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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 104, August 2007

 

 

PAROLA DEL SANTO PADRE

FROM THE HOLY FATHER

 

INCONTRO CON I PARROCI ED IL CLERO DELLA DIOCESI DI ROMA ALL’INIZIO DELLA QUARESIMA

Vorrei innanzitutto dire che sono contento e felice di sentirmi qui realmente Vescovo di una grande Diocesi. Il Cardinale Vicario ha detto che vi aspettate luce e conforto. E devo dire che vedere tanti sacerdoti di tutte le generazioni è luce e conforto per me. Già dalla prima domanda ho anche e soprattutto imparato: e questo mi sembra anche un elemento essenziale del nostro incontro. Qui posso sentire la voce viva e concreta dei Parroci, le loro esperienze pastorali, e così posso soprattutto apprendere anch'io la vostra situazione concreta, le questioni che avete, le esperienze che fate, le difficoltà. Così posso viverle non solo in modo astratto, ma in un concreto colloquio con la vita reale delle parrocchie.

Vengo a questa prima domanda. Mi sembra che Lei abbia dato essenzialmente anche la risposta riguardo a quello che può fare questo Santuario... So che è il Santuario mariano più amato dai romani. Io stesso, quando sono venuto diverse volte nel Santuario antico, ho fatto esperienza di questa pietà secolare. Si sente la presenza della preghiera di generazioni e si tocca quasi con mano la presenza materna della Madonna. Si può realmente vivere un incontro con la devozione mariana dei secoli, con i desideri, le necessità, i bisogni, le sofferenze, anche le gioie delle generazioni nell'incontro con Maria. Così questo Santuario, al quale vengono le persone con le loro speranze, questioni, domande, sofferenze, è un fatto essenziale per la Diocesi di Roma. Sempre più vediamo che i Santuari sono una fonte di vita e di fede nella Chiesa universale, e così anche nella Chiesa di Roma. Nella mia terra ho avuto l'esperienza dei pellegrinaggi a piedi al nostro Santuario nazionale di Altötting. È una grande missione popolare. Ci vanno soprattutto i giovani e, pellegrinando a piedi per tre giorni, vivono nell'atmosfera della preghiera, dell'esame di coscienza, quasi riscoprono la loro coscienza cristiana di fede. Questi tre giorni di pellegrinaggio a piedi sono giorni di confessione, di preghiera, sono un vero cammino verso la Madonna, verso la famiglia di Dio e poi verso l'Eucaristia. Andando a piedi, vanno alla Madonna e vanno, con la Madonna, al Signore, all'incontro eucaristico, preparandosi con la confessione al rinnovamento interiore. Vivono di nuovo la realtà eucaristica  del Signore che dà se stesso, come la Madonna ha dato la propria carne al Signore, aprendo così la porta all'Incarnazione. La Madonna ha dato la carne per l'Incarnazione e così ha reso possibile l'Eucaristia, nella quale riceviamo la Carne che è il Pane per il mondo. Andando all’incontro con la Madonna, gli stessi giovani imparano ad offrire la propria carne, la vita di ogni giorno perché sia consegnata al Signore. E imparano a credere, a dire, man mano, «Sì» al Signore.

Perciò direi, per ritornare alla domanda, che il Santuario come tale, come luogo di preghiera, di confessione, di celebrazione dell'Eucaristia, è un grande servizio, nella Chiesa di oggi, per la Diocesi di Roma. Quindi penso che l'essenziale servizio, del quale Lei, del resto, ha parlato in modo concreto, è proprio quello di offrirsi come luogo di preghiera, di vita sacramentale e di vita di carità realizzata. Lei, se ho capito bene, ha parlato di quattro dimensioni della preghiera. La prima è quella personale. E qui Maria ci mostra la strada. San Luca ci dice due volte che la Vergine “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (2,19; cfr 2,51). Era una persona in colloquio con Dio, con la Parola di Dio, e anche con gli avvenimenti tramite i quali Dio parlava con Lei. Il «Magnificat» è un «tessuto» fatto di parole della Sacra Scrittura e ci mostra come Maria abbia vissuto in un colloquio permanente con la Parola di Dio e, così, con Dio stesso. Naturalmente, poi, nella vita insieme con il Signore, è stata sempre in colloquio con Cristo, con il Figlio di Dio e con il Dio trinitario. Quindi impariamo da Maria a parlare personalmente con il Signore, ponderando e conservando nella nostra vita e nel nostro cuore le parole di Dio, perché diventino nutrimento vero per ciascuno. Così Maria ci guida in una scuola di preghiera, in un contatto personale e profondo con Dio.

La seconda dimensione della quale Lei ha parlato è la preghiera liturgica. Nella Liturgia il Signore ci insegna a pregare, prima dandoci la sua Parola, poi introducendoci nella Preghiera eucaristica alla comunione con il suo mistero di vita, di Croce e di Risurrezione. San Paolo ha detto una volta che “nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare” (Rm 8,26): noi non sappiamo come pregare, cosa dire a Dio. Perciò Dio ci ha dato le parole della preghiera, sia nel Salterio, sia nelle grandi preghiere della sacra Liturgia, sia proprio nella Liturgia eucaristica stessa. Qui ci insegna a pregare. Noi entriamo nella preghiera formatasi nei secoli sotto l'ispirazione dello Spirito Santo e ci uniamo al colloquio di Cristo con il  Padre. Quindi la Liturgia è soprattutto preghiera: prima ascolto e poi risposta, sia nel Salmo responsoriale sia nella preghiera della Chiesa, sia nella grande Preghiera eucaristica. Noi la celebriamo bene se la celebriamo in atteggiamento «orante», unendoci al mistero di Cristo e al suo colloquio di Figlio col Padre. Se celebriamo l'Eucaristia in questo modo, come ascolto prima, poi come risposta, quindi come preghiera con le parole indicate dallo Spirito Santo, la celebriamo bene. E la gente viene attirata attraverso la nostra preghiera comune nel novero dei figli di Dio.

La terza dimensione è quella della pietà popolare. Un importante Documento della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti parla di questa pietà popolare e ci indica come «guidarla». La pietà popolare è una nostra forza, perché si tratta di preghiere molto radicate nel cuore delle persone. Anche persone che sono un po' lontane dalla vita della Chiesa e non hanno grande comprensione della fede sono toccate nel cuore da questa preghiera. Si deve solo «illuminare» questi gesti, «purificare» questa tradizione affinché diventi vita attuale della Chiesa…

Secondo punto: Lei giustamente ha sottolineato l'ecclesiologia del Concilio. Mi sembra che dobbiamo ancora molto di più interiorizzare questa ecclesiologia, sia quella della «Lumen gentium» sia quella della «Ad gentes», che è anche un Documento ecclesiologico, sia anche quella dei Documenti minori, e poi quella della «Dei Verbum». E interiorizzando questa visione possiamo anche attirare il nostro popolo in questa visione, che capisca che la Chiesa non è semplicemente una grande struttura, uno di questi enti sovrannazionali che esistono. La Chiesa, pur essendo corpo, è corpo di Cristo e quindi un corpo spirituale, come dice San Paolo. È una realtà spirituale. Mi sembra questo molto importante: che la gente possa vedere che la Chiesa non è una organizzazione sovranazionale, non è un corpo amministrativo o di potere, non è una agenzia sociale, benché faccia un lavoro sociale e sovranazionale, ma è un corpo spirituale.

L’Osservatore Romano, N. 45 (44.488), 24 Febbraio 2007, p. 6-8.

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DISCORSO TENUTO DURANTE LA VISITA ALLA MENSA DELLA CARITAS A COLLE OPPIO

Il saluto più caro va a voi, che quotidianamente usufruite del servizio di questa Mensa Caritas, e col pensiero vorrei raggiungere tutti i vostri amici che, provenendo da quasi tutti i Paesi del mondo, sono presenti in questa Città.

In questa Mensa, che in un certo modo potrebbe essere considerata il simbolo della Caritas di Roma, in questa locanda, come ha detto la vostra portavoce, è possibile toccare con mano la presenza di Cristo nel fratello che ha fame e in colui che gli offre da mangiare. Qui si può sperimentare che, quando amiamo il prossimo, conosciamo meglio Dio: nella grotta di Betlemme, infatti, Egli si è manifestato a noi nella povertà d’un neonato bisognoso di tutto. Il messaggio del Natale è semplice: Dio è venuto tra noi perché ci ama e aspetta il nostro amore. Dio è amore: non un amore sentimentale, ma un amore che si è fatto dono totale sino al sacrificio della Croce, cominciando con la nascita nella grotta di Betlemme.

Di questo amore, realistico e divino, ci parla il bel presepe che avete voluto allestire all’intero della vostra Mensa, e che poco fa ho potuto ammirare. Nella sua semplicità, il presepe ci dice che amore e povertà vanno insieme, come insegna anche un grande innamorato di Cristo, san Francesco d’Assisi. Nel Natale Dio si è fatto uomo, perché a Lui interessa l’uomo, ogni uomo. E San Gregoria Nazianzeno ha detto che si è fatto uomo perché voleva sperimentare personalmente come è l’essere uomo, come è realmente il vivere la povertà. Il grande Dio voleva fare esperienza personale della vita umana, di tutte le sofferenze e di tutti i bisogni umani. Appena nato, Gesù è stato deposto nella mangiatoia di Betlemme, parola che, come voi sapete, significa la Casa del pane. In realtà Gesù, “il pane disceso dal cielo”, “il pane della vita” (cfr Gv 6,32-51), si rende in qualche modo visibile ogni giorno in questa Mensa, dove non si vuole dare soltanto da mangiare – certamente mangiare è importante -, ma si vuole servire la persona, senza distinzione di razza, religione e cultura. “L’uomo che soffre ci appartiene”, diceva il mio indimenticabile Predecessore, Giovanni Paolo II, al quale proprio oggi abbiamo intitolato la Mensa. Dalla grotta di Betlemme, da ogni presepe si diffonde un annuncio che vale per tutti: Gesù ci ama e ci insegna ad amare, ci provoca ad amare. I responsabili, i volontari e tutti coloro che frequentano la Mensa possano sperimentare la bellezza di questo amore; possano sentire la profondità della gioia che da esso deriva, una gioia certamente diversa da quella illusoria reclamizzata dalla pubblicità.

Concluderemo tra poco questo nostro incontro elevando al Signore la nostra preghiera. A Lui sono ben note le necessità materiali e spirituali di tutti i presenti. Io vorrei pregarlo, in particolare, perché continui a proteggere quanti nella Caritas romana svolgono una preziosa opera di solidarietà qui e in altri punti della città. Lo Spirito Santo animi i cuori dei responsabili e di tutti gli operatori e volontari, perché compiano il loro servizio con dedizione sempre più consapevole, ispirandosi all’autentico stile dell’amore cristiano, che i Santi della carità hanno riassunto nel motto: il bene va fatto  bene. Su tutti vegli con amore premuroso la Vergine Maria, Madre della Chiesa, Madre di ciascuno di noi.

L’Osservatore Romano, N. 3 (44.446), 5 Gennaio 2007, p. 5.

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DISCOURS DU PAPE BENOÎT XVI POUR LES VŒUX AU CORPS DIPLOMATIQUE ACCRÉDITÉ PRÈS LE SAINT-SIÈGE

En début d'année, nous sommes invités à porter un regard sur la situation internationale, pour envisager les défis que nous sommes appelés à affronter ensemble. Parmi les questions essentielles, comment ne pas penser aux millions de personnes, spécialement aux femmes et aux enfants, qui manquent d’eau, de nourriture, de toit ? Le scandale de la faim, qui tend à s’aggraver, est inacceptable dans un monde qui dispose des biens, des connaissances et des moyens d’y mettre un terme. Il nous pousse à changer nos modes de vie; il nous rappelle l’urgence d’éliminer les causes structurelles des dysfonctionnements de l’économie mondiale et de corriger les modèles de croissance qui semblent incapables de garantir le respect de l’environnement et un développement humain intégral pour aujourd’hui et surtout pour demain. J'invite à nouveau les Responsables des Nations les plus riches à prendre les dispositions nécessaires pour que les pays pauvres, souvent pleins de richesses naturelles, puissent bénéficier des fruits des biens qui leur appartiennent en propre. De ce point de vue, le retard dans la mise en œuvre des engagements pris par la communauté internationale au cours des toutes dernières années est aussi source de préoccupation. Il faut donc souhaiter la reprise des négociations commerciales du «Doha Development Round» de l’Organisation mondiale du Commerce, ainsi que la poursuite et l’accélération du processus d’annulation et de réduction de la dette des pays les plus pauvres, sans que cela soit conditionné à des mesures d’ajustement structurel, néfastes pour les populations les plus vulnérables.

Une autre question qui prend toujours davantage de relief est celle des mouvements de personnes: des millions d’hommes et de femmes sont contraints à laisser leurs foyers ou leur patrie à cause de violences ou bien pour rechercher des conditions de vie plus dignes. Il est illusoire de penser que les phénomènes migratoires pourront être bloqués ou contrôlés simplement par la force. Les migrations et les problèmes qu’elles créent doivent être affrontés avec humanité, justice et compassion.

Ce cadre préoccupant n'empêche pas de percevoir des éléments positifs qui caractérisent notre époque. Je voudrais mentionner en premier lieu la prise de conscience croissante de l’importance du dialogue entre les cultures et entre les religions. Il s'agit d'une nécessité vitale, en particulier en raison des défis communs concernant la famille et la société. Je relève d’ailleurs les nombreuses initiatives en ce sens, qui visent à bâtir les bases communes pour vivre dans la concorde.

Il convient aussi de noter le développement de la prise de conscience de la communauté internationale face aux énormes défis de notre temps, ainsi que les efforts pour qu'elle se traduise en actes concrets. Au sein de l’Organisation des Nations Unies, a été créé l’année dernière le Conseil des Droits de l’Homme, dont il faut espérer qu’il centrera son activité sur la défense et la promotion des droits fondamentaux de la personne, en particulier le droit à la vie et le droit à la liberté religieuse.

Dans le cadre du développement, diverses initiatives ont été également lancées, auxquelles le Saint-Siège n’a pas manqué d’apporter son soutien, rappelant en même temps que ces projets ne doivent pas supprimer l’engagement des pays développés à destiner 0,7% de leur produit intérieur brut à l’aide internationale. Un autre élément important dans l'effort commun pour l’éradication de la misère requiert non seulement une assistance, dont on ne peut que souhaiter l'expansion, mais aussi la prise de conscience de l’importance de la lutte contre la corruption et la promotion de la bonne gouvernance. Il faut aussi encourager et poursuivre les efforts accomplis afin d'assurer l’application du droit humanitaire aux personnes et aux peuples, pour une protection plus efficace des populations civiles.

En considérant la situation politique dans les différents continents, nous trouvons encore des motifs de préoccupation et d’espérance. Nous constatons en premier lieu que la paix est bien souvent fragile et même bafouée. Nous ne pouvons pas oublier le Continent africain. Le drame du Darfour se poursuit et s'étend aux régions frontalières du Tchad et de la République centrafricaine. La communauté internationale semble impuissante depuis bientôt quatre ans, malgré les initiatives destinées à soulager les populations en détresse et à apporter une solution politique. C’est seulement par une collaboration active entre les Nations unies, l’Union Africaine, les gouvernements en cause et d'autres protagonistes que ces moyens pourront devenir efficaces. Je les invite tous à agir avec détermination : nous ne pouvons pas accepter que tant d’innocents continuent à souffrir et à mourir ainsi.

En Ouganda, il faut souhaiter les progrès des négociations entre les parties, en vue de la fin d’un conflit cruel qui voit même l'enrôlement de nombreux enfants contraints de se faire soldats. Cela permettra aux nombreux déplacés de revenir chez eux et de retrouver une vie digne. La contribution des chefs religieux et la récente désignation d’un Représentant du Secrétaire général des Nations unies sont de bonne augure. Je le redis: n’oublions pas l’Afrique et ses nombreuses situations de guerre et de tension. Il faut se rappeler que seules les négociations entre les différents protagonistes peuvent ouvrir la voie à un règlement juste des conflits et faire entrevoir des progrès vers la consolidation de la paix.

La Région des Grands Lacs a été ensanglantée depuis des années par des guerres sans merci. C’est avec intérêt et espérance qu’il convient d’accueillir les développements positifs récents, en particulier la conclusion de la phase de transition politique au Burundi et plus récemment en République démocratique du Congo. Il est cependant urgent que les pays s'attachent à un retour au fonctionnement des institutions de l'état de droit, pour endiguer tous les arbitraires et pour permettre le développement social. Au Rwanda, je souhaite que le long processus de réconciliation nationale après le génocide trouve son aboutissement dans la justice, mais aussi dans la vérité et le pardon. La Conférence internationale sur la Région des Grands Lacs, avec la participation d'une délégation du Saint-Siège et des représentants de nombreuses conférences épiscopales nationales et régionales de l'Afrique centrale et orientale, laisse entrevoir de nouvelles espérances. Enfin, je voudrais mentionner la Côte d’Ivoire, exhortant les parties en présence à créer un climat de confiance réciproque qui puisse conduire au désarmement et à la pacification, et d’autre part l’Afrique Australe: dans ces pays, des millions de personnes sont réduites à une situation de grande vulnérabilité, qui exige l’attention et l’appui de la communauté internationale.

Mon attention se tourne tout particulièrement vers certains pays, notamment la Colombie, où le long conflit interne a provoqué une crise humanitaire, surtout en ce qui concerne les personnes déplacées. Tous les efforts doivent être faits pour pacifier le pays, pour restituer aux familles leurs proches qui ont été enlevés, pour redonner sécurité et vie normale à des millions de personnes. De tels signes donneront confiance à tous, y compris à ceux qui ont été impliqués dans la lutte armée.

Ma pensée rejoint les communautés chrétiennes. Dans la plupart des pays d’Asie, il s’agit souvent de communautés petites mais vivantes, qui désirent légitimement pouvoir vivre et agir dans un climat de liberté religieuse. C'est à la fois un droit primordial et une condition qui leur permettra de contribuer au progrès matériel et spirituel de la société, et d’être des éléments de cohésion et de concorde.

En Afghanistan, au cours des derniers mois, il faut hélas déplorer une augmentation notable de la violence et des attaques terroristes, qui rendent difficile le chemin vers la sortie de crise et qui pèsent lourdement sur les populations locales. Au Sri Lanka, l’échec des négociations de Genève entre le Gouvernement et le Mouvement Tamoul a entraîné une intensification du conflit, qui provoque d’immenses souffrances parmi les populations civiles. Seule la voie du dialogue pourra assurer un avenir meilleur et plus sûr pour tous.

Le Moyen-Orient est aussi source de grandes inquiétudes. Aussi ai-je voulu adresser une lettre aux catholiques de la région à l’occasion de Noël, pour exprimer ma solidarité et ma proximité spirituelle avec tous, et pour les encourager à poursuivre leur présence dans la région, sûr que leur témoignage sera une aide et un soutien en vue d’un avenir de paix et de fraternité.

Le Saint-Siège ne se lassera jamais de répéter que les solutions armées n’aboutissent à rien, comme on l’a vu au Liban l’été dernier. L’avenir de ce pays passe nécessairement par l’unité de toutes ses composantes et par des relations fraternelles entre les différents groupes religieux et sociaux. Cela constitue un message d’espérance pour tous. Il n’est pas possible de se satisfaire non plus de solutions partielles ou unilatérales. Pour mettre un terme à la crise et aux souffrances qu'elle occasionne dans les populations, il importe de procéder par une approche globale, qui n’exclue personne de la recherche d’une solution négociée et qui tienne compte des aspirations et des intérêts légitimes des différents peuples concernés; notamment, les Libanais ont droit à voir respectées l’intégrité et la souveraineté de leur pays; les Israéliens ont le droit de vivre en paix dans leur État ; les Palestiniens ont droit à une patrie libre et souveraine. Si chacun des peuples de la région voit ses attentes prises en considération et se sent moins menacé, la confiance mutuelle se renforcera. Cette même confiance se développera si un pays comme l’Iran, tout spécialement en ce qui concerne son programme nucléaire, accepte de donner une réponse satisfaisante aux préoccupations légitimes de la communauté internationale. Des pas accomplis dans ce sens auront sans aucun doute un effet positif pour la stabilisation de toute la région, et de l’Iraq en particulier, mettant fin à l’épouvantable violence qui ensanglante ce pays et offrant la possibilité de relancer sa reconstruction et la réconciliation entre tous ses habitants.

