The Holy See
back up
Search
riga

 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 105, December 2007

 

 

EUROPA, IMMIGRAZIONE E FUTURO*

 

S.E. Mons. Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

 

Una parola sul Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti…

Con richiamo alla 9ª sinfonia di Beethoven, un pubblicista ha denominata la “Pacem in Terris” la “sinfonia della pace”. Infatti si nota in essa un tema fondamentale, 4 movimenti ed un finale. Il tema torna per 9 volte, come un leitmotiv: la pace fra tutti i popoli esige la verità come fondamento, la giustizia come regola, l’amore come motore, la libertà come clima. Il tema accompagna ciascuna delle 4 parti, che formano come i 4 movimenti della sinfonia: la pace nell’armonia delle persone tra loro; tra le persone e le comunità politiche; tra le diverse comunità politiche; tra le persone e i gruppi politici con le comunità umane.   

Ebbene  i migranti in Europa, in prospettiva di futuro, io li vorrei anzitutto presentare come fattore di pace fra le persone, i popoli e le nazioni, in favore dello sviluppo integrale. In effetti il I° Forum Mondiale sulle migrazioni, tenutosi quest’anno a Bruxelles, aveva come tema “Migrazioni e Sviluppo”. Questo abbinamento, tale binomio, fino a 2-3 anni fa era impensabile. E ora, giustamente, non lo è più anche perché “la sfida dell’immigrazione e il modo in cui verrà gestita è uno dei test più importanti per l’Unione Europea allargata negli anni e nei decenni futuri. Se le società europee saranno all’altezza di questa sfida, l’immigrazione le arricchirà e le rafforzerà. In caso contrario, il risultato potrà essere una riduzione dei livelli di vita e divisione sociale”. È affermazione, di fine Gennaio 2004, dell’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, che aggiungeva:

“Tutti i Paesi hanno il diritto di decidere se ammettere o meno gli immigrati volontari (contrapposti ai rifugiati bona fide, che in base alla legge internazionale hanno diritto di protezione). Ma chiudere le porte sarebbe insensato per gli europei… Spingerebbe anche sempre più gente a tentare di entrare dalla porta di servizio.

L’immigrazione illegale è un problema reale, e gli Stati hanno bisogno di collaborare nei rispettivi sforzi per fermarla… Combattere l’immigrazione illegale dovrebbe però essere parte di una strategia più ampia. I Paesi dovrebbero fornire veri e propri canali per l’immigrazione legale, e cercare di coglierne i benefici nella salvaguardia dei diritti umani fondamentali degli emigrati.

… Gestire l’immigrazione non è soltanto una questione di porte aperte e di unione di forze a livello internazionale. Richiede anche che ciascun Paese faccia di più per integrare i nuovi arrivati. Gli immigrati devono adattarsi alle nuove società e le società devono adattarsi a loro volta. Soltanto una strategia creativa di integrazione garantirà ai vari Paesi che gli immigrati arricchiscano la società ospite più di quanto la disorientino… Gli immigrati sono parte della soluzione, non parte del problema… In questo ventunesimo secolo, gli emigranti hanno bisogno dell’Europa. Ma anche l’Europa ha bisogno degli emigranti. Un’Europa chiusa sarebbe un’Europa più mediocre, più povera, più debole, più vecchia. Un’Europa aperta sarà un’Europa più equa, più ricca, più forte, più giovane, purché sia un’Europa che gestisce bene l’immigrazione”. Qui sta il futuro di speranza e di pace che io intravedo, e che troviamo anche nella nostra Istruzione Erga migrantes caritas Christi ( n. 101-103).

In effetti il nuovo volto dell'umanità, oggi, ha i colori della globalizzazione, e i problemi che nascono sono ormai tutti planetari. Nessuna Nazione, per quanto potente, è in grado, ad esempio, di garantire la pace, di risolvere appunto il problema delle migrazioni e delle minoranze etniche, di salvare l'equilibrio dell'ecosistema, compromesso dallo sfruttamento insensato delle risorse naturali, ecc.

Sul tema della pace Giovanni Paolo II ha richiamato più volte l'attenzione. Nel Messaggio per la Giornata della Pace 2001 così disse: "All'inizio del nuovo millennio, più viva si fa la speranza che i rapporti tra gli uomini siano, sempre più, ispirati all'ideale di una fraternità veramente universale. Senza la condivisione di questo ideale la pace non potrà essere assicurata in modo stabile". E proseguì: ciò "è esigito, come mai prima d'ora, dal processo di globalizzazione che unisce in modo crescente i destini dell'economia, della cultura e della società".

