CONVEGNO IN OCCASIONE DEL 60° ANNIVERSARIO DISCORSO DEL CARD. TARCISIO BERTONE, SEGRETARIO DI STATO Roma - Campidoglio, 10 luglio 2008
Signor Sindaco, Ho accolto volentieri lÂÂinvito a partecipare a questo convegno, che si inserisce nel contesto delle manifestazioni celebrative del 60° anniversario della Costituzione italiana. Sono grato a chi lÂÂha promosso, con un ringraziamento particolare al Comune di Roma, per il patrocinio che ha offerto allÂÂincontro. Saluto con deferenza il Sindaco, lÂÂOn.le Gianni Alemanno e il Vice Sindaco, il Senatore Mauro Cutrufo e gli altri esponenti della Giunta e del Consiglio comunale. Ringrazio pure gli organizzatori: il mensile internazionale ÂÂ30 Giorni e lÂÂAssociazione Giovane Europa. Saluto le Autorità e le illustri Personalità presenti: a tutti e a ciascuno ho lÂÂonore e il piacere di trasmettere il cordiale e benedicente saluto di Sua Santità Benedetto XVI, a cui unisco con affetto il mio. Quando la Costituzione della Repubblica italiana, approvata dallÂÂAssemblea Costituente il 22 dicembre del 1947, e promulgata il 27 dicembre, per entrare in vigore il 1° gennaio del 1948, io ero poco più che adolescente. I miei ricordi si perdono nel tempo; mi resta tuttavia stampata nella mente lÂÂimpressione di quei giorni e del clima che si è respirato negli anni seguenti, i primi dellÂÂItalia repubblicana. Sono trascorsi da allora 60 anni: non tanti per la verità, ma sufficienti a consentire di volgere uno sguardo distaccato e maturo sulle vicende che hanno portato alla nascita dellÂÂItalia repubblicana e alla sua Costituzione. Sessanta anni sono anche un tempo sufficiente per tracciare un bilancio della vitalità della Carta Costituzionale. Sessanta anni rappresentano inoltre un traguardo utile per chiederci se questo patrimonio di ideali e di valori, allora non senza fatica assemblato da personalità di formazione diversa e da loro lasciato come eredità al popolo italiano, sia da conservare inalterato e da trasmettere come tale alle future generazioni. Il Sindaco, On.le Gianni Alemanno, e il Presidente Massimo DÂÂAlema, che ho ascoltato con grande interesse, hanno esposto il loro punto di vista e le loro valutazioni su temi assai significativi, soprattutto sul tema della laicità. Ora vorrei proporre alla vostra attenzione, cari amici, alcune riflessioni a partire da quanto affermato negli articoli 1, 2, 3, 7 e 8 della Costituzione. Mi sia tuttavia concesso fare una premessa. La nostra epoca, quella della comunicazione virtuale, è segnata da un contesto culturale che sembra confinarci tutti in un eterno presente. Si vive immersi nel presente, come se il passato non esistesse e non dovessimo preoccuparci del futuro. Si avverte questo rischio nelle nuove generazioni che i sociologi definiscono ÂÂprivi di memoria storicaÂÂ, ma da esso non è esente nemmeno un certo modo di concepire oggi la politica indipendente dallÂÂesperienza delle passate generazioni. In verità, come ricordava già Benedetto Croce e come insegna la millenaria tradizione dei nostri popoli, non è possibile costruire il futuro se non mantenendo viva, nella coscienza comunitaria, la memoria del passato che, in un certo modo, ha dato origine allÂÂattuale presente. Se pertanto, come giusto, ci si domanda se e quanto attuale sia ancora la Costituzione nelle mutate circostanze contemporanee, occorre riandare al clima internazionale creatosi dopo il secondo conflitto mondiale, nel 1945. Bisogna tener conto di quanto abbiano pesato quegli eventi sui rappresentanti dei partiti politici dellÂÂepoca nello scrivere la Costituzione. Per meglio esplicitare questa mia considerazione, vorrei citare ciò che don Giuseppe Dossetti ebbe a scrivere in proposito: ÂÂAlcuni pensano che la Costituzione sia un fiore pungente, nato quasi per caso da un arido terreno di sbandamenti post-bellici e da risentimenti faziosi volti al passato. Altri pensano che essa nasca da una ideologia antifascista, di fatto coltivata da certe minoranze, che avevano vissuto soprattutto da esuli gli anni del fascismo. Altri ancora  come non pochi degli attuali