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INCONTRO DEI CATTOLICI DELL'EUROPA CENTRALE
"MITTELEUROP
ÄISCHER KATHOLIKENTAG"

DISCORSO DEL CARDINALE ANGELO SODANO

Refettorio del Convento di Mariazell
Venerdì, 21 maggio 2004
 

 

Signori Cardinali e cari Confratelli nell'Episcopato,

"Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum" (Sal 133, 1), cantava il Salmista contemplando estasiato la riunione del popolo eletto in occasione del pellegrinaggio annuale effettuato nella festa delle Capanne. "Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!" Vorrei anch'io esclamare questa sera, incontrandomi con voi, venerati Pastori delle Chiese che tornano a rifiorire nell'Europa centrale.

Sono venuto qui per farvi sentire in quest'ora di grazia la vicinanza del Santo Padre Giovanni Paolo II e per assicurarvi della solidarietà di tutti i suoi Collaboratori che, nella Curia Romana, sono impegnati a coadiuvarlo nella sua missione di Pastore della Chiesa universale.

1. La presenza del Papa

Del resto, il Vescovo di Roma vi è sempre stato vicino ed ha pure già visitato tutti gli otto Paesi che voi oggi qui rappresentate. Qui in Austria, venne per ben tre volte, nel 1983, visitando questo bel Santuario di Mariazell, poi nel 1988 e infine nel 1998. Qui oggi è presente nuovamente in spirito, proclamando ancora una volta che Cristo è la nostra speranza.

In Bosnia ed Erzegovina, il Papa visitò la città martire di Sarajevo nel 1997 e ritornò l'anno scorso a Banja Luka, per beatificare la grande figura di un laico dei tempi moderni, il giovane Ivan Merz.

Nella Repubblica Ceca, il Papa si recò nel 1990, agli albori della ritrovata libertà dopo il crollo del comunismo, ritornandovi altre due volte nel 1995 e nel 1997, ripercorrendo così l'itinerario terreno di S. Adalberto e ricordando la storia spirituale dell'Europa centrale.

Parimenti fortunata è stata la Croazia con tre visite pastorali del Santo Padre, nel 1994, nel 1998 e nel 2003. Commovente fu, in particolare, la beatificazione del Card. Alojzije Stepinac nel Santuario Marija Bistrica, il 3 ottobre 1998, occasione nella quale fu così esaltata una delle più grandi figure dell'Episcopato dei tempi moderni.

Logica, poi, era la predilezione del Papa per la sua terra natale. E così la Polonia ha potuto godere di ben 8 visite di Giovanni Paolo II, dalla prima, nel giugno del 1979, fino a quella del 2002 nella sua Cracovia ed a Kalwaria Zebrzydowska, portando ovunque un messaggio di speranza cristiana.

Particolarmente privilegiata è stata anche la Slovacchia con tre visite pontificie, dal 1990 a Bratislava (anche se ancora ai tempi dell'unica Cecoslovacchia) fino a quelle del 1995 e del 2003.

Anche lì la Chiesa aveva molto sofferto per la persecuzione comunista, che aveva cercato di sradicare quella fede seminata dai Santi Cirillo e Metodio, fin da quando nell'880 era stata fondata la "Santa Chiesa di Nitra". Giovanni Paolo II vi trovò però una fede indomita, che aveva resistito eroicamente a tutte le tempeste.

Anche la Slovenia ha avuto la fortuna di ricevere il Papa per due volte, nel 1996 e nel 1999. A Maribor fu beatificato il grande Vescovo Anton Martin Slomsek, ricordando che le sue parole "la santa fede sia per voi la luce" sono sempre valide per i cristiani di tutti i tempi.

Pure l'Ungheria, la Pannonia sacra, ha visto per ben due volte Giovanni Paolo II pellegrino per le sue belle terre, da Budapest a Esztergom, per pregare sulla tomba del grande Card. Mindszenty; dal Santuario di Mariapócs all'Abbazia di Pannonhalma, fino a Györ, ove fu beatificato il Vescovo martire Vilmos Apor, nobile figura di Pastore che offrì la vita per il suo gregge.

