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INTERVENTO DELLA DELEGAZIONE DELLA SANTA SEDE ALLA 28a CONFERENZA DEI MINISTRI EUROPEI DELLA GIUSTIZIA INTERVENTO DI S.E. MONS. MANUEL MONTEIRO DE CASTRO* Lanzarote, Spagna 25-26 ottobre 2007 Signor presidente, 1. In primo luogo, la delegazione della Santa Sede desidera esprimere al Governo spagnolo quanto apprezzi il fatto che, organizzando questa conferenza, abbia permesso ai ministri della Giustizia dei paesi membri del Consiglio d'Europa di riflettere sulle condizioni e sulle modalità di accesso alla giustizia di categorie di persone vulnerabili come i migranti e i giovani minorenni, affinché i loro diritti siano tutelati e si prevengano o si facciano scomparire eventuali forme di discriminazione. Siamo ben consapevoli del fatto che le realtà vissute nel continente europeo mostrano che queste persone, in un modo o nell'altro, soffrono di forme di esclusione, d'ineguaglianza di trattamento, nel mondo del lavoro, e anche in quello dell'istruzione, della formazione o dell'assistenza sanitaria. Ancor di più, lo sfruttamento e gli abusi, anche sessuali, che riguardano i giovani minorenni e i migranti, soprattutto le donne, pongono numerosi problemi di ordine morale e giuridico. Si tratta qui di circostanze ancora più dolorose in quanto concernono persone senza difesa, le più deboli e quelle che vivono lontano dal proprio paese, quasi sempre senza averlo scelto. Limitare o persino negare l'accesso alla giustizia a queste persone deriva da condizioni e da comportamenti la cui origine è da ricercare al livello della sensibilità delle persone. Per sradicare simili forme d'intolleranza, è dunque necessario purificare e rinnovare il cuore di ognuno: solo allora sarà possibile modificare il quadro legislativo e anche i processi giudiziari e le garanzie procedurali che a volte giungono a privare i migranti e i giovani minorenni della loro condizione di persone, ostacolando le loro aspirazioni e negando di conseguenza i loro diritti e la loro libertà. 2. La delegazione della Santa Sede considera queste situazioni in flagrante contraddizione con i valori fondamentali radicati nella cultura europea che ispirano il processo d'integrazione in seno ai popoli dell'Europa, facendo così incorrere nel rischio di trasformare le regole fondamentali della convivenza pacifica in una semplice legalità formale che, spesso, non è veramente funzionale dinanzi alle esigenze dell'ordine sociale. In tutte le questioni che si pongono, quella che concerne la crescente presenza dell'elemento femminile nel fenomeno migratorio e fra quanti chiedono asilo, richiede un'attenzione particolare, poiché questo problema ha assunto un aspetto diverso rispetto al passato: le donne, in passato, lasciavano il loro paese per raggiungere i mariti laddove si trovavano, al fine di potere ricostituire il nucleo familiare. Oggi, invece, nell'emigrazione femminile, constatiamo che la donna lascia il suo paese in modo autonomo, al fine di trovare condizioni di vita e di lavoro che possano non solo assicurarle un reddito, ma anche il rispetto dei suoi diritti fondamentali. Inoltre, in molti casi, le donne migranti rappresentano per famiglie separate fra il paese di origine e i paesi di prima accoglienza l'unica fonte di reddito. In questo contesto, infine, occorre sottolineare che il traffico di esseri umani concerne soprattutto le donne e che è in aumento laddove sono deboli o precluse le possibilità di ricongiungimento familiare, di miglioramento delle condizioni di vita o semplicemente di sopravvivenza. Sono situazioni che agevolano l'azione criminale di trafficanti che infondono false speranze in vittime che ignorano ciò che le attende, destinando donne e ragazze a essere sfruttate praticamente come schiave e dando allo stesso tempo un'espressione concreta alla cultura edonistica che promuove lo sfruttamento sistematico della sessualità. Se dunque i migranti sono particolarmente vulnerabili, le donne lo sono ancora di più, poiché subiscono una discriminazione per la loro stessa condizione, non avendo la possibilità di trovare un impiego se non in settori che offrono un salario minimo come il lavoro domestico, l'assistenza alle persone anziane o ai malati. Si tratta di ambiti in cui norme specifiche, accompagnate da un quadro istituzionale che ne garantisca il giusto rispetto, potrebbero essere individuate e messe in atto, al fine di arrivare a un trattamento equo della donna migrante, rispettoso della sua femminilità e dell'uguaglianza dei suoi diritti. 