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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 104, August 2007

 

 

MIGRANTI SPECIALI: MISSIONARI ITALIANI

Nuove problematiche legate alle migrazioni

 

S.E. Mons. Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale

per i Migranti e gli Itineranti

 

Missionari italiani

Nel giugno del 1887, il Vescovo Giovanni Battista Scalabrini scrisse: “La Santa Chiesa di Gesù Cristo, che ha spinto gli operai evangelici fra le genti più barbare e nelle contrade più inospiti, no, non ha dimenticato e non dimenticherà mai la missione che le venne da Dio affidata di evangelizzare i figli della miseria e del lavoro. Essa con trepido cuore guarderà sempre a tante anime poverelle, che, in un forzato isolamento, vanno smarrendo la fede dei loro padri, e colla fede ogni sentimento di cristiana e civile educazione. Dov’è il popolo, ivi è la Chiesa, perché la Chiesa è la madre, l’amica, la protettrice del popolo”[1]. Pochi mesi dopo quel Vescovo fondò la Congregazione dei Missionari per gli italiani emigranti, che continuano “l’opera di Cristo al soccorso dell’afflitta umanità”[2].

Emigrazione alla fine del XIX secolo

Un censimento generale, realizzato nel 1861, attestava l'esistenza di presenze italiane, già abbastanza numerose, non soltanto nei Paesi europei e del bacino mediterraneo ma anche nelle due Americhe. Ecco alcune cifre: Francia, 77.000; Germania 14.000; Svizzera 14.000; Alessandria d'Egitto 12.000; Tunisi 6.000; Stati Uniti 500.000; resto delle Americhe 500.000.[3]

Allora la decisione di emigrare era frutto raramente di libera scelta. Tutti erano coscienti dell’alto prezzo che l’emigrazione richiedeva, ma spesso si trattava dell'unica possibilità per migliorare le proprie condizioni di vita, molto povere o al limite della misura. Un’analisi delle motivazioni per lasciare l’Italia riferite dagli emigrati dimostrava che i fattori che li spingevano si potevano così sintetizzare: mancanza di lavoro, desiderio di ottenere una migliore situazione socio-economica e intento di offrire un futuro migliore ai propri figli. Per questo motivo si affrontarono i problemi dell’emigrazione con coraggio. Le principali difficoltà erano – detto in breve – la diversità della lingua, l’integrazione sociale e la stessa ricerca di lavoro.

Certo, la solida rete sociale, di italiani tra italiani, aiutava, sì, a sconfiggere la nostalgia di casa, ma non facilitava l’apprendimento della lingua locale, causava anzi, spesso, una chiusura verso il Paese ospitante e così frequentemente l'emigrato doveva fare una scelta tra conservare i costumi del proprio Paese, oppure abituarsi ai nuovi usi e abitudini, sacrificando la propria identità culturale sull’altare dell’integrazione, allora intesa in genere come assimilazione. In questo contesto andavano affievolendosi anche la fede e le sue manifestazioni. 

Nuova situazione

E’ mutata da allora la realtà migratoria? Sono cambiate le sfide connesse alle migrazioni? Intanto, si può subito dire che l’Italia, e con essa altri Paesi, ha perso la caratteristica di terra di emigrazione. Molti emigrati sono rimasti all’estero con i loro figli e i figli dei loro figli, cittadini del Paese d’accoglienza, e oggi chi lascia l’Italia, poi, non lo fa più per sopravvivere, ma per migliori opportunità o per scelta. La nostra Nazione è invece diventata terra di immigrazione, meta di cittadini provenienti dal cosiddetto, in passato, “secondo mondo” o “terzo”, molti dei quali si trovano nelle stesse condizioni in cui versavano gli italiani emigrati alla fine del XIX secolo, se non peggiori.

Missionari italiani, un tempo, accompagnavano i nostri emigrati per essere il loro punto di riferimento in una terra sconosciuta, dove si sentivano veramente stranieri e sperduti. Orbene essi hanno certamente ancora un ruolo significativo da svolgere nelle comunità italiane di seconda e terza generazioni nel mondo, tuttavia, con grande realismo, si può dire che la situazione migratoria odierna li chiama piuttosto a consolare il pianto dei nuovi migranti, presenti nelle terre che erano in passato meta di quelli italiani, o persino nello stesso nostro Paese. Non è più necessario, cioè, che i missionari italiani varchino la soglia della patria, poiché non occorre quasi più partire per trovare la missione. Essa viene a noi, sta qui nei nostri paesi e nelle nostre città, con gli immigrati.

Ad ogni modo, dovunque i missionari si trovino è necessario conoscere le nuove problematiche legate al fenomeno migratorio, per poter offrirne adeguate risposte. Ed è bene che anche voi le conosciate.  

