36a CONFERENZA GENERALE DELL'UNESCO INTERVENTO DI MONS. FRANCESCO FOLLO, Sabato, 29 ottobre 2011
Signora Presidente della Conferenza Generale, A nome di Sua Santità Papa Benedetto XVI, ho il grande onore di congratularmi con lei, signora Katalin Bogyay, Ambasciatore d’Ungheria presso l’Unesco, per la sua elezione alla Presidenza di questa prestigiosa Assemblea. Ho anche il piacere di formularle i voti migliori per il felice compimento della sua missione che la signora Ĭrina Bokova, Direttore Generale, che a mia volta saluto, sosterrà certamente con l’efficacia e l’intelligenza che tutti noi le riconosciamo. Vorrei anche esprimere i ringraziamenti e la stima della Santa Sede per l’eccellente qualità dei lavori del Segretariato dell’Unesco. I documenti elaborati, soprattutto i 36 C/3, C/5 e C/6, sono stati redatti in modo chiaro e hanno attirato la nostra attenzione. Essi dimostrano la ricca riflessione e l’azione efficace che sono alla base di ognuno dei cinque settori dell’Unesco. Fra l’altro, pongono l’accento sulla cultura della pace per un’educazione integrale legata anche allo sviluppo sostenibile, per rispondere ai cambiamenti culturali e climatici che riguardano gli esseri umani che abitano nel nostro pianeta. Il 9 giugno 2011 il Santo Padre ha detto: «L’ecologia umana è una necessità imperativa. Occorre inoltre interrogarsi sul giusto posto che deve occupare la tecnica» e lo sviluppo che sono legati all’educazione. Il Papa ha continuato dicendo: «Le Nazioni Unite mi sembrano essere il quadro naturale per una tale riflessione, che non dovrà essere offuscata da interessi politici ed economici ciecamente di parte, così da privilegiare la solidarietà rispetto all’interesse particolare». Seguendo questo invito di Sua Santità, si possono proporre alcune riflessioni che hanno l’obiettivo di consolidare la bella collaborazione che esiste fra la Santa Sede e l’Unesco, dove gli Stati lavorano insieme per costruire la pace nel rispetto delle persone, dei popoli, delle culture e dei continenti. Nella sua opera L’Utopia Tommaso Moro ha descritto una società «senza luogo» nel mondo, ma che per lui resta una società possibile. Esiste la possibilità di allargare la nostra società «senza luogo» alle dimensioni del mondo? La questione rimane aperta! Si può però constatare che forse ciò è possibile in comunità che accettano al loro interno la pace e la non violenza. Per arricchire e rendere effettivi i progetti di pace universale, converrebbe certamente aggiungere a essi progetti di pace locali. La pace locale è un contributo obbligatorio per giungere alla pace universale. Noi sappiamo che l’uomo è un essere sociale fatto per vivere in comunità. Ed è innanzitutto nella comunità, che è una piccola società, che dobbiamo trovare modelli o insegnamenti per vivere in pace. Queste piccole società sono numerose, ma io ne citerò solo tre. La prima è la famiglia. Se l’uomo deve imparare a essere umano, è nella famiglia, e in nessun altro posto, che comincerà a farlo. Essere uomo e divenire uomo non si escludono. Se questo divenire deve trovare il suo inizio e il suo sviluppo, è nella cellula sociale originaria, formata dalla comunità primaria costituita dai genitori e dai figli, che li troverà. Imparare a vivere in famiglia è dunque una priorità. Già il beato Giovanni Paolo II scriveva nell’Esortazione Apostolica Familiaris consortio: «Di fronte alla dimensione mondiale che oggi caratterizza i vari problemi sociali, la famiglia vede allargarsi in modo del tutto nuovo il suo compito verso lo sviluppo della società: si tratta di cooperare anche ad un nuovo ordine internazionale, perché solo nella solidarietà mondiale si possono affrontare e risolvere gli enormi e drammatici problemi della giustizia nel mondo, della libertà dei popoli, della pace dell’umanità». (n. 48, 22 novembre 1981). La scuola è la seconda società che occorre menzionare. Sappiamo che il bambino va a scuola per imparare, e ciò gli permetterà un giorno di trovare un impiego. La scuola, tuttavia, non è un luogo in cui il bambino, al singolare, non fa altro che imparare, ma è anche il luogo in cui i bambini, al plurale, imparano a comportarsi come «esseri sociali». Nella scuola s’insegnano diverse materie e il bambino ha bisogno di questo sapere. Ha bisogno di una «cultura» e di conoscenze diversificate. Ma la scuola verrebbe meno alla sua missione se proponesse solo un insegnamento teorico, dimenticando di favorire l’introduzione a una vita comune serena, necessaria allo sviluppo di ogni uomo. La famiglia è lo spazio privilegiato del primo incontro con l’altro. Attraverso l’iniziazione alla conoscenza e all’alterità, la scuola allarga questo incontro. La famiglia deve essere un luogo di pace, ma non può essere l’unico luogo di pace. Per questo dobbiamo compiere ogni sforzo possibile affinché i bambini imparino a vivere insieme nel rispetto delle legittime differenze e facendo l’esperienza della fraternità umana e dell’amicizia. Papa Benedetto XVI nel Discorso al mondo dell’educazione cattolica, pronunciato a Londra il 17 settembre 2010, afferma: «Come sapete, il compito dell’insegnante non è solo quello di impartire informazioni o di