INCONTRO-DIBATTITO IN OCCASIONE INTERVENTO DEL CARD. TARCISIO BERTONE, Giovedì, 30 settembre 2008
RELIGIONE E POLITICA NELLÂÂERA GLOBALE Signor Presidente, 1. Ho accolto con piacere lÂÂinvito di Marta Dassù, Direttore di Aspen Institute Italia, e di altre importanti istanze istituzionali, a partecipare a questo incontro di altissimo livello, sul rapporto fra politica e religione nellÂÂera globale. Il tema, importante ed attuale, da tempo attira il mio interesse; in un certo senso è un argomento vasto come il mondo e, pertanto, ha coinvolto molti pensatori, uomini politici e uomini di Chiesa. Non vorrei, però, che qualcuno pensasse che, nel mondo globale, la Chiesa sta cercando di prevaricare sulla politica .pertanto, mi limiterò a condividere con voi alcune riflessioni ispiratemi dalla lettura dei ricchi e stimolanti dialoghi fra il Ministro Tremonti, Presidente di Aspen Institute Italia, ed il Presidente DÂÂAlema, nonché fra il Presidente Amato e lÂÂOn. Quagliarello. Entrambe le conversazioni compaiono sullÂÂultimo numero di Aspenia, appena pubblicato e dedicato proprio al rapporto fra religione e politica. Segnalo, anzitutto, la mia soddisfazione per aver riscontrato in tali dialoghi una certa convergenza sul fatto che, nellÂÂera globale, la politica ed il mercato non sono tutto; sono un mezzo, ma non il fine. Mi sembra, inoltre, positivo un confronto sulle modalità in cui combinare ragione e fede. In un mondo dai confini sempre più aperti, il dialogo non è una scelta ma una necessità! Non sono mai stato dÂÂaccordo con chi sostiene che la politica sia inutile, perché promette di costruire ponti anche dove non passa il fiume! Sono convinto, invece, che la politica sia necessaria. Ma credo che, per comunicare valori autentici, debba rispettare il ÂÂponte che collega ciascuno di questi valori con Dio. 2. Pertanto, il primo punto su cui desidero attirare lÂÂattenzione del qualificatissimo pubblico di questÂÂincontro è che i valori, di cui la politica si nutre, ben difficilmente possono essere rispettati vivendo etsi Deus non daretur. Nella distinzione dei ruoli, la politica ha bisogno della religione; quando, invece, Dio è ignorato, la capacità di rispettare il diritto e di riconoscere il bene comune comincia a svanire. Come ha detto Papa Benedetto XVI, nel suo recente viaggio apostolico in Francia, occorre «una cultura, per la quale il lavoro e la determinazione della storia da parte dellÂÂuomo siano un collaborare con il Creatore, prendendo da Lui la misura. Dove questa misura viene a mancare e lÂÂuomo eleva se stesso a creatore deiforme, la formazione del mondo può facilmente trasformarsi nella sua distruzione» (Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, 12 settembre 2008). Lo attesta lÂÂesito tragico di tutte le ideologie politiche, anche di segno opposto, e mi pare che lo confermi lÂÂodierna crisi finanziaria. Laddove si ricerca solo il proprio profitto, a breve termine e quasi identificandolo con il bene, si finisce per annullare il profitto stesso. Esiste certamente unÂÂetica ÂÂlaicaÂÂ, come spesso si dice, ossia non ispirata alla trascendenza. Essa merita attenzione, rispetto e sovente concorre al bene comune. Essa, però, rischia talvolta di assomigliare a quel tale che voleva uscire dalle sabbie mobili tirandosi per i capelli! In altre parole, non inspirandosi alla trascendenza finisce per essere più esposta alle fragilità umane ed al dubbio. Per questo motivo, nonostante nella nostra epoca si proclamino con particolare solennità i diritti inviolabili della persona, a queste nobili proclamazioni si contrappone spesso, nei fatti, una loro tragica negazione. Basti pensare alla povertà crescente, alla persistente imposizione di certi modelli culturali o economici, allÂÂintolleranza. In tale prospettiva, nel citato discorso il Santo Padre ha affermato: una «cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dellÂÂumanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi» (Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, 12 settembre 2008). In questa stessa linea, il Papa ha ricordato più volte che, se lÂÂIlluminismo era alla ricerca di fondamenti della morale validi ÂÂetsi Deus non dareturÂÂ, oggi dobbiamo invitare i nostri amici agnostici, anche quando si occupano della ÂÂcosa pubblicaÂÂ, ad aprirsi a una morale ÂÂsi Deus dareturÂÂ. In assenza di un punto di riferimento assoluto, infatti, lÂÂagire dellÂÂuomo si perde nellÂÂindeterminatezza e sovente finisce in balia delle forze del male. Non bisogna poi dimenticare che, nelle odierne società multi-etniche e multi-confessionali, la religione costituisce un importante fattore di coesione fra i membri e la religione cristiana in particolare, con il suo universalismo, invita allÂÂapertura, al dialogo ed allÂÂarmoniosa collaborazione. 