Les situations que j’ai évoquées constituent un défi, qui nous implique tous; il s’agit d’un défi qui consiste à promouvoir et à consolider tout ce qu’il y a de positif dans le monde et à surmonter, avec bonne volonté, sagesse et ténacité tout ce qui blesse, dégrade et tue l’homme. C’est en respectant la personne humaine qu’il est possible de promouvoir la paix et c’est en bâtissant la paix que sont jetées les bases d’un authentique humanisme intégral. C’est ici que trouve réponse la préoccupation de tant de nos contemporains face à l’avenir. Oui, l’avenir pourra être serein si nous travaillons ensemble pour l’homme. L’homme, créé à l’image de Dieu, a une dignité incomparable; l’homme, qui est si digne d’amour aux yeux de son Créateur, que Dieu n’a pas hésité à donner pour lui son propre Fils.

L’Osservatore Romano, N. 5 (44.448), 8-9 Gennaio 2007, p. 6/7-8.

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HOMILY FOR THE SOLEMNITY OF THE EPIPHANY

We celebrate with joy the Solemnity of the Epiphany, the "manifestation" of Christ to the peoples who are represented by the Magi, mysterious figures who came from the East. We celebrate Christ, the destination of the pilgrimage of peoples in search of salvation.

Twenty centuries have passed since that mystery was revealed and brought about in Christ, but it has not yet reached fulfilment. My beloved Predecessor, John Paul II, began his Encyclical on the Church's mission by writing: "As the second Millennium after Christ's Coming draws to an end, an overall view of the human race shows that this mission is still only beginning" (Redemptoris Missio, n. 1).

Several spontaneous questions arise: in what sense is Christ still the lumen gentium, the Light of the peoples, today? What point - if one can so describe it - has the universal journey of the peoples toward God reached? Is it in a phase of progress or of regression? And further: who are the Magi today? How, thinking of today's world, should we interpret these mysterious figures of the Gospel?

To answer these questions, I would like to return to what the Fathers of the Second Vatican Council said in this regard. And I am pleased to add that immediately after the Council, the Servant of God, Paul VI, exactly 40 years ago on precisely 26 March 1967, dedicated to the development of the peoples his Encyclical Populorum Progressio.

The whole of the Second Vatican Council was truly stirred by the longing to proclaim Christ, the Light of the world, to contemporary humanity. In the heart of the Church, from the summit of her hierarchy, emerged the impelling desire, awakened by the Spirit, for a new epiphany of Christ in the world, a world that the modern epoch had profoundly transformed and that, for the first time in history, found itself facing the challenge of a global civilization in which the centre could no longer be Europe or even what we call the West and the North of the world. The need to work out a new world political and economic order was emerging but, at the same time and above all, one that would be both spiritual and cultural, that is, a renewed humanism. This observation became more and more obvious: a new world economic and political order cannot work unless there is a spiritual renewal, unless we can once again draw close to God and find God in our midst. Before the Second Vatican Council, the enlightened minds of Christian thinkers had already intuited and faced this epochal challenge.

Well, at the beginning of the third millennium, we find ourselves in the midst of this phase of human history that now focuses on the word "globalization".

Moreover, we realize today how easy it is to lose sight of the terms of this same challenge, precisely because we are involved in it: this risk is heavily reinforced by the vast expansion of the mass media. Although, on the one hand, the media increase information indefinitely, on the other, they seem to weaken our capacity for critical synthesis.

Today's Solemnity can offer us this perspective, based on the manifestation of a God who revealed himself in history as the Light of the world to guide humanity and lead it at last into the Promised Land where freedom, justice and peace reign. And we see more and more clearly that on our own we cannot foster justice and peace unless the light of a God who shows us his Face is revealed to us, a God who appears to us in the manger of Bethlehem, who appears to us on the Cross.

Who then are the "Magi" of today, and what point has their "journey" and our "journey" reached? Dear brothers and sisters, let us return to that special moment of grace, the conclusion of the Second Vatican Council on 8 December 1965, when the Council Fathers addressed certain "Messages" to all humanity.

The first was addressed "To Rulers" and the second, "To Men of Thought and Science". These are two categories of people who, in a certain way, we can see portrayed in the evangelical figures of the Magi.

I would then like to add a third category, to which the Council did not address a message but which was very present in its attention in the conciliar Decree Nostra Aetate. I am referring to the spiritual leaders of the great non-Christian religions. Two thousand years later, we can thus recognize in the figures of the Magi a sort of prefiguration of these three constitutive dimensions of modern humanism: the political, scientific and religious dimensions.

The Epiphany shows them to us in a state of "pilgrimage", that is, in a movement of seeking, often somewhat confused, whose point of arrival, in short, is Christ, even if the star is sometimes hidden.

At the same time, the Epiphany shows to us God who in turn is on pilgrimage, a pilgrimage to man. There is not only the pilgrimage of man towards God; God himself has set out towards us: who is Jesus, in fact, if not God who has, so to speak, come out of himself to meet humanity? It was out of love that he made himself history in our history; out of love that he came to bring us the seed of new life (cf. Jn 3: 3-6) and sow it in the furrows of our earth so that it might sprout, flower and bear fruit.

Today, I would like to make my own those Messages of the Council which have lost nothing of their timeliness. For instance, one reads in the Message addressed to Rulers: "Your task is to be in the world the promoters of order and peace among men. But never forget this: It is God, the living and true God, who is the Father of men. And it is Christ, his eternal Son, who came to make this known to us and to teach us that we are all brothers. He it is who is the great artisan of order and peace on earth, for he it is who guides human history and who alone can incline hearts to renounce those evil passions which beget war and misfortune".

How can we fail to recognize in these words of the Council Fathers the luminous trail of a journey which alone can transform the history of the nations and the world?

And further, in the "Message to Men of Thought and Science" we read: "Continue your search without tiring and without ever despairing of the truth", and this, in fact, is the great danger: losing interest in the truth and seeking only action, efficiency and pragmatism! "Recall the words of one of your great friends, St Augustine: "Let us seek with the desire to find, and find with the desire to seek still more'. Happy are those who, while possessing the truth, search more earnestly for it in order to renew it, deepen it and transmit it to others. Happy also are those who, not having found it, are working toward it with a sincere heart. May they seek the light of tomorrow with the light of today until they reach the fullness of light".

This was said in these two Council Messages. Today, it is more necessary than ever to flank the leaders of nations and researchers and scientists with the leaders of the great non-Christian religious traditions, inviting them to face one another with the light of Christ, who came not to abolish but to bring to fulfilment what God's hand has written in the religious history of civilization, especially in the "great souls" who helped to build up humanity with their wisdom and example of virtue.

Christ is light, and light cannot darken but can only illuminate, brighten, reveal. No one, therefore, should be afraid of Christ and his message! And if, down through history, Christians as limited people and sinners have sometimes betrayed him by their behaviour, this makes it even clearer that the light is Christ and that the Church reflects it only by remaining united to him.

"We have seen his star in the East, and have come to adore the Lord" (Gospel acclamation, cf. Mt 2: 2).

What amazes us each time when we listen to these words of the Magi is that they prostrated themselves before a simple baby in his mother's arms, not in the setting of a royal palace but, on the contrary, in the poverty of a stable in Bethlehem (cf. Mt 2: 11).

How was this possible? What convinced the Magi that the Child was "the King of the Jews" and the King of the peoples? There is no doubt that they were persuaded by the sign of the star that they had seen "in its rising" and which had come to rest precisely over the place where the Child was found (cf. Mt 2: 9). But even the star would not have sufficed had the Magi not been people inwardly open to the truth.

In comparison with King Herod, beset with his interests of power and riches, the Magi were directed toward the goal of their quest and when they found it, although they were cultured men, they behaved like the shepherds of Bethlehem: they recognized the sign and adored the Child, offering him the precious and symbolic gifts that they had brought with them.

Dear brothers and sisters, let us too pause in spirit to contemplate the image of the adoration of the Magi. It contains a demanding and ever timely message. It is demanding and ever timely, first of all for the Church, which, reflected in Mary, is called to show to mankind Jesus, nothing but Jesus.

Indeed, he is the All and the Church exists solely to remain united to him and to make him known to the world. May the Mother of the Incarnate Word help us to be docile disciples of her Son, the Light of the nations!

The example of the Magi of that time is also an invitation to the Magi of today to open their minds and hearts to Christ and to offer him the gifts of their research. I would like to repeat to them, and to all the people of our time: do not be afraid of Christ's light! His light is the splendour of the truth. Let yourselves be enlightened by him, all peoples of the earth; let yourselves be enveloped by his love and you will find the way of peace. So may it be.

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 2 (1976) 10 January 2007, p. 3.

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ANGELUS Domini, Domingo 14 de enero de 2007

Este domingo se celebra la Jornada mundial del emigrante y del refugiado. Con esta ocasión he dirigido a todos los hombres de buena voluntad, y en particular a las comunidades cristianas, un Mensaje especial dedicado a la familia emigrante. Podemos contemplar a la Sagrada Familia de Nazaret, icono de todas las familias, porque refleja la imagen de Dios custodiada en el corazón de cada familia humana, aun cuando esté debilitada y, a veces, desfigurada por las pruebas de la vida. El evangelista san Mateo narra que, poco después del nacimiento de Jesús, san José se vio obligado a huir a Egipto, llevando consigo al Niño y a su Madre, para escapar de la persecución del rey Herodes (cf. Mt 2, 13-15).

En el drama de la Familia de Nazaret vislumbramos la dolorosa condición de numerosos emigrantes, especialmente de los refugiados, los exiliados, los desplazados, los prófugos y los perseguidos. En particular, reconocemos las dificultades de la familia emigrante como tal:  las molestias, las humillaciones, las estrecheces, las fragilidades.

En realidad, el fenómeno de la movilidad humana es muy amplio y variado. Según datos recientes de las Naciones Unidas, los emigrantes por razones económicas son hoy casi doscientos millones; los refugiados, cerca de nueve millones; y los estudiantes internacionales, alrededor de dos millones. A este gran número de hermanos y hermanas debemos añadir los desplazados  internos  y  los  irregulares, teniendo en cuenta que de cada uno depende,  de  alguna  manera,  una  familia.

Por tanto, es importante tutelar a los emigrantes y a sus familias mediante el apoyo de protecciones específicas en el ámbito legislativo, jurídico y administrativo, y también a través de una red de servicios, de centros de escucha y de organismos de asistencia social y pastoral. Espero que se llegue pronto a una gestión equilibrada de los flujos migratorios y de la movilidad humana en general, para que redunden en beneficio de toda la familia humana, comenzando por medidas concretas que favorezcan la emigración regular y las reagrupaciones familiares, prestando una atención particular a las mujeres y a los niños.

En efecto, también en el vasto campo de las migraciones internacionales es preciso poner siempre en el centro a la persona humana. Solamente el respeto de la dignidad humana de todos los emigrantes, por una parte, y el reconocimiento de los valores de la sociedad por parte de los emigrantes mismos, por otra, hacen posible la integración correcta de las familias en los sistemas sociales, económicos y políticos de los países de acogida.

Queridos amigos, la realidad de las migraciones no se ha de ver nunca sólo como un problema, sino también y sobre todo como un gran recurso para el camino de la humanidad. Y de modo especial la familia emigrante es un recurso, con tal de que se la respete como tal y no sufra daños irreparables, sino que pueda permanecer unida o reagruparse, para cumplir su misión de cuna de la vida y primer ámbito de acogida y de educación de la persona humana. Pidámoslo juntos al Señor, por intercesión de la bienaventurada Virgen María y de santa Francisca Javier Cabrini, patrona de los emigrantes.

L’Osservatore Romano, (Edición Semanal en Lengua Española) N. 3 (1.986) - 19 de Enero de 2007.

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ANGELUS DOMINI Sonntag, 14. Januar 2007

Am heutigen Sonntag feiern wir den alljährlichen Welttag der Migranten und Flüchtlinge. Aus diesem Anlaß habe ich an alle Menschen guten Willens, und besonders an die christlichen Gemeinden, eine besondere, der Migrantenfamilie gewidmete Botschaft gerichtet. Wir können auf die heilige Familie von Nazaret, die Ikone aller Familien, blicken, weil sie das Abbild Gottes widerspiegelt, das im Herzen jeder menschlichen Familie bewahrt wird, auch wenn sie von den Prüfungen des Lebens entkräftet und zuweilen sogar entstellt ist. Der Evangelist Matthäus berichtet, daß der hl. Josef kurz nach der Geburt Jesu gezwungen war, mit dem Kind und seiner Mutter nach Ägypten zu fliehen, um der Verfolgung durch König Herodes zu entgehen (vgl. Mt 2,13–15). Im Drama der Familie von Nazaret erkennen wir die schmerzliche Lebenssituation zahlreicher Migranten, besonders der Flüchtlinge, der Verbannten, der Vertriebenen, der Asylanten, der Verfolgten. Wir erkennen vor allem die Schwierigkeiten jeder Migrantenfamilie als solche: die Entbehrungen und Demütigungen, die Bedrängnis und Schwachheit.

In Wirklichkeit ist das Phänomen der menschlichen Mobilität sehr weitreichend und vielfältig. Laut neuerer Schätzungen der Vereinten Nationen gibt es heute fast 200 Millionen Migranten aus wirtschaftlichen Gründen, etwa neun Millionen Flüchtlinge und über zwei Millionen internationale Studenten. Dieser großen Zahl von Brüdern und Schwestern müssen wir die im Inland Vertriebenen und die illegalen Einwanderer hinzurechnen und dabei bedenken, daß auf verschiedenartige Weise hinter jedem von ihnen eine Familie steht. Es ist daher wichtig, die Migranten und ihre Familien zu schützen durch spezifische gesetzgeberische, rechtliche und administrative Maßnahmen und auch durch ein Netzwerk von Dienstleistungen, Kontaktbüros und Einrichtungen zur sozialen und seelsorglichen Unterstützung. Mein Wunsch ist, daß es bald zu einer ausgewogenen Verwaltung der Migrationsbewegungen und der menschlichen Mobilität im allgemeinen kommt, damit die ganze Menschheitsfamilie einen Nutzen davon hat, angefangen mit konkreten Maßnahmen, die die legale Emigration und die Familienzusammenführung fördern, dies mit einem besonderen Augenmerk auf Frauen und Minderjährige. In der Tat muß auch in dem weitgefaßten Bereich der internationalen Migrationen der Mensch stets in den Mittelpunkt gestellt werden. Nur die Achtung der Menschenwürde aller Migranten einerseits und die Anerkennung der Werte der aufnehmenden Gesellschaft durch die Migranten andererseits machen eine richtige Integration der Familien in die sozialen, wirtschaftlichen und politischen Systeme der Aufnahmeländer möglich.

Liebe Freunde, die Realität der Migrationsphänomene darf nie nur als Problem gesehen werden, sondern auch und vor allem als eine bedeutende Ressource für den Weg der Menschheit. Die Migrantenfamilie stellt dabei eine besondere Ressource dar, solange sie als solche geachtet wird und keine unwiederbringlichen Zerrüttungen hinnehmen muß, sondern geeint bleiben oder wieder zusammengeführt werden kann und auf diese Weise ihren Auftrag als Wiege des Lebens und erster Ort der Aufnahme und Erziehung des Menschen zu erfüllen vermag. Darum bitten wir gemeinsam den Herrn durch die Fürsprache der seligen Jungfrau Maria und der hl. Francesca Saverio Cabrini, Patronin der Migranten.

L’Osservatore Romano, edizione tedesca 14 gennaio 2007

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ANGELUS DOMINI, DOMENICA 14 GENNAIO 2007

In questa domenica si celebra l’annuale Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Per l’occasione ho rivolto a tutti gli uomini di buona volontà e, in particolare, alle comunità cristiane uno speciale Messaggio, dedicato alla famiglia migrante. Possiamo guardare alla santa Famiglia di Nazaret, icona di tutte le famiglie, perché essa riflette l’immagine di Dio custodita nel cuore di ogni umana famiglia, anche quando è debilitata e talvolta sfigurata dalle prove della vita. Narra l’evangelista Matteo che, poco tempo dopo la nascita di Gesù, san Giuseppe fu costretto a partire per l’Egitto prendendo con sé il bambino e sua Madre, al fine di sfuggire alla persecuzione del re Erode (cfr Mt 2,13-15). Nel dramma della Famiglia di Nazaret intravediamo la dolorosa condizione di tanti migranti, specialmente dei rifugiati, degli esuli, degli sfollati, dei profughi, dei perseguitati. Riconosciamo, in particolare, le difficoltà della famiglia migrante come tale: i disagi, le umiliazioni, le strettezze, le fragilità.

In realtà, il fenomeno della mobilità umana è molto ampio e diversificato. Secondo recenti stime delle Nazioni Unite, i migranti per ragioni economiche sono oggi quasi 200 milioni, circa 9 milioni i rifugiati e circa 2 milioni gli studenti internazionali. A questo gran numero di fratelli e sorelle dobbiamo aggiungere gli sfollati interni e gli irregolari, tenendo conto che ad ognuno fa capo, in un modo o nell’altro, una famiglia. E’ importante, dunque, tutelare i migranti e le loro famiglie mediante l’ausilio di presidi legislativi, giuridici e amministrativi specifici, ed anche attraverso una rete di servizi, di punti di ascolto e di strutture di assistenza sociale e pastorale. Auspico che si giunga presto ad una gestione bilanciata dei flussi migratori e della mobilità umana in generale, così da portare benefici all’intera famiglia umana, cominciando con misure concrete che favoriscano l’emigrazione regolare e i ricongiungimenti familiari, con particolare attenzione per le donne e i minori. In effetti, anche nel vasto campo delle migrazioni internazionali, la persona umana dev’essere sempre posta al centro. Soltanto il rispetto della dignità umana di tutti i migranti, da un lato, e il riconoscimento da parte dei migranti stessi dei valori della società che li ospita, dall’altro, rendono possibile la giusta integrazione delle famiglie nei sistemi sociali, economici e politici dei Paesi d’accoglienza.

Cari amici, la realtà delle migrazioni non va mai vista soltanto come un problema, ma anche e soprattutto come una grande risorsa per il cammino dell’umanità. E una risorsa è in modo speciale la famiglia migrante, purché essa venga rispettata come tale, non debba subire lacerazioni irreparabili, ma possa rimanere unita o ricongiungersi, e compiere la sua missione di culla della vita e primo ambito di accoglienza e di educazione della persona umana. Lo domandiamo insieme al Signore, per intercessione della Beata Vergine Maria e di Santa Francesca Saverio Cabrini, patrona dei migranti.

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Dzisiaj modlimy się za emigrantów i uchodźców. We Mszy świętej wspominamy cud Jezusa w Kanie Galilejskiej i polecenie Matki Bożej: „Zróbcie wszystko, cokolwiek wam powie" (Łk 2, 5). Niech Jej słowa będą zachętą dla rodzin emigrantów, uchodźców i dla nas wszystkich, zwłaszcza w trudnych chwilach życia, gdy szukamy prawdy i Bożej pomocy. Niech Bóg wam błogosławi.

[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Oggi preghiamo per i migranti e per i rifugiati. Nella Santa Messa ricordiamo il miracolo di Gesù a Cana di Galilea e la raccomandazione della Madre di Dio: "Fate quello che vi dirà" (Lc 2, 5). Le sue parole siano d’incoraggiamento alle famiglie dei migranti, dei rifugiati e per tutti noi, specialmente nei momenti particolarmente difficili della vita, quando siamo alla ricerca della verità e dell’aiuto di Dio. Che il Signore vi benedica.]