Parliamo dunque delle    

Nuove migrazioni

Con l’avvento del III millennio sono apparse infatti nuove caratteristiche del fenomeno migratorio, considerato uno dei “segni dei tempi oggi riconoscibili” (GMMR 2006, cf. anche EMCC 14), per noi da interpretarsi alla luce della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa. Tale fenomeno costituisce esso stesso “una sfida da scoprire e da valorizzare nella costruzione di una umanità rinnovata e nell’annuncio del Vangelo della pace” (EMCC 14).

 Nel corso del secolo da poco concluso, le migrazioni hanno in effetti assunto “una configurazione, per così dire, strutturale, diventando una caratteristica importante del mercato del lavoro a livello mondiale” (GMMR 2006). Ciò è “conseguenza, tra l’altro, della … globalizzazione” (GMMR 2006), la quale “ha aperto i mercati ma non le frontiere, ha abbattuto i confini per la libera circolazione dell’informazione e dei capitali, ma non nella stessa misura quelli per la libera circolazione delle persone” (EMCC 4). La globalizzazione è dunque un fenomeno carico di contraddizioni che hanno senz’altro il loro riverbero su quello migratorio.

Oggi, non tutte le persone che emigrano sono costrette a farlo, da qui distinzioni importanti da considerare. Infatti, molte volte, si lascia la propria patria non  tanto perché tra essa e quella di destino ci sia un divario economico, ma piuttosto perché nella terra di nascita il futuro emigrante e la sua famiglia non possono più vivere sotto le norme locali di sicurezza, dignità e benessere in vigore.[4] Chiaramente ci sono vari gradi nel “tollerabile” della situazione nel proprio Paese, per cui in realtà la migrazione volontaria e quella forzata sono due poli di un unico continuum, pur dovendosi fare delle distinzioni – come accennato – fra migrante e rifugiato. La migrazione, per esempio, dei diplomatici e dei lavoratori altamente qualificati, desiderati nel Paese di destino, è certamente volontaria, mentre quella dei lavoratori stagionali o di coloro che non trovano un impiego adeguato nel proprio Paese, benché decisa di propria volontà, è in qualche modo spinta da vari fattori. Catastrofi ecologiche, violenze, guerre, terrorismo e violazioni dei diritti umani rendono invece chiaramente forzate le migrazioni. Ne derivano

Nuove problematiche

Certamente, non pretendo esaurire qui l’elenco delle problematiche legate al fenomeno migratorio. Mi limito a quelle più evidenti e che si incontrano più di frequente. E comincio col

Primo aspetto: il diritto di rimanere nella propria patria

Qualunque sia il grado di libertà con cui si decide di emigrare, il fatto stesso che si lascia la terra natía, con proprie abitudini, usanze, mentalità, lingue, senza dimenticare cibo e bevande, porta con sé, in qualche modo, uno sradicamento che implica sofferenza. E quando esso è frutto di ingiustizia, il dolore è ancora più acuto. Orbene, a questo riguardo, la stessa Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nella Risoluzione 59/241 del dicembre 2004, invitava “i Governi, con l’assistenza della comunità internazionale, … a cercare di rendere l’opzione di rimanere nella propria patria fattibile per tutti, particolarmente attraverso sforzi per realizzare uno sviluppo sostenibile, che porti ad un migliore equilibrio economico tra Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo”. E’ questa una sfida, dunque, per i Governi e la società civile, e lo è anche per la Chiesa, che ha sempre sostenuto il diritto a non emigrare (cf. PT 25 e EMCC 29).

Tale diritto – affermava Giovanni Paolo II (GMMR 2004, 3) – vuol dire quello “a vivere … in pace e dignità nella propria Patria. Grazie a un’oculata amministrazione locale e nazionale, a un più equo commercio e a una solidale cooperazione internazionale, ogni Paese deve essere posto in grado di assicurare ai propri abitanti, oltre alla libertà di espressione e di movimento, la possibilità di soddisfare necessità fondamentali quali il cibo, la salute, il lavoro, l’alloggio, l’educazione, la cui frustrazione pone molta gente nella condizione di dover emigrare per forza”.

E’ dunque responsabilità dei Paesi d’origine dei migranti di operare affinché l’emigrazione non sia necessaria, ma lo è anche della comunità internazionale, di coloro a cui sta a cuore il bene comune universale, e fra di essi v’è la Chiesa stessa, interpellata ad approfondire la sua opzione preferenziale – non esclusiva – per i poveri per lottare contro la povertà, specialmente nei Paesi di origine dei migranti (cf. Compendio 449). 