3. Proseguendo nella riflessione, desidero aggiungere che la religione non è un rimedio, una sorta di ÂÂoppio dei poveri. NellÂÂodierno mondo politico capita che questa convinzione si trovi tanto a destra come a sinistra. Non credo, invece, che il ÂÂritorno a Dio debba essere circoscritto a quelle società che stentano a decollare o a quelle che, al contrario, sembrano costrette a frenare. AllÂÂorigine della conversione di S. Francesco, uno dei più grandi Santi e dei più famosi Italiani, non cÂÂè una vita di stenti e di espedienti, quanto piuttosto di agi e di una certa dissolutezza. E vero che la ricchezza ed il benessere rappresentano anche una tentazione: quando è domenica e cÂÂè il sole, chi ha una casa al mare ed una in montagna è tentato di andare là, piuttosto che in chiesa. Ma anche chi non le ha, spesso preferisce restare a dormire! Ciò che intendo dire è che, se la ricchezza o il potere costituiscono spesso una forte tentazione, perché è difficile gestirli senza attaccarvi il cuore, anche la povertà può spingere a fare a meno di Dio. In ogni modo, ricca o povera, influente o sconosciuta, ogni persona è fatta per Dio, che non manca di seguirla e di attirarla a sé. Si ricordi il famoso assioma del grande SantÂÂAgostino: «Ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Confessioni, I,1,1). 4. Facciamo un passo ulteriore. Desidero, cioè, sottolineare che, per gestire la globalizzazione, la politica non necessita soltanto di unÂÂetica ispirata alla religione, ma ha bisogno che tale religione sia razionale. Anche per questo, la politica ha bisogno del Cristianesimo. Fin dai suoi albori, infatti, alla luce della sua originaria novità, il Cristianesimo ha assunto, elaborato ed approfondito il meglio della sapienza greca e romana, presentandosi proprio come la vittoria del pensiero umano sul mondo delle religioni del tempo. Nel Cristianesimo, in un certo senso, la razionalità è divenuta religione, perché Dio non ha respinto la conoscenza filosofica, ma la ha assunta. S. Giustino, dopo aver studiato tutte le filosofie, aveva trovato nel Cristianesimo la vera philosophia. Era cioè convinto che, diventando Cristiano, non aveva rinnegato la filosofia; anzi, proprio allora era diventato pienamente filosofo. La forza che ha trasformato il Cristianesimo in una religione mondiale è consistita esattamente nella sua sintesi fra ragione, fede e vita. Questa combinazione, così potente da rendere vera la religione che la manifesta, è anche quella che può consentire alla verità del Cristianesimo di risplendere nel mondo globalizzato e nel processo di mondializzazione. A differenza di quanto sostengono alcuni politici e pensatori, il Cristianesimo non si accontenta di mostrare la parte della faccia che Dio tiene rivolta verso lÂÂOccidente, in quanto nella sua essenza esso è mondiale e, quindi, risponde perfettamente alle dinamiche dellÂÂodierno mondo globalizzato. La fede cristiana, quindi, non è una specie di optional dellÂÂOccidente, magari un po superato, quanto piuttosto un tesoro per il mondo presente ed un investimento per quello futuro. Anzi, personalmente lo ritengo lÂÂinvestimento migliore, perché è il più proficuo, quello che fruttifica per la terra e per il cielo! Vale infine la pena di sottolineare che la fede cristiana e la razionalità secolare, consapevoli di essere alleate e protagoniste della cultura occidentale, potrebbero utilmente correlarsi con le altre grandi culture, nelle quali si identificano popolazioni anche più numerose di quella europea. Tale relazionalità, a sua volta, potrebbe aiutare a riscoprire o ad approfondire valori e norme presagiti da tutti gli uomini e consentire ad essi di conseguire nuova sorgente dÂÂilluminazione e maggior forza operante. E evidente che tutto ciò aiuterebbe il compito specificamente politico dÂÂindirizzo della globalizzazione. 5. E quindi del tutto opportuno, oltre che pienamente legittimo, che i Cristiani partecipino al dibattito pubblico. Altrimenti, argomenti e ragioni teiste e religiose non potrebbero essere invocati pubblicamente in una società democratica e liberale, mentre lo potrebbero gli argomenti razionalisti e secolari, con chiara violazione del criterio di eguaglianza e di reciprocità che sta alla base del concetto di giustizia politica. La religione non è come il fumo, che si può tollerare in privato, ma che in pubblico deve essere sottoposto a strette limitazioni. Mi pare che questa consapevolezza si faccia strada nei dialoghi pubblicati sullÂÂultimo numero di Aspenia, e ne sono particolarmente lieto, anche se riconosco che alcune considerazioni, di fatto, evocano ancora la convinzione contraria, un po corrosa dal tempo e sfilacciata, ma che, come tutte le ÂÂbandiereÂÂ, non è facile da ÂÂammainareÂÂ. In ogni modo, «la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve restare ai margini nella lotta per la giustizia.  . ha il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e la formazione etica il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili» (Lettera enciclica Deus caritas est, 28). Il Cristianesimo conosce da sempre la distinzione fra la sfera religiosa e quella sociale e politica, in altre parole la sana laicità. LÂÂha scoperta addirittura prima dello Stato. Infatti, molti dei primi Cristiani furono martirizzati perché, pur insegnando il rispetto delle Autorità civili, si rifiutavano di offrire incenso allÂÂImperatore. Nel suo recente Discorso allÂÂEliseo, il 12 settembre corrente, il Santo Padre ha ricordato che «sul problema delle relazioni tra sfera politica e sfera religiosa Cristo aveva già offerto il criterio di fondo, in base al quale trovare una giusta soluzione. Lo fece quando, rispondendo ad una domanda che gli era stata posta, affermò: ÂÂRendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Incontro con le Autorità dello Stato francese allÂÂElysée, 12 settembre 2008). Consapevole di tale distinzione, il Cristianesimo promuove valori che non si dovrebbe etichettare come ÂÂcattolici e, quindi, ÂÂdi parteÂÂ, accettabili solo da chi condivide questa fede. La verità di quei valori, infatti, sta nella loro corrispondenza alla natura dellÂÂuomo e, dunque, alla sua verità e dignità. Di conseguenza, chi li sostiene non ambisce un regime confessionale, ma è semplicemente consapevole che la legalità trova il suo ultimo radicamento nella moralità e che questÂÂultima, per essere pienamente umana, non può che rispettare il messaggio proveniente dalla natura della persona, perché in essa è iscritto anche il suo «dover essere». Pertanto, quando la legge positiva è in armonia con la legge naturale, l'attività dell'individuo e della comunità rispetta la dignità umana ed i diritti fondamentali della persona e può evitare tutte quelle strumentalizzazioni che rendono l'uomo miseramente schiavo del più forte, come ebbe a scrivere Giovanni Paolo II nell'Esortazione Apostolica Christifideles laici (n. 5). «E il più forte  egli continuava  può assumere nomi diversi: ideologia, potere economico, sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei mass media» (ibid.). Solo nel rispetto di precise condizioni, il desiderio di giustizia e di pace che sta nel cuore di ogni uomo potrà trovare appagamento e gli uomini, da «sudditi», potranno diventare veri e propri «cittadini». In questa prospettiva, è ancora attuale la lezione del poeta francese Charles Péguy, per cui la democrazia o è morale o non è democrazia. In regime di democrazia, rispettare posizioni diverse è doveroso; fare proprie o appoggiare scelte e decisioni inconciliabili con la natura umana, è però una contro-testimonianza alla dignità della persona. In politica si deve spesso scegliere la strada possibile, anziché quella migliore; occorre tuttavia il coraggio di non imboccare ogni sentiero solo perché teoricamente percorribile. 6. E questa la prospettiva in cui collocare i ripetuti appelli del Papa e di tanti esponenti ecclesiali, in favore dei cosiddetti ÂÂvalori non negoziabiliÂÂ. Mi riferisco alla promozione della vita umana, dal suo concepimento fino alla fine naturale, alla tutela della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, allÂÂeducazione dei figli. La ÂÂnon negoziabilità di tali principi non dipende dalla Chiesa e dalla sua supposta intransigenza o, peggio, dalla sua chiusura mentale di fronte alla modernità; dipende, piuttosto, dalla natura umana stessa, a cui quei principi sono saldati. La natura umana non cambia con le maggioranze parlamentari e nemmeno con il passare del tempo, con il cambio di latitudine o di longitudine. La frequenza degli interventi a tutela dei ÂÂvalori non negoziabili è determinata dallÂÂassiduo riferimento a tali questioni nell'agenda politica odierna e dalla loro grande portata. Quando la politica cerca di sostituirsi alla natura dellÂÂuomo, anziché difenderla, o quando il legittimo bilanciamento dei poteri e delle responsabilità dello Stato non viene rispettato ed in gioco cÂÂè questa stessa natura, allora i Pastori debbono intervenire: non per hobby o per prevaricazione; quanto, piuttosto, per difendere la dignità e, in ultima analisi, il bene della persona e della società, da manipolazioni facilmente presentate come liberazioni. Non si tratta, pertanto, di un'indebita ingerenza della Chiesa in un ambito che non le sarebbe proprio, ma di un aiuto per far crescere una coscienza retta ed illuminata e, perciò stesso, più libera e responsabile. Del resto, né la democrazia è la regola del ÂÂnon disturboÂÂ, né la morale cattolica un utile ÂÂinstrumentum regniÂÂ! La Chiesa non insegue il plauso e la popolarità, perché Cristo la invia nel mondo «per servire» e non «per essere servita»; non vuole «vincere ad ogni costo», ma «convincere», o per lo meno «allertare» i fedeli e tutte le persone di buona volontà circa i rischi che corre l'uomo quando si allontana dalla verità su se stesso! In questo contesto, ho apprezzato che, in spirito costruttivo e cooperativo, mi abbiate proposto di presentare il punto di vista della Chiesa cattolica sul rapporto fra religione e politica nellÂÂera globale, e mi auguro che questÂÂincontro servirà a rendere tale rapporto sempre più fecondo per il bene comune e per lo sviluppo di unÂÂautentica e sana democrazia. Grazie!
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