suoi sostenitori  si richiamano alla resistenza, con cui lÂÂItalia può aver ritrovato il suo onore ed in un certo modo si è omologata ad una certa cultura internazionaleÂÂ- ÂÂInsomma  egli prosegue  voglio dire che nel 1946 certi eventi di proporzioni immani erano ancora troppo presenti alla coscienza esperienziale per non vincere, almeno in sensibile misura, sulle concezioni di parte e le esplicitazioni, anche quelle cruente, delle ideologie contrapposte e per non spingere, in qualche modo, tutti a cercare, in fondo, al di là di ogni interesse e strategia particolare, un consenso comune, moderato ed equoÂÂ. Per don Dossetti, dunque, la Costituzione italiana del 1948 è nata da ÂÂquesto crogiuolo ardente, più che dalle stesse vicende italiane del fascismo e del postfascismo; più che dal confronto/scontro di tre ideologie datate, essa porta lÂÂimpronta di uno spirito universale e, in un certo modo, trans-temporale (cf. Don G. Dossetti, I valori della Costituzione, in Costituzione italiana istruzioni per lÂÂuso, pag.12). Chi oggi pone attenzione a questa Carta non può non tener conto di tale sentimento e delle condizioni che ad essa hanno dato vita. Ogni opera va vista nel suo contesto per essere compresa nel suo più autentico valore e significato. La Costituzione italiana non è stata il frutto di un ÂÂcompromesso precario fra culture politicamente datateÂÂ. Uno degli autorevoli costituenti, Piero Calamandrei, scrive che i principi della Carta costituzionale sono incisi non sulla sabbia, ma ÂÂsulla roccia di un patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità, non per odio, decisi a riscattare la vergogna ed il terrore del mondo (cf. P. Calamandrei, Il Monumento a Kesserling, in Uomini e Città della resistenza, Milano 1994, pag. 198). E questo spirito, questa idealità che mi piace far risaltare, augurando che le giovani generazioni possano trarre da questa pagina di storia insegnamenti utili per costruire per lÂÂItalia un futuro di giustizia e di pace, in un clima di vera libertà e di dialogo costruttivo. Prendendo idealmente in mano la Costituzione, mi accingo ora a sottolinearne alcuni articoli, tenendo presente quanto dice lÂÂeminente costituzionalista, Costantino Mortati, che cioè sono cinque i principi fondamentali che permettono di identificare la forma di Stato e le caratteristiche della democrazia dellÂÂItalia secondo la sua Carta costituzionale: il principio democratico (art.1), il principio personalista (art.2 e 3), il principio lavorista (art.1,4), il principio pluralista (art.2), il principio internazionalista e supernazionale (art.1 e 11). Principi tra loro inseparabili ed interagenti in modo armonioso. Chiave di volta dellÂÂintero impianto è senzÂÂaltro il principio personalista che, mutuato dalla cultura cattolica e democratica, ÂÂriconosce e garantisce i diritti inviolabili dellÂÂuomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art.2). La persona umana, nella sua concreta individualità sociale, viene riconosciuta come un valore originario per cui i suoi diritti fondamentali permangono in ogni situazione ÂÂinviolabiliÂÂ. LÂÂart.3 della Costituzione afferma: ÂÂtutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e socialiÂÂ. Uguaglianza dunque per tutti nei diritti e nei doveri. Strettamente legato alla dignità della persona è il riconoscimento della dignità del lavoro, che, nelle sue varie forme, contribuisce ÂÂal progresso materiale e spirituale della societàÂÂ. Furono i costituenti democristiani Fanfani, Moro e Tosato a proporre lÂÂemendamento trasformato nella definizione approvata dallÂÂAssemblea: ÂÂLÂÂItalia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art.1). Il lavoro è unÂÂattività che dà allÂÂuomo il meraviglioso potere di partecipare allÂÂopera creatrice di Dio e di portarla a compimento; il lavoro riveste un autentico valore umano di cui lÂÂuomo moderno va sempre più prendendo coscienza. Questo principio, che nella sua formulazione riflette una radice cristiana, meriterebbe oggi di essere approfondito e applicato. E in gioco infatti la concezione dellÂÂeconomia, le