Secondo aspetto: il diritto ad emigrare

In alcune circostanze, purtroppo, risulta praticamente necessario lasciare il proprio Paese, cosa che, oggi, sta diventando sempre più frequente. Occorre dunque ricordare che ogni persona ha comunque il diritto ad emigrare (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 13), sulla base – ricorda il Beato Giovanni XXIII  – della destinazione universale dei beni di questo mondo (cfr MM 30 e 33 e PT 25,106). Giovanni Paolo II riprende il concetto nel suo Messaggio per la Giornata del Migrante e del Rifugiato del 2001: “[Il bene comune universale] abbraccia l'intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo nazionalista. E' in questo contesto che va considerato il diritto ad emigrare. La Chiesa lo riconosce ad ogni uomo nel duplice aspetto di possibilità di uscire dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro alla ricerca di migliori condizioni di vita” (n. 3).

Terzo aspetto: Il diritto degli Stati a proteggere le proprie frontiere

“Certo, l'esercizio … [del diritto dei migranti] va regolamentato, – continua Giovanni Paolo II – perché una sua applicazione indiscriminata arrecherebbe danno e pregiudizio al bene comune delle comunità che accolgono il migrante. Di fronte all'intrecciarsi di molti interessi accanto alle leggi dei singoli Paesi, occorrono norme internazionali capaci di regolare i diritti di ciascuno, sì da impedire decisioni unilaterali a danno dei più deboli” (GMMR 2001, 3).

La Chiesa riconosce, dunque, il diritto dei Governi a sorvegliare le loro frontiere e a regolare i flussi migratori (v. il recente Angelus di Benedetto XVI, del 14 gennaio 2007, per la GMMR di quest’anno), per salvaguardare la sicurezza della Nazione, mantenendo però il pieno rispetto della dignità delle persone e sovvenendo i bisogni delle loro famiglie. Come chiaramente asserisce nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2001, Giovanni Paolo II ritiene che “gli immigrati vanno sempre trattati con il rispetto dovuto alla dignità di ciascuna persona umana. A questo principio deve piegarsi la pur doverosa valutazione del bene comune, quando si tratta di disciplinare i flussi immigratori. Si tratterà allora di coniugare l'accoglienza che si deve a tutti gli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti” (n. 13). Occorre perciò – come avete sentito – tenere conto anche delle esigenze delle società che accolgono i migranti.

Al riguardo, ci sono già Accordi internazionali, comunque sempre perfezionabili, a tutela di coloro che emigrano, come anche di quanti cercano, in un altro Paese, rifugio o asilo politico. In quest’ultimo caso, poi, la legislazione internazionale è più antica ed esigente.

Quarto aspetto: Migrazioni irregolari

L’inasprimento delle leggi che regolano l’ingresso e la permanenza nei Paesi di destino, inclusa la limitazione dell’accesso, da parte dei migranti, ai servizi sociali in tali Paesi, non hanno frenato – è evidente – le migrazioni internazionali. Hanno piuttosto incoraggiato – dobbiamo dirlo – la migrazione irregolare. Si entra, per esempio, in un Paese con un visto regolare, spesso turistico, e poi si rimane senza documenti adeguati allo scadere del permesso iniziale. Oppure ci si rivolge a chi pratica il contrabbando o il traffico di esseri umani, ricevendo documenti falsi, o impegno a essere condotti all’interno del Paese-meta, attraverso magari valichi incontrollati, in cambio di onerose somme di denaro. Si dà vita così a vere e proprie “industrie” per l’ingresso clandestino. Il fine però, spesso, non è raggiunto e molti perdono la vita attraversando fiumi o deserti, o in alto mare o in cielo.

Entrati nel Paese prescelto, gli immigrati in situazione irregolare spesso scoprono di non essere arrivati nel paradiso terrestre; anzi, forse, per loro, è iniziato proprio l’inferno. Anziché trovare lavoro onesto e ben pagato, assicurato dal ”trafficante”, possono cadere vittime di sfruttamento della prostituzione, o impiegati in lavori “forzati”, o in servizi di quasi schiavitù, o persino costatare asportati i propri organi. Sono gli intrappolati nel traffico degli esseri umani!

Notiamo qui, in aggiunta, che i migranti senza documenti adeguati sono più vulnerabili degli altri. Conservano, sì, in linea di principio, la loro dignità e i diritti umani, ma non godono della tutela della legge nazionale. E’ perciò facile abusare di loro e trarre profitto economico sfruttandoli. Proteggere concretamente i diritti dei migranti in situazione irregolare sarebbe dunque un passo importante da compiere per porre fine ad abusi e sfruttamento. Per questo motivo la Santa Sede continua ad incoraggiare la ratifica della Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, perché, in materia di protezione dei diritti umani fondamentali, tale Convenzione non fa distinzione tra migranti in condizioni regolari o irregolari. Oltretutto, essa offre l’appoggio a un compendio di diritti che permettono ai migranti di apportare più facilmente il loro contributo all’economia del Paese che li ospita (cf. EMCC 6). Ad ogni modo, per concludere questo punto, la situazione precaria di molti stranieri dovrebbe sollecitare solidarietà. Vi è invece in molti preconcetto, intolleranza e xenofobia, se non razzismo (cf. ibid.).