L’Osservatore Romano, N. 11 (44.454), 15-16 Gennaio 2007.

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ANGELUS DOMINI Dimanche 14 janvier 2007

Ce dimanche, nous célébrons la Journée mondiale annuelle des Migrants et des Réfugiés. J'ai adressé à cette occasion, à tous les hommes de bonne volonté, et en particulier aux communautés  chrétiennes,  un Message spécial consacré à la  famille  migrante. Nous pouvons tourner notre regard vers la sainte Famille de Nazareth, icône de toutes les familles, car celle-ci reflète l'image de Dieu conservée dans le coeur de chaque famille humaine, même lorsque celle-ci est affaiblie et parfois défigurée par les épreuves de la vie. L'évangéliste Matthieu raconte que, peu après la naissance  de Jésus, saint Joseph fut contraint à partir pour l'Egypte en prenant avec lui l'enfant et sa mère, afin de fuir la persécution du roi Hérode (cf. Mt 2, 13-15). Dans le drame de la Famille de Nazareth nous entrevoyons la douloureuse condition de tant de migrants, spécialement des réfugiés, des exilés, des personnes déplacées, des persécutés. Reconnaissons en particulier les difficultés de la famille migrante en tant que telle:  les privations, les humiliations, la pauvreté, la fragilité.

En réalité, le phénomène de la mobilité humaine est très vaste et diversifié. Selon des estimations récentes des Nations unies, les migrants pour raisons économiques sont aujourd'hui près de 200 millions, les réfugiés environ 9 millions, et les étudiants internationaux environ 2 millions. A ce grand nombre de frères et soeurs nous devons ajouter les personnes déplacées à l'intérieur de leur pays, les personnes en situation irrégulière, en tenant compte du fait que chacun possède, d'une manière ou d'une autre, une famille. Il est donc important de soutenir les migrants et leurs familles au moyen d'une protection législative, juridique et administrative spécifique, et également à travers un réseau de services, de centres d'écoute et de structures d'assistance sociale et pastorale. Je forme le voeu que l'on parvienne rapidement à gérer de manière équilibrée les flux migratoires et la mobilité humaine en général, pour en faire profiter la famille humaine tout entière, en commençant par des mesures concrètes qui favorisent l'émigration régulière et le regroupement des familles, avec une attention particulière aux femmes et aux mineurs. La personne humaine doit en effet toujours être placée au centre, également dans le vaste domaine des migrations internationales. Seuls, le respect de la dignité humaine de tous les migrants, d'un côté, et la reconnaissance par les migrants eux-mêmes des valeurs de la société qui les accueille, de l'autre, rendent possible la juste intégration des familles dans les systèmes sociaux, économiques et politiques des pays d'accueil.

Chers amis, la réalité des migrations ne doit jamais être vue uniquement comme un problème mais également et surtout comme une ressource importante pour la marche de l'humanité. Et la famille migrante est de manière spéciale une ressource, si elle est respectée en tant que telle, si elle ne subit pas de déchirements irréparables et si elle peut demeurer unie ou se réunir et accomplir sa mission de berceau de la vie et de premier lieu d'accueil et d'éducation de la personne humaine. Nous le demandons ensemble au Seigneur, par l'intercession de la Bienheureuse Vierge Marie et de sainte Francesca Saverio Cabrini, patronne des migrants.

L’Osservatore Romano (Hebdomadaire en langue Française), N. 3 (2965), 16 Janvier 2007.

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ANGELUS DOMINI OF SUNDAY, 14 January 2007

The annual World Day of Migrants and Refugees is being celebrated this Sunday. For the occasion, I have addressed to all people of good will and to Christian communities in particular a special Message on The migrant family.

We can look to the Holy Family of Nazareth, icon of all families, because it reflects the image of God cherished in the heart of every human family, even when it is weakened and at times disfigured by life's trials.

The Evangelist Matthew recounts that shortly after Jesus' birth, St Joseph was forced to flee to Egypt, taking the Child and his Mother with him, in order to escape King Herod's persecution (cf. Mt 2: 13-15).

In the drama of the Family of Nazareth we perceive the sorrowful plight of so many migrants, especially refugees, exiles, displaced people, evacuees and the persecuted. We recognize in particular the difficulties of the migrant family: hardship, humiliation, poverty and fragility.

The phenomenon of human mobility is actually vast and diversified. According to recent calculations by the United Nations, migrants, due to financial reasons, amount today to almost 200 million, approximately 9 million are refugees and about 2 million, international students.

We must add to this large number of brothers and sisters the internally displaced and those whose situation is illegal, bearing in mind that in one way or another each one of them depends on a family.
It is therefore important to protect migrants and their families with the help of specific legislative, juridical and administrative protection, and also by means of a network of services, consultation centres and structures that provide social and pastoral assistance.

I hope that a balanced management of migratory flows and of human mobility in general will soon be achieved so as to benefit the entire human family, starting with practical measures that encourage legal emigration and the reunion of families, and paying special attention to women and minors.

Indeed, the human person must always be the focal point in the vast field of international migration. Only respect for the human dignity of all migrants, on the one hand, and recognition by the migrants themselves of the values of the society that has taken them in, on the other, enable families to be properly integrated into the social, economic and political systems of the host nation.

Dear friends, the reality of migration should never be viewed solely as a problem, but also and above all as a great resource for humanity's development.

Moreover, the migrant family is in a special way a resource as long as it is respected as such; it must not suffer irreparable damage but must be able to stay united or to be reunited and carry out its mission as the cradle of life and the primary context where the human person is welcomed and educated.

Let us ask the Lord for this together, through the intercession of the Blessed Virgin Mary and St Frances Xavier Cabrini, Patroness of migrants

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 3 (1977), 17 January 2007.

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ANGELUS DOMINI DOMINGO, 14 DE JANEIRO DE 2007 

Celebra-se neste domingo o anual Dia Mundial do Migrante e do Refugiado. Para esta ocasião dirigi a todos os homens de boa vontade e, em particular, às comunidades cristãs uma especial Mensagem, dedicada à família migrante. Podemos olhar para a sagrada Família de Nazaré, ícone de todas as famílias, porque ela reflecte a imagem de Deus guardada no coração de cada família humana, também quando está debilitada e por vezes desfigurada pelas provações da vida. Narra o evangelista Mateus que, pouco tempo depois do nascimento de Jesus, São José foi obrigado a partir para o Egipto levando consigo o Menino e sua Mãe, a fim de fugir da perseguição do rei Herodes (cf. Mt 2, 13-15). No drama da Família de Nazaré vemos a dolorosa condição de tantos migrantes, sobretudo dos refugiados, exilados, desalojados, perseguidos. Em particular, reconhecemos as dificuldades da família migrante como tal: as privações, as humilhações, os limites, a fragilidade.

Na realidade, o fenómeno da mobilidade humana é muito amplo e diversificado. Segundo avaliações recentes das Nações Unidas, os migrantes por razões económicas são hoje quase 200 milhões, cerca de 9 milhões são refugiados e por volta de 2 milhões são estudantes internacionais.

A este grande número de irmãos e irmãs devemos acrescentar os desalojados internos e irregulares, tendo em consideração que por detrás de cada um deles, de um modo ou de outro, está uma família. Por isso, é importante tutelar os migrantes e as suas famílias mediante o auxílio de protecções legislativas, jurídicas e administrativas específicas, e também através de uma rede de serviços, de centros de escuta e de estruturas de assistência social e pastoral. Faço votos por que se chegue em breve tempo a uma gestão equilibrada dos fluxos migratórios e da mobilidade humana em geral, de modo a dar benefícios a toda a família humana, começando com medidas concretas que favoreçam a emigração regular e as junções familiares, com particular atenção às mulheres e aos menores. De facto, também no vasto campo das migrações internacionais, a pessoa humana deve ser sempre posta no centro. Só o respeito pela dignidade humana de todos os migrantes, por um lado, e, por outro, o reconhecimento por parte dos próprios migrantes dos valores da sociedade que os hospeda tornam possível a justa integração das famílias nos sistemas sociais, económicos e políticos dos Países de acolhimento.

Queridos amigos, a realidade das migrações nunca deve ser vista apenas como um problema, mas também e sobretudo como um grande recurso para o caminho da humanidade. E um recurso é de modo especial a família migrante, sob condição de que seja respeitada como tal, não deva sofrer dilacerações irreparáveis, mas possa permanecer unida ou voltar a unir-se, e cumprir a sua missão de berço da vida e primeiro ambiente de acolhimento e de educação da pessoa humana. Isto pedimos juntos ao Senhor, por intercessão da Bem-Aventurada Virgem Maria e de Santa Francisca Savério Cabrini, padroeira dos migrantes.

L’Osservatore Romano  (Edizione Portoghese) 16 Janeiro 2007.

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DISCURSO A LOS ADMINISTRADORES DE LA REGIÓN DE LACIO, DEL MUNICIPIO Y DE LA PROVINCIA DE ROMA

En esa ocasión, dedicando el comedor a mi inolvidable predecesor Juan Pablo II, repetí las palabras que pronunció quince años antes en ese mismo lugar:  "El hombre que sufre nos pertenece". Sí, amables representantes de las administraciones de Roma y del Lacio, todo hombre que sufre pertenece a la Iglesia y, al mismo tiempo, pertenece a todos los hermanos en la humanidad. Por consiguiente, pertenece, de modo preciso, también a vuestras responsabilidades de administradores públicos. Así pues, no puedo menos de alegrarme por la colaboración que existe desde hace tiempo entre los organismos eclesiales y vuestras administraciones, con el fin de aliviar y remediar las numerosas formas de pobreza económica, pero también humana y relacional, que afligen a un número notable de personas y de familias, especialmente entre los inmigrantes.

L’Osservatore Romano, (Edición Semanal en Lengua Española) N. 3 (1986) – 19 de Enero de 2007, p. 3.

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DISCOURS À S.E. M. MUAMMER DOĞAN AKDUR NOUVEL AMBASSADEUR DE TURQUIE PRÈS LE SAINT-SIÈGE

Au cours de mon voyage mémorable, j’ai manifesté à maintes reprises le respect de l’Église catholique pour l’Islam, et l’estime du Pape et des fidèles pour les croyants musulmans, notamment lors de ma visite à la Mosquée bleue d’Istanbul. Dans le monde actuel où les tensions semblent s’exacerber, la conviction du Saint-Siège, qui rejoint celle que vous venez d’exprimer, est que les croyants des différentes religions doivent s’efforcer d’œuvrer ensemble en faveur de la paix, en commençant par dénoncer la violence, trop souvent utilisée dans le passé sous le prétexte de motivations religieuses, et en apprenant à mieux se connaître et à mieux se respecter pour édifier une société toujours plus fraternelle. Les religions peuvent aussi unir leurs efforts pour agir en faveur du respect de l’homme, créé à l’image du Tout-Puissant, et pour faire reconnaître les valeurs fondamentales qui régissent la vie des personnes et des sociétés. Le dialogue, nécessaire entre les Autorités religieuses à tous les niveaux, commence dans la vie de tous les jours par l’estime et le respect mutuels que se portent les croyants de chaque religion, partageant la même vie et œuvrant ensemble pour le bien commun.

La mondialisation des échanges, déjà manifeste au niveau économique et financier, doit évidemment s’accompagner d’engagements politiques communs, au niveau de la planète, pour garantir un développement durable et organisé qui n’exclue personne et qui assure un avenir équilibré aux personnes, aux familles et aux peuples.

L’Osservatore Romano, N. 15 (44.458), 20 gennaio 2007, p. 5.

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HOMILY LITURGY OF VESPERS ON THE FEAST OF THE CONVERSION OF ST PAUL FOR THE CONCLUSION OF PRAYER FOR CHRISTIAN UNITY 

I am pleased to point out that the tomb of the Apostle to the Gentiles, where we are today, has recently undergone investigation and study, subsequent to which it was decided to make it visible to pilgrims by a timely adjustment under the main altar. I express my congratulations on this important initiative.

To the intercession of St Paul, untiring builder of the unity of the Church, I entrust the fruits of listening and of the common witness we have been able to experience in the numerous fraternal meetings and dialogues that took place during 2006, both with the Eastern Churches and with the Churches and Ecclesial Communities in the West.

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 5 (1979), 31 January 2007, p. 5.

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DISCORSO AI PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA MONDIALE DEGLI ISTITUTI SECOLARI

Il carattere secolare della vostra consacrazione evidenzia da un lato i mezzi con cui vi adoperate per realizzarla, cioè quelli propri di ogni uomo e donna che vivono in condizioni ordinarie nel mondo, e dall'altro la forma del suo sviluppo, quella cioè di una relazione profonda con i segni del tempo che siete chiamati a discernere, personalmente e comunitariamente, alla luce del Vangelo. Più volte è stato autorevolmente individuato proprio in questo discernimento il vostro carisma, perché possiate essere laboratorio di dialogo con il mondo, quel "laboratorio sperimentale nel quale la Chiesa verifica le modalità concrete dei suoi rapporti con il mondo" (Paolo VI, Discorso ai Responsabili generali degli Istituti Secolari: Insegnamenti, XIV, 1976, p. 676). Proprio di qui deriva la persistente attualità del vostro carisma, perché questo discernimento deve avvenire non dal di fuori della realtà, ma dall'interno, attraverso un pieno coinvolgimento. Ciò avviene per mezzo delle relazioni feriali che potete tessere nei rapporti familiari e sociali, nell'attività professionale, nel tessuto delle comunità civile ed ecclesiale. L'incontro con Cristo, il porsi alla sua sequela spalanca e urge all'incontro con chiunque, perché se Dio si realizza solo nella comunione trinitaria, anche l'uomo solo nella comunione troverà la sua pienezza.

A voi non è chiesto di istituire particolari forme di vita, di impegno apostolico, di interventi sociali, se non quelli che possono nascere nelle relazioni personali, fonti di ricchezza profetica. Come il lievito che fa fermentare tutta la farina (cfr Mt 13, 33), così sia la vostra vita, a volte silenziosa e nascosta, ma sempre propositiva e incoraggiante, capace di generare speranza. Il luogo del vostro apostolato è perciò tutto l'umano, non solo dentro la comunità cristiana - dove la relazione si sostanzia di ascolto della Parola e di vita sacramentale, da cui attingete per sostenere l'identità battesimale - dico il luogo del vostro apostolato è tutto l'umano, sia dentro la comunità cristiana, sia nella comunità civile dove la relazione si attua nella ricerca del bene comune, nel dialogo con tutti, chiamati a testimoniare quell'antropologia cristiana che costituisce proposta di senso in una società disorientata e confusa dal clima multiculturale e multireligioso che la connota.

Venite da diversi Paesi, diverse sono le situazioni culturali, politiche ed anche religiose in cui vivete, lavorate, invecchiate. In tutte siate cercatori della Verità, dell'umana rivelazione di Dio nella vita. È, lo sappiamo, una strada lunga, il cui presente è inquieto, ma il cui esito è sicuro. Annunciate la bellezza di Dio e della sua creazione. Sull'esempio di Cristo, siate obbedienti all'amore, uomini e donne di mitezza e misericordia, capaci di percorrere le strade del mondo facendo solo del bene. Le vostre siano vite che pongono al centro le Beatitudini, contraddicendo la logica umana, per esprimere un'incondizionata fiducia in Dio che vuole l'uomo felice. La Chiesa ha bisogno anche di voi per dare completezza alla sua missione. Siate seme di santità gettato a piene mani nei solchi della storia. Radicati nell'azione gratuita ed efficace con cui lo Spirito del Signore sta guidando le vicende umane, possiate dare frutti di fede genuina, scrivendo con la vostra vita e con la vostra testimonianza parabole di speranza, scrivendole con le opere suggerite dalla "fantasia della carità" (Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 50).

L’Osservatore Romano, N. 28 (44.471), 4 Febbraio 2007, p. 4.

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 ADDRESS TO THE PARTICIPANTS IN THE PLENARY ASSEMBLY

OF THE PONTIFICAL COMMISSION FOR LATIN AMERICA

At the same time, the dignity of every human being should be recognized and defended as a fundamental criterion in social, cultural and economic projects so that they contribute to building history in accordance with God's plan. In fact, the history of Latin America offers a multitude of witnesses, men and women who faithfully followed Christ in such a radical way that, inspired by the divine fire which totally consumed them, they forged the Christian identity of the Continent's peoples. Their exemplary lives are an invitation to follow in their footsteps.

The Church in Latin America is facing enormous challenges: the cultural changes that result from a social communications media that conditions the mindset and morals of millions of people; the migratory flows, with countless repercussions on family life and on religious practice in the new milieus; the re-emergence of questions on how peoples should take on their historical memory and their democratic future; the globalization, secularism, increasing poverty and ecological deterioration, especially in the large cities, as well as violence and the drug trade.

In the face of all this, there is an urgent need for a new Evangelization that impels us to deepen our knowledge of the values of our faith, so that they may become a lifeline and develop the identity of these beloved peoples who will one day receive the light of the Gospel.

Therefore, the theme chosen to guide this Conference's reflections: Disciples and missionaries of Jesus Christ, so that our peoples may have life in him, seems timely.

L’Osservatore Romano, (English Edition), N. 6 (1980) - 7 February 2007, p. 4.

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ADDRESS TO THE MEMBERS OF THE FOUNDATION FOR INTERRELIGIOUS AND INTERCULTURAL RESEARCH AND DIALOGUE 

It is a joy for me, having been one of the founding members of the Foundation for Interreligious and Intercultural Research and Dialogue, to meet you again and to welcome you today at the Vatican. I greet in particular His Royal Highness Prince Hassan of Jordan whom I have the pleasure to meet on this occasion.

I thank H.E. Metropolitan Damaskinos of Andrianoupolis, your President, who has presented to me the first result of your work: a joint edition of the three Sacred Books of the three monotheistic religions in their original language and in chronological order. Indeed, this was the very first project we conceived of in creating the Foundation together, so as to "make a specific and positive contribution to the dialogue between cultures and religions".

As I have said on several occasions, in continuation with the Conciliar Declaration Nostra Aetate and with my beloved Predecessor, Pope John Paul II, we, Jews, Christians and Muslims are called to develop the bonds that unite us.

Indeed, it was this idea that led us to create this Foundation which aims to seek "the most essential and authentic message that the three monotheistic religions, namely, Judaism, Christianity and Islam, can address to the world of the 21st century", to give a new impetus to interreligious and intercultural dialogue by means of our common research and by highlighting and disseminating everything in our respective spiritual heritages that helps to strengthen fraternal ties between our communities of believers.

Consequently, the Foundation had to work out an instrument of reference that would help us overcome misunderstandings and prejudices and offer a common platform for future work. Thus, you have produced this beautiful edition of the three books which are the source of our religious beliefs, creators of culture, that have made a deep mark on peoples and to which we are indebted today.

The reinterpretation, and for some people, the discovery of the texts that so many people across the world venerate as sacred, demands mutual respect in trusting dialogue. Our contemporaries expect of us a message of harmony and peace and the practical expression of our common willingness to help them achieve their legitimate aspiration to live in justice and peace.

They are entitled to expect of us a strong sign of renewed understanding and reinforced cooperation in accordance with the actual objective of the Foundation, which proposes to offer "to the world in this way a sign of hope and the promise of divine Blessings that always accompanies charitable action".

The Foundation's work will contribute to a growing awareness of everything in the different cultures of our time which is in conformity with divine wisdom and serves human dignity, the better to discern and reject everything that usurps God's name and deforms man's humanity.

Thus, we are invited to engage in a common task of reflection. This is a labour of reason for which I wholeheartedly appeal, with you, to be able to examine God's mystery in the light of our respective religious traditions and wisdom so as to discern the values likely to illumine the men and women of all the peoples on earth, whatever their culture and religion.

For this reason it is henceforth invaluable to have at our disposal a common reference point, thanks to the work you have done. Thus, we will be able to make headway in interreligious and intercultural dialogue which today is more necessary than ever: a true dialogue, respectful of differences, courageous, patient and persevering, which finds its strength in prayer and is nourished by the hope that dwells in all who believe in God and put their trust in him.

