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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 105, December 2007

 

PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO PONTIFICIO*

SUL TEMA: “I GIOVANI MIGRANTI”

(in aspetti concernenti l’asilo e i profughi) 

 

S.E. Mons. Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale

per i Migranti e gli Itineranti

L’infanzia e l’adolescenza sono un periodo chiave per lo sviluppo di ogni persona umana, per cui eventi traumatici che avvengono durante tali fasi evolutive avranno conseguenze per il resto della vita. Lo sradicamento forzato dai luoghi d’origine non fa purtroppo eccezione alla regola, cosicché i giovani e i ragazzi, a motivo della loro dipendenza, vulnerabilità ed esigenze di sviluppo, hanno diritti particolari, enunciati anche nella Convenzione sui diritti del fanciullo.

I giovani rifugiati (metà della popolazione legata all’asilo è costituita da loro) affrontano quindi una triste realtà. Essi soffrono immensamente per violazioni di diritti umani subite in quanto vittime di guerre e violenze, o di negligenza, crudeltà, sfruttamento sessuale o di altro genere, per discriminazione razziale, aggressione e occupazione straniera dei luoghi dove vivevano. Essi perdono le loro case e anche, per conseguenza, la loro infanzia felice, familiare e protetta.

I giovani e giovanissimi che fuggono la persecuzione hanno necessità particolari. Essi possono sentirsi disorientati e  confusi, sono in cerca di stabilità e sicurezza, per cui bisogna salvaguardare, a maggior ragione, i loro diritti e interessi. Eppure in alcuni Stati si giunge perfino alla detenzione di minori non accompagnati. 

Minori non accompagnati, separati cioè dai loro genitori o tutori

Questi giovani giungono in genere ai Paesi occidentali con visibile già la tragica situazione del loro luogo di origine, resa palese dalla drammatica decisione presa, in genere, dalle loro famiglie di mandarli da soli in altro Paese, nella convinzione che ciò rappresenti la migliore soluzione possibile per la loro salvezza e sicurezza.

Una volta giunti, essi affrontano, naturalmente, molte prove e problemi. Lo stato emozionale dei minori non accompagnati richiede perciò speciale cura e considerazione. Essi incontrano da soli un ambiente e una cultura non familiari, lingua e “valori” diversi, con perdita pure di relazioni sociali e amicizie. Si sentono dunque abbandonati e insicuri, sensazione che li porta spesso alla depressione, a ritirarsi in sé stessi, o a divenire aggressivi. Per di più molti soffrono di disturbi psicosomatici e possono, abbastanza frequentemente, essere insonni e avere incubi. Dovrebbero, quindi, approntarsi cure e protezione speciali in vista del loro benessere fisico e psicologico. Ciò include il creare adeguate condizioni di vita e un pieno e pari accesso all’educazione, alle cure mediche, incluse appunto quelle psicologiche. Gli effetti negativi della separazione possono essere affrontati più facilmente se si offrono soluzioni alternative, fra le quali potrebbe essere considerata la possibilità di accoglienza in amorevoli famiglie adottive.

Accade  sempre più spesso – come dicevo – che minori non accompagnati siano chiusi in “centri di detenzione”. Non dovrebbe, però, così essere, dandosi la possibilità di altre sistemazioni, considerando anzitutto il benessere integrale di questi giovani e giovanissimi.

Per procedure inerenti all’immigrazione può succedere che famiglie con bambini si trovino in detenzione, e ciò può avere conseguenze drammatiche sulla loro salute mentale e fisica.

Ma, pur nel caso di concessione d’asilo, tali giovani e giovanissimi possono finire  in posizione difficile, trovandosi sostanzialmente attirati da due mondi diversi. A casa, cioè, mantengono tradizioni culturali e “valori” noti, mentre il sistema educativo del luogo e la società d’accoglienza favoriscono e promuovono “valori“ diversi e magari un differente approccio alla vita. Essi devono quindi trovare la loro strada tra due mondi spesso in conflitto. 

