CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE DEL OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE, Bellegra
Caro Monsignore, Per volere del Santo Padre Benedetto XVI questo anno, 150° dalla morte di san Giovanni Maria Vianney, è per tutta la Chiesa uno speciale “Anno Sacerdotale”. Di conseguenza, tutti i giubilei sacerdotali, che cadono in questo periodo, acquistano un significato particolare; ed uno speciale fervore spirituale si prova nel celebrarli. E’ quanto possiamo sperimentare anche noi oggi, ritrovandoci intorno all’altare del Signore per fare corona a Monsignor Amerigo Ciani, Prelato Uditore della Rota Romana, che ricorda il 50° anniversario della sua Ordinazione presbiterale, avvenuta nella Cattedrale di Santa Scolastica a Subiaco, il 9 luglio del 1959. Ti ringrazio, caro Monsignore, per avermi invitato a presiedere questa Eucaristia qui, nel tuo paese natale, dove ti circondano quest’oggi con gioia parenti e amici venuti da varie parti. A questi si unisce spiritualmente anche il Sommo Pontefice, del quale mi onoro di parteciparti le felicitazioni più sincere e gli auguri più cordiali per questa solenne ricorrenza. Soprattutto mi è gradito trasmettere a te, insieme a quanti ti fanno corona, la sua Benedizione apostolica. Il Santo Padre, per mio tramite, ti ringrazia per il servizio che in questi lunghi anni hai reso alla Chiesa, in modo speciale alla Santa Sede; un servizio che hai cercato di espletare con competenza e generosità, con amore e zelo apostolico. Caro Mons. Ciani, scorrendo il tuo curriculum vitae si vede quanto intensa sia stata in questi 50 anni la tua attività sacerdotale, che abbraccia vari campi: da quello pastorale a quello accademico, didattico ed artistico (vedo che hai fatto diverse mostre di pittura il cui ricavato è stato lodevolmente inviato a missionari). E che sia stato particolarmente fruttuoso il tuo ministero sacerdotale lo dimostra anche l’odierna partecipazione di Vescovi, di confratelli sacerdoti, di amici e di così tante persone. A tutti e ciascuno vorrei rivolgere con affetto il mio saluto. Siamo riuniti per un evento spirituale quanto mai significativo, e lasciamo che sia la parola di Dio a illuminarci la mente e il cuore. Le letture bibliche di questa XXV Domenica del Tempo Ordinario ci offrono una prospettiva quanto mai appropriata per il contesto dell’Anno Sacerdotale, che stiamo celebrando. Nel Vangelo vediamo Gesù che, attraversando la Galilea, vuole rimanere da solo con i suoi discepoli, in particolare con i Dodici. Deve insegnare loro molte cose. Deve istruirli, mentre sono in cammino verso Gerusalemme. Gesù sa che gli rimane poco tempo per stare con loro, almeno nella dimensione terrena. In quel tempo – a pensarci bene così breve! – Gesù dimostra una qualità fondamentale dell’educatore: la pazienza. I discepoli a volte la mettono a dura prova! Ma Egli sa approfittare di tutto, anche dei loro dubbi e dei loro errori, per farli riflettere e per trasmettere loro la sua parola, la volontà del Padre. Questo aspetto, prima ancora di ogni contenuto, è affascinante e invita a rimanere in meditazione, contemplando quel singolare mistero della vita del Signore Gesù che è la sua amicizia con i discepoli, un’amicizia nella quale naturalmente Egli era sempre il “Maestro” e si preoccupava di istruire ed educare i suoi con la parola e prima di tutto con l’esempio. In prospettiva sacerdotale, questo tempo di grazia che è la convivenza dei discepoli con Gesù Maestro è stato giustamente paragonato al Seminario, che, prima di essere un luogo, è essenzialmente un “tempo”, una fase della vita in cui il discepolo incomincia a “stare con” Gesù, per prepararsi a cooperare alla sua missione. Caro Mons. Amerigo, come non pensare, a questo proposito, agli anni della tua formazione, a Subiaco e ad Anagni? Come non ringraziare il Signore per tutte le persone che hanno contribuito alla tua preparazione, nei suoi vari aspetti? Specialmente siamo grati a Dio per le testimonianze di santità sacerdotale ricevute in quel tempo di grazia! – Come vedi, caro don Amerigo, uso il “noi”, perché mi immedesimo con te in questo ringraziamento: del resto, siamo quasi coetanei, e manca meno di un anno al mio 50° di Sacerdozio. Veniamo ora al contenuto centrale di questo insegnamento di Gesù, di questa sua opera formativa nei confronti dei discepoli. Ce lo ha ricordato recentemente il Papa Benedetto XVI, nell’omelia di sabato 12 settembre scorso, in occasione dell’Ordinazione di cinque nuovi Vescovi. Il Santo Padre ha detto: “Gesù ha riassunto tutti [questi] molteplici aspetti del suo Sacerdozio nell’unica frase: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Servire e in ciò donare se stessi; essere non per se stessi, ma per gli altri, da parte di Dio e in vista di Dio: è questo il nucleo più profondo della missione di Gesù Cristo e, insieme, la vera essenza del suo Sacerdozio” (in O.R. 13 sett. 2009, p. 8). L’essere servo come nucleo del sacerdozio. Lo ritroviamo nel Vangelo di oggi, là dove san Marco riferisce questo episodio così importante dell’opera educativa di Gesù con i suoi. Egli sa che lungo la strada avevano discusso su chi fosse tra di loro il più grande. C’era di che spazientirsi! Ma il Signore, con calma, si mette seduto – dettaglio significativo –, chiama i Dodici e insegna loro la sua norma sull’autorità: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (Mc 9,35). Questa norma, Gesù