Our respective religious traditions all insist on the sacred character of the life and dignity of the human person. We believe that God will bless our initiatives if they converge for the good of all his children and enable them to respect each other in brotherhood world-wide.

Together with all people of good will, we aspire to peace. That is why I insist once again: interreligious and intercultural research and dialogue are not an option but a vital need for our time.

May the Almighty bless your work and grant an abundance of his Blessings to you and to your loved ones!

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 6 (1980), 7 February 2007, p. 5.

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ADDRESS TO THE MEMBERS OF THE JOINT INTERNATIONAL COMMISSION FOR THEOLOGICAL DIALOGUE BETWEEN THE CATHOLIC CHURCH AND THE ORIENTAL ORTHODOX CHURCHES

Many of you come from countries of the Middle East. The difficult situation which individuals and Christian communities face in the region is a cause of deep concern for us all. Indeed, Christian minorities find it difficult to survive in the midst of such a volatile geopolitical panorama and are often tempted to emigrate. In these circumstances, Christians of all traditions and communities in the Middle East are called to be courageous and steadfast in the power of the Spirit of Christ (cf. Christmas Message to Catholics Living in the Middle East Region, 21 December 2006). May the intercession and example of the many martyrs and saints, who have given courageous witness to Christ in these lands, sustain and strengthen the Christian communities in their faith!

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 6 (1980), 7 February 2007, p. 5.

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DISCURSO AL EMBAJADOR DE COLOMBIA ANTE LA SANTA SEDE

5. El inicio de su misión ante la Santa Sede me ofrece también la oportunidad de recordar lo que ya dije el mes pasado en mi discurso al Cuerpo Diplomático ante la Santa Sede. Al hablar sobre varios países, me referí “en particular a Colombia, donde el largo conflicto interno ha provocado una crisis humanitaria, sobre todo por lo que se refiere a las personas desplazadas. Se deben hacer todos los esfuerzos necesarios para pacificar el país, para devolver las personas secuestradas a sus familias, para volver a dar seguridad y una vida normal a millones de personas. Esas señales darían confianza a todos, incluso a los que han estado implicados en la lucha armada” (8 enero 2007).

Es mi ardiente deseo que en su país se ponga fin a este cruel flagelo de los secuestros, que atentan de manera tan grave a la dignidad y a los derechos de las personas. Acompaño con mi oración a quienes se hallan injustamente privados de la libertad y expreso mi cercanía a sus familias, confiando en su pronta liberación.

A este respecto, las numerosas instituciones dedicadas a la caridad, siguiendo los proyectos pastorales de la Conferencia Episcopal y de las diócesis, están llamadas a prestar asistencia humanitaria a los más necesitados, especialmente a los desplazados, tan numerosos en Colombia, así como a las víctimas de la violencia. De este modo dan también testimonio del esfuerzo de la Iglesia que, siempre en el marco de su propia misión y en las circunstancias que vive la nación, es artífice de comunión y de esperanza.

6. Al terminar este encuentro, deseo manifestarle nuevamente mis anhelos de que en su Patria se consolide la paz tan anhelada, así como la reconciliación. Ruego a Dios Padre que haga fructificar todos los esfuerzos realizados con este fin.

L’Osservatore Romano, N. 33 (44.476), 10 Febbraio 2007, p. 5.

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DISCURSO AL SEÑOR LUIS PARÍS CHAVERRI, EMBAJADOR DE COSTA RICA ANTE LA SANTA SEDE

El doloroso y vasto problema de la pobreza, con graves consecuencias en el campo de la educación, de la salud y de la vivienda, es un apremiante desafío para los gobernantes y responsables de la administración pública de cara al futuro de la Nación. Se requiere una toma de conciencia más profunda que permita afrontar firmemente la presente situación en todas sus dimensiones, cooperando así a un verdadero empeño por el bien de todos. Al igual que en otras partes, los pobres carecen de bienes primarios y no encuentran los medios indispensables que permiten su promoción y desarrollo integral. Esto afecta, sobre todo, a los inmigrados en busca de un mejor nivel de vida. Ante ello, la Iglesia, a la luz de su doctrina social, trata de impulsar y favorecer iniciativas encaminadas a superar situaciones de marginación que afectan a tantos hermanos necesitados, pues la preocupación por lo social forma también parte de su acción evangelizadora (cf. Sollicitudo rei socialis, 41).

L’Osservatore Romano, N. 34 (44. 477), 11 Febbraio 2007, p. 4.

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DISCORSO AI RAPPRESENTANTI PONTIFICI IN AMERICA LATINA

La Chiesa e anche attiva per gli interventi di mediazione che non raramente le vengono richiesti in occasione di conflitti interni. Una così consolidata presenza deve però oggi tener conto, tra l’altro, del proselitismo delle sette e dell’influenza crescente del secolarismo edonista postmoderno. Sulle cause dell’attrazione delle sette dobbiamo seriamente riflettere per trovare le risposte giuste. Dinanzi alle sfide dell’attuale momento storico le nostre comunità sono chiamate a rinsaldare la loro adesione a Cristo per testimoniare una fede matura e piena di gioia e veramente – nonostante tutti i problemi – enormi sono le potenzialità.

Un’attenzione prioritaria merita proprio la famiglia, che mostra segni di cedimento sotto le pressioni di lobbies capaci di incidere negativamente sui processi legislativi. Divorzi e unioni libere sono in aumento, mentre l’adulterio è guardato con ingiustificabile tolleranza.

Mi piacerebbe evidenziare altre tematiche religiose e sociali sulle quali avete avuto modo di riflettere. Mi limito a citare il fenomeno della migrazione, strettamente collegato con la famiglia; l’importanza della scuola e l’attenzione ai valori e alla coscienza, per formare laici maturi che siano in grado di offrire un contributo qualificato nella vita sociale e civile; l’educazione dei giovani con piani vocazionali appropriati che accompagnino, in particolar modo, i seminaristi e gli aspiranti alla vita consacrata nel loro cammino formativo; l’impegno ad informare in modo adeguato l’opinione pubblica sulle grandi questioni etiche secondo i principi del Magistero della Chiesa e una presenza efficace nel campo degli strumenti di comunicazione anche per rispondere alle sfide delle sette.

L’Osservatore Romano, N. 40 (44.483), 18 Febbraio 2007, p. 5.

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ADDRESS TO A GROUP OF FINANCE MINISTERS AND INTERNATIONAL LEADERS ON THE OCCASION OF THE LAUNCH OF THE ADVANCE MARKET COMMITMENT INITIATIVE

Our meeting today is a most welcome one, since it takes place as part of the launching of a pilot programme aimed at developing and producing vaccines against pandemic diseases, and making them available to poorer countries. This worthy initiative, entitled Advance Market Commitment, is meant to help resolve one of the most pressing challenges in preventative healthcare, one which particularly affects nations already suffering from poverty and serious needs. It has the further merit of bringing together public institutions and the private sector in an effort to find the most effective means of intervening in this area.

L’Osservatore Romano, N. 33 (44.476), 10 Febbraio 2007, p. 4.

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NEW AMBASSADOR OF COSTA RICA TO THE HOLY SEE

I am deeply grateful for your friendly words at this solemn ceremony which marks the beginning of the mission entrusted to you by your Government. Please express my respectful greeting to H.E. Mr Óscar Arias, President of the Republic, in reciprocation for his greeting which you conveyed to me, expressing the Costa Rican People's closeness to and affection for the Successor of Peter.

The faith of the People reflects the religious hallmark deeply impressed upon the Country more than five centuries after the first evangelization of Costa Rica. In this regard, true to her mission to bring the message of salvation to all and in line with her social doctrine, the Catholic Church endeavours to foster integral human development and the defence of human dignity, thereby helping to strengthen the fundamental values so that society may enjoy stability and harmony in keeping with its great aspiration to live in peace, freedom and democracy.

Motivated by their desire to keep the Gospel message alive, the various Ecclesial Communities cooperate in such important sectors as teaching, assistance to the most deprived, health-care services and promotion of the person in his condition as a citizen and child of God.

The Bishops of Costa Rica, therefore, are following with close attention and concern the social circumstances in the Country today such as the increase in poverty, public insecurity and family violence, as well as the great wave of immigrants from neighbouring countries.

In the face of situations that can at times be conflictual and in order to defend the common good, the Bishops offer to cooperate with projects that foster understanding and reconciliation, lead to the promotion of justice and solidarity and encourage the necessary national dialogue between Leaders responsible for the public well-being.

On the other hand, Your Excellency, as you pointed out, this dialogue must exclude all the different forms of violence and help in building a more human future with the collaboration of all.

In this regard, it is appropriate to recall that social improvements are not only achieved by applying the necessary technical means but also by promoting reforms that take into account an ethical consideration of the person, the family and society.

It is consequently necessary to cultivate moral values such as honesty, discipline and responsibility for the common good. In this way it will be possible to avoid personal and collective selfishness in every context, as well as corruption which hinders every form of progress.

It is well known that the future of a nation must be based on peace, the harvest of righteousness (cf. Jas 3: 18), building the kind of society which, starting with those in charge of politics, parliament, administration and the law, encourages concord, harmony and respect for individuals as well as the defence of their fundamental rights.

In this regard, the policies that the Government of Costa Rica has implemented in the international arena to promote peace and human rights in the world, and its traditional closeness to the positions maintained by the Holy See in various international forums on matters as important as the defence of human life and the promotion of marriage and the family, deserve praise.

All Costa Ricans with their distinguishing qualities must be the protagonists and architects of the Country's progress, cooperating in a political stability that enables all to take part in public life. Each one, according to his ability and personal possibilities, is required to make his own contribution to the good of the Homeland based on a fairer, more participatory social order.

With this in view, the Church's moral teachings offer some values and guidelines which, taken into consideration especially by those who work at the service of the nation, are of great help in dealing appropriately with the needs and aspirations of citizens.

The regrettable and widespread problem of poverty, which has serious consequences in the areas of education, health care and housing, is a pressing challenge to government Leaders and public Authorities in view of the Nation's future. A deeper awareness of the current situation is essential to make it possible to deal with all its dimensions in a true spirit of commitment to the common good.

The poor, as they do everywhere, lack the basic commodities and indispensable means for their advancement and integral development. This especially applies to immigrants in search of a better standard of living.

The Church, in the light of her social doctrine, responds by supporting initiatives aimed at overcoming the marginalization that affects so many needy brethren. Moreover, concern for social assistance is part of her evangelizing action (cf. Sollicitudo Rei Socialis, n. 41).

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 9 (1983), 28 February 2007, p. 4.

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ANGELUS DOMINI, DOMENICA 4 MARZO 2007

Sabato prossimo 10 marzo, alle ore 16, nell’Aula Paolo VI, presiederò una veglia mariana destinata ai giovani universitari di Roma. Ad essa parteciperanno, grazie ai collegamenti radio-televisivi, anche numerosi studenti di altri Paesi dell’Europa e dell’Asia. Invocheremo l’intercessione di Maria, Sedes Sapientiae, perché il Signore mandi testimoni della verità evangelica, per costruire la civiltà dell’amore in questi due Continenti e nel mondo intero. 

L’Osservatore Romano, N. 53 (44.496), 5-6 Marzo 2007, p. 5.

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DISCORSO AGLI UNIVERSITARI

Sono molto lieto di rivolgervi il mio cordiale saluto al termine della Veglia mariana, che il Vicariato di Roma ha promosso in occasione della Giornata Europea degli Universitari. Ringrazio il Cardinale Camillo Ruini e Mons. Lorenzo Leuzzi, come pure quanti hanno cooperato all’iniziativa: le istituzioni accademiche, i Conservatori di Musica, il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Ministero delle Comunicazioni. Mi congratulo con i Maestri dell’orchestra e del grande coro e con voi, cari musicisti e coristi. Mentre accolgo voi, amici di Roma, il mio pensiero va con pari affetto ai vostri coetanei che, grazie ai collegamenti radio-televisivi, hanno potuto partecipare a questo momento di preghiera e di riflessione da alcune città d’Europa e dell’Asia: da Praga, Calcutta, Hong Kong, Bologna, Cracovia, Torino, Manchester, Manila, Coimbra, Tirana e Islamabad-Rawalpindi. E’ davvero un segno dei tempi, un segno di speranza questa "rete", realizzata con la collaborazione del Centro Televisivo Vaticano, della Radio Vaticana e di Telespazio.

È una "rete" che dimostra tutto il suo valore se consideriamo il tema della veglia odierna: "La carità intellettuale, via per una nuova cooperazione Europa – Asia". È suggestivo pensare alla carità intellettuale come forza dello spirito umano, capace di accomunare gli itinerari formativi delle nuove generazioni. Più globalmente, la carità intellettuale può unire il cammino esistenziale di giovani che, pur vivendo a grande distanza gli uni dagli altri, riescono a sentirsi legati sul piano della ricerca interiore e della testimonianza. Questa sera realizziamo un ideale ponte tra l’Europa e l’Asia, continente di ricchissime tradizioni spirituali, dove si sono sviluppate alcune tra le più antiche e nobili tradizioni culturali dell’umanità. Quanto significativo è pertanto questo nostro incontro! I giovani universitari di Roma si fanno promotori di fratellanza all’insegna dell’amore intellettuale, perseguono una solidarietà che non prende le mosse dal piano degli interessi economici o politici, ma da quello dello studio e della ricerca della verità. Siamo, insomma, nella vera prospettiva "universitaria", e cioè di quella comunità del sapere che è stato uno degli elementi costitutivi dell’Europa. Grazie, cari giovani!

L’Osservatore Romano, N. 59 (44.502), 12-13 Marzo 2007, p. 4/5.

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DISCORSO TENUTO DURANTE LA VISITA ALL’ISTITUTO PENALE MINORILE DI CASAL DEL MARMO

Voi, cari ragazzi e ragazze, provenite da diverse nazioni: mi piacerebbe poter restare più a lungo con voi, purtroppo il tempo è limitato. Forse troveremo un’altra volta una giornata più lunga. Sappiate tuttavia che il Papa vi vuole bene e vi segue con affetto. Desidero, poi, cogliere questa occasione per estendere il mio saluto a tutti coloro che sono in carcere e a quanti, in vario modo, lavorano nell’ambito penitenziario.

Durante la Messa abbiamo ricordato che Dio ci ama: ecco la sorgente della vera gioia. Pur avendo tutto ciò che si desidera, si è talora infelici; si potrebbe invece essere privi di tutto, persino della libertà o della salute, ed essere in pace e nella gioia, se dentro il cuore c’è Dio. Il segreto, dunque, sta qui: occorre che Dio occupi sempre il primo posto nella nostra vita. Ed il vero volto di Dio ce lo ha rivelato Gesù. Cari amici, prima di lasciarci vi assicuro di tutto cuore che continuerò a ricordarvi davanti al Signore. Sarete sempre presenti nelle mie preghiere.

L’Osservatore Romano, N. 65 (44.508), 20-21 Marzo 2007, p. 7.

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MESSAGGIO AI PARTECIPANTI AL IX FORUM INTERNAZIONALE DEI GIOVANI IN CORSO A ROCCA DI PAPA

Il processo di globalizzazione in atto nel mondo ha recato con sé un’esigenza di mobilità che obbliga numerosi giovani a emigrare e a vivere lontano dal Paese d’origine e dalla propria famiglia. E questo ingenera in tanti un inquietante senso di insicurezza, con indubbie ripercussioni sulla capacità non solo di immaginare e di mettere in atto un progetto per il futuro, ma persino di impegnarsi concretamente nel matrimonio e nella formazione di una famiglia. Si tratta di problematiche complesse e delicate che devono essere opportunamente affrontate, guardando alla realtà di oggi e facendo riferimento alla Dottrina sociale, della quale è offerta un’adeguata presentazione nel Catechismo della Chiesa Cattolica e soprattutto nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa.

L’Osservatore Romano, N. 74 (44.517), 31 Marzo 2007, p. 4.

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HOMÉLIE  MESSE DU DIMANCHE DES RAMEAUX ET DE LA PASSION DU SEIGNEUR

Revenons à la liturgie et à la procession des Rameaux. Dans celle-ci, la liturgie prévoit comme chant le Psaume 24 [23], qui était également en Israël un chant de procession utilisé lors de la montée sur le mont du temple. Le Psaume interprète la montée intérieure dont la montée extérieure est l'image et il nous explique ainsi encore une fois ce que signifie monter avec le Christ. "Qui peut gravir la montagne du Seigneur?", demande le Psaume, qui indique deux conditions essentielles. Ceux qui montent et qui veulent vraiment atteindre les hauteurs, arriver jusqu'au véritable sommet, doivent être des personnes qui s'interrogent sur Dieu. Des personnes qui scrutent autour d'elles pour chercher Dieu, pour chercher son Visage. Chers jeunes amis - comme cela est important précisément aujourd'hui:  ne pas se laisser entraîner ici et là dans la vie; ne pas se contenter de ce que tout le monde pense, dit et fait. Scruter Dieu et chercher Dieu. Ne pas laisser que la question sur Dieu se dissolve dans nos âmes. Le désir de ce qui est le plus grand. Le désir de Le connaître - son Visage...

Le Psaume 24 [23] qui parle de la montée se termine par une liturgie d'entrée devant la porte du temple:  "Portes, levez vos frontons, levez-les, portes éternelles:  qu'il entre le roi de gloire". Dans l'ancienne liturgie du Dimanche des Rameaux, le prêtre, parvenu devant l'église, frappait puissamment avec un bras de la croix de la procession à la porte encore fermée, qui s'ouvrait alors. C'était une belle image du mystère de Jésus lui-même qui, avec le bois de sa croix, avec la force de son amour qui se donne, a frappé du côté du monde à la porte de Dieu; du côté d'un monde qui ne réussissait pas à trouver un accès à Dieu. Avec la croix, Jésus a ouvert toute grande la porte de Dieu, la porte entre Dieu et les hommes. A présent, celle-ci est ouverte. Mais de l'autre côté également, le Seigneur frappe avec sa croix:  il frappe aux portes du monde, aux portes de nos cœurs, qui si souvent et en si grand nombre sont fermées pour Dieu. Et il nous parle plus ou moins ainsi:  si les preuves que Dieu te donne de son existence dans la création ne réussissent pas à t'ouvrir à Lui; si la parole de l'Ecriture et le message de l'Eglise te laissent indifférent - alors regarde-moi, regarde le Dieu qui pour toi a souffert, qui souffre personnellement avec toi - vois que je souffre par amour pour toi ouvre-toi à moi, ton Seigneur et ton Dieu.

L’Osservatore Romano, (Edition Hebdomadaire en Langue Française) N. 14 (2976), 3 Avril 2007, p. 3.

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URBI ET ORBI MESSAGE EASTER 2007

How many wounds, how much suffering there is in the world! Natural calamities and human tragedies that cause innumerable victims and enormous material destruction are not lacking. My thoughts go to recent events in Madagascar, in the Solomon Islands, in Latin America and in other regions of the world. I am thinking of the scourge of hunger, of incurable diseases, of terrorism and kidnapping of people, of the thousand faces of violence which some people attempt to justify in the name of religion, of contempt for life, of the violation of human rights and the exploitation of persons. I look with apprehension at the conditions prevailing in several regions of Africa. In Darfur and in the neighbouring countries there is a catastrophic, and sadly to say underestimated, humanitarian situation. In Kinshasa in the Democratic Republic of the Congo the violence and looting of the past weeks raises fears for the future of the Congolese democratic process and the reconstruction of the country. In Somalia the renewed fighting has driven away the prospect of peace and worsened a regional crisis, especially with regard to the displacement of populations and the traffic of arms. Zimbabwe is in the grip of a grievous crisis and for this reason the Bishops of that country in a recent document indicated prayer and a shared commitment for the common good as the only way forward.