In un mondo sempre più globalizzato il Papa indicava poi il fenomeno migratorio come un fattore capace di assicurare la pace nel mondo e l'incontro delle culture: "Non meno pericoloso per il futuro della pace sarebbe l'incapacità di affrontare con saggezza i problemi posti dal nuovo assetto che l'umanità, in molti Paesi, va assumendo a causa dell'accelerazione dei processi migratori e della convivenza inedita che ne scaturisce tra persone di diverse culture e civiltà". 

Unité et diversité en Europe, vis-à-vis des migrations

Naturellement on peut dire que chaque Pays d’Europe a ses immigrés, où ils sont inégalement répartis. En chiffres absolus, l’Allemagne vient en tête (7.300.000, soit 8,9% de la population totale), suivie par la France (7%), puis le Royaume-Uni. Les proportions sont parfois plus fortes dans de petits Pays. Par exemple, 30% au Luxembourg et 19% en Suisse. Chaque Pays a un peu ses immigrés, fruits de l’héritage colonial, des liens historiques ou de la proximité géographique.

La chute du Mur de Berlin, en 1989, et l’accélération de la mondialisation font apparaître naturellement de nouveaux pôles migratoires en Europe de l’Est et en Asie. Les nouveaux arrivants ne sont plus seulement des travailleurs peu qualifiés, aspirant à des contrats à durée indéterminée, mais des membres de classes moyennes instruites, des étudiants, des touristes, des saisonniers, des femmes ou des enfants isolés, des réfugiés, des ‘clandestins’, des personnes arrivant par regroupement familial (la majorité des entrées), avec une multiplication des canaux empruntés.

Depuis les années 1990, les politiques d’entrée et de séjour des Pays européens oscillent entre admission sélective (on commence à se rendre compte que l’Europe a besoin de travailleurs qualifiés), répression des entrées illégales et régularisation. Pendant les 25 années dernières France, Belgique, Grèce, Italie, (quatre fois), Luxembourg, Portugal, (deux fois) Royaume Uni et Espagne (trois fois) ont régularisés 4 millions d’immigres, grâce à 20 programmes de régularisation. Mais partout des législations dissuasives sont mises en œuvre.

Les Pays d’Europe ont aussi des manières différentes de faire face aux problèmes du « vivre-ensemble », mettant plus ou moins l’accent sur l’intégration des individus ou sur celle des communautés.  

Vers l’européanisation

La politique de l’immigration est de plus en plus appelée à s’européaniser. L’année 1985 a vu l’adoption, par les Etats membres de la Communauté Economique Européenne, de l’Acte Unique qui définit un espace communautaire européen sans frontières. La même année, les Accords de Schengen sont signés par un certain nombre de Pays. Ils sont intégrés dans l’Union Européenne en 1997 par le Traité d’Amsterdam. Ses principaux instruments sont l’adoption d’un visa unique de trois mois pour les non communautaires qui veulent pénétrer et circuler dans l’Espace Schengen, la liberté de circulation à l’intérieur des frontières européennes pour les Européens et les détenteurs d’un visa Schengen, la solidarité des Pays européens dans les contrôles aux frontières extérieures de l’Union. Le Traité d’Amsterdam  prévoit cependant la mise en place d’une politique d’immigration commune et l’on pourra voir la création d’une police des frontières européennes. À l’égard des Pays d’émigration non européens, la politique d’immigration commune risque de rester des plus restrictives.  

Il fattore islam

Da qualche tempo un altro fattore caratterizza non solo il movimento migratorio, ma la storia stessa del mondo contemporaneo, destando preoccupazione e paura in molte persone. Il fatto, cioè,  che non pochi immigrati sono musulmani e ciò fa temere addirittura una "invasione" dell'islam e della sua cultura.

Le complicazioni della storia recente e presente hanno acuito non poco la percezione per molti di una opposizione radicale o di una frattura insanabile tra "mondo cristiano" e "mondo islamico". Tenuto conto che questo conflitto, in realtà, maschera spesso contenuti di altra natura (soprattutto economica e politica), oggi è più che mai necessario cercare  un confronto sereno, lucido e pacato tra i membri delle due religioni, senza però superficialità e con richiesta di reciprocità.

