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15ª SESSIONE ORDINARIA DEL CONSIGLIO DEI DIRITTI DELL'UOMO INTERVENTO DI S.E. MONS. SILVANO M. TOMASI, OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE PRESSO L'UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE ED ISTITUZIONI SPECIALIZZATE Ginevra Martedì, 28 settembre 2010 Signor Presidente, Negli ultimi anni, la religione ha assunto maggiore visibilità nell'arena pubblica. Tuttavia, un atteggiamento anti-religioso ampiamente diffuso favorisce alcune manifestazioni legate alla discriminazione e al pregiudizio, come ha documentato il Rapporteur Speciale sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza, e ciò solleva questioni complesse legate ai diritti umani. La mia Delegazione desidera chiarire l'interazione e la contraddizione fra rivendicazioni astratte e violazioni concrete dei diritti che appaiono in diverse istanze del dibattito pubblico sulla religione. La libera espressione di considerazioni generali o personali in termini di dibattito pubblico o di dialogo culturale, filosofico o teologico non può essere considerata tout court una forma di diffamazione delle religioni o di incitamento all'odio contro una determinata religione o comunità di credenti. La libertà di pensiero e di espressione, inclusa la libertà di critica, se esercitata nei limiti dell'accuratezza, della correttezza, del rispetto, della morale e dell'ordine pubblici, si può considerare un progresso di civiltà da tutelare come patrimonio giuridico e politico comune dell'umanità, non solo come prerogativa di un contesto sociale o di una tradizione culturale particolari. Lo sviluppo e l'autorealizzazione della persona umana implicano, quale componente essenziale, l'espressione e la condivisione della sua visione della realtà. Negare questo diritto mortificherebbe una delle aspirazioni più profonde della persona umana e un fattore chiave del progresso di tutte le civiltà. Dobbiamo anche distinguere il livello teorico, ossia il livello astratto dei valori e dei principi filosofici e religiosi, dal livello esistenziale, ovvero dal livello pratico in cui questi valori e principi hanno un impatto su individui e comunità di esseri umani. La persona umana e le comunità umane dovrebbero costituire il fulcro dei diritti umani. Lo Stato di diritto e i diritti umani hanno per mandato la tutela e la promozione della dignità, dei diritti fondamentali e delle libertà di individui e comunità di persone. I sistemi di valori e di principi, condivisi da individui e comunità di persone, sono qualcosa di buono, anche dal punto di vista politico e legale, ma sempre se sono funzionali alla tutela degli individui e delle comunità di persone e non viceversa. Il rispetto per le persone e per le comunità di persone non si esprime dunque con una mera "protezione" o con una formale "immunizzazione" dalla critica a sistemi di valori e principi, ma con una promozione e una affermazione sostanziali dei diritti fondamentali e delle libertà. Quindi, la libertà di espressione, inclusa quella di criticare, non nega i diritti delle persone o delle comunità di persone. Si tratta piuttosto di un elemento della supremazia della legge che include la libertà di religione e di credo e il divieto di discriminazione basata sulla religione o sul credo. In tale contesto, bisognerebbe concentrare l'attenzione sulle persone e sulle comunità di persone per comprendere in che modo i loro diritti sono protetti de facto, al di là della tutela di un determinato sistema di valori o di principi, culturali o religiosi, sia maggioritario sia minoritario. Le posizioni di individualismo e di collettivismo estremi offrono una visione parziale della persona umana: il primo la porta all'isolamento, il secondo la cancella e la assorbe nell'idea astratta di una collettività sociale o ideologica. Queste due prospettive non permettono il dialogo, ma, anzi, lo rendono impossibile, perché entrambe contrastano con la realtà della natura umana. L'essere umano ha una propria unicità e una propria originalità, ma è aperto per natura ai rapporti con gli altri. Infatti, soltanto in tali rapporti si realizza quale persona. Come insegnano le grandi civiltà del mondo, la persona umana è un "essere sociale" che si realizza appieno soltanto nella comunità, a cominciare dalla famiglia passando per tutti i livelli della società fino alle dimensioni nazionale e internazionale. Coerentemente con la natura e con la dignità umana, la comunità non è un limite alla libertà e alla realizzazione. Al contrario, è lo spazio vitale a partire dal quale la persona realizza ed esprime la propria libertà, in cui persegue il suo sviluppo materiale, etico e spirituale e, a sua volta, contribuisce allo sviluppo delle comunità alle quali appartiene e, in definitiva, all'intera società umana. Quando la dimensione sociale e comunitaria viene negata, una componente essenziale della persona risulta mortificata e mutilata. La storia ci insegna e documenta le conseguenze negative prodotte dall'allontanamento o dalla negazione di questo aspetto della persona da parte dell'ideologia. Quando quest'ultima ricostruisce l'essere umano come un'astrazione, la dignità e i diritti umani della persona reale vengono violati in modo radicale e svuotati del proprio contenuto dall'interno. La strada verso il futuro, anche nella sua dimensione religiosa, passa attraverso la comprensione della persona e la sua vocazione naturale verso la comunità, quindi attraverso la piena tutela e la piena affermazione dei diritti umani nelle loro duplici e inseparabili dimensioni, individuale e comunitaria. La responsabilità principale dello Stato è la tutela dei suoi cittadini e di tutte le persone, in particolare di quelle sotto la sua giurisdizione. Le leggi statali devono proteggere le persone concrete anche nelle loro esigenze comunitarie, che sono inscindibili dalla persona. Nel dibattito attuale i livelli sono spesso confusi cosicché le ideologie sono protette mentre, a volte, le persone e le comunità di persone non lo sono in maniera adeguata. La legislazione nazionale deve essere efficace nel tutelare i diritti di tutte le persone nella sua giurisdizione. Ciò implica che nei sistemi educativo e giudiziario, nella partecipazione politica, nell'accesso all'occupazione, in breve, nella società civile e politica, la religione non debba essere motivo di discriminazione. "La religione, in altre parole, per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione". (Papa Benedetto XVI, Discorso nella Westminster Hall, 18 settembre 2010). La vera diffamazione di una religione si verifica quando essa viene manipolata e trasformata in un'ideologia discriminatoria contro persone e comunità di persone concrete. Signor Presidente. In conclusione, è necessario trovare nuove forme di dialogo e di educazione per identificare e promuovere valori condivisi e principi universali, che siano coerenti con la dignità e la natura sociale della persona umana, volti al bene comune e all'edificazione di una società che comprenda uno spazio concreto per i diritti e le libertà fondamentali di persone e di comunità di persone. "Vi sono molti campi in cui la Chiesa e le pubbliche autorità possono lavorare insieme per il bene dei cittadini" (Ibidem). La mia delegazione concorda con la raccomandazione del Rapporteur Speciale sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza, secondo la quale dobbiamo fissare il dibattito nell'importante cornice legale internazionale esistente e quindi garantire un futuro pacifico per tutti. |