Likewise the population of East Timor stands in need of reconciliation and peace as it prepares to hold important elections. Elsewhere too, peace is sorely needed: in Sri Lanka only a negotiated solution can put an end to the conflict that causes so much bloodshed; Afghanistan is marked by growing unrest and instability; In the Middle East, besides some signs of hope in the dialogue between Israel and the Palestinian authority, nothing positive comes from Iraq, torn apart by continual slaughter as the civil population flees. In Lebanon the paralysis of the country’s political institutions threatens the role that the country is called to play in the Middle East and puts its future seriously in jeopardy. Finally, I cannot forget the difficulties faced daily by the Christian communities and the exodus of Christians from that blessed Land which is the cradle of our faith. I affectionately renew to these populations the expression of my spiritual closeness.

Dear brothers and sisters, through the wounds of the Risen Christ we can see the evils which afflict humanity with the eyes of hope. In fact, by his rising the Lord has not taken away suffering and evil from the world but has vanquished them at their roots by the superabundance of his grace. He has countered the arrogance of evil with the supremacy of his love. He has left us the love that does not fear death, as the way to peace and joy. “Even as I have loved you – he said to his disciples before his death – so you must also love one another” (cf. Jn 13:34).

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 15 (1989), 11 April 2007, p. 6/7.

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UDIENZA GENERALE MERCOLEDÌ 25 APRILE 2007

Per iniziativa delle Nazioni Unite, questa settimana è dedicata alla sicurezza stradale. Rivolgo una parola di incoraggiamento alle Istituzioni pubbliche che si adoperano per mantenere le arterie stradali sicure e salvaguardare la vita umana con strumenti idonei; a quanti si dedicano alla ricerca di nuove tecnologie e strategie per ridurre i troppi incidenti sulle strade di tutto il mondo. E mentre invito a pregare per le vittime, per i feriti e le loro famiglie, auspico che un consapevole senso di responsabilità verso il prossimo induca gli automobilisti, specie i giovani, alla prudenza e a un maggior rispetto del codice della strada.

L’Osservatore Romano, N. 94 (44.537), 26 Aprile 2007.

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LETTER TO PROFESSOR MARY ANN GLENDON, PRESIDENT OF THE PONTIFICAL ACADEMY OF SOCIAL SCIENCES ON THE OCCASION OF THE 13th PLENARY SESSION

The Church’s conviction of the inseparability of justice and charity is ultimately born of her experience of the revelation of God’s infinite justice and mercy in Jesus Christ, and it finds expression in her insistence that man himself and his irreducible dignity must be at the centre of political and social life. Her teaching, which is addressed not only to believers but to all people of good will, thus appeals to right reason and a sound understanding of human nature in proposing principles capable of guiding individuals and communities in the pursuit of a social order marked by justice, freedom, fraternal solidarity and peace. At the heart of that teaching, as you well know, is the principle of the universal destination of all the goods of creation. According to this fundamental principle, everything that the earth produces and all that man transforms and manufactures, all his knowledge and technology, is meant to serve the material and spiritual development and fulfilment of the human family and all its members.

This brings us to a second challenge which involves our conception of the human person and consequently our relationships with one other. If human beings are not seen as persons, male and female, created in God’s image (cf. Gen 1:26) and endowed with an inviolable dignity, it will be very difficult to achieve full justice in the world. Despite the recognition of the rights of the person in international declarations and legal instruments, much progress needs to be made in bringing this recognition to bear upon such global problems as the growing gap between rich and poor countries; the unequal distribution and allocation of natural resources and of the wealth produced by human activity; the tragedy of hunger, thirst and poverty on a planet where there is an abundance of food, water and prosperity; the human suffering of refugees and displaced people; the continuing hostilities in many parts of the world; the lack of sufficient legal protection for the unborn; the exploitation of children; the international traffic in human beings, arms and drugs; and numerous other grave injustices.

A third challenge relates to the values of the spirit. Pressed by economic worries, we tend to forget that, unlike material goods, those spiritual goods which are properly human expand and multiply when communicated: unlike divisible goods, spiritual goods such as knowledge and education are indivisible, and the more one shares them, the more they are possessed. Globalization has increased the interdependence of peoples, with their different traditions, religions and systems of education. This means that the peoples of the world, for all their differences, are constantly learning about one another and coming into much greater contact. All the more important, then, is the need for a dialogue which can help people to understand their own traditions vis-à-vis those of others, to develop greater self-awareness in the face of challenges to their identity, and thus to promote understanding and the acknowledgement of true human values within an intercultural perspective. To meet these challenges, a just equality of opportunity, especially in the field of education and the transmission of knowledge, is urgently needed. Regrettably, education, especially at the primary level, remains dramatically insufficient in many parts of the world.

To meet these challenges, only love for neighbour can inspire within us justice at the service of life and the promotion of human dignity. Only love within the family, founded on a man and a woman, who are created in the image of God, can assure that inter-generational solidarity which transmits love and justice to future generations. Only charity can encourage us to place the human person once more at the centre of life in society and at the centre of a globalized world governed by justice.

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 19 (1993), 9 May  2007, p. 4.

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ADHORTATIO APOSTOLICA POSTSYNODALIS SACRAMENTUM CARITATIS 

Migrantes et participatio Eucharistiae

60. Quaestionem tractans eorum qui varias ob rationes propriam terram deserere coguntur, Synodus peculiarem gratitudinem erga omnes versantes in cura pastorali migrantium significavit. Hoc in rerum contextu peculiaris attentio praestanda est his migrantibus qui ad Ecclesias catholicas orientales pertinent et quibus, praeter separationem a domo propria, additur difficultas liturgiam eucharisticam secundum proprium ritum participandi. Quapropter, ubi fieri potest, hoc concedatur eis ut a sacerdotibus eorum ritus curentur. Utcumque est, petimus ab Episcopis ut hos fratres in Christi caritate suscipiant. Quod diversorum rituum fideles inter se conveniunt, id etiam occasionem praebere potest mutuae locupletationis. Potissimum cogitamus de iuvamine quod evenire potest, ante omnia clero ex diversarum traditionum cognitione. 

Veritatis esca et egestas hominis

90. Inertes haerere non possumus quasdam ante processiones ita dictae « globalizationis » saepius quae distantiam inter divites ac pauperes per orbem augent. Reprehendamus eos est necesse qui terrae dissipant divitias atque iniquitates eliciunt quae vocant ad caelum (cfr Iac 5,4). Ut exemplum proferamus: obmutescere non licet coram « perturbantibus imaginibus vastorum cum profugis vel fugatis camporum variis in mundi regionibus, qui fortuitis versantur in condicionibus ut peiorem declinent fortunam at omnibus carent egentque rebus. Nonne hi ipsi homines nostri sunt fratres ac sorores? In lucem nonne eorum prodierunt liberi iisdem cum felicitatis exspectationibus quibus reliqui omnes? ». Panis vitae aeternae Dominus Iesus permovet nos atque cautos reddit de indigentiae statu, in quo magna adhuc hominum generis iacet pars: condiciones sunt quarum causa secum crebrius claram infert ac turbantem hominum conspirationem et cooperationem. Etenim « secundum indiciorum statisticorum aestimationem asseverare par est: minus quam dimidiam partem infinitorum impendiorum armamentis per terras designatorum plus quam satis sufficere ad eripiendum de egestate interminatum pauperum numerum. De hoc humana stimulatur conscientia. Populis ideo, qui paupertatis vivunt infra limen magis videlicet ob effecta necessitudinum politicarum commercialium culturalium inter nationes quam propter quaedam eventa non gubernabilia, commune nostrum officium potest ac novam spem dare debet ».

Veritatis esca propellit nos ut hominibus indignas condiciones renuntiemus, ubi ex alimoniarum inopia moriuntur et abusuum, nobisque quoque novas addit vires et animum ut sine intermissione civitati amoris exstruendae adlaboremus. Iam a principio curabant sua dividenda bona (cfr Act 4,32) christiani et egenos iuvandos (cfr Rom 15,26). Quae in liturgicis conventibus stips corrogatur, huius est viva rei memoria, verum etiam praesens valde necessitas. Ecclesiastica beneficientiae instituta, praesertim Caritas, variis in gradibus ministerium magni pretii complent in hominibus necessitatem patientibus maximeque pauperioribus sustentandis. Afflatum de Eucharistia excipientes, quae caritatis est sacramentum, illius fiunt aspectabilis declaratio; omnem igitur plausum merentur et fulcimentum solidali in suo opere inter homines. 

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ESORTAZIONE APOSTOLICA POST SINODALE SACRAMENTUM CARITATIS  

I migranti e la partecipazione all'Eucaristia

60. Toccando il problema di coloro che per diversi motivi sono costretti a lasciare la propria terra, il Sinodo ha espresso particolare gratitudine verso quanti sono impegnati nella cura pastorale dei migranti. In questo contesto, un'attenzione specifica deve essere data a quei migranti che appartengono alle Chiese cattoliche orientali e per i quali, al distacco dalla propria casa, si aggiunge la difficoltà di non poter partecipare alla liturgia eucaristica secondo il proprio rito di appartenenza. Per questo, dove è possibile, venga loro concesso di essere assistiti dai sacerdoti del loro rito. In ogni caso, chiedo ai Vescovi di accogliere nella carità di Cristo questi fratelli. L'incontro di fedeli di riti diversi può diventare anche occasione di vicendevole arricchimento. In particolare, penso al giovamento che può derivare, soprattutto per il clero, dalla conoscenza delle diverse tradizioni.

Il cibo della verità e l'indigenza dell'uomo

90. Non possiamo rimanere inattivi di fronte a certi processi di globalizzazione che non di rado fanno crescere a dismisura lo scarto tra ricchi e poveri a livello mondiale. Dobbiamo denunciare chi dilapida le ricchezze della terra, provocando disuguaglianze che gridano verso il cielo (cfr Gc 5,4). Ad esempio, è impossibile tacere di fronte alle « immagini sconvolgenti dei grandi campi di profughi o di rifugiati – in diverse parti del mondo – raccolti in condizioni di fortuna, per scampare a sorte peggiore, ma di tutto bisognosi. Non sono, questi esseri umani, nostri fratelli e sorelle? Non sono i loro bambini venuti al mondo con le stesse legittime attese di felicità degli altri? ».(246) Il Signore Gesù, Pane di vita eterna, ci sprona e ci rende attenti alle situazioni di indigenza in cui versa ancora gran parte dell'umanità: sono situazioni la cui causa implica spesso una chiara ed inquietante responsabilità degli uomini. Infatti, « sulla base di dati statistici disponibili si può affermare che meno della metà delle immense somme globalmente destinate agli armamenti sarebbe più che sufficiente per togliere stabilmente dall'indigenza lo sterminato esercito dei poveri. La coscienza umana ne è interpellata. Alle popolazioni che vivono sotto la soglia della povertà, più a causa di situazioni dipendenti dai rapporti internazionali politici, commerciali e culturali, che non a motivo di circostanze incontrollabili, il nostro comune impegno nella verità può e deve dare nuova speranza ».

Il cibo della verità ci spinge a denunciare le situazioni indegne dell'uomo, in cui si muore per mancanza di cibo a causa dell'ingiustizia e dello sfruttamento, e ci dona nuova forza e coraggio per lavorare senza sosta all'edificazione della civiltà dell'amore. Dall'inizio i cristiani si sono preoccupati di condividere i loro beni (cfr At 4,32) e di aiutare i poveri (cfr Rm 15,26). L'elemosina che si raccoglie nelle assemblee liturgiche ne è un vivo ricordo, ma è anche una necessità assai attuale. Le istituzioni ecclesiali di beneficenza, in particolare la Caritas a vari livelli, svolgono il prezioso servizio di aiutare le persone in necessità, soprattutto i più poveri. Traendo ispirazione dall'Eucaristia, che è il sacramento della carità, esse ne divengono l'espressione concreta; meritano perciò ogni plauso ed incoraggiamento per il loro impegno solidale nel mondo.

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POST-SYNODAL APOSTOLIC EXHORTATION SACRAMENTUM CARITATIS

Migrants and participation in the Eucharist

60. Turning now to those people who for various reasons are forced to leave their native countries, the Synod expressed particular gratitude to all those engaged in the pastoral care of migrants. Specific attention needs to be paid to migrants belonging to the Eastern Catholic Churches; in addition to being far from home, they also encounter the difficulty of not being able to participate in the eucharistic liturgy in their own rite. For this reason, wherever possible, they should be served by priests of their rite. In all cases I would ask Bishops to welcome these brothers and sisters with the love of Christ. Contacts between the faithful of different rites can prove a source of mutual enrichment. In particular, I am thinking of the benefit that can come, especially for the clergy, from a knowledge of the different traditions. 

The food of truth and human need

90. We cannot remain passive before certain processes of globalization which not infrequently increase the gap between the rich and the poor worldwide. We must denounce those who squander the earth's riches, provoking inequalities that cry out to heaven (cf. Jas 5:4). For example, it is impossible to remain silent before the "distressing images of huge camps throughout the world of displaced persons and refugees, who are living in makeshift conditions in order to escape a worse fate, yet are still in dire need. Are these human beings not our brothers and sisters? Do their children not come into the world with the same legitimate expectations of happiness as other children?". The Lord Jesus, the bread of eternal life, spurs us to be mindful of the situations of extreme poverty in which a great part of humanity still lives: these are situations for which human beings bear a clear and disquieting responsibility. Indeed, "on the basis of available statistical data, it can be said that less than half of the huge sums spent worldwide on armaments would be more than sufficient to liberate the immense masses of the poor from destitution. This challenges humanity's conscience. To peoples living below the poverty line, more as a result of situations to do with international political, commercial and cultural relations than as a result of circumstances beyond anyone's control, our common commitment to truth can and must give new hope". 

The food of truth demands that we denounce inhumane situations in which people starve to death because of injustice and exploitation, and it gives us renewed strength and courage to work tirelessly in the service of the civilization of love. From the beginning, Christians were concerned to share their goods (cf. Acts 4:32) and to help the poor (cf. Rom 15:26). The alms collected in our liturgical assemblies are an eloquent reminder of this, and they are also necessary for meeting today's needs. The Church's charitable institutions, especially Caritas, carry out at various levels the important work of assisting the needy, especially the poorest. Inspired by the Eucharist, the sacrament of charity, they become a concrete expression of that charity; they are to be praised and encouraged for their commitment to solidarity in our world.

 

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EXHORTATION APOSTOLIQUE POST-SYNODALE SACRAMENTUM CARITATIS

Les migrants et la participation à l'Eucharistie

60. Abordant le problème des personnes qui, pour divers motifs, sont contraintes à laisser leur terre, le Synode a exprimé sa particulière gratitude envers ceux qui sont engagés dans l'assistance pastorale des migrants. Dans ce contexte, une attention spécifique doit être portée aux migrants qui appartiennent aux Églises catholiques orientales et pour lesquels, à l'éloignement de chez eux, s'ajoute la difficulté de ne pas pouvoir participer à la liturgie eucharistique selon leur rite d'appartenance. C'est pourquoi, là où c'est possible, on doit leur accorder d'être assistés par des prêtres de leur rite. En tout cas, je demande aux Évêques d'accueillir ces frères dans la charité du Christ. La rencontre entre fidèles de rites différents peut aussi devenir une occasion d'enrichissement mutuel. Je pense en particulier au bénéfice qui peut découler, surtout pour le clergé, de la connaissance des diverses traditions.

La nourriture de la vérité et l'indigence de l'homme

90. Nous ne pouvons rester sans rien faire devant certains processus de mondialisation qui font souvent grandir démesurément, au niveau mondial, l'écart entre riches et pauvres. Nous devons dénoncer ceux qui dilapident les richesses de la terre, provoquant des inégalités qui crient vers le ciel (cf. Jc 5, 4). Par exemple, il est impossible de se taire face « aux images bouleversantes des grands camps de personnes déplacées ou de réfugiés – en diverses parties du monde –, rassemblés dans des conditions de fortune, pour échapper à des conditions pires encore, alors qu'ils ont besoin de tout. Ces êtres humains ne sont-ils pas nos frères et nos sœurs? Leurs enfants ne sont-ils pas venus au monde avec les mêmes attentes légitimes de bonheur que les autres? ». Le Seigneur Jésus, Pain de vie éternelle, nous pousse à être attentifs aux situations de misère dans lesquelles se trouve encore une grande partie de l'humanité: ce sont des situations dont la cause implique souvent une responsabilité claire et inquiétante des hommes. En effet, « sur la base des données statistiques disponibles, on peut affirmer que moins de la moitié des immenses sommes globalement destinées aux armements serait plus que suffisante pour que l'immense armée des pauvres soit tirée de l'indigence, et cela de manière stable. La conscience humaine en est interpellée. Pour les populations qui vivent en dessous du seuil de pauvreté, plus en raison de situations qui dépendent des relations internationales politiques, commerciales et culturelles qu'en raison de circonstances incontrôlées, notre engagement commun dans la vérité peut et doit donner de nouvelles espérances ».

La nourriture de la vérité nous pousse à dénoncer les situations indignes de l'homme, dans lesquelles on meurt par manque de nourriture en raison de l'injustice et de l'exploitation, et elle nous donne des forces et un courage renouvelés pour travailler sans répit à l'édification de la civilisation de l'amour. Depuis les origines, les chrétiens se sont préoccupés de partager leurs biens (cf. Ac 4, 32) et d'aider les pauvres (cf. Rm 15, 26). La quête qui est recueillie dans les assemblées liturgiques en est un souvenir vivant, mais elle est aussi une nécessité très actuelle. Les institutions ecclésiales de bienfaisance, en particulier la Caritas à divers niveaux, réalisent le précieux service d'aider les personnes dans le besoin, surtout les plus pauvres. Tirant leur inspiration de l'Eucharistie, qui est le sacrement de la charité, elles en deviennent l'expression concrète; elles méritent donc approbation et encouragement pour leur engagement de solidarité dans le monde. 

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POSYNODALNA ADHORTACJA APOSTOLSKA SACRAMENTUM CARITATIS 

Emigranci i uczestnictwo w Eucharystii

60. Poruszając problem ludzi, którzy z różnych powodów zmuszeni są do opuszczenia swojego własnego kraju, Synod wyraził szczególną wdzięczność wobec tych, którzy zajmują się duszpasterstwem emigrantów. Szczególną uwagę należy poświęcić tym emigrantom, którzy należą do katolickich Kościołów wschodnich, a dla których oderwanie od własnego domu łączy się z trudnością uczestniczenia w liturgii eucharystycznej we własnym obrządku. Tam gdzie to jest możliwe, należy zatroszczyć się o posługę duszpasterską kapłanów ich obrządku. W każdym przypadku proszę biskupów, by tych braci przyjmowali w miłości Chrystusa. Spotkanie wiernych różnych obrządków może stać się również okazją do wzajemnego ubogacenia. W szczególności myślę o korzyściach dla duchowieństwa, jakie mogą wynikać z poznania różnych tradycji. 

Pokarm prawdy i nędza człowieka

90. Nie możemy pozostawać bezczynni wobec tych procesów globalizacji, które nierzadko sprawiają, iż na poziomie światowym wzrasta nadmiernie rozdźwięk pomiędzy bogatymi i ubogimi. Winniśmy mówić otwarcie o tych, co trwonią bogactwa ziemi, prowokując nierówności, które wołają do nieba (por. Jk 5, 4). Nie możemy, na przykład, milczeć wobec „wstrząsających obrazów z wielkich obozów dla uchodźców i wysiedlonych – w różnych częściach świata – zbiorowisk ludzi żyjących w prowizorycznych warunkach, szukających schronienia przed jeszcze gorszym losem i potrzebujących wszystkiego. Czyż ci ludzie nie są naszymi braćmi i siostrami? Czyż ich dzieci nie przyszły na świat z takim samym jak inne, słusznym pragnieniem szczęścia?”. Pan Jezus, Chleb życia wiecznego, nakłania nas i uwrażliwia na sytuacje nędzy, w których znajduje się wciąż większa część ludzkości. Są to sytuacje, których przyczyna tkwi często w niepokojącym braku odpowiedzialności ludzi. W rzeczywistości, „na podstawie dostępnych danych statystycznych można stwierdzić, że mniej niż połowa olbrzymich kwot przeznaczanych na całym świecie na zbrojenia, wystarczyłaby w zupełności, aby na trwałe wydobyć z nędzy niezliczone rzesze ubogich. Jest to wyzwaniem dla ludzkiego sumienia. Społecznościom, które żyją poniżej progu ubóstwa - bardziej z przyczyn związanych z międzynarodowymi stosunkami politycznymi, handlowymi i kulturowymi niż na skutek niekontrolowanych okoliczności -  nasze wspólne działania na rzecz prawdy mogą i powinny dawać nowe nadzieje”.

