CONCLUSIONE DELL'INCONTRO INTERNAZIONALE DEGLI ORDINARI MILITARI OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE, Cappella Paolina
Venerati Confratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio, Siamo radunati attorno all’Altare del Signore, nella memoria liturgica del Beato Papa Giovanni Paolo II, che venticinque anni or sono ci donò la Costituzione Apostolica Spirituali militum curae, raccomandando alla Chiesa “di voler provvedere con lodevole sollecitudine, secondo le diverse situazioni, alla cura spirituale dei militari (…) che hanno bisogno di una concreta e specifica forma di assistenza pastorale” (Preambolo). Proprio alla luce di quel monito siamo riuniti oggi, nella suggestiva cornice della Cappella Paolina del Palazzo Apostolico, per questa Celebrazione Eucaristica con gli Ordinari Militari giunti a Roma per il loro Convegno internazionale e con i Cappellani che prendono parte al III Corso di formazione al diritto umanitario. Rivolgo innanzitutto il mio cordiale saluto a tutti i presenti, assicurando nello stesso tempo la spirituale vicinanza del Santo Padre Benedetto XVI, che ci accompagna con uno speciale ed orante ricordo. La liturgia della Parola della memoria del Beato Giovanni Paolo II ispira quest’oggi la nostra riflessione e ci consente di individuare diversi spunti per meditare. La prima Lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, parlando dell’annuncio della salvezza benedice colui che Dio ha inviato quale “messaggero di lieti annunzi”. Questo messaggero è definito dalla sua triplice funzione: egli annunzia il regno di Dio, annunzia la salvezza ed infine la pace. Il nostro pensiero corre subito in questo momento proprio al Pontificato del Beato Giovanni Paolo II, il quale, attraverso i suoi innumerevoli viaggi in ogni angolo del pianeta, ha incarnato la figura di tale messaggero, i cui piedi sono benedetti dalla Sacra Scrittura perché portano il regno, la salvezza e la pace. Il brano del Vangelo di Giovanni, invece, attira l’attenzione sul rapporto singolare che sussiste tra il Signore Gesù e l’apostolo Pietro. Siamo nel contesto delle apparizioni del Risorto, e precisamente nella terza apparizione, avvenuta sulle sponde del lago di Tiberiade. Dopo la dura prova della passione e della croce, che aveva fatto cadere anche Simon Pietro a motivo della fragilità umana, il Signore esige da lui una confessione definitiva di amore e fedeltà prima di affidargli la missione di pascere il gregge e di farsi annunciatore del regno di Dio, della sua salvezza e della pace. Sant’Agostino, nel commentare questo brano evangelico, così interpreta la triplice domanda del Risorto a Pietro: “Mi ami più di costoro?”. Colui che per tre volte lo aveva rinnegato, quasi per compensazione per tre volte doveva professare il suo amore. Con un’analisi più precisa dei vocaboli utilizzati, notiamo come si sviluppa questo singolare dialogo di Gesù con Pietro. Nella prima e nella seconda domanda Gesù usa il verbo αγαπάω, mentre Pietro risponde entrambe le volte con un altro verbo, φιλέω. La differenza tra i due verbi è notevole: quello usato da Gesù indica un amore intenso e incondizionato, di cui solo Dio è in realtà capace. Ben diverso è il senso del secondo verbo, che utilizza Pietro nella risposta e che potremmo tradurre con “ti voglio bene”: esso indica certo un amore intenso, ma non proprio incondizionato. In questa distinzione, cari Fratelli, possiamo scorgere la differenza profonda che esiste tra l’amore di Dio e quello degli uomini. Dio ama l’uomo senza alcun condizionamento, ma l’amore con il quale l’uomo ricambia l’amore di Dio è invece segnato dal peccato e dalla condizione creaturale. Ed ecco allora l’intuizione del Signore: nel rivolgere a Pietro, per la terza volta, la stessa domanda, il verbo diventa quello usato da Pietro, φιλέω. Ciò sembra voler esprimere che Gesù “abbassa” con misericordia e benevolenza la sua richiesta al grado che l’uomo è capace di offrire: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. Di qui la risposta, questa volta quasi addolorata, di Pietro: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Il primato che il Signore attribuisce all’apostolo Pietro trova dunque conferma in questo testo dell’ultimo capitolo del quarto Vangelo. Cristo affida a Pietro la missione di pascere e guidare il suo gregge. Il gregge infatti non appartiene al Pastore, ma al Signore: al Pastore è richiesto tuttavia un amore oblativo necessario a guidare il gregge. Continuando nella lettura attenta dello stesso brano, questo quadro viene confermato: il Signore, nelle sue tre domande, parla prima di agnelli (αρνία) e poi di pecore (πρόβατα) e i verbi usati sono rispettivamente “condurre” e “nutrire”. Ne consegue che la missione del Pastore consiste nel nutrire quelli che non sono ancora adulti e condurre quelli che sono ormai maturi. E in base al rapporto che il Pastore ha con il Signore si comprende il tipo di relazione che instaurerà con il gregge. Indubbiamente il Beato Giovanni Paolo II ha saputo incarnare i tratti specifici del Buon Pastore, ed è per questo che oggi ne celebriamo la memoria liturgica. Tuttavia, lo stesso zelo e lo stesso amore è richiesto ad ogni Pastore, di ogni luogo e di ogni tempo, per diventare realmente messaggero del regno di Dio, della salvezza e della pace. Parlando a voi, cari Confratelli, che siete chiamati a guidare la porzione di popolo di Dio presente nelle forze armate, non posso non insistere sul terzo annuncio del messaggero di cui parla Isaia, quello in favore della pace. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). L’impegno della Chiesa in favore della pace scaturisce dal desiderio stesso del suo Fondatore, per cui alle forze armate spetta la garanzia dell’ordine e della sicurezza delle persone, la difesa da ogni aggressione, il rispetto dei diritti individuali e collettivi, ma mai la volontà di guerra, di aggressione, di sopraffazione. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nella terza parte, quella morale, nella sezione sul quinto comandamento tratta a lungo della difesa della pace come compito prioritario dei governi e delle forze armate (CCC 2302-2317). Esso rimanga una guida autorevole del vostro ministero come Pastori impegnati in questo campo. Non è un compito facile quello di predicare la mitezza e la pace in un contesto armato, ma è auspicabile per renderlo più umano e più cristiano. Il Salmo responsoriale che abbiamo pregato costituisce un invito, rivolto agli uomini di tutta la terra, ad elevare un canto gioioso al Signore: “Cantate al Signore, benedite il suo nome, annunciate di giorno in giorno la sua salvezza” (Sal 96,2). Questo invito gioioso pervada il nostro spirito perché sempre, con gioia, abbiamo la forza di annunciare la salvezza e le meraviglia del Signore. Affidiamoci infine all’intercessione del Beato Giovanni Paolo II e della Vergine Maria, la Regina della pace, affinché la nostra riposta all’amore di Dio sia sempre all’altezza di un cuore convertito, come quello di San Pietro, vero pastore del gregge e autentico messaggero del regno di Dio, della salvezza e della pace. Così sia.
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