Dunque, se alcuni Paesi islamici, grazie alle loro risorse, sostengono di fatto movimenti integralisti, che giungono a forme di terrorismo motivato da fanatiche considerazioni (nelle quali si mescolano citazioni del Corano ed espressioni di vendetta per "secolari soprusi subiti dai colonizzatori e sfruttatori occidentali"), non dovremmo commettere l'errore di considerare l'integralismo come espressione univoca dell'islam. Così, infatti, rinforzeremmo gli stessi integralisti che vogliono apparire come  coscienza di tutto il mondo musulmano. 

I "passi" verso la pace

"Le migrazioni - afferma ancora il Papa Giovanni Paolo II nel citato discorso - possono costituire una opportunità se le differenze culturali vengono accolte come occasione di incontro e di dialogo e se la ripartizione disuguale delle risorse mondiali provoca una nuova coscienza della necessaria solidarietà che deve unire la famiglia umana".

In questa affermazione possiamo vedere le coordinate sulle quali è possibile tracciare un ideale "itinerario" verso la pace, oggi, anche in ambiente migratorio. 

Il dialogo, anzitutto

Questa parola peraltro è diventata una delle accezioni maggiormente soggette a usura: qualcuno la confonde addirittura con una semplice conversazione. Dialogo è invece, soprattutto, confronto, interazione, capacità di ascoltare e di entrare nella visione dell'altro, disponibilità ad accoglierlo, senza semplicismi e superficialità. E tutto questo non meramente a livello intellettuale, ma soprattutto in quello di vita vissuta. Il vero incontro infatti non avviene tra culture ma tra persone concrete, che pure hanno la loro cultura e la loro religione: parte dal vissuto delle persone stesse, dalla loro esperienza quotidiana nella famiglia, nel lavoro, nella scuola. In questo modo è possibile colmare quel deficit di cittadinanza e di coscienza mondiale, di responsabilità collettiva, che è alla base, oggi, di alcuni movimenti di violenza considerata come unica soluzione di inveterati  problemi.

"Lo scontro di civiltà - afferma Huntington - avviene perché il confronto e il mescolarsi delle identità si sviluppano all'interno di fasce culturali e di minoranze che confliggono contro le maggioranze ed esigono una maggiore visibilità". 

La tolleranza

Anche tolleranza è un'altra parola un po’ erosa dall'uso, ma ancora molto importante. Si sta diffondendo oggi, di fatto, l'immagine dell'islam come "monolito intollerante",  una religione di conquista, mentre la maggioranza dei musulmani si sente e si proclama tollerante. E' questa contrapposizione che rischia di compromettere gli sforzi di dialogo e provoca una reazione che può diventare esplosiva. Da una parte si lascia spazio al razzismo, dall'altra si spinge al ripiegamento su se stessi. Entrambe le religioni, quella cristiana e quella musulmana,  hanno invece alla loro base una tradizione di ospitalità e di accoglienza, "mutatis mutandis".

A proposito del dialogo e della tolleranza,  considerati come fattori principali della pace nel mondo, Giovanni Paolo II affermò ancora: "Lo stile e la cultura del dialogo sono particolarmente significativi rispetto alla complessa problematica delle migrazioni. L'esodo di grandi masse da una regione all'altra del pianeta, che costituisce sovente una drammatica odissea umana per quanti vi sono coinvolti, ha come conseguenza la mescolanza di tradizioni e di usi differenti, con ripercussioni notevoli nei vari Paesi di origine e in quelli di arrivo. L'accoglienza riservata ai migranti e la loro capacità di integrarsi nel nuovo ambiente umano rappresentano altrettanti metri di valutazione della qualità del dialogo tra differenti culture". 

Accoglienza e ospitalità

Dove lo straniero diventa ospite e viene accolto, si smonta infatti gradualmente la possibilità di vedere l'altro come un nemico. L'ospitalità come fratellanza, invece, è un concetto purtroppo trascurato dal lessico politico contemporaneo, che tende a privilegiare l'uguaglianza e la libertà, le quali possono poggiare su un fondamento individualista.

Accogliere lo straniero, per il cristianesimo, significa accogliere Dio stesso. Insistendo con la categoria della ospitalità, i testi biblici, in effetti, dell'Antico e del Nuovo Testamento, pongono le basi per la costruzione di una fratellanza proprio universale.

