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DIBATTITO GENERALE DELLA
67ª SESSIONE DELL'ASSEMBLEA GENERALE DELL'ONU

INTERVENTO DI S.E. MONS. DOMINIQUE MAMBERTI,
SEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI E
CAPO DELLA DELEGAZIONE DELLA SANTA SEDE

New York
Lunedì, 1° ottobre 2012

 

Signor Presidente

Nell’esprimerLe le congratulazioni della Santa Sede per la Sua elezione alla Presidenza della 67.ma sessione dell’Assemblea Generale, ho l’onore di trasmettere a Lei, come pure a tutte le delegazioni partecipanti, i più cordiali saluti di Sua Santità Papa Benedetto XVI, il Quale invoca su ciascuno l’abbondanza delle benedizioni di Dio Onnipotente.

Signor Presidente,

Nel momento attuale, in cui il mondo osserva con timore e preoccupazione lo svilupparsi di sanguinosi conflitti regionali, la Santa Sede si rallegra in modo particolare per il tema centrale scelto per i lavori di questa 67.ma sessione: realizzare attraverso mezzi pacifici l’aggiustamento o la risoluzione di dispute o di situazioni di carattere internazionale.

Dalla creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite fino ad oggi, si è sviluppata una fittissima rete di rapporti giuridici strutturati che copre praticamente tutti gli aspetti dei rapporti tra gli Stati e della vita sociale all’interno degli stessi. Al riguardo, la Carta delle Nazioni Unite, i principali trattati di diritti umani e il diritto umanitario, le Convenzioni di Vienna sul Diritto dei Trattati e sul Diritto Diplomatico, come pure le principali Convenzioni di Disarmo oggi possono essere considerati un corpo giuridico di riferimento quasi universale per promuovere rapporti sociali fondati sul diritto e progredire verso una pace durevole. Ciò rappresenta uno sviluppo senza precedenti nella storia; si tratta di un vero merito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e, senza dubbio, una delle realizzazioni più riuscite in merito agli obiettivi stabiliti dal Preambolo e dall’Articolo 1° della Carta delle Nazioni Unite.

Durante i 67 anni che hanno seguito la creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il mondo è stato profondamente trasformato. La sempre maggiore interdipendenza ai livelli tecnico ed economico, come pure lo sviluppo esponenziale dei mezzi di comunicazione, hanno portato all’avvenimento di ciò che, dalla metà del ventesimo secolo, è generalmente chiamato il villaggio globale: un villaggio in continua evoluzione, diversificato e che ha conosciuto fenomeni di sviluppo ma anche di ingiustizie molto marcate. L’opera di costruzione giuridica compiuta tramite l’Organizzazione delle Nazioni Unite costituisce al riguardo una risposta lodevole e adatta allo sviluppo di tale villaggio globale, risposta alla quale i Governi e tutte le istanze sociali debbono dare seguito in buona fede .

La storia dell’umanità ha sempre presentato situazioni paradossali o contrastanti, provocando frustrazioni e sentimenti d’ingiustizia. Oggi, in un contesto di interdipendenza generalizzata, il contrasto tra ricchezza e povertà risulta ancora più grave, anzi inaccettabile. L’espansione disordinata del progresso tecnico ed economico ha contribuito ad approfondire il fossato tra coloro che dispongono dell’educazione e dei mezzi necessari per progredire e coloro che, invece, ne sono privi. I molteplici vincoli giuridici ed economici che collegano le Nazioni non sono sempre sufficientemente giusti ed equi, e hanno finito per diventare il veicolo di trasmissione di una grave crisi economica e finanziaria, che si è propagata con la rapidità di un incendio forestale, toccando anzitutto i più svantaggiati. Il ricorso alla criminalità, al terrorismo e alla guerra intrapresa per motivi ideologici, etnici o culturali appaiono a certi settori della popolazione mondiale come il modo più facile, se non l’unico a loro portata, di uscire dalla povertà e di diventare protagonisti nel villaggio globale. Tali atti di violenza sono favoriti da un abuso delle telecomunicazioni e da un accesso troppo facile alle tecnologie della guerra.