Quinto aspetto: Migrazione al femminile e minorile

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato dello scorso anno, Benedetto XVI evidenzia la “femminizzazione” dell’odierno fenomeno migratorio, cioè la “crescente presenza in esso della componente femminile”. In passato erano soprattutto gli uomini ad emigrare, e le donne si muovevano, allora, soprattutto per accompagnare i rispettivi mariti o padri o per raggiungerli là dove essi già si trovavano. Oggi, invece, l'emigrazione femminile tende a farsi sempre più autonoma. Spesso  la donna lascia la terra natía, da sola, alla ricerca di un'occupazione nel Paese di destinazione. Ciò nasce dal fatto che spesso l’impiego disponibile all’estero è nei settori tradizionalmente considerati più adatti alle donne, come l’insegnamento, il lavoro ospedaliero, domestico o di sartoria, l’assistenza agli anziani e ai disabili, i servizi connessi con l’ospitalità alberghiera. Di fatto sono settori che offrono anche bassi salari. Ciònonostante, non di rado, la donna migrante diventa la fonte principale di reddito per la propria famiglia.

Va notato altresì che, in molte parti del mondo, i diritti delle donne non sono riconosciuti.  E’ necessario quindi impegnarsi per un loro giusto trattamento, per il rispetto del loro essere donna, per il riconoscimento dell’uguaglianza dei loro diritti. Se dunque i lavoratori migranti sono particolarmente vulnerabili, fra essi le donne lo sono doppiamente, perché migranti e donne.

In questo contesto è doveroso menzionare il traffico di donne e minori soprattutto destinati all'“industria del sesso”. Nel summenzionato Messaggio, Papa Benedetto XVI riecheggia la condanna già espressa da Giovanni Paolo II contro “la diffusa cultura edonistica e mercantile che promuove il sistematico sfruttamento della sessualità” (Lettera alle Donne, 29 giugno 1995, n. 5). I cristiani si trovano davanti alla sfida di redenzione e di liberazione di queste donne e minori, a cui non possono sottrarsi.[5]

Sesto aspetto: Migrazione delle famiglie

Il diritto ad emigrare comprende pure quello di farlo come famiglia (FC 46) e di rimanere con la propria famiglia (cf. GS 66), mentre le condizioni in cui essa è spesso invece costretta a vivere non raramente portano ad una crisi familiare. Come afferma l’Esortazione apostolica Familiaris Consortio (n. 77), le famiglie dei migranti per motivi di lavoro e quelle sradicate dal loro ambiente culturale e sociale, o in rischio di perderlo, sono in situazioni oggettivamente difficili.

Con frequenza, comunque, non è subito possibile emigrare con tutta la famiglia. In questi casi, le migrazioni, volontarie o forzate, portano alla separazione delle coppie e dai figli, a volte per periodi molto lunghi, e ciò ha normalmente un effetto negativo sulla stabilità familiare e sull’educazione dei figli. La solitudine che il o la migrante sperimenta non raramente porta così all’infedeltà matrimoniale, con le sue conseguenze. Se poi la separazione è prolungata, può anche risultare un’adozione di ruoli inconsueti da parte di chi rimane in patria con i figli. La moglie, cioè, può sentirsi costretta a prendere tutte le decisioni da sola, insieme alla responsabilità di portare avanti la casa e il resto della famiglia. Deve insomma fare da madre e anche da padre. Di conseguenza, essa potrebbe provare risentimento per il marito che potrebbe vedere come causa della sua vita faticosa. La situazione può rivelarsi ancora peggiore se a partire è la donna, dato che generalmente è la moglie e madre che cura la casa e istruisce i figli. Quando, poi, il genitore assente torna a casa, deve reintegrarsi nella famiglia e ciò richiede un non facile riadattamento da parte di tutti.

Ma se chi emigra riesce a farsi raggiungere dalla propria famiglia, non necessariamente finiscono così tutti  i problemi. La sua stabilità è ugualmente in pericolo, sia magari per il lavoro precario dell’immigrato, o per la difficoltà di ottenere permessi di soggiorno, oppure per la discriminazione esistente verso le famiglie immigrate. V’è poi da pagare il prezzo della diversità culturale, di una lingua spesso diversa, a volte con problemi inter-generazionali frequentemente legati alle differenze di costumi e tradizioni, e conseguenti traumi psicologici e insicurezze. In tali circostanze, l’armonia della famiglia o si rafforza o l’unità si disintegra.

Mi si permetta di dire che le comunità cristiane nei Paesi di arrivo sono chiamate ad essere solidali con le famiglie immigrate e a condividerne i pesi. Diversi Documenti pontifici fanno infatti ad esse appello affinché accolgano gli immigrati e le loro famiglie. Anzi la Chiesa deve essere la famiglia di tutti loro, soprattutto per chi è in difficoltà e vive da solo.

