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DISCORSO DEL CARDINALE ANGELO SODANO
AL XXXIV CONVEGNO NAZIONALE DELLA FEDERAZIONE
TRA LE ASSOCIAZIONI DEL CLERO IN ITALIA (F.A.C.I.)

Montecatini Terme
Martedì, 29 novembre 2005

1. Il clero italiano

Ogni Diocesi ha un volto diverso; così è pure per le 25.000 parrocchie della nostra penisola. Ma ovunque il sacerdote diocesano è chiamato a svolger con rinnovato vigore la sua missione apostolica, accettando le sfide che il mondo moderno ci pone. In Italia, insieme con 34.000 sacerdoti diocesani lavorano poi con grande zelo 18.000 sacerdoti religiosi, in opere specifiche di apostolato, soprattutto nel campo culturale, educativo e caritativo. Ma il sacerdote diocesano è il cooperatore nato del Vescovo ed assicura la cura pastorale ordinaria del popolo santo di Dio.

Importanti sono, quindi, tutte le associazioni che aiutano il sacerdote a svolgere bene la sua missione, dall'associazione formativa a quella culturale, da quella missionaria a quella sociale. In tale solco s'inserisce pure la nostra Federazione, nata appunto per aiutare i sacerdoti nel loro lavoro quotidiano, alle prese con tanti problemi pratici nella vita delle parrocchie, dalle esigenze di culto fino a quelle assistenziali e previdenziali. La Benedizione che diede alla F.A.C.I. il Papa Benedetto XV, di v.m., il 30 settembre 1917, ha contribuito ai frutti abbondanti di bene che la nostra Federazione ha finora prodotto.

2. Il monito del Concilio

Sovente noi ritorniamo a meditare sul noto documento che ci ha dato il Concilio Vaticano II sul ministero e la vita sacerdotale, e cioè sul Decreto "Presbyterorum Ordinis". Ne ricorderemo, fra poco, il quarantesimo Anniversario, commemorando quel 7 dicembre del 1965, allorquando esso fu promulgato. Ebbene, lì vi è un invito pressante all'unione ed alla cooperazione fraterna dei presbiteri fra di loro.

È una pagina luminosa del magistero ecclesiastico, una pagina sempre attuale, anzi più attuale che mai, nella situazione in cui oggi anche i sacerdoti italiani sono chiamati ad operare.

Vorrei, pertanto, rileggerla qui con voi. Sarà la migliore introduzione al vostro Convegno.

Ecco esattamente ciò che ci insegna il Concilio Vaticano II al n. 8 del Decreto "Presbyterorum Ordinis":

"Ciascuno dei presbiteri è dunque legato ai confratelli con il vincolo della carità, della preghiera e di ogni specie di collaborazione, manifestando così quella unità con cui Cristo volle i suoi resi perfetti in uno, affinché il mondo sappia che il Figlio è stato inviato dal Padre. [...] Animati da spirito fraterno, i presbiteri non trascurino l'ospitalità, pratichino la beneficenza e la comunione dei beni, avendo speciale cura di quanti sono inermi, afflitti, sovraccarichi di lavoro, soli o in esilio, nonché di coloro che soffrono la persecuzione. È bene anche che si riuniscano volentieri per trascorrere assieme in allegria qualche momento di distensione e riposo, ricordando le parole con cui il Signore stesso invitava gli Apostoli stremati dalla fatica: "Venite in un luogo deserto a riposare un poco" (Mc 6, 31). Inoltre, per far sì che i presbiteri possano reciprocamente aiutarsi a fomentare la vita spirituale e intellettuale, collaborare più efficacemente nel ministero, ed eventualmente evitare i pericoli della solitudine, sia incoraggiata fra di esse una certa vita comune, ossia una qualche comunità di vita, che può naturalmente assumere forme diverse, in rapporto ai differenti bisogni personali e pastorali: può trattarsi, cioè, di abitazione comune, là dove è possibile, oppure di una mensa comune o almeno di frequenti e periodici incontri. Vanno anche tenute in grande considerazione e diligentemente incoraggiate le associazioni che, in base a statuti riconosciuti dall'autorità ecclesiastica competente, fomentano - grazie a un modo di vita convenientemente ordinato e approvato e all'aiuto fraterno - la santità dei sacerdoti nell'esercizio del loro ministero, e mirano in tal modo al servizio di tutto l'ordine dei presbiteri".