Pokarm prawdy przynagla nas do ujawniania sytuacji, które są niegodne człowieka, w których umiera się z powodu braku pożywienia, niesprawiedliwości lub wyzysku, daje nam też nową siłę i odwagę, by pracować wytrwale nad budowaniem cywilizacji miłości. Od początku chrześcijanie starali się dzielić swymi dobrami (por. Dz 4, 32) oraz pomagać ubogim (por. Rz 15, 26). Jałmużna, którą się zbiera podczas zgromadzeń liturgicznych, jest żywym tego przypomnieniem, jak też aktualną koniecznością. Kościelne instytucje dobroczynne, w szczególności Caritas, spełniają na różnych poziomach cenną posługę pomocy osobom potrzebującym, nade wszystko najuboższym. Czerpiąc natchnienie z Eucharystii, która jest sakramentem miłości, stają się konkretnym jej przejawem; ich solidarne zaangażowanie w świecie zasługuje na aprobatę i poparcie.

 

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EXORTAÇÃO APOSTÓLICA PÓS-SINODAL SACRAMENTUM CARITATIS 

Os migrantes e a participação na Eucaristia

60. Ao abordar o problema das pessoas que, por motivos vários, são obrigadas a deixar a sua terra, o Sínodo manifestou particular gratidão a quantos vivem empenhados no cuidado pastoral dos migrantes. Neste contexto, uma atenção específica deve ser dada aos migrantes membros das Igrejas Católicas Orientais, já que, à separação da própria casa, vem juntar-se a dificuldade de não poderem participar na liturgia eucarística segundo o próprio rito a que pertencem; por isso, onde for possível, seja-lhes concedido usufruir da assistência de sacerdotes do seu rito. Em todo o caso, peço aos bispos que acolham estes irmãos na caridade de Cristo. O encontro entre fiéis de rito diverso pode tornar-se também ocasião de mútuo enriquecimento: penso de modo particular no benefício que pode resultar, sobretudo para o clero, do conhecimento das diversas tradições. 

O alimento da verdade e a indigência do homem

90. Não podemos ficar inactivos perante certos processos de globalização, que não raro fazem crescer desmesuradamente a distância entre ricos e pobres a nível mundial. Devemos denunciar quem delapida as riquezas da terra, provocando desigualdades que bradam ao céu (Tg 5, 4). Por exemplo, é impossível calar diante das « imagens impressionantes dos grandes campos de deslocados ou refugiados — em várias partes do mundo — amontoados em condições precárias para escapar a sorte pior, mas carecidos de tudo. Porventura estes seres humanos não são nossos irmãos e irmãs? Os seus filhos não vieram ao mundo com os mesmos legítimos anseios de felicidade que os outros? ». O Senhor Jesus, pão de vida eterna, incita a tornarmo-nos atentos às situações de indigência em que ainda vive grande parte da humanidade: são situações cuja causa se fica a dever, frequentemente, a uma clara e preocupante responsabilidade dos homens. De facto, « com base em dados estatísticos disponíveis, pode-se afirmar que bastaria menos de metade das somas imensas globalmente destinadas a armamentos para tirar, de forma estável, da indigência o exército ilimitado dos pobres. Isto interpela a consciência humana. Às populações que vivem sob o limiar da pobreza, mais por causa de situações que dependem das relações internacionais políticas, comerciais e culturais do que por circunstâncias incontroláveis, o nosso esforço comum verdadeiramente pode e deve oferecer-lhes nova esperança ».

O alimento da verdade leva-nos a denunciar as situações indignas do homem, nas quais se morre à míngua de alimento por causa da injustiça e da exploração, e dá-nos nova força e coragem para trabalhar sem descanso na edificação da civilização do amor. Desde o princípio, os cristãos tiveram a preocupação de partilhar os seus bens (Act 4, 32) e de ajudar os pobres (Rm 15, 26). O peditório que se realiza nas assembleias litúrgicas constitui viva reminiscência disso mesmo, mas é também uma necessidade muito actual. As instituições eclesiais de beneficência, de modo particular a Caritas nos seus vários níveis, realizam o valioso serviço de auxiliar as pessoas em necessidade, sobretudo os mais pobres. Tirando inspiração da Eucaristia, que é o sacramento da caridade, aquelas tornam-se a sua expressão concreta; por isso, merecem todo o aplauso e estímulo pelo seu empenho solidário no mundo. 

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EXHORTACIÓN APOSTÓLICA POSTSINODAL SACRAMENTUM CARITATIS 

Los emigrantes y su participación en la Eucaristía

60. Al plantearse el problema de los que se ven obligados a dejar la propia tierra por diversos motivos, el Sínodo ha expresado particular gratitud a los que se dedican a la atención pastoral de los emigrantes. En este contexto, se ha de prestar una atención especial a los emigrantes que pertenecen a las Iglesias católicas orientales y a los que, lejos de su propia casa, tienen dificultades para participar en la liturgia eucarística según su propio rito de pertenencia. Por eso, donde sea posible, concédaseles que puedan ser asistidos por sacerdotes de su rito. En todo caso, pido a los Obispos que acojan en la caridad de Cristo a estos hermanos. El encuentro entre los fieles de diversos ritos puede convertirse también en ocasión de enriquecimiento recíproco. Pienso particularmente en el beneficio que puede aportar, sobre todo para el clero, el conocimiento de las diversas tradiciones. 

El alimento de la verdad y la indigencia del hombre

90. No podemos permanecer pasivos ante ciertos procesos de globalización que con frecuencia hacen crecer desmesuradamente en todo el mundo la diferencia entre ricos y pobres. Debemos denunciar a quien derrocha las riquezas de la tierra, provocando desigualdades que claman al cielo (cf. St 5,4). Por ejemplo, es imposible permanecer callados ante « las imágenes sobrecogedoras de los grandes campos de prófugos o de refugiados —en muchas partes del mundo— concentrados en precarias condiciones para librarse de una suerte peor, pero necesitados de todo. Estos seres humanos, ¿no son nuestros hermanos y hermanas? ¿Acaso sus hijos no vienen al mundo con las mismas esperanzas legítimas de felicidad que los demás? ». El Señor Jesús, Pan de vida eterna, nos apremia y nos hace estar atentos a las situaciones de pobreza en que se halla todavía gran parte de la humanidad: son situaciones cuya causa implica a menudo un clara e inquietante responsabilidad por parte de los hombres. En efecto, « sobre la base de datos estadísticos disponibles, se puede afirmar que menos de la mitad de las ingentes sumas destinadas globalmente a armamento sería más que suficiente para sacar de manera estable de la indigencia al inmenso ejército de los pobres. Esto interpela a la conciencia humana. Nuestro común compromiso por la verdad puede y tiene que dar nueva esperanza a estas poblaciones que viven bajo el umbral de la pobreza, mucho más a causa de situaciones que dependen de las relaciones internacionales políticas, comerciales y culturales, que a causa de circunstancias incontroladas ».

El alimento de la verdad nos impulsa a denunciar las situaciones indignas del hombre, en las que a causa de la injusticia y la explotación se muere por falta de comida, y nos da nueva fuerza y ánimo para trabajar sin descanso en la construcción de la civilización del amor. Los cristianos han procurado desde el principio compartir sus bienes (cf. Hch 4,32) y ayudar a los pobres (cf. Rm 15,26). La colecta en las asambleas litúrgicas no sólo nos lo recuerda expresamente, sino que es también una necesidad muy actual. Las instituciones eclesiales de beneficencia, en particular Caritas en sus diversos ámbitos, prestan el precioso servicio de ayudar a las personas necesitadas, sobre todo a los más pobres. Estas instituciones, inspirándose en la Eucaristía, que es el sacramento de la caridad, se convierten en su expresión concreta; por ello merecen todo encomio y estímulo por su compromiso solidario en el mundo.

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NACHSYNODALES APOSTOLISCHES SCHREIBEN SACRAMENTUM CARITATIS

Die Migranten und die Teilnahme an der Eucharistie

60. Als die Synode das Problem derer berührte, die aus verschiedenen Gründen gezwungen sind, ihr Land zu verlassen, hat sie einen besonderen Dank denen gegenüber ausgedrückt, die in der Migrantenseelsorge beschäftigt sind. In diesem Zusammenhang muß jenen Auswanderern eine besondere Aufmerksamkeit geschenkt werden, die den katholischen Ostkirchen angehören und für die außer der Trennung vom eigenen Zuhause die zusätzliche Schwierigkeit besteht, daß sie nicht an der eucharistischen Liturgie nach dem eigenen Ritus teilnehmen können, dem sie angehören. Darum sei ihnen, wo dies möglich ist, die Betreuung durch Priester ihres Ritus gestattet. In jedem Fall bitte ich die Bischöfe, diese Brüder und Schwestern in der Liebe Christi aufzunehmen. Die Begegnung zwischen Gläubigen verschiedener Riten kann auch eine Gelegenheit zu gegenseitiger Bereicherung werden. Im besonderen denke ich an den Nutzen, der – vor allem für den Klerus – aus der Kenntnis der verschiedenen Traditionen hervorgehen kann.  

Die Speise der Wahrheit und das Elend des Menschen

90. Angesichts gewisser Prozesse der Globalisierung, die nicht selten weltweit den Unterschied zwischen reichen und armen Ländern über alle Maßen anwachsen lassen, dürfen wir nicht tatenlos bleiben. Wir müssen die anklagen, welche die Reichtümer der Erde verschwenden und dadurch Ungleichheiten hervorrufen, die zum Himmel schreien (vgl. Jak 5,4). Es ist zum Beispiel unmöglich, zu schweigen angesichts der „erschütternden Bilder der großen Flüchtlingslager oder einzelner Flüchtlinge, die – in verschiedenen Teilen der Welt – behelfsmäßig aufgenommen werden, um schlimmerem Schicksal zu entrinnen, denen es jedoch an allem mangelt. Sind diese Menschen etwa nicht unsere Brüder und Schwestern? Sind ihre Kinder nicht mit denselben berechtigten Erwartungen von Glück auf die Welt gekommen?“. Jesus, der Herr, das Brot des ewigen Lebens, treibt uns an und macht uns aufmerksam auf die Situationen des Elends, in denen sich noch ein großer Teil der Menschheit befindet – Situationen, deren Ursache häufig eine klare und beunruhigende Verantwortung der Menschen einschließt. Tatsächlich kann man „aufgrund verfügbarer statistischer Daten bestätigen, daß weniger als die Hälfte der ungeheuren Summen, die weltweit für Bewaffnung bestimmt sind, mehr als ausreichend wäre, um das unermeßliche Heer der Armen dauerhaft aus dem Elend zu befreien. Das ist ein Aufruf an das menschliche Gewissen. Den Völkern, die – mehr aufgrund von Situationen, die von internationalen politischen, wirtschaftlichen und kulturellen Beziehungen abhängen, als aufgrund von unkontrollierbaren Umständen – unter der Armutsschwelle leben, kann und muß unser gemeinsames Engagement in der Wahrheit neue Hoffnung geben.“ 

Die Speise der Wahrheit drängt uns, die menschenunwürdigen Situationen anzuprangern, in denen man wegen des von Ungerechtigkeit und Ausbeutung verursachten Nahrungsmangels stirbt, und gibt uns neue Kraft und neuen Mut, ohne Unterlaß am Aufbau der Zivilisation der Liebe zu arbeiten. Von Anfang an waren die Christen darum bemüht, ihre Güter miteinander zu teilen (vgl. Apg 4,32) und den Armen zu helfen (vgl. Röm 15,26). Die Kollekte, die während der liturgischen Zusammenkünfte eingesammelt wird, ist eine lebendige Erinnerung daran, aber auch eine sehr aktuelle Notwendigkeit. Die kirchlichen Wohlfahrtseinrichtungen, besonders die Caritas, versehen auf verschiedenen Ebenen den wertvollen Dienst, Menschen in Not, vor allem den Ärmsten, zu helfen. Indem sie sich von der Eucharistie, dem Sakrament der Liebe, inspirieren lassen, werden sie deren konkreter Ausdruck und verdienen darum alles Lob und alle Ermutigung für ihren solidarischen Einsatz in der Welt.

 

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Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso il Brasile 9 maggio 2007 

Domanda: Sappiamo che Lei è stato due volte in Colombia, quando era Cardinale e sappiamo che è rimasta molto presente nel suo cuore la Colombia. Vorremmo sapere che cosa può fare la Chiesa, affinché noi possiamo andare avanti soprattutto in questa situazione di conflitto interno colombiano? 

Papa: Naturalmente io non sono un oracolo, che ha automaticamente tutte le risposte giuste. Sappiamo che i Vescovi si impegnano fortemente per trovare queste risposte. Io posso solo confermare la linea fondamentale dei Vescovi e cioè una forte indicazione a porre l’accento sulla fede, che è la più sicura garanzia contro il crescere della violenza e, al tempo stesso, un deciso impegno per l’educazione di una coscienza che esca da situazioni incompatibili con la fede. Naturalmente ci sono in gioco condizioni – diciamo - economiche, dove piccoli contadini vivono di un certo mercato che poi consente i grandi guadagni altrove. Risolvere subito, da un momento all’altro, questi diversi intrecci economici, politici, ideologici non si può, ma occorre andare avanti con grande decisione, nella adesione sincera ad una fede che implica rispetto della legalità e insieme amore e responsabilità per l’altro. Mi sembra che l’educazione nella fede sia l’umanizzazione più sicura anche per risolvere poi, man mano, questi problemi molto concreti.

L’Osservatore Romano, N. 106 (44.549), 10 Maggio 2007, p. 6.

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INAUGURAL SESSION OF THE FIFTH GENERAL CONFERENCE OF THE BISHOPS OF LATIN AMERICA AND THE CARIBBEAN

The wisdom of the indigenous peoples fortunately led them to form a synthesis between their cultures and the Christian faith which the missionaries were offering them. Hence the rich and profound popular religiosity, in which we see the soul of the Latin American peoples:

- love for the suffering Christ, the God of compassion, pardon and reconciliation; the God who loved us to the point of handing himself over for us;

- love for the Lord present in the Eucharist, the incarnate God, dead and risen in order to be the bread of life;

- the God who is close to the poor and to those who suffer;

- the profound devotion to the most holy Virgin of Guadalupe, the Aparecida, the Virgin invoked under various national and local titles. When the Virgin of Guadalupe appeared to the native Indian Saint Juan Diego, she spoke these important words to him: “Am I not your mother? Are you not under my shadow and my gaze? Am I not the source of your joy? Are you not sheltered underneath my mantle, under the embrace of my arms?” (Nican Mopohua, nos. 118-119).

Today’s world experiences the phenomenon of globalization as a network of relationships extending over the whole planet. Although from certain points of view this benefits the great family of humanity, and a sign of its profound aspiration towards unity, nevertheless it also undoubtedly brings with it the risk of vast monopolies and of treating profit as the supreme value. As in all areas of human activity, globalization too must be led by ethics, placing everything at the service of the human person, created in the image and likeness of God.

… An important way of introducing the People of God to the mystery of Christ is through catechesis. Here, the message of Christ is transmitted in a simple and substantial form. It is therefore necessary to intensify the catechesis and the faith formation not only of children but also of young people and adults. Mature reflection on faith is a light for the path of life and a source of strength for witnessing to Christ. Most valuable tools with which to achieve this are the Catechism of the Catholic Church and its abridged version, the Compendium of the Catechism of the Catholic Church.

In this area, we must not limit ourselves solely to homilies, lectures, Bible courses or theology courses, but we must have recourse also to the communications media: press, radio and television, websites, forums and many other methods for effectively communicating the message of Christ to a large number of people.

In this effort to come to know the message of Christ and to make it a guide for our own lives, we must remember that evangelization has always developed alongside the promotion of the human person and authentic Christian liberation. “Love of God and love of neighbour have become one; in the least of the brethren we find Jesus himself, and in Jesus we find God” (Encyclical Letter Deus Caritas Est, 15). For the same reason, there will also need to be social catechesis and a sufficient formation in the social teaching of the Church, for which a very useful tool is the Compendium of the Social Doctrine of the Church. The Christian life is not expressed solely in personal virtues, but also in social and political virtues.

The disciple, founded in this way upon the rock of God’s word, feels driven to bring the Good News of salvation to his brothers and sisters. Discipleship and mission are like the two sides of a single coin: when the disciple is in love with Christ, he cannot stop proclaiming to the world that only in him do we find salvation (cf. Acts 4:12). In effect, the disciple knows that without Christ there is no light, no hope, no love, no future.

… In order to form the disciple and sustain the missionary in his great task, the Church offers him, in addition to the bread of the word, the bread of the Eucharist. In this regard, we find inspiration and illumination in the passage from the Gospel about the disciples on the road to Emmaus. When they sit at table and receive from Jesus Christ the bread that has been blessed and broken, their eyes are opened and they discover the face of the Risen Lord, they feel in their hearts that everything he said and did was the truth, and that the redemption of the world has already begun to unfold. Every Sunday and every Eucharist is a personal encounter with Christ. Listening to God’s word, our hearts burn because it is he who is explaining and proclaiming it. When we break the bread at the Eucharist, it is he whom we receive personally. The Eucharist is indispensable nourishment for the life of the disciple and missionary of Christ. 

Sunday Mass, Centre of Christian life

Hence the need to give priority in pastoral programmes to appreciation of the importance of Sunday Mass. We must motivate Christians to take an active part in it, and if possible, to bring their families, which is even better. The participation of parents with their children at Sunday Mass is an effective way of teaching the faith and it is a close bond that maintains their unity with one another. Sunday, throughout the Church’s life, has been the privileged moment of the community’s encounter with the risen Lord.

Christians should be aware that they are not following a character from past history, but the living Christ, present in the today and the now of their lives. He is the living one who walks alongside us, revealing to us the meaning of events, of suffering and death, of rejoicing and feasting, entering our homes and remaining there, feeding us with the bread that gives life. For this reason Sunday Mass must be the centre of Christian life.

The encounter with Christ in the Eucharist calls forth a commitment to evangelization and an impulse towards solidarity; it awakens in the Christian a strong desire to proclaim the Gospel and to bear witness to it in the world so as to build a more just and humane society. From the Eucharist, in the course of the centuries, an immense wealth of charity has sprung forth, of sharing in the difficulties of others, of love and of justice. Only from the Eucharist will the civilization of love spring forth which will transform Latin America and the Caribbean, making them not only the Continent of Hope, but also the Continent of Love!

… On the other hand, just structures must be sought and elaborated in the light of fundamental values, with the full engagement of political, economic and social reasoning. They are a question of recta ratio and they do not arise from ideologies nor from their premises. Certainly there exists a great wealth of political experience and expertise on social and economic problems that can highlight the fundamental elements of a just state and the paths that must be avoided. But in different cultural and political situations, amid constant developments in technology and changes in the historical reality of the world, adequate answers must be sought in a rational manner, and a consensus must be created—with the necessary commitments—on the structures that must be established.

This political task is not the immediate competence of the Church. Respect for a healthy secularity—including the pluralism of political opinions—is essential in the Christian tradition. If the Church were to start transforming herself into a directly political subject, she would do less, not more, for the poor and for justice, because she would lose her independence and her moral authority, identifying herself with a single political path and with debatable partisan positions. The Church is the advocate of justice and of the poor, precisely because she does not identify with politicians nor with partisan interests. Only by remaining independent can she teach the great criteria and inalienable values, guide consciences and offer a life choice that goes beyond the political sphere. To form consciences, to be the advocate of justice and truth, to educate in individual and political virtues: that is the fundamental vocation of the Church in this area. And lay Catholics must be aware of their responsibilities in public life; they must be present in the formation of the necessary consensus and in opposition to injustice.

