APERTURA DEL VI CONGRESSO MONDIALE OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE, Basilica di San Pietro
Cari fratelli e sorelle, grazie per avermi invitato a presiedere questa santa Eucaristia con cui si apre il VI° Congresso mondiale della pastorale per i Migranti e i Rifugiati. Un saluto cordiale a tutti voi, che attivamente vi adoperate per un servizio quanto mai attuale e non facile, a cui la Chiesa guarda con molta attenzione, data l’importanza che riveste, in questo momento della nostra storia, il fenomeno dei migranti e dei rifugiati. Un saluto affettuoso lo rivolgo in primo luogo a Sua Eccellenza Monsignor Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti, al Segretario, Sua Eccellenza Monsignor Agostino Marchetto, e agli altri collaboratori del Dicastero. Durante questa celebrazione eucaristica il nostro pensiero va, in modo speciale, ai nostri fratelli e sorelle coinvolti nel complesso fenomeno migratorio, molti dei quali versano in serie difficoltà e sono costretti ad affrontare ostacoli e contrarietà di vario genere, come pure alle organizzazioni e associazioni che lavorano in questo ambito pastorale. La Chiesa è vicino a loro, a ciascuno di loro e la vostra partecipazione a questo congresso ne costituisce un segno eloquente e tangibile. Il Papa Benedetto XVI ha espresso in vari modi la costante sollecitudine che la Chiesa nutre nei confronti di coloro che vivono l’esperienza dell’emigrazione. Nell’Enciclica Caritas in veritate ha scritto che il fenomeno migratorio impressiona per il numero di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale, ed ha ribadito con forza che il migrante è una persona umana con diritti fondamentali inalienabili da rispettare sempre da parte di tutti (cfr Caritas in veritate, n. 62). L’odierna festa della Dedicazione della Basilica Lateranense, Cattedrale di Roma, ci può offrire un utile spunto di meditazione ben in sintonia con il vostro Congresso. La liturgia ci invita a meditare sulla comunione di tutte le Chiese sotto la guida del Successore di Pietro; per analogia, ci esorta a costruire un’umanità che abbatta le frontiere dell’odio e dell’indifferenza per costruire ponti di comprensione e di integrazione al fine di fare del mondo intero una sola famiglia di popoli riconciliati tra di loro, fraterni e solidali. Di questa nuova umanità la Chiesa è segno ed anticipazione, specialmente quando vive e diffonde con la sua testimonianza il messaggio evangelico, annuncio di speranza e di riconciliazione per tutti gli uomini. La parola di Dio che abbiamo ascoltata è tutta un invito a vedere nella chiesa materiale, fatta di pietre, l’edificio spirituale costituito di pietre vive poggiate saldamente sulla pietra angolare che è Cristo risorto. Edificio sacro siamo noi, aggiungerebbe l’apostolo Paolo, che “un sapiente architetto” costituisce in modo misterioso. Per il completamento di questo edificio è indispensabile la collaborazione di tutti in modo che “ciascuno sia attento a come costruisce”. Il Vangelo ci invita a focalizzare lo sguardo su Cristo: in Lui il Cielo si incontra con la terra, Dio abbraccia l’umanità e possiamo allora comprendere la nostra vera vocazione di figli del Padre celeste, il cui volto ci è stato rivelato nel suo Figlio unigenito morto in croce e risorto per la nostra salvezza. E’ Gesù Cristo il vero tempio nel quale l’intera umanità trova la sua autentica unità. Possiamo ancora aggiungere che la chiesa, come costruzione materiale, è simbolo della comunicazione dei beni salvifici di Dio agli uomini. Il prefazio dell’odierna solennità ci fa pregare così: o Signore, “Tu ci hai dato la gioia di costruirti fra le nostre case una dimora, dove continui a colmare di favori la tua famiglia pellegrina sulla terra e ci offri il segno e lo strumento della nostra unione con te”. La tua famiglia pellegrina sulla terra… Torna qui il nostro pensiero al vostro convegno e alle tematiche che esso affronterà: “Una risposta pastorale al fenomeno migratorio nell’era della globalizzazione”, a cinque anni dal documento “Erga migrantes caritas Christi”, che già nel suo incipit indica lo stile e il cuore con cui bisogna accostarsi a queste problematiche. I discepoli di Gesù Cristo non devono mai dimenticare che il loro Signore e Maestro nel giudizio finale considererà riferito a Lui stesso tutto ciò che è stato fatto o negato “a uno solo di questi più piccoli” (cfr Mt 25, 40-45). Il grande vescovo san Gregorio Nazianzeno, ribadiva nei suoi “Discorsi” che: “Dio ha assunto in pieno la nostra umanità… Egli si è comunicato interamente a noi. Tutto ciò che egli è, è diventato completamente nostro. Sotto ogni aspetto noi siamo lui. Per lui portiamo in noi l’immagine di Dio dal quale e per il quale siamo stati creati. La fisionomia e l’impronta che ci caratterizza è quella di Dio… Conseguentemente passano in seconda linea le differenze e le distinzioni fisiche e sociali, che pur certamente esistono fra gli uomini” (Disc. 7 per il fratello Cesare). A partire proprio da tale considerazione, l’attenzione agli altri, ai poveri in particolare – e tra questi oggi ci sono certamente molti migranti e ancor più molti rifugiati -, costituisce un banco di prova della nostra fede; una fede che si deve tradurre in gesti di attenzione, di accoglienza, di compassione e di solidarietà. Giustamente si afferma che il fenomeno migratorio, nell’epoca della globalizzazione, interessa ormai tutto il mondo. A volte si descrive tale fenomeno solamente come un problema; occorre invece considerarlo con occhi di sano realismo e di motivato ottimismo. In fondo i migranti ci sono sempre stati nel corso della storia ed hanno contribuito, con i loro sacrifici, al benessere delle società che li hanno accolti. Essi costituiscono quindi una risorsa da valorizzare grazie all’apporto di tutti, nello sforzo reciproco di accettazione e di integrazione. Per noi cristiani, inoltre, l’accoglienza dei migranti rappresenta una sfida ma anche una preziosa opportunità pastorale e missionaria. La consapevolezza di appartenere all’unica Chiesa ci aiuta a saper interpretare questo fenomeno come “un segno” dei tempi moderni per costruire una Chiesa nella quale nessuno si senta straniero. Una Chiesa, che sia autentica famiglia universale, “popolo di redenti che formerà la Gerusalemme del cielo”. Così abbiamo pregato all’inizio della Santa Messa. Sia questa, pertanto, la prospettiva di fede che guida ogni nostra scelta ed azione pastorale. Ci aiuti Iddio ad operare instancabilmente per contribuire a fare del mondo la casa di tutti gli uomini senza distinzioni di razza e cultura, di religione e di fede politica. Ci ottenga questa grazia l’intercessione della santa Famiglia di Nazaret, che ha conosciuto i disagi e le fatiche dei migranti e dei rifugiati. Così sia!
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