3. Le diverse responsabilità

È davvero una pagina del magistero della Chiesa, che conserva tutta la sua attualità anche per noi oggi, alle prese con sfide sempre nuove per la vita e la missione del sacerdote nella realtà attuale.

Il richiamo del Concilio termina con un'espressione sintetica, che ben riassume lo spirito della nostra solidarietà: "in ogni occasione, i presbiteri si mostrino come veri fratelli ed amici", o, se volete, con il bel latino d'un tempo: "continuo sese praebeant ut revera fratres et amicos". E questo è appunto lo spirito che ci ha spinti oggi a ritrovarci insieme!

Ognuno di noi lavora in campi diversi d'apostolato, ma unico è il movente che ci ispira, qual è quello di continuare l'opera redentrice di Gesù nel mondo, perché il mondo creda, perché il mondo si salvi.
Gesù aveva detto ai suoi Apostoli che "nella casa del Padre vi sono molte mansioni", o, come leggiamo nel testo della Vulgata: "In domo Patris mei mansiones multae sunt" (Gv 14, 2). In senso traslato, potremmo applicare tale parola di Gesù anche al nostro lavoro sacerdotale, in campi diversi, con responsabilità diverse, ma sempre tendenti all'unico fine della diffusione del Regno di Dio nel mondo di oggi.

È difficile dire in quali campi d'apostolato si ottengono più frutti. È difficile dire con quale lavoro si ottengano più meriti di fronte al Signore ed alla comunità cristiana, che vogliamo servire.

Ognuno è chiamato a dare il suo contributo là ove la Provvidenza Divina, attraverso la voce dei propri Vescovi, ci ha collocato. A volte l'erba del vicino appare sempre più verde. A volte pare che l'albero del vicino dia più frutti. Sono le tentazioni di tutti. Ma l'essenziale è la fedeltà alla missione che ci è stata affidata nella Chiesa, sviluppando ora l'uno ora l'altro del triplice nostro officio sacerdotale, diretto ad insegnare, a santificare ed a guidare il popolo santo di Dio.

Insegnare, santificare e guidare sono quei "tria munera", i tre compiti a noi affidati dal Signore per l'edificazione della sua Santa Chiesa. C'è chi è chiamato a lavorare più in un campo e c'è chi è chiamato ad impegnarsi piuttosto in un altro. Ma i tre impegni non si possono separare, perché tutti e tre costituiscono l'anima della nostra vita sacerdotale.

4. Un ricordo personale

A tale proposito vorrei citare un episodio che aveva colpito vivamente me, giovane sacerdote, allorquando mi preparavo alla laurea in Teologia a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana.

Eravamo nella primavera del 1952 ed avevo fatto visita al Padre Vaccari, S.J., noto biblista sui cui testi tanti di noi stavamo studiando. Ormai anziano, egli mi parlava con tanta nostalgia della terra da cui proveniva, la Diocesi di Tortona in Piemonte. Il discorso si spostò poi su un'altra grande figura della sua terra, Don Orione, ora san Luigi Orione, concludendo poi così: "Quello sì che ha fatto del bene, quello sì che ha servito davvero la Chiesa d'oggi. Invece, io ho dovuto sempre lavorare fra le carte, con l'ebraico, il greco e il latino, senza il contatto diretto con i fedeli".

Le sue parole mi colpirono, perché poco prima io avevo letto nella vita di Don Orione una frase diversa nei riguardi del grande Padre gesuita. Il Santo di Tortona diceva, infatti, parlando del suo conterraneo ed amico: "Quanto bene può fare il p. Vaccari con il suo insegnamento nel Pontificio Istituto Biblico. Quanti possono così conoscere meglio la Parola di Dio e viverla. Io, invece, devo occuparmi ogni giorno di cose ben più pratiche, al servizio di tanti ragazzi e di tanti poveri!".

È un episodio che ben mi dimostrava che nel grande campo dell'apostolato vi erano allora, come vi sono oggi, responsabilità diverse. L'essenziale è la fedeltà al proprio impegno, a quella missione che la volontà di Dio ci ha assegnato, attraverso la voce del Vescovo diocesano o del proprio Superiore.

5. Un metodo sempre attuale

Guardando poi i diversi campi d'apostolato in cui noi oggi siamo chiamati ad operare, si potrebbero fare tante considerazioni.

