INTERVENTO DELLA SANTA SEDE INTERVENTO DI MONS. ANTHONY FRONTIERO, Varsavia La Delegazione della Santa Sede desidera esprimere il proprio apprezzamento per la possibilità che le è stata offerta di partecipare a quest'importante dibattito. L'odierna sessione di lavoro è una verifica opportuna dell'Incontro Supplementare sulla Dimensione Umana, svoltosi a Vienna dal 9 al 10 luglio 2009. Nel suo discorso in occasione di tale incontro, una delle relatrici, la professoressa Ombretta Fumagalli Carulli, ha giustamente affermato che l'assunzione da parte degli Stati dell'impegno a favore della libertà religiosa, come proposto dal Principio VII dell'Atto Finale di Helsinki del 1975, è stata un successo notevole perché, grazie a una successiva elaborazione da parte dell'OSCE, tale Principio VII è divenuto una delle più dettagliate e complete disposizioni relative alla religione che uno strumento internazionale per i diritti umani abbia mai elaborato. Ciononostante, come ha sottolineato la rofessoressa Carulli, restano da affrontare sfide significative alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di credo. È evidente che alcune di queste sfide non sono nuove e si manifestano con atti di intolleranza, violenza e discriminazione quali interferenze dello Stato nella possibilità delle persone di pregare e praticare il culto, ostilità sociali o stereotipi delle religioni, requisiti di registrazione inutilmente gravosi, restrittivi o invasivi. Più di recente sono sorte altre sfide in società sempre più relativiste, in cui si tende a subordinare la libertà di religione o a sradicarla del tutto, e, a volte, a promuovere altri obiettivi presentati come se fossero diritti. In riferimento a tali sfide, la Delegazione della Santa Sede desidera ricordare la centralità della libertà religiosa come è evidenziato dagli impegni dell'OSCE, i quali riconoscono che "la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Questo diritto si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana e riflette il fatto che tutti gli uomini e tutte le donne sono dotati di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità" (cfr. Dignitatis humanae, n. 2). L'impegno dell'OSCE per la libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di credo indica chiaramente che la fede religiosa correttamente interpretata non va considerata con sospetto o come un bizzarro ghiribizzo o un cimelio di un passato meno complesso. Gli Stati partecipanti hanno l'obbligo di rispettare e garantire a tutti gli individui soggetti alla loro giurisdizione il diritto alla libertà di religione o di credo, riconOSCEndo la libertà religiosa come preminente fra i diritti fondamentali e la sua tutela come cartina di tornasole del rispetto di tutti gli altri diritti umani. Lo scopo degli impegni dell'OSCE per la libertà religiosa non è l'emarginazione della religione nella speranza che svanisca, ma la difesa e l'appoggio perché possa prosperare. Bisogna operare una vera e propria distinzione fra Stato e religione, ma quest'ultima non va separata dalla vita sociale e culturale. La religione offre un contributo vitale e positivo alle società in cui la detta libertà viene rispettata. Infatti, la libertà di religione è un diritto umano fondamentale e "naturale", che può e dovrebbe coesistere con l'obbligo della comunità politica di garantire l'ordine e la sicurezza pubblici. L'idea di libertà di pensiero propugnata dall'OSCE a Helsinki non prevede l'esclusione dei credenti e dei valori religiosi dalla vita pubblica e dal dibattito civile. Intende, anzi, proteggere tutti, credenti e non, dalla coercizione nelle questioni religiose. Si tratta di un diritto fondamentale che tutela la dimensione trascendente dell'essere umano e, quindi, la sua dignità. Possiamo essere certi del fatto che l'impegno degli Stati partecipanti per la libertà di religione tutela il nostro diritto di mantenere privata la nostra fede. Tuttavia non persegue la privatizzazione della fede e neppure chiede ai credenti di disintegrare, in un certo senso, la propria fede prima di affrontare il dibattito pubblico o assumere le nostre responsabilità di cittadini. Promuove, anzi, il contributo che la religione può offrire alla sfera pubblica. A proposito del rapporto fra libertà di religione e libertà di espressione non esiste alcun diritto di non essere offesi dall'espressione di convinzioni religiose profondamente radicate. Concedere un tale diritto significherebbe, infatti, limitare la libertà di espressione di gruppi e individui, inclusi quelli religiosi, e sarebbe una discriminazione contro quelle persone che esprimono un diverso punto di vista attraverso tali convinzioni. Nel 1975, a Helsinki, gli Stati partecipanti hanno fatto un'affermazione forte, che va rinnovata di fronte alle sfide contemporanee: la libertà di religione è importante. Quegli stessi Stati partecipanti sapevano che non tutelando la maggior parte dei valori sacri, inclusa la professione e la pratica della fede, si sarebbero rese vulnerabili tutte le altre libertà, ossia di stampa, di espressione e di coscienza. Un elenco di raccomandazioni concrete verrà presentato alla Segreteria insieme a questo testo.
*L'Osservatore Romano 9.10.2009 p.2.
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