Settimo aspetto: Accoglienza e solidarietà

A me, Vescovo, permetterete di ricordare che già nell’Antico Testamento Yahweh comandava di riservare un buon trattamento agli stranieri. Così infatti decreta, nel libro dell’Alleanza: “Non molesterai né opprimerai il forestiero, poiché anche voi siete stati forestieri in Egitto” (Es 22, 20). Orbene la Chiesa, che “ha sempre contemplato nei migranti l’immagine di Cristo” (EMCC 12), considera la loro vicenda “una provocazione alla fede e all’amore dei credenti, sollecitati così a sanare i mali derivanti dalle migrazioni e a scoprire il disegno che Dio attua in esse, anche qualora fossero causate da evidenti ingiustizie” (EMCC 12). A chi volesse approfondire, segnalo che nella EMCC (che potete trovare in internet[6]), i numeri 13 e 14 sono dedicati appunto all’accoglienza nell’Antico Testamento.

 Le migrazioni costituiscono dunque un fenomeno che tocca anche la dimensione religiosa dell'uomo, per cui è importante sensibilizzare le comunità cristiane affinché “non ritengano esaurito il loro dovere verso i migranti compiendo semplicemente gesti di aiuto fraterno o anche sostenendo leggi settoriali che promuovano un loro dignitoso inserimento in una società, che rispetti l'identità legittima dello straniero. I cristiani devono, cioè, essere promotori di una vera e propria cultura dell'accoglienza, che sappia apprezzare i valori autenticamente umani degli altri, al di sopra di tutte le difficoltà che comporta la convivenza con chi è diverso da noi” (EMCC 39). Noto, a questo proposito, che il primo a parlare di cultura dell’accoglienza fu Papa Giovanni Paolo II.  

Un’accoglienza veramente fraterna risponde all'invito di S. Paolo: “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio (Rm 15,7)” (cf. EMCC 40). Ricordo a questo proposito che nel cap. 15 della Lettera ai Romani, il dovere dell'accoglienza ci viene presentato nei suoi tratti più salienti, che qui ricordo aggettivandola. Sia dunque "cristiana" e profonda, che parte dal cuore ("Dio ... vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo": v. 5); sia generosa e gratuita, non interessata e possessiva ("Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso ... si è fatto servitore": v. 3 e 8); sia benefica e edificante ("Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo": v. 2) e attenta ai più deboli ("Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l'infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi": v. 1).

 Si dovrà dunque trovare il modo adeguato di creare nella coscienza cristiana il senso dell'accoglienza, specialmente dei più poveri ed emarginati, come spesso sono i migranti. Per questo è necessario che l'intera Chiesa del Paese di accoglienza si senta interessata e mobilitata nei loro confronti. Occorre perciò “far conoscere agli autoctoni i complessi problemi delle migrazioni e contrastare sospetti infondati e pregiudizi offensivi verso gli stranieri” (EMCC 41), perché “il semplice appello, per quanto altamente ispirato e accorato, non dà una automatica, concreta risposta a quanto ci assilla giorno per giorno” (EMCC 40). La gente, per esempio, continua ad aver paura o a sentirsi insicura. Temono che siano messi in pericolo il doveroso rispetto della legalità e la salvaguardia della comunità che accoglie. “Ma lo spirito autenticamente cristiano darà stile e coraggio nell'affrontare questi problemi e suggerirà i modi concreti con cui, nella vita quotidiana delle nostre comunità cristiane, siamo chiamati a risolverli” (EMCC 40).

Comunque bisogna raggiungere “una sempre più stretta collaborazione tra Paesi generatori e ricettori [di migrazione] … al fine di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate, e al tempo stesso quelli delle società di arrivo” (EMCC 8), con riflesso anche ecclesiale poiché occorrerà che “tra le Chiese di partenza e quelle di arrivo delle correnti migratorie si instauri una intensa collaborazione” (EMCC 70).

Ottavo aspetto: La migrazione produce una “macedonia” di tradizioni, culture e religioni

Scelgo l’immagine della macedonia e non della marmellata, a ragione, per indicare che le componenti mantengono le loro caratteristiche. A questo proposito le migrazioni certamente “favoriscono … la conoscenza reciproca e sono occasione di dialogo e comunione, se non di integrazione a vari livelli” (EMCC 2). Strumentale, nel passaggio da società monoculturali a società multiculturali e interculturali, la migrazione può anche essere letta come “segno di viva presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, poiché offre un'opportunità provvidenziale per realizzare il piano di Dio di una comunione universale” (EMCC 9). Le sofferenze che accompagnano le migrazioni possono essere considerate “espressione del travaglio del parto di una nuova umanità” (EMCC 12), “ di un popolo oltre le discriminazioni e le frontiere” (EMCC 13), in cui “non vi è più né schiavo né straniero (cfr. Gal 3,28)” (EMCC 18).

