Signor Presidente,
Oggi abbiamo raggiunto il più alto numero di persone forzatamente dislocate dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Non è soltanto un aumento di quantità ma c’è anche un concomitante aumento di complessità, dovuto al coinvolgimento di attori non statali nei conflitti attuali e all’imprevedibile dislocamento di massa che ne è la conseguenza.
L’obiettivo comune della protezione è una sfida sempre crescente. Ciò è dovuto in gran parte al numero senza precedenti di migranti; alla mancanza di risorse finanziarie come risultato della difficoltà dei benefattori; alle misure sempre più restrittive che limitano l’accesso dei richiedenti asilo; alla realtà delle tensioni che tendono a nascere tra le popolazioni locali e i nuovi arrivati; e inoltre al fenomeno dei minori non accompagnati, che è sempre più evidente nelle Americhe e anche in Europa.
La disponibilità pratica degli Stati ad ospitare questo crescente numero di richiedenti asilo e rifugiati sembra stia diminuendo. Ma la generosità mostrata finora dalla Comunità Internazionale è un segno di speranza, ed essa dovrebbe continuare a esprimere solidarietà alle vittime dei conflitti armati e di situazioni di costante violazione dei diritti umani fondamentali.
Lo stato delle cose dovrebbe aiutare tutti noi che formiamo la Comunità Internazionale a riflettere e a elaborare urgentemente misure preventive per far sì che le persone non siano obbligate a lasciare le proprie case per sopravvivere. Questo fenomeno crea un terribile fardello sugli Stati ospitanti, che devono investire una parte enorme delle loro risorse e perciò esige un obbligo di solidarietà da parte della comunità più vasta.
Il necessario cambiamento di politica dal concentrarsi su una prospettiva di assistenza a una di prevenzione implica un importante mutamento culturale, nel quale la persona umana, con la sua inviolabile dignità e i suoi inalienabili diritti umani, è al centro dell’attenzione, piuttosto che essere un mero strumento per decisioni economiche e politiche. Una simile prospettiva richiede dalla Comunità Internazionale una riformulazione dei metodi e delle strutture di prevenzione, assistenza umanitaria, e sviluppo a lungo termine.
La Delegazione della Santa Sede incoraggia la costante e straordinaria generosità di molti paesi donatori e di quelle società ospitanti che hanno accolto, spesso con grandi sacrifici, milioni di persone forzatamente dislocate. Sosteniamo anche lo sviluppo di una maggiore collaborazione globale, basata più sulla solidarietà umana e meno su interessi egoistici, per rispondere alla piaga del massiccio numero attuale di richiedenti asilo e di rifugiati. Certo, questa solidarietà non è semplicemente un’idea astratta, ma un imperativo morale concreto che deriva dal fatto che insieme formiamo un’unica famiglia umana. È questo il primo passo per ottenere la riconciliazione e riavviare una vita produttiva.
Come sottolinea Papa Francesco: «Alla globalizzazione del fenomeno migratorio occorre rispondere con la globalizzazione della carità e della cooperazione, in modo da umanizzare le condizioni dei migranti. Alla solidarietà verso i migranti ed i rifugiati occorre unire il coraggio e la creatività necessarie a sviluppare, a livello mondiale, un ordine economico-finanziario più giusto ed equo, insieme ad un accresciuto impegno in favore della pace, condizione indispensabile di ogni autentico progresso» (Papa Francesco, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, 3 settembre 2014).
Signor Presidente,
Per concludere, la permanenza continua e a lungo termine di popolazioni in campi profughi e il crescente numero di persone in aree urbane sovrappopolate sono di per sé una chiara manifestazione che la violenza può solo distruggere e frammentare la società. L’attuale situazione nel mondo ricorda alla Comunità Internazionale che l’unica strada da percorrere è quella del dialogo verso una «coesistenza pacifica».