Just structures will never be complete in a definitive way. As history continues to evolve, they must be constantly renewed and updated; they must always be imbued with a political and humane ethos—and we have to work hard to ensure its presence and effectiveness. In other words, the presence of God, friendship with the incarnate Son of God, the light of his word: these are always fundamental conditions for the presence and efficacy of justice and love in our societies.

This being a Continent of baptized Christians, it is time to overcome the notable absence—in the political sphere, in the world of the media and in the universities—of the voices and initiatives of Catholic leaders with strong personalities and generous dedication, who are coherent in their ethical and religious convictions. The ecclesial movements have plenty of room here to remind the laity of their responsibility and their mission to bring the light of the Gospel into public life, into culture, economics and politics.

… The family

The family, the “patrimony of humanity”, constitutes one of the most important treasures of Latin American countries. The family was and is the school of faith, the training-ground for human and civil values, the hearth in which human life is born and is generously and responsibly welcomed. Undoubtedly, it is currently suffering a degree of adversity caused by secularism and by ethical relativism, by movements of population internally and externally, by poverty, by social instability and by civil legislation opposed to marriage which, by supporting contraception and abortion, is threatening the future of peoples.

In some families in Latin America there still unfortunately persists a chauvinist mentality that ignores the “newness” of Christianity, in which the equal dignity and responsibility of women relative to men is acknowledged and affirmed.

The family is irreplaceable for the personal serenity it provides and for the upbringing of children. Mothers who wish to dedicate themselves fully to bringing up their children and to the service of their family must enjoy conditions that make this possible, and for this they have the right to count on the support of the State. In effect, the role of the mother is fundamental for the future of society.

The father, for his part, has the duty to be a true father, fulfilling his indispensable responsibility and cooperating in bringing up the children. The children, for their integral growth, have a right to be able to count on their father and mother, who take care of them and accompany them on their way towards the fullness of life. Consequently there has to be intense and vigorous pastoral care of families. Moreover, it is indispensable to promote authentic family policies corresponding to the rights of the family as an essential subject in society. The family constitutes part of the good of peoples and of the whole of humanity.

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 20 (1994), 16 May 2007, p. 16/17.

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DISCURSO AO SENHOR JUSTINO MARIA APARÍCIO GUTERRES, PRIMEIRO EMBAIXADOR DA REPÚBLICA DEMOCRÁTICA DE TIMOR-LESTE JUNTO DA SANTA SÉ POR OCASIÃO DA APRESENTAÇÃO DAS CARTAS CREDENCIAIS 

Como é sabido, o mundo assistiu, incrédulo e preocupado, à grave crise gerada pelo desespero de uns e pela impaciência de outros que transtornou o último biénio da vida nacional de Timor-Leste, fazendo reaparecer na alma colectiva os fantasmas do passado sob as formas de medo, suspeita e divisão. Que a recordação daqueles dias trágicos torne o governo e a oposição particularmente solícitos em empreender a via do diálogo e da colaboração, evitando a tentação de se abandonarem ao confronto com o adversário político, não só porque é moralmente inaceitável mas também porque esta atitude se revela sempre prejudicial para a consolidação de uma correcta dialéctica democrática e para o desenvolvimento integral de todos os cidadãos do País.

Tomando a palavra durante o conflito, os Bispos timorenses não se cansaram de indicar aos seus concidadãos a estrada-mestra para um futuro de paz e de prosperidade na rejeição da violência e do ressentimento e na oferta do perdão e da reconciliação com os demais. Por isso, no passado dia 8 de Abril – como Vossa Excelência amavelmente anotava – quis juntar a minha voz à deles para suplicar, primeiro a Cristo Ressuscitado mas depois também aos homens e mulheres de boa vontade, a força da reconciliação e o dom da paz entre a população de Timor-Leste. Seja-me permitido hoje dirigir um veemente apelo às pessoas investidas de autoridade pública para que façam tudo o que lhes for possível para restaurar uma ordem pública eficiente com meios legais e restituir aos cidadãos a segurança na vida quotidiana, graças também à reencontrada confiança nas instituições legítimas do Estado.

Vossa Excelência conhece certamente a atenção que a Santa Sé dedica à dignidade e promoção das pessoas e dos povos, assim como o seu desejo de que cada um possa ocupar o seu lugar e oferecer a própria colaboração na vida nacional e internacional. O desenvolvimento dos povos depende em grande parte duma autêntica integração numa ordem mundial solidária. À Igreja cabe não tanto propor programas operativos concretos, que são alheios à sua competência, como sobretudo iluminar melhor a consciência moral dos responsáveis políticos, económicos e financeiros. Para isso, ela põe em evidência o princípio da solidariedade como fundamento de uma verdadeira economia de comunhão e participação de bens, na ordem tanto internacional como nacional. Esta solidariedade exige que se compartilhem, de modo equitativo, os esforços por resolver os problemas do subdesenvolvimento e os sacrifícios necessários para superar as crises económicas e políticas, tendo em conta as necessidades das populações mais indefesas.

L’Osservatore Romano, N. 114 (44.557), 21-22 Maggio 2007, p. 5.

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DISCORSO AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA 

Il tema principale della vostra Assemblea si collega, a sua volta, strettamente con gli obiettivi del Convegno di Verona. State riflettendo infatti su “Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo: la Chiesa in missione, ad gentes e tra noi”. Abbracciate dunque, in una prospettiva di evangelizzazione articolata ma alla fine giustamente unitaria, perché si tratta sempre di annunciare e testimoniare il medesimo Gesù Cristo, sia i popoli che si stanno per la prima volta aprendo alla fede, sia i figli di quei popoli che ora vengono a vivere e a lavorare in Italia, sia anche la nostra gente, che a volte si è allontanata dalla fede ed è comunque sottoposta alla pressione di quelle tendenze secolarizzatrici che vorrebbero dominare la società e la cultura in questo Paese e in tutta l'Europa.  A tutti e a ciascuno devono rivolgersi la missione della Chiesa e la nostra sollecitudine di Pastori: mi pare doveroso ricordarlo particolarmente in questo cinquantesimo anniversario dell'Enciclica Fidei donum di Pio XII.

Mi rallegro che abbiate voluto mettere alla base dell'impegno missionario la fondamentale verità che Gesù Cristo è l'unico Salvatore del mondo: la certezza di questa verità ha fornito infatti, fin dall'inizio, l'impulso decisivo per la missione cristiana. Anche oggi, come ha riaffermato la Dichiarazione Dominus Iesus, dobbiamo avere piena coscienza che dal mistero di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, vivo e presente nella Chiesa, scaturiscono l'unicità e l'universalità salvifica della rivelazione cristiana e quindi il compito irrinunciabile di annunciare a tutti, senza stancarsi o rassegnarsi, lo stesso Gesù Cristo, che è la via, la verità e la vita (Gv l 4,16). Mi sembra che, se vediamo il panorama della situazione del mondo di oggi, si può capire — direi anche umanamente, quasi senza necessità di ricorrere alla fede — che il Dio che si è dato un volto umano, il Dio che si è incarnato, che ha il nome di Gesù Cristo e che ha sofferto per noi, questo Dio è necessario per tutti, è l'unica risposta a tutte le sfide di questo tempo.

La stima e il rispetto verso le altre religioni e culture, con i semi di verità e di bontà che vi sono presenti e che rappresentano una preparazione al Vangelo, sono particolarmente necessari oggi, in un mondo che cresce sempre più assieme. Non può però diminuire la consapevolezza dell'originalità, pienezza e unicità della rivelazione del vero Dio che in Cristo ci è stata definitivamente donata, e nemmeno può attenuarsi o indebolirsi la vocazione missionaria della Chiesa. Il clima culturale relativistico che ci circonda rende sempre più importante e urgente radicare e far maturare in tutto il corpo ecclesiale la certezza che Cristo, il Dio dal volto umano, è il nostro vero e unico Salvatore. Il libro “Gesù di Nazaret” — un libro personalissimo, non del Papa ma di quest'uomo — è scritto con questa intenzione: che possiamo di nuovo, con il cuore e con la ragione, vedere che Cristo è realmente Colui che il cuore umano attende.

In questo contesto, la recentissima manifestazione a favore della famiglia, svoltasi per iniziativa del laicato cattolico ma condivisa anche da molti non cattolici, è stata una grande e straordinaria festa di popolo, che ha confermato come la famiglia stessa sia profondamente radicata nel cuore e nella vita degli italiani. Questo evento ha certamente contribuito a rendere visibile a tutti quel significato e quel ruolo della famiglia nella società che ha particolarmente bisogno di essere compreso e riconosciuto oggi, di fronte a una cultura che si illude di favorire la felicità delle persone insistendo unilateralmente sulla libertà dei singoli individui. Pertanto ogni iniziativa dello Stato a favore della famiglia come tale non può che essere apprezzata e incoraggiata.

L’Osservatore Romano, N. 117 (44.560), 25 Maggio  2007, p. 6/7.

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DISCOURS À S.E. Mme DOMITILLE BARANCIRA, NOUVEL AMBASSADEUR DE LA RÉPUBLIQUE DU BURUNDI PRÈS LE SAINT-SIÈGE

Si tous les habitants du pays sont appelés à contribuer dans la mesure de leurs capacités à la reprise économique et sociale du Burundi, il est juste qu’ils puissent en partager les fruits. Pour permettre aux catégories sociales les plus vulnérables et les plus exposées à la violence, aux actes de banditisme, aux maladies – je pense en particulier aux enfants, aux femmes, aux réfugiés – , de profiter pleinement des fruits du développement, il est notamment nécessaire que les responsables de la vie publique accèdent à une prise de conscience toujours plus grande et plus authentique des valeurs morales. Ces valeurs universelles, comme le sens du bien commun, l'accueil fraternel de l'étranger, le respect de la dignité de toute vie humaine, la solidarité, auxquelles l’Église catholique accorde beaucoup d’importance, constituent un patrimoine précieux, qui doit devenir une source d'espérance en l'avenir et le socle qui permette d'établir la vie sociale sur des bases assurées.

L’Osservatore Romano, N. 124  (44.567), 2 giugno  2007, p. 9.

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DISCOURS À S.E. M. AHMED HAMID ELFAKI HAMID, NOUVEL AMBASSADEUR DE LA RÉPUBLIQUE DU SOUDAN PRÈS LE SAINT-SIÈGE 

Les inquiétudes que j’avais alors évoquées rejoignent, comme vous le soulignez, Monsieur l’Ambassadeur, la préoccupation des Autorités de votre pays et de la Communauté internationale, notamment devant la situation dramatique qui perdure depuis 2003 dans la région du Darfour, avec ses conséquences au niveau régional.

Dans ce conflit meurtrier touchant en priorité les populations civiles, chacun sait qu’aucune solution viable pour arriver à la paix fondée sur la justice ne peut être mise en œuvre par la force des armes, mais qu’elle passe au contraire par la culture du dialogue et de la négociation, en vue d’arriver à une solution politique du conflit, dans le respect des minorités culturelles, ethniques et religieuses. Il n’est jamais trop tard pour faire avec courage les choix nécessaires et parfois contraignants destinés à mettre un terme à une situation de crise, à condition que toutes les parties s’impliquent sincèrement et avec détermination à sa résolution et que les déclarations de principe soient accompagnées de mises en œuvre constructives, en particulier sur les dispositions humanitaires urgentes à promouvoir. J’en appelle donc à toutes les personnes qui ont une responsabilité en la matière, pour qu’elles poursuivent leurs efforts et prennent les décisions qui s’imposent. Les différents Accords que vous évoquez, ainsi que le récent Accord de réconciliation signé entre le Soudan et le Tchad, sous l’égide de l’Arabie Saoudite, impliquant les parties dans une coopération avec l’Union africaine et les Nations unies pour la stabilisation du Darfour et de la région tchadienne voisine, sont des appels positifs à abandonner les stratégies d’affrontement, afin de trouver des solutions viables et des points d’appui fiables. Ainsi, la paix et la stabilité désirées par tous pourront advenir – je pense en particulier au processus de paix en cours dans le sud du pays –, avec des effets bénéfiques sur le plan national, continental et aussi mondial.

La paix se présente enfin comme une tâche à accomplir et un service du peuple. Il revient notamment aux Autorités de l’État de veiller activement, au sein de la Nation, à l’expression de cette diversité, en ne ménageant pas leurs efforts afin de promouvoir des relations toujours plus fraternelles entre les membres de la communauté nationale, de bannir toute forme de discrimination ou de suprématie d’un groupe sur un autre, et de garantir le respect et les droits des minorités. Ainsi, la paix apparaîtra « non comme une simple absence de guerre, mais comme la convivialité des citoyens dans une société gouvernée par la justice, société dans laquelle se réalise aussi le bien pour chacun d’entre eux, autant que faire se peut » (Message pour la célébration de la Journée mondiale de la Paix 2006 n. 6).

Pour vivre de manière toujours plus apaisée cette mission spécifique au service du bien de la communauté nationale tout entière, il est fondamental que les personnes et les communautés aient publiquement la liberté de professer leur foi et de pratiquer leur religion. L’expérience montre que la faculté d’agir selon une conscience éclairée, la capacité donnée de rechercher avant toute chose la vérité dans la droiture et la possibilité de vivre de manière conforme à sa croyance, dans le respect des autres traditions religieuses, sont des éléments nécessaires à la consolidation de la paix et à l’établissement de la justice, conditions essentielles d’un développement durable et fécond et d’une existence paisible et digne pour les citoyens.

5. Vous sauer, Monsieur l’Ambassadeur, la mission spécifique des communautés catholiques et de leurs évêques, en communion avec le Successeur de Pierre, pour « asseoir la paix, l’entente des nations et pour affermir les valeurs spirituelles au sein des peuples ». Je souhaite, par votre intermédiaire, exprimer mon affection et ma proximité spirituelle à la Conférence épiscopale et à tous les catholiques du Soudan. À travers eux, je salue également l’action de tous les organismes catholiques, nationaux ou internationaux, qui œuvrent dans le pays au service du développement intégral de tous les habitants du pays sans distinction. Je connais leur courage et je partage les douleurs que de nombreuses années de conflits leur font endurer. Leur foi les invite à travailler jour après jour avec les hommes de bonne volonté contre toutes les formes d'intolérance et d'exclusion, qui peuvent avoir des conséquences dévastatrices pour l'unité de la société. Je ne doute pas que la possibilité d’être consultés et d’être associés de manière plus active à l’élaboration de solutions viables pour bâtir la paix leur permettrait de mieux assumer leur mission spécifique au sein du peuple soudanais ! Grâce au Christ, qui est leur espérance inébranlable dans les épreuves que connaît leur pays, ils seront, avec tous leurs compatriotes, des artisans de paix audacieux et généreux.

L’Osservatore Romano, N. 124 (44.567), 2 Giugno  2007, p. 8.

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ANGELUS DOMINI DOMENICA 3 GIUGNO 2007 

Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare l’Associazione Nazionale della Sanità Militare, il cui motto recita: “Arma pietati cedant - Le armi cedano alla pietà”: possa questo realizzarsi nel mondo intero! Il mio pensiero va, infine, alla Chiesa di Bologna che ricorda il 750° anniversario dell’atto con cui il Senato di quella Città sanciva l’abolizione della schiavitù nel territorio. Possa questa iniziativa suscitare un rinnovato impegno per il superamento delle nuove schiavitù che ancora affliggono l’umanità.

L’Osservatore Romano, N. 126 (44.569), 2 Giugno  2007, p. 4/5.

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DISCOURS AUX ÉVÊQUES DE LA CONFÉRENCE ÉPISCOPALE DE LA RÉGION DU NORD DE L’AFRIQUE EN VISITE "AD LIMINA APOSTOLORUM"  

Parmi les grandes questions auxquelles votre région est confrontée, l’émigration de personnes venant d’Afrique subsaharienne, tentant de passer la Méditerranée pour entrer en Europe à la recherche d’une vie meilleure, doit aussi susciter des collaborations, au service de la justice et de la paix. La situation de ces personnes, particulièrement préoccupante et parfois dramatique, ne peut pas ne pas interpeller les consciences. L’aide généreuse que vos Églises diocésaines leur apportent est une contribution à la reconnaissance de leur dignité et un témoignage rendu au Seigneur. Je souhaite vivement que les pays concernés par ces migrations cherchent des moyens efficaces pour permettre à tous d’avoir l’espérance de construire un avenir pour eux-mêmes et pour leurs familles, et que la dignité de chaque personne soit toujours respectée.

L’Osservatore Romano, N. 130 (44.573), 10 Giugno  2007, p. 4.

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DISCORSO IN OCCASIONE DELLA VISITA ALLA CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI 

Dalle mie labbra si leva oltremodo accorata l'invocazione di pace per la Terra Santa, l'Iraq, il Libano, tutti territori posti sotto la giurisdizione della Congregazione per le Chiese Orientali, come anche per le altre regioni coinvolte nel vortice di una violenza apparentemente inarrestabile. Possano le Chiese e i discepoli del Signore rimanere là dove li ha posti per nascita la divina Provvidenza; là dove meritano di rimanere per una presenza che risale agli inizi del cristianesimo. Nel corso dei secoli essi si sono distinti per un amore incontestabile e inscindibile alla propria fede, al proprio popolo e alla propria terra.

Oggi, il Papa ringrazia nuovamente gli orientali per la fedeltà pagata col sangue, di cui restano pagine mirabili lungo i secoli fino al martirologio contemporaneo! Li assicura, a sua volta, di volere rimanere al loro fianco. E riafferma la profonda considerazione verso le Chiese Orientali Cattoliche per il loro singolare ruolo di testimoni viventi delle origini (cfr Orientalium Ecclesiarum, 1). Senza un costante rapporto con la tradizione delle origini, infatti, non c’è futuro per la Chiesa di Cristo. Sono in particolare le Chiese Orientali a custodire l’eco del primo annuncio evangelico; le più antiche memorie dei segni compiuti dal Signore; i primi riflessi della luce pasquale e il riverbero del fuoco mai spento della Pentecoste. Il loro patrimonio spirituale, radicato nell’insegnamento degli Apostoli e dei Padri, ha generato venerabili tradizioni liturgiche, teologiche e disciplinari, mostrando la capacità del “pensiero di Cristo” di fecondare le culture e la storia.

E’ il Concilio Ecumenico Vaticano II a desiderare che le Chiese Orientali “fioriscano e assolvano con rinnovato vigore apostolico la missione loro affidata […] di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali, secondo il decreto sull’ecumenismo […], in primo luogo con la preghiera, l’esempio della vita, la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e degli animi” (Orientalium Ecclesiarum, 1). Favorite da una plurisecolare consuetudine di vita, esse dovranno farsi carico della sfida interreligiosa, in spirito di verità, rispetto e reciprocità, affinché culture e tradizioni diverse trovino vicendevole ospitalità nel nome dell’unico Dio (cfr At 2,9-11).

Uno sforzo intelligente è, infine, richiesto anche per affrontare il serio fenomeno delle migrazioni, che talora priva le comunità tanto provate delle migliori risorse. Occorre garantire ai migranti adeguata accoglienza nel nuovo contesto e l’indispensabile legame con la propria tradizione religiosa.

Con queste preoccupazioni la Congregazione si porrà accanto alle Chiese Orientali per promuoverne il cammino nel rispetto delle loro prerogative e responsabilità. In questo non facile compito sa di poter contare sempre sul Papa, sugli Organismi della Curia Romana secondo le rispettive funzioni, sulle Istituzioni ad essa legate: penso, soprattutto, al Pontificio Istituto Orientale, che pure ricorda il novantesimo di fondazione, e al quale va il mio ringraziamento per l’insostituibile e qualificato servizio ecclesiale.

L’Osservatore Romano, N. 130 (44.573), 10 Giugno  2007, p. 6.