Se lo stato degli sviluppi giuridici e politici consentiva di pensare, negli anni ‘90 del secolo scorso, che il pericolo della guerra nucleare si era allontanato, oggi la possibilità di conflitti regionali, con conseguenze imprevedibili, costituisce nuovamente un orizzonte minaccioso, che dovrebbe suscitare sforzi intensi di mobilitazione per stabilire un dialogo veramente costruttivo in seno alla comunità internazionale.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite è stata, durante l’epoca della guerra fredda, un punto di incontro, di discussione e di equilibrio tra le potenze contrapposte. L’Organizzazione è riuscita ad accompagnare la decolonizzazione e l’indipendenza di numerosi nuovi Stati e a mitigare e, talvolta, a risolvere i conflitti regionali, bilaterali e civili, nel contesto di un grave confronto ideologico. Parimenti, le Agenzie dell’ONU hanno dato un importante contributo intellettuale, politico e giuridico al riconoscimento universale dei diritti dell’uomo, al rafforzamento della cooperazione per lo sviluppo e all’integrazione economica regionale. Tali progressi hanno costituito una base fondamentale per il rafforzamento dello Stato di diritto, il quale fornisce il quadro adatto per meglio garantire i diritti dell’uomo e la pacifica cooperazione internazionale. Mi sia permesso di salutare qui l’adozione della Dichiarazione sullo Stato di diritto a livello nazionale ed internazionale alla Riunione di alto livello tenutasi all’inizio di questa Sessione della presente Assemblea.

I 67 anni trascorsi dalla creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite tracciano anche la benemerita storia degli interventi umanitari, delle operazioni di mantenimento della pace e, più recentemente, del consolidamento della pace. Di particolare importanza, poi, per i destini di tutta l’umanità, è stata l’adozione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare e l’azione dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, per promuoverne un’adesione universale, per controllarne l’applicazione e per facilitare la cooperazione internazionale per garantire un uso pacifico dell’atomo.

Nell’ultimo ventennio le Nazioni Unite, di concerto con le Organizzazioni regionali, sono riuscite a dare un contributo essenziale alla risoluzione di numerose situazioni di emergenza, specialmente in Africa, in collaborazione con l’Unione Africana e con altre istituzioni di detto Continente.

Tuttavia, la realtà odierna ci presenta un sistema ONU come privato dalla forza d’unità e di persuasione che ci si sarebbe potuti legittimamente aspettare da esso e come il luogo di esercizio di rapporti di forza, spesso, sfortunatamente, a vantaggio di interessi strategici particolari.

Le prospettive tuttavia che si presentavano al termine della guerra fredda sembravano lasciare presagire un eventuale rafforzamento della presenza istituzionale e politica dell’ONU al servizio delle sfide mondiali più cruciali, come il cambiamento climatico e la preservazione dell’ambiente.

Come è possibile che, malgrado l’adesione universale alla Carta delle Nazioni Unite e ai Trattati fondamentali, non si riesca a stabilire una giusta e vera governabilità globale?

A tale domanda, la Santa Sede vorrebbe proporre una risposta di ordine morale, attirando l’attenzione sull’importanza dei valori che sostengono necessariamente ogni società umana. Infatti, prima di avanzare considerazioni politiche o tecniche, conviene domandarsi se le crisi che attualmente sconvolgono il pianeta non siano legate ad una crisi significativa di fiducia nei valori collettivi proposti dalla Carta delle Nazioni Unite. Ancora di più, conviene chiedersi se le crisi che sconvolgono il pianeta non siano legate ad una profonda crisi antropologica, cioè ad una mancanza di una comune intesa su che cosa sia in verità l’uomo.

Si assiste oggi ad un indebolimento della portata pratica dei principi e degli obiettivi elencati nel Preambolo e nel Capitolo 1° della Carta delle Nazioni Unite. Menzionerei, in particolare: la preservazione delle generazioni future dal flagello della guerra; la pratica della tolleranza e dello spirito di buon vicinato; l’unione delle forze per il mantenimento della pace e della sicurezza; il ricorso a mezzi pacifici per la risoluzione delle controversie in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale; la cooperazione per risolvere i problemi internazionali di carattere economico, sociale, intellettuale o umanitario, e per incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La perdita di fiducia nel valore del dialogo, la tentazione di favorire a priori una delle parti in causa nei conflitti regionali e nazionali, mettono a rischio il rispetto dei meccanismi giuridici delle Nazioni Unite. Invece, la preminenza dei valori affermati dalla Carta dovrebbe portare all’adozione di tutti i mezzi possibili per assicurare la protezione dei più vulnerabili, promuovere il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti dell’uomo, come pure la salvaguardia degli equilibri culturali e religiosi multisecolari.