problematiche connesse con la giustizia occupazionale, lÂÂaffermazione della congruità sociale e la valenza umana del profitto economico. A questi punti si potrebbe aggiungere, seguendo gli insegnamenti dei Pontefici di questo nostro tempo ed in particolare i recenti richiami di Benedetto XVI, una ulteriore riflessione sul rapporto esistente fra economia e finanza, fra regole del mercato e speculazione, fra la ricchezza di alcuni popoli e la povertà del terzo e quarto mondo, argomenti questi sui quali la Dottrina sociale della Chiesa ha espresso con chiarezza orientamenti dottrinali e indicazioni operative. Domenica scorsa, dopo la recita della preghiera dellÂÂAngelus, Benedetto XVI rivolgendosi ai Capi di Stato e di governo membri del G8, riuniti in questi giorni a Hokkaido-Toyako in Giappone, ha richiamato la necessità che «al centro delle loro deliberazioni mettano i bisogni delle popolazioni più deboli e più povere, la cui vulnerabilità è oggi accresciuta a causa delle speculazioni e delle turbolenze finanziarie e dei loro effetti perversi sui prezzi degli alimenti e dellÂÂenergia. Auspico  ha continuato il Papa  che generosità e lungimiranza aiutino a prendere decisioni atte a rilanciare un equo processo di sviluppo integrale, a salvaguardia della dignità umana». Non mi inoltro in tale direzione, contentandomi semplicemente di evocare la necessità di approfondire temi di così vasto e cogente interesse, specialmente per le nuove generazioni. Passo invece ad unÂÂaltra osservazione: il principio personalista (art.2, 3), che è come lÂÂasse portante dellÂÂintera Costituzione italiana e considera la persona umana a fondamento della società, ha probabilmente come sua articolazione più importante il principio della laicità. Quanto approfondimento merita questo principio! Sarebbe una pretesa volerne esporre qui, in modo esauriente, gli aspetti che ricorrono costantemente nei dibattiti e nei confronti culturali e politici. In Francia hanno suscitato stupore e indignazione i discorsi del Presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, lÂÂuno pronunciato a Roma, nel Palazzo Apostolico Lateranense il 20 dicembre 2007, lÂÂaltro a Riyad, in Arabia Saudita, il 14 gennaio 2008. Ci sono elementi che fanno sperare in unÂÂevoluzione di quella rigida laicité che rese la Francia della terza repubblica modello di comportamenti antireligiosi. Accanto al modello francese di laicità cÂÂè quello anglosassone che mostra un altro approccio verso il dato religioso. E in Italia? Va notato subito che da parte di non pochi pensatori viene espresso un concetto di laicità aperta al dialogo e al confronto costruttivo fra posizioni diverse. Non si può al tempo stesso non constatare quel che accade talora nel dibattito veicolato da taluni media, dove una laicità culturale definita per differenza e opposizione dal dato religioso (cristiano) viene assunta come modello di una laicità politica connotata dal criterio di esclusione (del religioso). Alla base sta lÂÂassunzione scontata della secolarizzazione come privatizzazione della religione, che nel momento storico del suo ritorno a un protagonismo sociale e culturale viene accusata di invadere illegittimamente la sfera pubblica. Al confronto la più ampia e accreditata discussione del problema della laicità in ambito internazionale, continentale e americano, evidenzia i limiti di questo laicismo nostrano. In Italia insomma, almeno per alcuni, laicità significa rifiuto di riconoscere il rilievo sociale del fatto religioso. Alcuni anni or sono, in un dialogo tra lÂÂallora Card. Ratzinger e il filosofo Jurgen Habermas, emerse che unÂÂautentica democrazia laica permette alle istituzioni religiose di dare pubblicità ai loro messaggi per poter offrire ai cittadini materia di riflessione in maniera equanime. Impedire alle Chiese di esprimere la loro posizione su qualsiasi argomento è atto non di laicità, ma di ostracismo verso un sistema di valori soltanto perché questo non si muove nel quadro della cultura dominante. Lo sforzo di laicità riguarda allora chiunque è portatore di un