2. Un invito alla collaborazione

Per mezzo mio, il Papa desidera oggi rinnovare il suo saluto a tutti voi, venerati Pastori di questi otto Paesi dell'Europa centrale, legati da tanti comuni vincoli di storia e protesi verso nuove forme di collaborazione, nel contesto della nuova realtà che sta sorgendo in un'Europa che si sta integrando ognor più.

Già durante la sua prima visita in Austria nel 1983, il Papa fece appello, nel suo noto discorso nell'"Europavesper am Heldenplatz", alla comune responsabilità delle vostre genti per l'avvenire cristiano dell'Europa. E tale tematica fu il leitmotiv delle altre due visite del Papa in questa terra così carica di storia.

Oggi, in occasione del Katholikentag del 2004, Giovanni Paolo II invita tutti voi a continuare in quest'impegno comune, per dare il vostro contributo alla costruzione di un'Europa dello spirito, di un'Europa che vuole progredire nel solco della sua eredità cristiana.

3. Un inno di gratitudine

Riuniti intorno ai Confratelli austriaci, credo che oggi sia nostro primo dovere quello di ringraziare il Signore per questa nuova ora di grazia che concede alla sua Chiesa. È un ringraziamento per aver sostenuto le Chiese dell'Europa centrale nell'ora della persecuzione e nella lunga notte oscura della prova. È un ringraziamento per il dono della ritrovata libertà religiosa, così necessaria perché la Chiesa possa compiere la sua missione evangelizzatrice nel mondo d'oggi, specialmente fra le nuove generazioni.

Nella notte di Pasqua, abbiamo cantato più lieti che mai l'inno dell'Exsultet e nella benedizione del cero pasquale abbiamo proferito le belle parole della liturgia: "Christus heri et hodie, Alpha et Omega, ipsi gloria in saecula saeculorum". E così possiamo ripetere ogni giorno, rendendo omaggio a Colui che è il Signore della storia, Provvidenza di sempre sul cammino dei popoli.

Visitando con il Santo Padre la bella Cattedrale di Spalato, in terra di Croazia, il 4 ottobre 1998, mi commossi riandando con la memoria alla storia di quell'edificio. Esso non era che il mausoleo che si era fatto costruire l'Imperatore Diocleziano, il più feroce persecutore dei cristiani. Sulle sue rovine, già nel settimo secolo, sorgeva l'attuale Chiesa Cattedrale. Quei cristiani videro così ben presto realizzata la promessa di Cristo: "portae inferi non praevalebunt" (Mt 16, 18).

Le vicende dell'Europa cristiana ci spingono davvero a delineare una teologia della storia. È ciò che leggevo recentemente sull'ultimo numero de la Nouvelle Revue Théologique in un articolo del p. Herr, S.J., dal titolo "Essai sur l'héritage de l'Europe. Une lecture théologique" (ibidem, 126/2 [2004], pagg. 218-235).

4. Le nuove sfide

Guardando poi al futuro, vedete aprirsi dinnanzi a voi un immenso campo di lavoro. È un campo che abbraccia le vostre otto Nazioni dell'Europa centrale e che pone dei problemi nuovi a tutti i 107 Pastori delle altrettante diocesi sparse nelle vostre terre. I 60 milioni di cattolici a voi affidati sono inseriti in una realtà più vasta composta da 83 milioni di abitanti, che fanno parte di un'Europa ormai pluralistica che porge delle sfide nuove al vostro impegno apostolico.

Ieri, le vostre comunità hanno dovuto sostenere le sfide del nazismo e del comunismo. Oggi, c'è la sfida del laicismo, che tenta di occultare la presenza dei valori religiosi, ed in particolare di quelli cristiani, nella vita pubblica. Lo si vede anche nella discussione in corso sul Trattato costituzionale dell'Unione Europea.