Storicamente, affermò Giovanni Paolo II, “i processi migratori sono avvenuti nei modi più diversi e con esiti disparati. Sono molte le civiltà che si sono sviluppate e arricchite proprio per gli apporti dati dall'immigrazione. In altri casi, le diversità culturali di autoctoni e immigrati non si sono integrate, ma hanno mostrato la capacità di convivere, attraverso una prassi di rispetto reciproco delle persone e di accettazione o tolleranza dei differenti costumi. Purtroppo persistono anche situazioni in cui le difficoltà dell'incontro tra le diverse culture non si sono mai risolte e le tensioni sono diventate cause di periodici conflitti” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2001, n.12). Antidoto a tali tensioni è il dialogo che porta al riconoscimento dei valori comuni e a un atteggiamento di rispetto per le differenze (cf. EMCC 34-36; 56-59; 69).

Qui parliamo del dialogo tra le culture, strumento privilegiato per costruire una civiltà della convivenza, per noi dell'amore, che “poggia sulla consapevolezza che vi sono valori comuni ad ogni cultura, perché radicati nella natura della persona. In tali valori l'umanità esprime i suoi tratti più veri e qualificanti. Lasciandosi alle spalle riserve ideologiche ed egoismi di parte, occorre coltivare negli animi la consapevolezza di questi valori, per alimentare quell'humus culturale di natura universale che rende possibile lo sviluppo fecondo di un dialogo costruttivo. Anche le differenti religioni possono e devono portare un contributo decisivo in questo senso. L'esperienza da me tante volte compiuta nell'incontro con rappresentanti di altre religioni …  mi conferma nella fiducia che dalla reciproca apertura degli aderenti alle diverse religioni grandi benefici possono derivare alla causa della pace e del bene comune dell'umanità”. Così Giovanni Paolo II nel suo Messaggio per la Pace 2001 (n. 16), che – sentite – parla anche del dialogo interreligioso. 

Ma la Chiesa cattolica pensa anche ai suoi figli. Così, nella sua esperienza, il primo passo verso l’“integrazione” dei migranti cattolici nella Chiesa locale è assicurarsi che essi si sentano, diciamo così, “in patria” (GMMR 1982, n. 2.c), come a casa. Ciò vuol dire che devono essere se stessi, esprimendosi nella propria lingua, con il loro modo di pensare, le proprie tradizioni, la loro cultura e le proprie manifestazioni religiose (cf. GMMR 82). E’ la strada verso l’integrazione ecclesiale “che arricchisce la Chiesa di Dio e che è frutto del realismo dinamico dell’incarnazione del Figlio di Dio” (GMMR 86, n. 2). Se l’integrazione non è accelerata o ritardata, i migranti possono dare il loro contributo alla stessa cattolicità della Chiesa, che implica “una completa apertura agli altri, una prontezza a condividere e a vivere la medesima comunione ecclesiale”  (GMMR 86, n. 2). Con queste considerazioni stiamo entrando già nel

Nono aspetto: Pastorale dei migranti cattolici e oltre la Chiesa cattolica

Una autentica cultura di accoglienza non fa distinzioni di nazionalità, colore o credenza. E’ “tutta fondata sull'amore a Cristo, certi che il bene fatto al prossimo, particolarmente al più bisognoso, per amore di Dio, è fatto a Lui stesso” (EMCC 41).

La Chiesa dunque svolge un apostolato a favore dei migranti cattolici per sostenerli nella vita di fede in qualunque situazione si trovino, attraverso “una pastorale specifica, dettata dalla diversità di lingua, origine, cultura, etnia e tradizione, o da appartenenza ad una determinata Chiesa sui iuris, con proprio rito, che si frappongono spesso a un pieno e rapido inserimento dei migranti nelle parrocchie territoriali locali” (EMCC 49). Ciò significa impegnarsi affinché anche i cattolici appartenenti alle diverse Chiese orientali possano avere la possibilità di osservare il proprio rito dovunque essi siano, benché possano partecipare attivamente alle celebrazioni liturgiche delle Chiese cattoliche di altri riti (cf. EMCC 52-55).

I migranti cattolici e i loro cappellani nei Paesi in cui i cristiani sono una minoranza possono, d’altra parte, essere veri missionari, soprattutto attraverso la testimonianza di vita (cf. EMCC 51 e gli Atti della Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, 2006[7]). Ne parla Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (n. 21): “[La Buona Novella] deve essere anzitutto proclamata mediante la testimonianza. Ecco: un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità d'uomini nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione e di accoglimento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto ciò che è nobile e buono. Ecco: essi irradiano, inoltre, in maniera molto semplice e spontanea, la fede in alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede, e che non si oserebbe immaginare. Allora con tale testimonianza senza parole, questi cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere, domande irresistibili: perché sono così? Perché vivono in tal modo? Che cosa o chi li ispira? Perché sono in mezzo a noi? Ebbene, una tale testimonianza è già una proclamazione silenziosa, ma molto forte ed efficace della Buona Novella. Vi è qui un gesto iniziale di evangelizzazione”.

