condizioni di trasmettere in pienezza i suoi doni all’intera comunità, per aiutarla a riflettere meglio sulla sostanziale unità della famiglia umana. Proprio perché nel corso della storia umana la donna ha pagato il prezzo più alto della mancata realizzazione dell’originario progetto di Dio sulla coppia, può ora testimoniare l’anelito verso la pace e partecipare alla sua realizzazione, anche mediante l’assunzione di responsabilità pubbliche. C) I cristiani: al termine dei suoi Messaggi, Giovanni Paolo II si rivolge quasi sempre in maniera diretta ai fedeli cristiani, offrendo loro indicazioni concrete sul modo tipicamente cristiano di operare per la pace, la giustizia, la solidarietà, la libertà. L’impegno del cristiano si fonda sulla verità del Vangelo, la cui sorgente profonda è Gesù, Verbo di Dio incarnato: Egli «è la nostra pace» (Ef 2,14), è dono di pace per tutti gli uomini e dichiara beati gli operatori di pace (cfr. Mt 5,9). Ne consegue che, ad esempio, la libertà non deriva dall’uomo, ma si manifesta per un cristiano nell’obbedienza alla volontà di Dio e nella fedeltà al suo amore. Lo stesso vale per la giustizia e la solidarietà, che devono essere modellate sull’esempio di Cristo, sintetizzabile nella famosa regola d’oro: «Fate agli uomini tutto quanto voi vorreste che essi facciano a voi» (Mt 7,12). Secondo l’insegnamento di Giovanni Poalo II, al cristiano spetta anche il compito di riscoprire la forza della preghiera: essa permette di accogliere la grazia che trasforma i cuori e impegna a conformare la propria vita alla Parola di Dio. Ma pregare è anche entrare nell’azione di Dio sulla storia, parteciparvi con l’intercessione e l’instancabile impegno personale. Cari amici, come l’alto magistero di pace del Beato Giovanni Paolo II - che è stato un dono di Dio – si è posto in continuità con le linee essenziali dei suoi Predecessori, così il luminoso e fecondo insegnamento sulla pace del nostro Santo Padre Benedetto XVI segue le grandi traiettorie dottrinali di quanti lo hanno preceduto sulla Cattedra di Pietro. In particolare, Papa Benedetto XVI, ponendo puntuale attenzione ai grandi valori universali che accomunano le religioni, le culture e i diversi sistemi di pensiero, ha individuato in un valore assoluto, la verità, il fondamento della pace. Nel solco del Beato Giovanni Paolo II, l’attuale amato Sommo Pontefice non si stanca di richiamare i cristiani alla centralità di Gesù che, abbattendo ogni muro di separazione, mostra la possibilità reale, concreta e non generica di un impegno per la pace universale, senza la quale «è a rischio il futuro del pianeta» (Messaggio Urbi et Orbi, Natale 2005). In comunione con il Santo Padre Benedetto XVI e certi della celeste intercessione del Beato Giovanni Paolo II, eroico testimone di giustizia e di pace, sforziamoci, ognuno per la propria parte, di essere dappertutto costruttori della pace vera. Può essere portatore di pace chi la possiede in se stesso, così da testimoniarla anzitutto nel proprio comportamento di ogni giorno, vivendo in accordo con Dio e facendo la sua volontà, espressa sinteticamente nei dieci comandamenti. I portatori di pace saranno autentici pacificatori in quanto si sforzeranno di creare legami, di stabilire rapporti fra le persone, appianando tensioni che incontrano in tanti ambienti di famiglia, di lavoro, di scuola, di ritrovo. Realizzeranno così la beatitudine evangelica: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).
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