Vivere nei campi di accoglienza

I campi d’accoglienza dovrebbero tornare ad essere ciò per cui furono creati: un luogo ove stare temporaneamente. Essi possono servire inizialmente, ma non dovrebbero diventare residenze permanenti. Al presente, invece, rientra in una prassi generale, specialmente nei Paesi del Sud del mondo, obbligare le persone a vivere in campi sovraffollati, molte volte in situazioni spaventose. Normalmente ai rifugiati non è nemmeno concesso di lavorare,  mentre  la loro libertà di movimento è limitata, diventando così totalmente dipendenti dalle distribuzioni di cibo interne ai campi. Per di più esso frequentemente è ridotto, assieme ad altri beni necessari ad una vita con un minimo di dignità. La malnutrizione nei campi, dunque, non costituisce più un’eccezione. Gli effetti combinati di tutto ciò si ripercuotono su individui e famiglie, conducendoli facilmente a una crisi di “valori”. Difficilmente esiste, quindi, un futuro per chi vive in tali insediamenti, situati per lo più in zone remote. Ne sono vittime anche ragazzi/e.

In ragione dell’importanza fondamentale della formazione educativa nella loro vita, desidero, inoltre, sottolineare che circa il trenta percento non frequenta la scuola, nonostante notevoli sforzi di Organizzazioni non Governative e  Comunità Internazionale. Bisogna tenere altresì presente che una generazione è ormai nata e cresciuta in campi di rifugiati. Essa perciò non conosce altra realtà, e lo sottolinea anche il Santo Padre nel Suo Messaggio. Come e quanto questa esperienza condizionerà le loro virtualità sociali e di comunicazione, la visione del mondo e le prospettive? Come tale situazione può prepararli alla vita in una società normale? Sono grandi questioni che voglio lasciare alla vostra preoccupazione solidale. 

Sollecitudine ecclesiale

Noi, in quanto cristiani, siamo invitati ad accogliere i giovani migranti e ad assicurarci che essi siano trattati con rispetto della loro dignità umana e di una legislazione internazionale molto chiara per sé e rigorosa.  Volontari e agenti pastorali nelle comunità ecclesiali, assieme a ONG cattoliche  – in particolare rammento qui  la Commissione Internazionale Cattolica per le Migrazioni (CICM), a motivo del suo speciale legame con la Santa Sede e le Conferenze Episcopali – sono impegnate nell’accompagnamento di questi giovani e dei loro genitori. Tale presenza sollecita li aiuterà a realizzare le loro potenziali capacità e a svolgere quelle attività abituali che favoriranno crescita e maturazione.  L’educazione è elemento essenziale in tale processo. Essa costituisce, inoltre, l’ambito propizio per esercitare i fanciulli ad affrontare problemi ed ansietà, e a prepararsi a un futuro di speranza nella società e anche nella Chiesa, se sono battezzati.

Come dicevo, le ONG offrono la loro assistenza, avvicinano i giovani e li aiutano in attività formative, dalla scuola primaria  a quella professionale. Talvolta l’aiuto giunge anche alle scuole secondarie e, in casi eccezionali,  altresì nell’istruzione a distanza,  fino a corsi accademici, universitari. Ricordo, inoltre, l’opera benemerita soprattutto di religiose, assistite da ONG cattoliche o da Organizzazioni delle Nazioni Unite, in servizi di ascolto e accompagnamento di giovani, specialmente ragazze che hanno subito violenze, stupri o minacce. Esistono, inoltre, alcuni centri di accoglienza per ragazze minori, già madri, per offrire loro una seconda opportunità di completare la loro istruzione interrotta,  o di apprendere un mestiere.

Queste opere di bene fanno sì che molti giovani possono affrontare il futuro con speranza. V’è anche per essi la possibilità di un miglioramento del livello di vita, giungendo alcuni ad assumere un ruolo guida nelle loro comunità.

Dal nostro punto di vista cristiano, desidero concludere ribadendo che anche qui l’evangelizzazione e la promozione umana sono legate tra loro, profondamente e indissolubilmente.


 

* Sala Stampa della Santa Sede, 28 Novembre 2007.

 

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