Anche il mondo islamico ha una tradizione di ospitalità che si ritrova nel Corano: in particolare nel mondo della medina, la città "illuminata", che nasce pluralista e porta agli altri. La tradizione alla apertura è quindi  alla base pure della religione islamica, che però conosce oggi frange, anche assai consistenti, purtroppo, estremiste e violente, che rigettano quanto viene dall'esterno. Il compito dei musulmani, a nostro parere, è quello di individuare nuovi processi educativi, capaci di arginare questi estremismi, di isolarli e far prevalere il dialogo vero, autentico, rispettoso della reciprocità. 

La stessa chiave di lettura universalista

La tradizione cristiana e quella musulmana hanno quindi una matrice culturale e religiosa universalista, che costituisce una chiave di lettura - e anche una fonte di contrasto - con cui leggere le nuove sfide e che contribuisce a creare una maggiore serenità nelle relazioni internazionali, a cominciare dall’Europa.

L'11 Settembre è stato però sicuramente uno spartiacque, una "rivelazione" che ha evidenziato grandi contraddizioni nel ruolo delle religioni nella costruzione della pace. Questa "rivelazione" comporta la necessità di un salto di qualità nell'incontro interreligioso: siamo tutti invitati ad ascoltare e a metterci in gioco per l'altro.

Se è vero che il tema dello scontro passa all'interno di ogni singola comunità, è altrettanto vero che vi sono molte persone che questo scontro non vogliono, che praticano la convivenza, che si riconoscono nei valori della persona, della pace, dei diritti umani, della coesistenza, del pluralismo. Chi dunque vi si riconosce è chiamato a lavorare insieme e a testimoniare concretamente la sua opposizione legittima a ogni forma di violenza, fatte le debite distinzioni.

Qualcuno ha chiamato questa disponibilità la "riscoperta della piazza". Piazza intesa come punto d'incontro, di scambio di idee, come luogo di composizione di una vera democrazia, in cui tutti godano piena cittadinanza e in cui tutti possano far sentire la propria voce. Papa Giovanni parlava poi della fontana della piazza del villaggio, che per noi è la Rivelazione di Dio.

Desidero chiudere con l'osservazione che la ricerca di un equilibrio soddisfacente tra un codice comune di convivenza e l'istanza della molteplicità culturale pone problemi delicati e di grossissimo spessore. Non dobbiamo nasconderci che le domande identitarie incutono sempre paura in coloro ai quali esse vengono rivolte. Talora, queste paure prendono la via dell'annientamento o negazione dell'identità dell'altro; talaltra, esse conducono all'adozione di pratiche meramente assistenziali, che umiliano coloro che ne sono i destinatari perché annullano la stima che essi hanno di sé. Eppure, come ci ricorda Giovanni Paolo II nel già citato messaggio: "il dialogo tra le culture... emerge come un' esigenza intrinseca alla natura stessa dell'uomo e della cultura" (n. 10). Il compito da assolvere è allora quello di gettare sul tavolo del dibattito la proposta di una via capace di scongiurare la Scilla dell'imperialismo culturale, che porta all'assimilazione delle culture diverse rispetto a quella dominante, e il Cariddi del relativismo culturale, che conduce alla balcanizzazione della società.

Il modello di integrazione interculturale di cui ho detto brevemente è fondato sull'idea del riconoscimento del grado di verità presente in ogni visione del mondo, un'idea che consente di fare stare assieme il principio di eguaglianza interculturale (che è declinato sui diritti universali) con il principio di differenza culturale (che si applica ai modi di traduzione nella prassi giuridica di quei diritti). L'approccio del riconoscimento veritativo, non ha altra condizione se non la "ragionevolezza civica" di cui parla W. Galston: tutti coloro che chiedono di partecipare al progetto interculturale devono poter fornire ragioni per le loro richieste politiche; nessuno è autorizzato a limitarsi ad affermare ciò che preferisce o, peggio, a fare minacce. Non solo, ma queste ragioni devono avere carattere pubblico - in ciò sta la "civicità" -, nel senso che devono essere giustificate mediante termini che le persone di differente fede o cultura possono comprendere e accogliere come ragionevoli, e dunque tollerare, anche se non pienamente rispettabili o condivisibili. Solo così - penso - le differenze identitarie possono essere sottratte al conflitto e alla regressione.

Pour conclure, après avoir parlé des étrangers chez nous, en Europe, comme illustration d’une utopie, an bon sens du mot, je voudrais vous lire une belle poésie dont le titre est 

 

"Ne m’appelle pas étranger"

 

A cause du sein maternel différent,

ou parce que les contes de ton enfance

t’ont façonné dans une autre langue,

ne m’appelle pas étranger.