forte sistema di valori, sia esso cattolico o appartenente ad altre culture e religioni, se è vero che il dialogo suppone lo sforzo di tradurre i propri valori nel ÂÂlinguaggio universale del confronto democratico. Nel dibattito attuale sulla laicità viene da taluni affermato il seguente postulato: non devono esistere valori assoluti perché lÂÂesistenza di valori assoluti presupporrebbe automaticamente la mancanza di laicità. Habermas afferma invece che per salvarsi dal rischio del relativismo radicale e del totalitarismo ideologico, sono necessari principi assoluti secondo, dice lui, il criterio del ÂÂminimo comune eticoÂÂ. Il dibattito, come si vede, è aperto e va proseguito nel reciproco ascolto, rispettoso sempre delle posizioni di tutti. La Costituzione italiana è laica, ma non laicista. E interessante notare come in Italia si sia dovuto coniare questo binomio  laicità e laicismo  per distinguere la sana laicità da quella radicale e anticlericale. Al tema della laicità è così intimamente connesso quello della libertà religiosa ed in particolare quello delle relazioni tra lo Stato e la Chiesa cattolica che la Costituzione sancisce nellÂÂarticolo 7 facendo riferimento ai Patti Lateranensi, mentre nellÂÂarticolo 8 si parla del rapporto con le altre confessioni religiose. LÂÂ11 febbraio scorso, nellÂÂanniversario della firma dei Patti del 1929, lÂÂOsservatore Romano poneva in rapporto questo evento con quello della Costituzione Italiana: eventi diversi temporalmente, che hanno prodotto testi normativi differenti per qualificazione giuridica, per finalità, per contenuti, ma tra i quali esiste una relazione strettissima, valutabile sotto un duplice profilo. Dal punto di vista storico, la Conciliazione tra lo Stato e la Chiesa in Italia pose le premesse per un fattivo contributo dei cattolici alla nascita dello stato democratico. LÂÂimpegno dei cattolici produsse infatti un progetto politico-istituzionale in gran parte passato nella Costituzione italiana del 1948. E fuor di dubbio che questa Carta Costituzionale deve molto sui punti qualificanti alla cultura cattolica: la centralità della persona umana, la sua originaria dignità e i suoi diritti inalienabili, il rilievo delle formazioni sociali, la solidarietà, lÂÂuguaglianza non soltanto formale bensì anche sostanziale, lÂÂapertura internazionale, lÂÂideale della pace, la centralità della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, la finalizzazione del diritto di proprietà, le autonomie locali. Le garanzie di libertà per la Chiesa, offerte dai Patti Lateranensi, favorirono quel fermento culturale e spirituale che, tra lÂÂaltro, contribuì alla formazione di valide personalità della classe politica che avrebbe guidato la giovane democrazia, confluendo in formazioni partitiche. Si può anzi parlare, come nota Giuseppe Dalla Torre, di derivazione diretta della formula usata dal primo comma dellÂÂart.7 dal diritto canonico, poiché  cito testualmente - ÂÂdetta formula fu letteralmente tratta dallÂÂenciclica Immortale Dei (1865) di Leone XIII, nellÂÂautunno del 1946, ad opera di Montini, La Pira ed altri (G. Dalla Torre, Lezioni di diritto ecclesiastico, pag.10). Va poi evidenziata la relazione esistente tra il Concordato e la Costituzione dal punto di vista propriamente giuridico, grazie allÂÂesplicito richiamo che dei Patti Lateranensi viene fatto nellÂÂarticolo 7 della Costituzione, articolo allora approvato a stragrande maggioranza con un voto trasversale dagli schieramenti dei partiti. Il fatto che la Carta fondamentale dello Stato italiano richiami i Patti è già di per sé rilevante perché da una parte contribuì a mantenere la pace religiosa nel nostro Paese e ancor più perché, si legge nel citato articolo del quotidiano della Santa Sede, ÂÂfu in qualche modo propedeutico alla affermazione dei principi di indipendenza e di sovranità dello Stato e della Chiesa, ciascuno nel proprio ordine, che apre lÂÂarticolo 7 della Costituzione e che costituisce uno dei pilastri su cui poggia il principio di laicità dello Stato. Uno Stato autenticamente