Vedendo qui oggi riuniti sacerdoti di età diverse, vorrei soffermarmi su un punto che ritengo importante, qual è quello di un sano rapporto fra tradizione e modernità nel nostro ministero.

A tale proposito è sempre attuale la parabola di Gesù circa "le cose nuove e le cose vecchie". È una delle sette parabole, con le quali il Maestro spiegava ai suoi discepoli le caratteristiche del suo Regno. Dopo l'ultima parabola, quella della rete gettata in mare e che raccoglie ogni genere di pesci, il Signore si rivolgeva alla folla che assiepava la riva del mare di Galilea, esclamando: "Avete capito tutte queste cose?". Gli risposero: "Sì". Ed egli disse loro: per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie, "qui profert de thesauro suo nova et vetera" (Mt 13, 52).

Come lo scriba del Vangelo, anche noi siamo chiamati oggi a far tesoro delle tradizioni del passato e ad adattarci poi all'epoca storica in cui viviamo.

6. Il concetto di tradizione

Voglio qui precisare che con il termine "tradizione" ci si riferisce a quelle consuetudini, pur sante e venerabili, che si sono formate nella Chiesa nel corso dei secoli e che sono, quindi, di diritto ecclesiastico, a differenza della "Tradizione divino-apostolica", alla quale è legata e sarà per sempre legata la vita della Chiesa. Questa è la "Tradizione" con la "T" maiuscola, le altre sono "tradizioni" con la "t" minuscola, anche se degne della massima considerazione, perché sovente nate nella Chiesa per ispirazione dello Spirito Santo, che sempre la vivifica.

La Tradizione divino-apostolica, come ben sappiamo, è all'origine della vita della Chiesa, anzi precede la stessa Sacra Scrittura, per antichità, pienezza e sufficienza.

Le tradizioni ecclesiastiche sono, invece, delle forme particolari attraverso le quali la grande Tradizione si esprime, in forme adatte ai diversi luoghi ed alle diverse epoche storiche. Alla luce della Tradizione, queste "tradizioni" particolari possono essere conservate, modificate, oppure abbandonate, sempre sotto la guida del Magistero della Chiesa (cfr al riguardo, il n. 83 del Catechismo della Chiesa Cattolica).

7. Le esigenze della modernità

Come ben sappiamo, nella Chiesa vi è però un criterio supremo, trasmesso appunto dalla sapiente tradizione dei nostri Padri. È il criterio del bene supremo delle anime: "bonum animarum suprema lex".

Si tratta, cioè, di quel sano "aggiornamento" che aveva spinto il Papa Giovanni XXIII ad indire il Concilio Ecumenico Vaticano II e che poi ha ispirato tante riforme postconciliari.

Nell'attuare tali riforme si è poi rivelata provvidenziale l'opera dei Sommi Pontefici e dei Vescovi del mondo intero, per far sì che il rinnovamento postconciliare non intaccasse il valore di venerande tradizioni ecclesiastiche, con il pretesto che alcune di esse non erano di origine divina.

Da molti è stato così fatto notare che è certo riprovevole un "tradizionalismo assoluto" che non riconosce ai Pastori della Chiesa il diritto-dovere di guidare i fedeli, a seconda delle condizioni storiche in cui vivono, con i metodi che più sono opportuni per la loro vita spirituale.

Ma allo stesso tempo è stato giustamente condannato un "modernismo" radicale, che non riconosce nemmeno alle più nobili tradizioni umane alcun valore educativo per la vita di fede dei credenti.

8. Conclusione: "viribus unitis"

Cari Confratelli, con questo spirito di fedeltà al passato e di apertura al presente, continuiamo il nostro lavoro quotidiano, in unione con tutti i membri della Chiesa, con i Religiosi e le Religiose, come con i laici che condividono con noi il loro impegno apostolico.

Dovremo poi agire in stretta unione con i nostri Vescovi e con il Romano Pontefice, centro dell'unità visibile della Chiesa. Questa è stata sempre la caratteristica del clero italiano e questa deve essere ancor oggi un nostro bel distintivo. Da parte sua, il Papa Benedetto XVI mi ha incaricato di salutarvi di cuore e di trasmettervi la sua paterna benedizione. Ciò che faccio ben volentieri, al termine di queste mie parole, sicuro che con tale unione di menti e di cuori lavoreremo con più impegno ancora per la diffusione del Regno di Dio nel mondo d'oggi.

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