Tale testimonianza presto o tardi colpirà “molti non cristiani, siano essi persone a cui il Cristo non era mai stato annunziato, battezzati non praticanti, individui che vivono nella cristianità ma secondo principi per nulla cristiani, oppure persone che cercano, non senza sofferenza, qualche cosa o Qualcuno che essi presagiscono senza poterlo nominare” (EN 21). “A questa testimonianza – Paolo VI continuava – tutti i cristiani sono chiamati e possono essere, sotto questo aspetto, dei veri evangelizzatori. Pensiamo soprattutto alla responsabilità che spetta agli emigranti nei Paesi che li ricevono” (ibid.).

Facciamo un altro passo, e ricordiamo il dialogo ecumenico con i migranti di altre Chiese o Comunità ecclesiali. Soprattutto si tratta dell’“ecumenismo della vita quotidiana” che rafforza i legami di carità e di unità specialmente tra la gente comune, “lontani da facili irenismi e dal proselitismo” (EMCC 56).

Per gli immigrati di altre religioni – come accennavamo – “la Chiesa si impegna nella promozione umana e nella testimonianza della carità, che ha già di per sé un valore evangelizzatore” (EMCC 59). Essa si sente chiamata “a entrare in dialogo con essi, dialogo che deve essere condotto e attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza” (EMCC 59). E’ dunque un dialogo basato sulla nostra identità cattolica, suscitando il rispetto reciproco e la scoperta dei valori umani e anche religiosi degli altri.

Dunque, dialogo ed evangelizzazione non sono opposti[8], e in ogni caso l"inculturazione"  del Vangelo è indispensabile “perché non si può evangelizzare senza entrare in profondo dialogo con le culture” (EMCC 36).  

Conclusione

Come abbiamo visto, le sfide poste dalle problematiche legate al fenomeno migratorio, oggi, sono molte e le risposte che esse esigono sono anche di carattere pastorale. Forse la domanda che riassume brevemente quanto abbiamo detto è la seguente: Come possiamo trasformare il mondo in cui viviamo, noi migranti e autoctoni, in un mondo di fratelli e sorelle, veri figli di un unico Padre – detto in visione cristiana –, e come possiamo arrivare a ogni persona e comunità interessata o colpita dal fenomeno migratorio perché possa essere conseguente a tale visione, nel rispetto della loro?

Sorge così la necessità di collaborare con chi segue Dio in cammino diverso dal nostro, o con gli uomini di buona volontà, per creare, insieme, un mondo più umano, solidale e unito, approfittando di questa occasione che ci è data, con gli immigrati, senza andare in Cina, di avere un cinese alla nostra porta. Ciò vale per le Filippine, lo Sri Lanka, il Marocco, la Romania, ecc.

Come vedete, vi rimando al vostro piccolo mondo, non più antico o moderno, del quale scriveva il nostro Fogazzaro, ma post-moderno, perché anche voi portiate la vostra piccola pietra per costruire l’edificio della pace, nella convivenza di tutti i Popoli.

 Grazie, e scusatemi se ho potuto essere con voi solo con lo spirito, oltre che con questo scritto.

Abbreviazioni

Compendio     Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, 2004) 

EMCC           Istruzione Erga migrantes caritas Christi (Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, 2004) 

EN                 Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi (Paolo VI)

Es                  Esodo

FC                  Esortazione Apostolica Familiaris Consortio(Giovanni Paolo II)  

Gal                 Lettera di S. Paolo ai Galati

GMMR           Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 

GS                   Costituzione Pastorale Gaudium et Spes (Concilio Ecumenico Vaticano II)

MM                  Lettera enciclica Mater et Magistra (Giovanni XXIII)

POM                Rivista People on the Move (Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti)

PT                    Lettera enciclica Pacem in terris (Giovanni XXIII)

Rm                    Lettera di S. Paolo ai Romani

 

Summary

Special Migrants: Italian Missionaries

To take a look at the new migrations, the new problems and the new pastoral challenges: this is the goal of the present article.  What new migrations?  Today’s world is like a strainer that leaks on all sides in the sense that it appears to be in constant movement.  Displacements can be seen there, with both opportunities and sufferings, of persons, both men and women, from all over and in all directions.

Italian Christians now have the opportunity to do good at home because the mission has come to us.  Now it is here, in our towns and cities, with the immigrants.

The mission is always essentially Christ’s command to us, but it also needs to be updated to the new situations and problems connected with the right to stay and/or emigrate, and also the States’ right to protect themselves.  All of this, however, has not avoided problems related to irregular migrations; on the contrary, the new laws limiting entries have worsened the new migratory situations.