L’urgenza della situazione appare in maniera ancora più evidente al riguardo degli avvenimenti in corso in Medio Oriente e, in particolare, in Siria. Non è possibile una soluzione fuori del rispetto delle regole del diritto internazionale e del diritto umanitario, come pure dell’attuazione dei meccanismi stabiliti dalla Carta delle Nazioni Unite. Tutte le istanze interessate dovrebbero non soltanto facilitare la missione dell’Inviato speciale dell’ONU e della Lega araba, ma anche assicurare l’assistenza umanitaria alle popolazioni angosciate. La comunità internazionale deve unire gli sforzi, perché tutte le parti coinvolte sostituiscano il ricorso alle armi con il negoziato, ed esigere il rispetto effettivo della libertà religiosa, dei diritti umani e di tutte le libertà fondamentali. Come ha detto recentemente il Papa Benedetto XVI, “… dovremmo importare idee di pace, creatività, trovare soluzioni per accettare ognuno nella sua alterità;… dobbiamo quindi rendere visibile nel mondo il rispetto delle religioni, le une delle altre, il rispetto dell’uomo come creatura di Dio, l’amore del prossimo come fondamentale per tutte le religioni. In questo senso, con tutti i gesti possibili, con aiuti anche materiali, aiutare perché cessi la guerra, la violenza, e tutti possano ricostruire il Paese” (Benedetto XVI, Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso il Libano, 14 settembre 2012). In particolare, il Santo Padre ha fatto appello “…ai Paesi arabi affinché, come fratelli, propongano soluzioni praticabili che rispettino la dignità di ogni persona umana, i suoi diritti e la sua religione! Chi vuole costruire la pace deve smettere di vedere nell’altro un male da eliminare. Non è facile vedere nell’altro una persona da rispettare e da amare, eppure bisogna farlo, se si desidera costruire la pace, se si vuole la fraternità” (Angelus, 16 Settembre 2012).

Per di più, solo una Comunità internazionale fortemente ancorata sui valori autenticamente conformi alla dignità umana potrà avanzare soluzioni praticabili per i nuovi tipi di conflitti che vedono coinvolti gruppi transnazionali, che diffondono una ideologia egemonica pseudo-religiosa a dispetto dei diritti delle persone e della pace civile. Pensiamo all’instabilità e ai recenti attentati terroristici in certi Paesi dell’Africa e dell’Asia oppure alla collusione tra narcotraffico e terrorismo in altre regioni del mondo.

Aldilà delle situazioni di conflitto, ci sono tutti gli Stati, ricchi e poveri, che vedono oggi la loro stabilità minacciata da una crisi economica, alla quale non si riesce ancora a dare una vera e duratura soluzione.

Non molti anni fa, le discussioni internazionali si incentravano sulle eventuali modalità di condivisione delle risorse dei Paesi più ricchi, il cui benessere sembrava definitivamente consolidato, o ancora sul giusto riconoscimento dei diritti dei Paesi in via di sviluppo. Il dibattito mirava allora a trovare il giusto equilibrio tra libero commercio, assistenza finanziaria, trasferimento di conoscenze e tecnologie, nonché aiuti diretti alle popolazioni più povere. Il confronto delle idee concerneva il debito estero dei Paesi più poveri, il ruolo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e i suoi legami con l’ONU, la riforma delle Istituzioni finanziarie multilaterali, l’accesso generalizzato ai medicinali essenziali. Questo dibattito imprescindibile deve proseguire, anche se oggi si è visto offuscato e reso più complesso dalle domande sulla stabilità finanziaria, il cui impatto è mondiale. Infatti, è sotto gli occhi di tutti che la stabilità finanziaria delle società più sviluppate è stata gravemente danneggiata, in particolare da politiche economiche poco lungimiranti e spesso basate sulla sola massimizzazione del profitto immediato.

Tale minaccia di un crollo dei sistemi finanziari delle economie finora più fiorenti, comporta conseguenze gravi al livello della coesione sociale. Fa riapparire vecchi fantasmi, quali il nazionalismo esacerbato, il populismo e la xenofobia. A ciò si affianca il dramma di milioni di persone oppresse dalla fame, dalla mancanza delle più elementari cure sanitarie e dalla miseria, nonché quello delle immense folle che vivono in condizioni inumane, di sfollati e rifugiati, tra cui si contano migliaia di bambini.

In fondo alla difficoltà di trovare soluzioni comuni, nel rispetto dei principi dell’autodeterminazione, dell’indipendenza e dell’uguaglianza degli Stati e dei diritti dei popoli, si manifesta la crisi antropologica, alla quale ho fatto allusione, cioè una debole convinzione della suprema dignità di ogni persona umana, anche se appena concepita o in stato vegetativo o terminale.

È illusorio voler creare una vera armonia tra i popoli, di voler garantire una convivenza pacifica e una cooperazione effettiva tra gli Stati a partire da una visione antropologica in cui, pur senza negare in teoria la dignità e i diritti fondamentali della persona, si relega la dimensione profonda di quest’ultima e la sua unicità al rango di fattori secondari, e fa prevalere concetti collettivi vaghi, riducendo la persona alla mera categoria di “consumatore” o “agente di produzione del mercato”. La persona umana non è un mero numero nella massa della popolazione globale e quest’ultima non può essere considerata con freddezza o sospetto come un pericolo che minaccia gli equilibri sociali e l’ambiente: si tratti di uomini e di donne, ciascuno con la propria dignità e i propri diritti, e le visioni ideologiche che non ne tengono conto conducono inevitabilmente alla disintegrazione sociale e al conflitto.