provvedere ad una preparazione tecnica per portare benefici economici alla società; l’educazione non è e non deve essere mai considerata come puramente utilitaristica. Riguarda piuttosto formare la persona umana, preparare lui o lei a vivere la vita in pienezza — in poche parole riguarda educare alla saggezza». Sappiamo che la saggezza non nasce solo da un accumulo d’informazioni; essa è il frutto dell’esperienza e di un’arte di vivere, e per i cristiani è un dono di Dio, dono che non è innato ma che si chiede e si costruisce continuamente. Non si tratta dunque solo di sapere per potere, ma di sapere per servire, di sapere per essere con gli altri in pace. Per questo la Santa Sede apprezza a fondo l’asse 3 del grande programma dell’Educazione del 36/C5: «Favorire le risposte del sistema educativo alle sfide contemporanee in vista di una cultura di pace e della non violenza». In un mondo profondamente diviso, minacciato da violenti scontri multiformi, la scuola può formare agenti di pace e promuovere una cultura di dialogo aperta all’autocritica. In tal modo la scuola può combattere, a suo modo e con i suoi mezzi, situazioni di grande ineguaglianza, può esigere che i diritti umani vengano rispettati ovunque, e soprattutto può educare a capire quello che siamo: una sola famiglia umana! La famiglia e la scuola si trovano in quella che potremo chiamare la città. Non bisognerebbe intendere qui questo terzo luogo di vita come la nazione o il Paese. Conviene ristringerne il senso ritornando alla sua origine greca di città, borgo o villaggio. Per questo è possibile affermare che l’esigenza a favore della pace va al di là dell’asse 2 del grande programma delle Scienze sociali e umane. Quest’ultimo desidera «promuovere una cultura di pace, attraverso la non violenza, basata sui diritti dell’uomo, la democrazia, la riconciliazione, il dialogo, includendo tutti i partner politici e sociali, in particolare i giovani». Il nostro mondo è sempre più urbanizzato e la città è diventata il luogo di vita della maggioranza dei nostri contemporanei. Ė divenuta in modo contraddittorio il luogo in cui si esprimono e vengono vissute la cultura più raffinata e la violenza più grande, il luogo della ricchezza e quello della povertà stridente. Bisogna dunque lavorare affinché la città o il paese, il borgo o il villaggio, siano veramente umani. Vale a dire che al loro interno la comunità di persone che li costituiscono sia sensibilizzata all’accettazione vitale di fondare la propria esistenza su principi positivi che derivino dalle rispettive culture, che conducano a una cultura di pace e bandiscano la violenza in ogni sua forma. L’edificazione e la costruzione della pace utilizzando i tre strati, famiglia-scuola-città, può condurre a una cultura della pace in grado d’influenzare, in modo più amplio, il vivere-insieme armonioso delle nazioni. La Chiesa cattolica, come è noto a tutti, è sempre stata, nel corso della sua storia bimillenaria, la promotrice dell’educazione, della cultura e delle scienze. La Santa Sede pertanto non sottovaluta l’importanza della cultura scientifica descritta nel grande programma delle Scienze del 36 c/5, ossia «studiare gli ambiti nei quali l’Unesco può raggiungere l’obiettivo globale delle scienze per la Pace», come le attività relative alla gestione delle Scienze naturali transnazionali e le collaborazioni scientifiche regionali che la Santa Sede sostiene. Certo, essa condivide l’idea di tener conto della cultura e del dialogo interculturale nelle politiche di sviluppo per promuovere una cultura di pace definita dal Settore della cultura. Tuttavia, la ricerca di una coerenza e di un’unità delle diverse culture, sapendo mettere in evidenza ciò che contengono di positivo e di costruttivo, può permettere all’uomo di trovare i mezzi necessari per divenire pienamente umano e dunque artefice efficace della pace. A tale proposito, la piattaforma intersettoriale per una cultura di pace e di non violenza riveste un’importanza del tutto particolare per l’Unesco ed è importante per l’umanità, in quanto sono tutte le attività umane a dover essere promotrici di una cultura di pace. Per questo forse si può suggerire di dare a questa attività intersettoriale della Cultura di pace molta più importanza, tenendo conto del fatto che si tratta del mandato stesso dell’Unesco. Convinto del posto centrale che la persona umana occupa e del suo nobile valore, il concilio Vaticano II affermava: «L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale» (Gaudium et spes, n. 63). E Paolo VI ha potuto scrivere: «Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera» (Popolorum progressio, n. 14). Sua Santità Benedetto XVI ha aggiunto nella sua Enciclica Caritas in veritate: «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità» (n. 25). E continua affermando: «l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione se non è di tutto l’uomo e di ogni uomo, lo sviluppo non è vero sviluppo» (nn. 11 e 18). Così facendo continueremo a porre la persona, il suo sviluppo integrale e il bene comune al centro delle nostre riflessioni e delle nostre azioni.
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