laico, infatti, riconosce che la propria sovranità non si estende anche sul terreno spirituale e religioso. E viceversaÂÂ. LÂÂItalia e la Chiesa cattolica sono vincolati da un rapporto singolare per il fatto che Roma è la capitale dello Stato e la sede del Papa Pastore universale del Popolo di Dio. La peculiarità delle reciproche relazioni si riflette nei due atti che compongono i Patti: il Trattato e il Concordato. Il primo, soprattutto con la creazione dello SCV, garantisce alla Santa Sede, al Papa, indipendenza piena e libertà nello svolgimento della sua missione rivolta a tutto il mondo. Il Concordato invece regola la vita della Chiesa in Italia. Questo il senso del primo comma dellÂÂarticolo 2 dellÂÂAccordo di Villa Madama del 18 febbraio del 1984. La Repubblica Italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la propria missione pastorale, educativa, caritativa e di evangelizzazione in ogni campo sociale. In particolare riconosce ad essa ÂÂil diritto di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spiritualeÂÂ. LÂÂesperienza di questi 60 anni mostra che, grazie proprio ai Patti Lateranensi inseriti nella Carta Costituzionale, è stata possibile una proficua collaborazione fra la Chiesa e lo Stato, in un clima di vera laicità, operando tutti con il medesimo scopo: promuovere lÂÂautentico bene dellÂÂItalia. La Chiesa cattolica  lo hanno ribadito in più occasioni i Pontefici e la Conferenza Episcopale Italiana  non chiede privilegi, ma solo di poter svolgere liberamente la propria missione pastorale e sociale. Non posso qui non fare cenno anche allÂÂarticolo 8 che, nel secondo comma, garantisce per le confessioni religiose diverse dalla cattolica il ÂÂdiritto di organizzarsi secondo i propri statutiÂÂ, ed aggiunge che esse lo esercitano ÂÂin quanto non contrastino con lÂÂordinamento giuridico italianoÂÂ. Interessante sarebbe approfondire tale tema, ma non è possibile certo farlo ora. Mi preme semplicemente ricordare che la modifica del Concordato ha dato vita a intese pattizie con altre confessioni religiose, compreso lÂÂaccesso allÂÂ8 per mille. Inoltre, nel processo in atto dellÂÂunificazione europea, non si può negare la rilevanza, sempre più crescente, delle Chiese sia nel senso del ruolo positivo che possono svolgere, e che di fatto esercitano, nel sostenere tale processo alimentando la società di valori e richiamando le radici spirituali dellÂÂuomo europeo, sia nel senso che, per ragioni storiche a tutti note, le Chiese contribuiscono in misura determinante alla definizione delle singole identità nazionali, che si intende salvaguardare. Perché questo loro impegno possa proseguire al meglio si rende ora necessaria una adeguata regolamentazione giuridica del fenomeno religioso da parte dellÂÂordinamento europeo. E questo uno dei temi su cui riflettere e confrontarsi in un dialogo aperto tra i rappresentanti delle pubbliche istituzioni nazionali ed europee e quelli delle Chiese e diverse confessioni religiose. Gentili Signori e Signore, cari amici, vari sono i temi che sia pure rapidamente ho toccato in questa mia esposizione. Meritano tutti  ne sono persuaso  un più approfondito esame. Concludendo, mi preme ancora una volta ringraziare quanti hanno reso possibile lÂÂincontro, e rinnovare il mio grazie ai promotori per lÂÂinvito rivoltomi e a voi tutti qui presenti, per la vostra paziente attenzione. Iddio voglia che la tensione ideale, che ha contrassegnato il lavoro di stesura della Costituzione 60 anni or sono, al di là delle contrapposizioni ideologiche, continui ad animare la vita politica del Paese. Aiuti soprattutto i cattolici, memori della loro responsabilità, a lavorare con intelligenza e profetica fedeltà al Vangelo, perché lÂÂItalia del terzo millennio non dilapidi il patrimonio di valori cristiani che ne hanno contrassegnato la storia. Anzi possa il nostro bel Paese, affrontando le sfide della società contemporanea secolarizzata, continuare ad essere faro luminoso di civiltà e di pace, di cultura e di fede. Con il contributo di tutti.
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