3. Rispetto alla situazione di quanti chiedono asilo o dei rifugiati, occorre sottolineare che, generalmente, l'approccio legale e procedurale si accontenta di considerare il loro ingresso nel paese, senza preoccuparsi di conoscere i motivi che hanno spinto queste persone a fuggire dal loro paese di origine. Questi motivi sono quasi sempre l'indice di ingiustizie, di sofferenze e di risposte insufficienti ai bisogni essenziali: non si può allora dire che questi diritti fondamentali negati o non goduti sono la causa di tali spostamenti forzati? È dunque necessario che accanto all'impegno umanitario, si emanino norme e procedure che permettano di tradurre in termini di giustizia le forme di solidarietà proprie degli europei, riconoscendo che ogni persona, a motivo della sua dignità e dei diritti che ne derivano, non può essere oggetto di atti di discriminazione. Un primo impegno potrebbe consistere nel migliorare le informazioni sulla realtà dei migranti e di quanti chiedono asilo. In effetti la maniera in cui si presentano le informazioni può far progredire nel senso di un'accoglienza reciproca, o persino condurre a forme di autentica cooperazione. Nei paesi di prima accoglienza, diviene allora determinante favorire l'educazione e la formazione volte non solo a far conoscere altre culture, ma anche ad aprirsi a persone che sono portatrici di tali differenze, al fine di mettere progressivamente in atto un processo di comprensione reciproca e di rispetto che è garanzia di un'applicazione coerente ed efficace delle regole e della pacifica convivenza. 4. L'accesso dei giovani minorenni alla giustizia in vista del rispetto dei loro diritti e della garanzia delle loro libertà fondamentali resta una priorità non solo di ordine legislativo, ma anche, in senso più vasto, di carattere culturale e sociale. Per questo la tutela dei minori contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali esige prima di tutto un impegno progressivo ed efficace di prevenzione, che tenga conto di tutti gli aspetti della loro vita, a cominciare dalle situazioni in cui sono più vulnerabili. Allo stesso modo, occorre che le vittime ricevano garanzie e che forme di giudizio siano messe in atto rispetto al comportamento e alla responsabilità personale di quanti commettono, verso i minori, atti penalmente gravi e delittuosi. In molti casi in effetti le tecniche coercitive utilizzate da quanti commettono abusi contro i minorenni e l'incapacità dei sistemi di tutela di mettere le piccole vittime al sicuro, divengono altrettante forme di aggravamento della situazione. È allora indispensabile fondare saldamente la convinzione che il diritto alla tutela contro la violenza e lo sfruttamento sessuale fa parte di quei diritti definiti primari, perché ha un'influenza determinante sulla possibilità di godere di altri diritti e soprattutto perché è alla base di un positivo sviluppo del giovane minorenne, sul piano fisico, psichico, spirituale e materiale. La responsabilità personale non può dunque mai trovare la sua giustificazione nello status del criminale, ma non può neppure trovare motivazioni nelle strutture di appartenenza che, spesso, ignorano l'atteggiamento degli individui. È d'altronde ciò che risulta dall'applicazione effettiva, a livello sia nazionale sia internazionale, delle dichiarazioni e delle norme che concernono i diritti umani. È in tal senso che è opportuno considerare altresì il fenomeno della delinquenza giovanile, orientando l'assistenza giudiziaria e l'insieme delle attività del mondo della giustizia verso la riabilitazione dei minorenni. Spesso, in effetti, la criminalità dei bambini è percepita in modo discordante rispetto alla sua realtà, e ciò a causa dell'impressione generale di insicurezza presente nelle nostre società e dello stile di vita in cui la famiglia non è più considerata come il garante dell'interesse superiore del bambino e dunque come determinante per le sue scelte di vita e di formazione. Una concezione corretta del principio di sussidiarietà esige al contrario che, dinanzi alla necessità di creare strutture adeguate per farsi carico dei minori, non si sacrifichi il ruolo educativo e preventivo che i genitori sono naturalmente chiamati a svolgere. Si tratta di un ruolo che i poteri pubblici possono sostenere attraverso aiuti e strutture specializzate che non siano volte all'esclusione o alla detenzione, ma che mirino a reinserire i minori nel tessuto sociale. Signor presidente, 5. Ecco alcune riflessioni che la delegazione della Santa Sede desidera offrire a questa conferenza al fine di contribuire all'applicazione di misure che rispondano alla situazione del continente europeo, così come la vediamo attualmente e dove si affermano e coesistono numerose idee e convinzioni che richiedono tuttavia di essere unificate. È un'opera alla quale il Consiglio d'Europa e le sue istituzioni possono certamente contribuire favorendo la comprensione del principio secondo il quale un accesso alla giustizia adeguato alle categorie più vulnerabili non può essere confuso con un semplice ricorso alla giustizia per difendere dei diritti. La giustizia è in effetti sinonimo di rispetto dell'altro, di condivisione delle sue aspirazioni e dei suoi bisogni; essa è dunque capace d'ispirare una cultura della legalità che, in caso di discriminazioni, di violazioni o di abusi, garantisca i diritti fondamentali, riconoscendo che questi devono essere esercitati con responsabilità, nel rispetto dei valori delle nostre società e dei principi di base della vita in comune. Grazie.
*L'Osservatore Romano 9.11.2007 p.2. |