In tal senso, bisogna rifiutare i tentativi di concepire gli “Obiettivi di sviluppo del Millennio” e l’agenda per lo sviluppo dopo il 2015, nonché l’interpretazione dei trattati sui diritti umani, secondo una visione riduttrice e relativista dell’uomo, che, usando in modo abile espressioni ambigue, minaccia il diritto alla vita e tende alla decostruzione del modello della famiglia, fondata sull’unione di un uomo e una donna, orientata alla procreazione e all’educazione dei bambini. Tali tentativi rischiano, alla fine, di indebolire irrimediabilmente la credibilità e la legittimità dell’Organizzazione delle Nazioni Unite quale strumento universale per una cooperazione e una pace durature.

Signor Presidente,

Risulta di primaria importanza dare uno sbocco effettivo al dibattito aperto circa la riforma e il miglioramento del funzionamento degli organi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, per ravvivare la sua capacità di prevedere i conflitti e di risolverli con mezzi pacifici.

Tuttavia, ciò non sarà possibile senza uno sforzo costantemente rinnovato per tornare alla visione fondatrice dell’Organizzazione. Una pace duratura non sarà possibile se non tramite l’impegno di tutti e di ciascuno, in un dialogo costruttivo, orientato verso la realizzazione di condizioni di vita degne e decenti per tutti gli esseri umani.

Questo non si potrà fare senza una convinzione condivisa circa i valori fondamentali, che garantiscono il rispetto della dignità umana. Al riguardo, il rispetto della libertà religiosa, sia sul piano della vita pubblica nazionale sia su quello internazionale, si rivela essenziale. La ragione ci insegna che ogni persona è dotata di una dignità trascendente, alla quale è associata una libertà per determinare il suo destino ultimo, e che le istanze nazionali e internazionali, come pure i meccanismi sociali, devono pienamente rispettare. Perciò, l’azione dei governi e delle organizzazioni internazionali deve necessariamente tendere a promuovere lo sviluppo umano integrale, creando le condizioni giuridiche, economiche e sociali che riflettono realmente l’importanza della dignità umana e della sua dimensione trascendente, sia a livello personale che collettivo. La religione non può essere intesa altrimenti che come un fattore di pace e di progresso, una forza vitale per il bene di tutti. Infatti, porta gli uomini a superare ogni interesse egoistico e a mettere tutte le loro energie a servizio degli altri, compreso a servizio della pace tra i popoli. Perciò tutte le forme di fanatismo, di esclusivismo, ogni atto di violenza nel riguardo del prossimo costituiscono uno sfruttamento e una deviazione della religione. Per di più, la storia ha dimostrato che una concezione distorta della laicità o un’idea di tolleranza che portasse a voler ridurre il fatto religioso all’ambito privato non farebbe altro che minare le basi di ogni convivenza pacifica, sia sul piano nazionale sia su quello internazionale.

Signor Presidente,

sin da quando le attività di cooperazione internazionale sono state istituzionalmente strutturate, la Santa Sede è stata presente ed è stato nel 1964 che ha stabilito a New York una Missione permanente presso le Nazioni Unite. La ragione della sua presenza come soggetto di diritto internazionale in questa istituzione intergovernativa è, anzitutto, il suo desiderio di offrire alla comunità internazionale una visione trascendente della vita e dei rapporti sociali, ricordando in particolare la dignità delle persona e i suoi diritti fondamentali, prima di tutti il diritto alla libertà religiosa. La comunità internazionale ha sempre ricevuto con attenzione questo contributo, che permette di considerare le iniziative comuni in una prospettiva profonda, nella quale l’unità fondamentale della famiglia umana, come pure l’appello alla generosità degli uomini e dei popoli, devono essere riaffermati incessantemente.

E’ con tale spirito che la Santa Sede vuole dare il suo contributo anche alla presente sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, associandosi agli auspici che Ella ha espresso nel Suo discorso inaugurale, e cioè che tutti gli Stati membri, che condividono la responsabilità per l’applicazione dei principi e degli obiettivi dell’Organizzazione, rinnovano il loro impegno a risolvere le divergenze tramite un dialogo armonioso e non tramite il ricorso ad un confronto discordante. Così soltanto si potranno realizzare i desideri e le speranze di ciascuno. Ed è così soltanto che le Nazioni Unite potranno mantenere il loro ruolo indispensabile al servizio della pace e dello sviluppo.

Grazie, Signor Presidente.

 

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