This is why new migrants turn to those who practice contraband since industries are forming for clandestine entry.  Later, in the new country, they fall victim to various forms of exploitation and “forced” labor.  They, we point out, are the most vulnerable ones since they no longer enjoy the protection of national law.

Women are the new protagonists of migrations.  Women go abroad autonomously as teachers, nurses, domestics, seamstresses, etc.  These sectors are very important (think of aid to the elderly), but they are poorly remunerated, and yet women support their families in this way.

To sum it up, there are many new things: new migrations and new situations, new problems and new social and pastoral challenges.  But, in conclusion, do Christians have a new heart?  The precarious situation of so many new foreigners ought to call for new solidarity.  But in many Christians, prejudice, intolerance, and xenophobia, if not racism, persist.

 

Zusammenfassung

Besondere Migranten: Italienische Missionare

Das Vorhaben dieses Artikels ist, einen Blick auf die neuen Migrationen zu werfen, auf die neuen Problematiken und die neuen pastoralen Herausforderungen: Welche neuen Migrationen? Die Welt von heute scheint wie ein Sieb, das aus allen Löchern Wasser verliert, es ist wie eine  kontinuierliche Bewegung. Man beobachtet die Mobilität der Menschen, der Frauen und Männer,   gezeichnet sowohl von Zweckmäßigkeit wie von Leiden, sie kommen aus allen Winkeln und bewegen sich in alle Richtungen.

Der christliche Italiener hat nun die Gelegenheit in seiner Heimat Gutes zu tun: Die Mission kommt zu uns. Sie zeigt sich nun in unseren Ländern, in unseren Städten mit den Immigranten.

Die Mission ist immer im wesentlichen von Christus zu uns gesandt, aber sie muss sich auch den neuen Situationen und Problematiken anpassen, verbunden mit dem Recht zu bleiben und/oder auszuwandern, wie auch mit dem Recht der Staaten, sich zu schützen. All dies hat jedoch nicht Probleme verhindern können, die mit der irregulären Migration verbunden sind; im Gegenteil, die neuen Gesetze haben durch die Beschränkung der Einwanderung die neuen Migrations-Situationen verschärft.

So wendet sich der neue Migrant an die Schmuggler: Es entstehen richtige Industrien für die nicht offizielle Einwanderung. So wird der Migrant aber oft im neuen Land Opfer von Ausbeutung verschiedenster Art oder von ’Zwangsarbeit’. Die wir hier nennen sind die am meisten Verwundbaren, sie genießen nicht den Schutz der nationalen Gesetze.

Die Frauen sind die neuen Protagonisten der Migrationen. Die selbstständigen Frauen begeben sich ins Ausland als Lehrerinnen, Krankenschwestern, Hausgehilfinnen, Schneiderinnen, usw. Es sind wichtige Sektoren (siehe die Betreuung der alten Menschen), doch werden sie werden schlecht bezahlt, aber trotzdem können diese Frauen so ihre Familien unterstützen.

Nun, es gibt viele Neuigkeiten: Die neuen Migrationen und die neuen Situationen, die neuen Problematiken und die neuen sozialen und pastoralen Herausforderungen. Abschließend aber fragen wir, ist ein neues Herz im Christen? Die unsichere Situation der vielen neuen Fremden müsste eine neue Solidarität wecken. Doch in vielen lebt das Vorurteil, die Intoleranz, die Fremdenfeindlichkeit weiter, ja manchmal sogar der Rassismus.

 


[1] G.B. Scalabrini citato in LUIGI FAVERO, “L’Assistenza religiosa agli italiani emigrati nella visione e nell’iniziativa dello Scalabrini”, POM, vol. 26, n. 75/1997, p.15.

[2] ibid.

[3] MARIA ROSARIA PORFIDO (a cura di), “Emigrazione Italiana dal 1861 al 1913”, http://www.italiadonna.it/public/percorsi/12001/12001002.htm.

[4] cf. PATRICK A. TARAN, “Human Rights of Migrants: Challenges of the New Decade”, International Migration, Vol. 38, N. 6, Numero Speciale 2/2000, p. 13.

[5] cf. II Incontro Internazionale di Pastorale della Strada, Città del Vaticano, 1- 2 dicembre 2006 in POM vol. 38, n. 102/2006; I Incontro Internazionale di pastorale per la liberazione delle donne di strada Roma, 20-21 giugno 2005 in POM vol. 38, n. 102 Supplemento/2006; I  Incontro Internazionale per la Pastorale dei Ragazzi di Strada, Roma, 25-26 ottobre 2004, in POM vol. 37, n. 98 Supplemento/2005).

[6] http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/migrants
/documents/rc_pc_migrants_doc_20040514_erga-migrantes-caritaschristi_it.html

[7] v. POM, Vol. 38, N. 101 Supplemento/2006.

[8] cf. WALTER KASPER, “Ökumenische Bewegung und Evangelisierung”, POM vol. 38, n. 102/2006.

 

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