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ANGELUS DOMINI DOMENICA 10 GIUGNO 2007 

Mi giungono purtroppo di frequente richieste di interessamento nei confronti di persone, tra le quali anche sacerdoti cattolici, tenute sotto sequestro per diversi motivi e in varie parti del mondo. Porto tutti nel cuore e tutti tengo presenti nella mia preghiera, pensando, tra gli altri casi, a quello doloroso della Colombia. Rivolgo il mio accorato appello agli autori di tali atti esecrabili, affinché prendano coscienza del male compiuto e restituiscano al più presto all'affetto dei loro cari quanti tengono prigionieri. Affido le vittime alla materna protezione di Maria Santissima, Madre di tutti gli uomini.

L’Osservatore Romano, N. 131 (44.574), 11-12 Giugno  2007.

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VISITA DI SUA BEATITUDINE CHRYSOSTOMOS II, ARCIVESCOVO DI NUOVA GIUSTINIANA E DI TUTTA CIPRO. DICHIARAZIONE COMUNE 

[…] Così pure, fra i diritti umani da tutelare, va annoverato come primario quello della libertà di religione. Non rispettarlo costituisce una gravissima offesa alla dignità dell'uomo, che viene colpito nell'intimo del cuore dove abita Dio. E così profanare, distruggere e saccheggiare i luoghi di culto di qualsiasi religione, rappresenta un atto contro l'umanità e la civiltà dei popoli.

L’Osservatore Romano, N. 136 (44.579), 17 Giugno  2007, p. 4.

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ANGELUS DOMINI DOMENICA 17 GIUGNO 2007 

Mi riferisco alla conversione del giovane Francesco, che dopo venticinque anni di vita mediocre e sognatrice, improntata alla ricerca di gioie e successi mondani, si aprì alla grazia, rientrò in se stesso e gradualmente riconobbe in Cristo l’ideale della sua vita. Il mio pellegrinaggio oggi in Assisi vuole richiamare alla memoria quell’evento per riviverne il significato e la portata.

Da questa Città della pace desidero inviare un saluto agli esponenti delle altre confessioni cristiane e delle altre religioni che nel 1986 accolsero l’invito del mio venerato Predecessore a vivere qui, nella patria di San Francesco, una Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace. Considero mio dovere lanciare da qui un pressante e accorato appello affinché cessino tutti i conflitti armati che insanguinano la terra, tacciano le armi e dovunque l’odio ceda all’amore, l’offesa al perdono e la discordia all’unione! Sentiamo spiritualmente qui presenti tutti coloro che piangono, soffrono e muoiono a causa della guerra e delle sue tragiche conseguenze, in qualunque parte del mondo. Il nostro pensiero va particolarmente alla Terra Santa, tanto amata da San Francesco, all’Iraq, al Libano, all’intero Medio Oriente. Le popolazioni di quei Paesi conoscono, ormai da troppo tempo, gli orrori dei combattimenti, del terrorismo, della cieca violenza, l’illusione che la forza possa risolvere i conflitti, il rifiuto di ascoltare le ragioni dell’altro e di rendergli giustizia. Solo un dialogo responsabile e sincero, sostenuto dal generoso sostegno della Comunità internazionale, potrà mettere fine a tanto dolore e ridare vita e dignità a persone, istituzioni e popoli.

Voglia San Francesco, uomo di pace, ottenerci dal Signore che si moltiplichino coloro che accettano di farsi "strumenti della sua pace", attraverso i mille piccoli atti della vita quotidiana; che quanti hanno ruoli di responsabilità siano animati da un amore appassionato per la pace e da una volontà indomita di raggiungerla, scegliendo mezzi adeguati per ottenerla.

L’Osservatore Romano, N. 137 (44.580), 18-19 Giugno  2007, p. 6.

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UDIENZA GENERALE MERCOLEDI 20 GIUGNO 2007 

Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite perché non venga meno nella pubblica opinione l’attenzione verso quanti sono stati costretti a fuggire dai loro Paesi a seguito di reali pericoli di vita.  Accogliere i rifugiati e dar loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e del disinteresse. Per i cristiani è, inoltre, un modo concreto di manifestare l’amore evangelico. Auspico di cuore che a questi nostri fratelli e sorelle duramente provati dalla sofferenza siano garantiti l’asilo e il riconoscimento dei loro diritti, e invito i responsabili delle Nazioni ad offrire protezione a quanti si trovano in così delicate situazioni di bisogno.

L’Osservatore Romano, N. 139 (44.582), 21 Giugno  2007.

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ADDRESS TO HIS HOLINESS MAR DINKHA IV CATHOLICOS PATRIARCH OF THE ASSYRIAN CHURCH OF THE EAST 

Today, tragically, Christians in this region are suffering both materially and spiritually. Particularly in Iraq, the homeland of so many of the Assyrian faithful, Christian families and communities are feeling increasing pressure from insecurity, aggression and a sense of abandonment. Many of them see no other possibility than to leave the country and to seek a new future abroad. These difficulties are a source of great concern to me, and I wish to express my solidarity with the pastors and the faithful of the Christian communities who remain there, often at the price of heroic sacrifices. In these troubled areas the faithful, both Catholic and Assyrian, are called to work together. I hope and pray that they will find ever more effective ways to support and assist one another for the good of all.

As a result of successive waves of emigration, many Christians from the Eastern Churches are now living in the West. This new situation presents a variety of challenges to their Christian identity and their life as a community. At the same time, when Christians from the East and West live side by side, they have a precious opportunity to enrich one another and to understand more fully the catholicity of the Church, which, as a pilgrim in this world, lives, prays and bears witness to Christ in a variety of cultural, social and human contexts. With complete respect for each other’s doctrinal and disciplinary traditions, Catholic and Assyrian Christians are called to reject antagonistic attitudes and polemical statements, to grow in understanding of the Christian faith which they share and to bear witness as brothers and sisters to Jesus Christ “the power of God and the wisdom of God” (1 Cor 1:24).

L’Osservatore Romano, N. 140 (44.583), 22 Giugno  2007, p. 4.

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LETTERA AI VESCOVI, AI PRESBITERI ALLE PERSONE CONSACRATE E AI FEDELI LAICI DELLA CHIESA CATTOLICA NELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE

19. Carissimi Pastori e fedeli tutti, il giorno 24 maggio, che è dedicato alla memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani — la quale è venerata con tanta devozione nel santuario mariano di Sheshan a Shanghai —, in futuro potrebbe divenire occasione per i cattolici di tutto il mondo di unirsi in preghiera con la Chiesa che è in Cina.

L’Osservatore Romano, N. 147 (44.590), 30 Giugno – 1 Luglio 2007, p. 9.

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ADDRESS TO THE PARTICIPANTS IN THE EIGHTEENTH GENERAL ASSEMBLY OF CARITAS INTERNATIONALIS 

This theological vision has practical implications for the work of charitable organizations, and today I should like to single out two of them.

The first is that every act of charity should be inspired by a personal experience of faith, leading to the discovery that God is Love. The Caritas worker is called to bear witness to that love before the world. Christian charity exceeds our natural capacity for love: it is a theological virtue, as Saint Paul teaches us in his famous hymn to charity (cf. 1 Cor 13). It therefore challenges the giver to situate humanitarian assistance in the context of a personal witness of faith, which then becomes a part of the gift offered to the poor. Only when charitable activity takes the form of Christ-like self-giving does it become a gesture truly worthy of the human person created in God’s image and likeness. Lived charity fosters growth in holiness, after the example of the many servants of the poor whom the Church has raised to the dignity of the altars.

The second implication follows closely from the first. God’s love is offered to everyone, hence the Church’s charity is also universal in scope, and so it has to include a commitment to social justice. Yet changing unjust structures is not of itself sufficient to guarantee the happiness of the human person. Moreover, as I affirmed recently to the Bishops gathered in Aparecida, Brazil, the task of politics “is not the immediate competence of the Church” (Address to the Fifth General Conference of the Bishops of Latin America and the Caribbean, 13 May 2007). Rather, her mission is to promote the integral development of the human person. For this reason, the great challenges facing the world at the present time, such as globalization, human rights abuses, unjust social structures, cannot be confronted and overcome unless attention is focused on the deepest needs of the human person: the promotion of human dignity, well-being and, in the final analysis, eternal salvation.

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 27 (2001), 4 July  2007, p. 8.

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CELEBRATION OF FIRST VESPERS OF THE SOLEMNITY OF THE HOLY APOSTLES PETER AND PAUL

And for this very reason I am pleased to announce officially that we shall be dedicating a special Jubilee Year to the Apostle Paul from 28 June 2008 to 29 June 2009, on the occasion of the bimillennium of his birth, which historians have placed between the years 7 and 10 A.D.

It will be possible to celebrate this "Pauline Year" in a privileged way in Rome where the sarcophagus which, by the unanimous opinion of experts and an undisputed tradition, preserves the remains of the Apostle Paul, has been preserved beneath the Papal Altar of this Basilica for 20 centuries.

It will thus be possible to have a series of liturgical, cultural and ecumenical events taking place at the Papal Basilica and at the adjacent Benedictine Abbey, as well as various pastoral and social initiatives, all inspired by Pauline spirituality.

In addition, special attention will be given to penitential pilgrimages that will be organized to the Apostle's tomb to find in it spiritual benefit. Study conventions and special publications on Pauline texts will also be promoted in order to make ever more widely known the immense wealth of the teaching they contain, a true patrimony of humanity redeemed by Christ.

Furthermore, in every part of the world, similar initiatives will be implemented in the dioceses, shrines and places of worship, by Religious and by the educational institutions and social-assistance centres which are named after St Paul or inspired by him and his teaching.

L’Osservatore Romano, (English Edition) N.  27 (2001), 4 July  2007, p. 2.

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ANGELUS DOMINI, 8 LUGLIO 2007

È il tempo delle vacanze e domani partirò per Lorenzago di Cadore, dove sarò ospite del Vescovo di Treviso nella casa che già accolse il venerato Giovanni Paolo II. L'aria di montagna mi farà bene e potrò - così spero - dedicarmi più liberamente alla riflessione e alla preghiera. Auguro a tutti, specialmente a chi ne sente maggiore bisogno, di poter fare un po' di vacanza, per ritemprare le energie fisiche e spirituali e recuperare un salutare contatto con la natura. La montagna, in particolare, evoca l'ascesa dello spirito verso l'alto, l'elevazione verso la "misura alta" della nostra umanità, che purtroppo la vita quotidiana tende ad abbassare. A questo proposito, voglio ricordare il quinto Pellegrinaggio dei giovani alla Croce dell'Adamello, dove il Santo Padre Giovanni Paolo II si recò due volte. Il pellegrinaggio si è svolto in questi giorni e poc'anzi è culminato nella Santa Messa celebrata a circa 3.000 metri di quota. Nel salutare l'Arcivescovo di Trento e il Segretario Generale della CEI, come pure le autorità Trentine, rinnovo l'appuntamento a tutti i giovani italiani per i giorni 1 e 2 settembre a Loreto.

L’Osservatore Romano, N. 154 (44.597), 9-10 Luglio  2007, p. 5.

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ANGELUS DOMINI, Sunday, 15 July 2007 

Every good Christian knows that vacations are an appropriate time for relaxation and also the nourishment of the spirit through more extended periods of prayer and meditation, in order to grow in one's personal relationship with Christ and to conform increasingly to his teachings.

Today, for example, the liturgy invites us to reflect on the famous Parable of the Good Samaritan (cf. Lk 10: 25-37), which introduces us into the heart of the Gospel message: love for God and love for neighbor. But the person speaking to Jesus asks: who is my neighbor? And the Lord answers by reversing the question and showing through the account of the Good Samaritan that each one of us must make himself close to every person he meets: "Go and do likewise" (Lk 10: 37).

Loving, Jesus says, means acting like the Good Samaritan. And we know that he himself is the Good Samaritan par excellence; although he was God, he did not hesitate to humble himself to the point of becoming a man and giving his life for us.

L’Osservatore Romano, (English Edition) N. 29 (2003), 18 July  2007.

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INCONTRO CON IL CLERO DELLE DIOCESI DI BELLUNO-FELTRE E TREVISO 

D. – Mi chiamo don Daniele. Santità, il Veneto è terra di forte immigrazione, con la presenza consistente di persone non cristiane. Tale situazione pone le nostre diocesi di fronte ad un nuovo compito di evangelizzazione al loro interno. Permane, però, una certa fatica, perché dobbiamo conciliare le esigenze dell’annuncio del Vangelo, con quelle di un dialogo rispettoso delle altre religioni. Quali indicazioni pastorali potrebbe offrire? Grazie.

R. – Naturalmente voi siete più vicini a questa situazione. E in questo senso forse non posso dare molti consigli pratici, ma posso dire che in tutte le visite ad Limina, sia dei vescovi asiatici, africani, latino-americani, sia da tutta l’Italia, sono sempre a confronto con queste situazioni. Non esiste più un mondo uniforme. Soprattutto nel nostro Occidente sono presenti tutti gli altri continenti, le altre religioni, gli altri modi di vivere la vita umana. Viviamo un incontro permanente, che forse ci assomiglia alla Chiesa antica, dove si viveva la stessa situazione. I cristiani erano una piccolissima minoranza, un grano di senape che cominciava a crescere, circondato da diversissime religioni e condizioni di vita. Quindi, dobbiamo reimparare quanto hanno vissuto i cristiani delle prime generazioni. San Pietro nella sua prima Lettera, al terzo capitolo, ha detto: “Dovete essere sempre pronti a dare ragione della speranza che è in voi”. Così lui ha formulato per l’uomo normale di quel tempo, per il cristiano normale, la necessità di combinare annuncio e dialogo. Non ha detto formalmente: “Annunciate ad ognuno il Vangelo”. Ha detto: “Dovete essere capaci, pronti a dare ragione della speranza che è in voi”. Mi sembra che questa sia la sintesi necessaria tra dialogo e annuncio. Il primo punto è che in noi stessi debba essere sempre presente la ragione della nostra speranza. Dobbiamo essere persone che vivono la fede e che pensano la fede, la conoscono interiormente. Così in noi stessi la fede diventa ragione, diventa ragionevole. La meditazione del Vangelo e qui l’annuncio, l’omelia, la catechesi, per rendere capaci le persone di pensare la fede, sono già elementi fondamentali in questo intreccio tra dialogo e annuncio. Noi stessi dobbiamo pensare la fede, vivere la fede e come sacerdoti trovare modi diversi per renderla presente, così che i nostri cattolici cristiani possano trovare la convinzione, la prontezza e la capacità di dare ragione della loro fede. Questo annuncio che trasmette la fede nella coscienza di oggi deve avere molteplici forme. Senza dubbio, omelia e catechesi sono due forme principali, ma poi ci sono tanti modi per incontrarsi - seminari della fede, movimenti laicali, ecc. - dove si parla della fede e si impara la fede. Tutto questo ci rende capaci, innanzitutto, di vivere realmente da prossimi dei non cristiani - in prevalenza qui sono cristiani ortodossi, protestanti e poi anche esponenti di altre religioni, i musulmani ed altri. Il primo aspetto è vivere con loro, riconoscendo con loro il prossimo, il nostro prossimo. Vivere, quindi, in prima linea l’amore del prossimo come espressione della nostra fede. Io penso che questa sia già una testimonianza fortissima e anche una forma di annuncio: vivere realmente con questi altri l’amore del prossimo, riconoscere in questi, in loro, il nostro prossimo, così che loro possano vedere: questo “amore del prossimo” è per me. Se succede questo, più facilmente potremo presentare la fonte di questo nostro comportamento, che cioè l’amore del prossimo è espressione della nostra fede. Così nel dialogo non si può subito passare ai grandi misteri della fede, benché i musulmani abbiano una certa conoscenza di Cristo, che nega la sua divinità, ma riconosce in Lui almeno un grande profeta. Hanno amore per la Madonna. Quindi, ci sono elementi comuni anche nella fede, che sono punti di partenza per il dialogo. Una cosa pratica e realizzabile, necessaria, è soprattutto cercare l’intesa fondamentale sui valori da vivere. Anche qui abbiamo un tesoro comune, perché vengono dalla religione abramitica, reinterpretata, rivissuta in modi che sono da studiare, ai quali dobbiamo infine rispondere. Ma la grande esperienza sostanziale, quella dei Dieci Comandamenti, è presente e questo mi sembra il punto da approfondire. Passare ai grandi misteri mi sembra un livello non facile, che non si realizza nei grandi incontri. Il seme deve forse entrare nel cuore, così che la risposta della fede in dialoghi più specifici possa maturare qua e là. Ma ciò che possiamo e dobbiamo fare è cercare il consenso sui valori fondamentali, espressi nei Dieci comandamenti, riassunti nell’amore del prossimo e nell’amore di Dio, e così interpretabili nei diversi settori della vita. Siamo almeno in un cammino comune verso il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio che è finalmente il Dio dal volto umano, il Dio presente in Gesù Cristo. Ma se quest’ultimo passo è da fare piuttosto in incontri intimi, personali o di piccoli gruppi, il cammino verso questo Dio, dal quale vengono questi valori che rendono possibile la vita comune, questo mi sembra sia fattibile anche in incontri più grandi. Quindi, mi sembra che qui si realizzi una forma di annuncio umile, paziente, che aspetta, ma che anche rende già concreto il nostro vivere secondo la coscienza illuminata da Dio. 

L’Osservatore Romano, N.  168 (44.611), 26 Luglio  2007, p. 4/5.

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ANGELUS DOMINI, 29 LUGLIO 2007

Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Rivolgo ancora una volta il mio pensiero a quei pellegrini il cui cammino è stato tragicamente interrotto sulla via del ritorno dal Santuario de La Salette. Nella preghiera imploro per tutti i defunti il dono dell’eterno riposo in Dio. Mi unisco al dolore dei loro cari. Ai feriti auguro una pronta guarigione. Prego Iddio perché protegga voi tutti sulle strade che conducono ai luoghi di vacanza.

L’Osservatore Romano, N. 172 (44.615), 30-31 Luglio  2007, p. 5.

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ANGELUS DOMINI, 12 AUGUST 2007

In the past few days serious floods have devastated various countries in Southeast Asia, claiming a heavy toll of victims and leaving millions homeless.

As I express my profound participation in the suffering of the afflicted populations, I urge Ecclesial Communities to pray for the victims and to support the initiatives of solidarity organized to alleviate the suffering of so many harshly tried people.

May these brothers and sisters of ours not lack the prompt and generous help of the International Community!

Do il benvenuto ai polacchi qui presenti. Per vostro tramite indirizzo il mio saluto e le espressioni della spirituale unione a quanti in questi giorni si recano a Jasna Gora e agli altri santuari mariani. La fatica del cammino unita all’ardente preghiera porti abbondanti frutti nella vita di ognuno dei pellegrini, delle loro famiglie e di tutta la società in Polonia. Dio vi benedica.

L’Osservatore Romano, N. 184 (44.627), 13-14 Agosto  2007, p. 5.

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ANGELUS DOMINI, 12 AUGUST 2007

I am happy to greet all the English-speaking pilgrims and visitors. May your stay at Castel Gandolfo and Rome renew your love for the universal Church.

I welcome the new seminarians of the Pontifical North American College, and pray that their formative years in Rome will help them to grow in wisdom and pastoral charity.

Among you I welcome the participants in the cycling pilgrimage from Canterbury Cathedral to Rome. You have cycled the traditional Via Francigena, following in the footsteps of so many men and women of faith on their way to the tombs of Peter and Paul. I pray that your visit will be a time of spiritual and ecumenical enrichment. May Christ keep you and your families in his love.

Saludo con afecto a los fieles de lengua española. En particular al grupo "Amigos del Santuario Mariano de la Vall de Núria". Pidamos por intercesión de la Virgen María, nuestra Madre, que llene nuestros corazones de amor a Cristo, único Salvador del hombre, para que podamos perseverar con alegría en una auténtica vida cristiana y dar un testimonio coherente de nuestra fe. ¡Feliz domingo!

L’Osservatore Romano, N. 194 (44.637), 27-28 Agosto  2007, p. 5.

 

 

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