I cristiani non devono però scoraggiarsi; devono continuare a diffondere la loro concezione della vita individuale e sociale, con il metodo del dialogo fraterno verso tutti.

Già il Papa nella sua lettera Novo Millennio ineunte annotava che il nuovo periodo storico si sta collocando nella prospettiva di un "più spiccato pluralismo culturale e religioso" (n. 55).

Il dialogo diventa pertanto importante e entra così a far parte della stessa missione evangelizzatrice della Chiesa, in intimo legame con l'annuncio di Cristo, che è la sua ragione di essere nel corso della storia umana.

Oggi con tale dialogo sentiamo poi di contribuire alla pace sociale e di concorrere a quel "ministero di riconciliazione" (2 Cor 5, 18) al quale siamo chiamati,  in  forza  della  nostra  missione.

Ciò è importante anche per voi, cari Confratelli nell'Episcopato, che lavorate in diverse comunità nazionali. La formazione ad un sano amore alla propria terra deve però egualmente comportare un eguale amore ai vicini, evitando ogni nazionalismo anacronistico. Certo, le Nazioni non possono scomparire nella nuova Europa. Gli Austriaci saranno sempre Austriaci, i Croati saranno sempre Croati, i Polacchi saranno sempre Polacchi, e così via. Dovremo però contribuire ad una formazione nuova della nostra gioventù. Nell'800, al momento dell'unificazione italiana, il Primo Ministro Cavour disse quella frase famosa: "L'Italia è fatta, occorre ora fare gli Italiani". Ora, con una certa analogia, potremmo dire: "L'Unione Europea è fatta, occorre ora fare gli Europei!".

5. Il lievito del Vangelo

È questo un lavoro lento e paziente, così come è lento e paziente il lavoro della Chiesa in generale, per porre il lievito del Vangelo nella nuova realtà del continente, così come ha sempre fatto nei duemila anni della sua storia.

In realtà, nessuno studioso può negare come il messaggio di Cristo abbia permeato la nostra civiltà, trasformando poco a poco, come il fermento della parabola evangelica, il mondo greco-romano e poi i popoli che si sono andati costituendo in questo continente. È ciò che ha messo bene in luce il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella nota Costituzione pastorale Gaudium et spes, là ove dice che la Chiesa è chiamata ad essere "il fermento e quasi l'anima della società umana" (ibidem, n. 40).

"Certo - ci ricordava il medesimo Concilio - la missione propria che Cristo ha affidato alla Chiesa non è di ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le è prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono compiti, luce e forza, che possono contribuire a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina" (ibidem, n. 42).

È questo il dinamismo del Vangelo che ancor oggi sta dimostrando la sua vitalità nel nostro continente.

6. Una visione di speranza

Ciò ci fa ben sperare per il futuro, nonostante le nubi che sembrano minacciare l'orizzonte. Ci consola la promessa del Signore: "Chi ascolta voi ascolta me" (Lc 10, 16). Ci dà poi una profonda serenità interiore quella parabola di Gesù, che ci dice: "Il Regno dei cieli è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa" (Mc 4, 26-27).

È una parabola che ci invita a continuare nel nostro lavoro quotidiano, senza pretendere di vederne subito i frutti. Anche nel Regno di Dio c'è, infatti, la legge della gradualità.

In questo Katholikentag, proclameremo ancora una volta che "Cristo è la nostra speranza", che Cristo è la speranza anche della nuova Europa che si sta costruendo. Certo, l'Europa è ancora un progetto, ma è un progetto ambizioso. Cristo ci è accanto nel nostro impegno per una civiltà cristiana dei nostri popoli. Con il Salmo potremmo concludere: "Beatus populus, cuius Dominus Deus eius" (Sal 143, 15). Beato il popolo il cui Dio è il Signore!

 

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