non si limita a darla ai discepoli perché la osservino, ma la mette in pratica in prima persona, Lui, “il Signore e il Maestro” (cfr Gv 13,12-15). Gesù Cristo rimane fedele fino alla fine alla logica del servizio. Anche quando si accorge dell’incomprensione che lo circonda, anzi, dell’irrisione e della violenza, Egli non cede. Nella sua Passione realizza le profezie del Servo di Jahweh, e anche la descrizione del “giusto” contenuta nel Libro della Sapienza, che abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr Sap 2,12.17-20). In piena e fiduciosa obbedienza alla volontà d’amore del Padre, Gesù ha portato a compimento l’antico sacerdozio nell’oblazione di se stesso, inaugurando il Sacerdozio della nuova Alleanza. Come dice il Salmo responsoriale: “Ecco, Dio è il mio aiuto, / il Signore sostiene la mia vita. / Ti offrirò un sacrificio spontaneo, / loderò il tuo nome, Signore, perché è buono” (Sal 54/53,6.8). Questo “sacrificio spontaneo” è Lui, Gesù. E con Lui, per sua grazia, possiamo esserlo anche noi cristiani, mediante i sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia; e in modo particolare noi sacerdoti, per il suo “affetto di predilezione” (cfr Prefazio della Messa Crismale), mediante il sacramento dell’Ordine: uniti a Lui, unico Sacrificio ed unico Sacerdote dei tempi nuovi. In presenza di un dono così grande, quale è il Sacerdozio cattolico, sentiamo anche noi tutta la verità di certe espressioni del Santo Curato d’Ars, come queste: “Il sacerdote non si comprenderà bene che in cielo … Se il sacerdote fosse ben compenetrato della grandezza del suo ministero, stenterebbe a vivere” (Il pensiero e l’anima del Curato d’Ars, a cura di B. Nodet, Torino 1967, p. 128). Cinquant’anni di vita e di ministero sacerdotale: che ricchezza inestimabile! Se già è un grande traguardo sul piano umano, che cosa può essere sul piano soprannaturale? Non abbiamo parole e nemmeno concetti per esprimerlo. E tuttavia, l’animo del sacerdote deve mantenersi umile. Ai Dodici Gesù addita un bambino come proprio alter ego, spiegando – in termini che dovettero suonare sconcertanti – che chi accoglie un bambino accoglie Dio stesso (cfr Mc 9,36-37). Se rimaniamo in questo atteggiamento di sincera umiltà, allora la nostra vita diventa un continuo rendimento di grazie, una lode a Dio per quanto ci ha donato: “Che cosa renderò al Signore / per tutti i benefici che mi ha fatto? / Alzerò il calice della salvezza / e invocherò il nome del Signore” (Sal 116/114-115),12-13). In conclusione, caro Mons. Amerigo, vorrei ritornare sull’immagine di Gesù “formatore”. Lo faccio anche perché l’attività formativa, in molteplici ambiti e forme, ha occupato buona parte del tuo ministero: ricordo in particolare l’impegno decennale nell’Ufficio catechistico diocesano di Roma; il lungo servizio come Segretario Generale, e per un certo periodo anche come Economo, nella Pontificia Università Lateranense; penso poi ai numerosi corsi di Catechesi ed Iconografia; all’organizzazione della formazione e dell’aggiornamento per insegnanti di religione e parroci di Roma e del Lazio; ma anche all’insegnamento delle materie letterarie e della religione nelle scuole di I e II grado, al lavoro con i giovani, gli scout, i gruppi familiari… L’attività formativa è tra le più esigenti, ma mantiene giovani! Ora, però, vorrei sottolineare che ciò che mantiene veramente giovane un prete – giovane di spirito – è la relazione personale e profonda con Gesù Maestro: quella relazione che inizia in Seminario e che si prolunga per tutta la vita. Da essa scaturisce, sempre nuova, la gioia di sentirsi costantemente discepoli; curati da Lui, seguiti, educati da Lui; la gioia di sapersi sempre in cammino con Lui, per imparare, scoprire e riscoprire, e naturalmente essere corretti, rimproverati – perché no? – e perdonati da Lui. Questo rapporto con Gesù vivo mantiene vivo il cuore del sacerdote, e vitale il suo ministero. Cari fratelli e sorelle, ringraziamo il Signore per l’odierna felice occasione di meditare su questo stupendo mistero, che merita di essere proposto ai giovani di ogni tempo. Possa l’odierna celebrazione, così solenne e familiare, suscitare nel cuore di qualche ragazzo il desiderio di seguire l’esempio di Mons. Ciani e avviarsi nel cammino che conduce al sacerdozio ministeriale. Ne ha tanto bisogno la Chiesa in questo nostro tempo! Invochiamo su don Amerigo e su tutti coloro che con affetto oggi lo circondano, la materna intercessione di Maria Santissima, Madre di Cristo sommo ed eterno Sacerdote e madre di tutti i sacerdoti. Invochiamo l’intercessione dei santi nostri patroni, del Santo titolare di questa vostra chiesa parrocchiale e di san Tommaso da Cori, vissuto nel convento di san Francesco e tanto caro alla devozione popolare di Bellegra. A te, caro Mons. Amerigo, che ci hai invitati a celebrare con te questo felice anniversario sacerdotale, vogliamo ripetere con cordiale amicizia sacerdotale: Ad multos annos! Ancora tanti anni ti conceda il Signore di salute e di vigore fisico e spirituale, perché possa continuare a servire con fedeltà e amore Cristo, la Chiesa e il Papa, desideroso di spendere la tua esistenza per il bene delle anime, che la Provvidenza divina ti farà incontrare. Noi ti accompagniamo con la nostra preghiera, particolarmente intensa in questa celebrazione eucaristica, che ora proseguiamo. Amen!
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