Ton blé est pareil à mon blé,

ta main, pareille à la mienne,

ton feu, pareil à mon feu,

et tu m’appelles étranger !

Parce que dans un autre peuple je suis né,

parce que d’autres mers je connais,

parce qu’un autre port, un jour, j’ai quitté

ne m’appelle pas étrangers.

C’est le même cri que nous portons

et la même fatigue que nous traînons,

celle qui harasse l’homme depuis la nuit des temps,

quand n’existaient nulles frontières,

avant que n’arrivent ceux-là

qui divisent et qui tuent,

ceux-là qui volent, ceux-là, les inventeurs

de ce mot: étranger.

Triste mot glacé, relent d’oubli et d’exil.

Ne m’appelle pas étranger.

Regarde-moi bien dans les yeux

bien au-delà de la haine,

de l’égoïsme et de la peur

et tu verras que je suis un homme.

Non, je ne peux être étranger!


 

Summary 

EUROPE, IMMIGRATION AND THE FUTURE 

Archbishop Agostino Marchetto presented this discourse during the round Table about Europe, Immigration and the Future , in the ambit of the International Meeting for Peace, which was held in Naples, 22nd October, 2007.

With the fall of the Berlin Wall, in 1989, and the acceleration of Globalisation, many new and varied migrants have appeared in Europe. The new arrivals are students, professional people, seasonal workers, and refugees, etc. From the 90’s on, the policies allowing entrance and residence in European countries have oscillated between selective admission, repression of illegal entrance and regularisation.

For the writer the presence of migrants in Europe can establish an element of peace among individuals, races and nations, who are in favour of integral development, with a view to the future. The face of humanity today, has the colour of Globalisation and the problems that arise from this have a planetary configuration. By itself, in fact, no nation, no matter how powerful, is capable of solving the problems of migration and the ethnic minorities, by themselves. The migratory phenomenon has already been indicated, by John Paul II, as a factor that is capable of ensuring peace and encounters of cultures, in a world that is  becoming more and more Globalised.

For some time, then, another element characterises the migratory movement, arousing concern and fear in many people; that is the presence of many Muslim migrants. The complexity of past and present history has sharpened the feeling of a radical opposition or an irremediable break, between “The Christian World” and “The Muslim World”. Today, therefore, it is necessary, more than ever, to seek a clear, calm and serene encounter between the members of the two religions.

“Migrations can create an opportunity”, once again affirmed John Paul II. With this point of view, it is possible to outline and coordinate a plan for an ideal “itinerary” towards peace, also in the migratory environment. Primarily, dialogue is understood as an encounter and the capacity to listen. Then follows tolerance, welcome and hospitality, which are traditions found also in the Islamic World. To welcome the foreigner, for Christianity, means to welcome God Himself.

The search for a satisfactory equilibrium between a mutual code of cohabitation and cultural multiplicity presents delicate problems of great importance. The questions of identity always arouse fear in those to whom they are directed. Such fears lead to the destruction or negation of the other cultural identity and sometimes lead to the adoption of merely charitable practices. The model of intercultural integration is, instead, based on the idea of uniting the principle of intercultural equality with that of cultural diversity.
 

*******

Zusammenfassung 

Europa, Immigration und Zukunft

 

Seine Exzellenz, Erzbischof Agostino Marchetto, hat diesen Beitrag, Europa, Immigration und Zukunft, am Rundtisch während des Internationalen Treffens für den Frieden vorgetragen, das am 22. Oktober 2007 in Neapel stattgefunden hat.

Der Fall der Berliner-Mauer und die Beschleunigung der Globalisierung haben neue Migrations-Pole in Europa hervortreten lassen. Die neuen Ankömmlinge sind Studenten, Fachleute, Saisonarbeiter, Flüchtlinge, usw. Seit den 90.iger Jahren schwankt die Politik des Einlasses und des Aufenthaltes der europäischen Länder zwischen selektierter Zulassung, Unterdrückung der illegalen Einwanderung und der Regulierung.

Für den Autor kann die Anwesenheit der Migranten in Europa einen Faktor des Friedens zwischen Personen, Völkern und Nationen darstellen, zu Gunsten der ganzheitlichen Entwicklung im Hinblick auf die Zukunft. Das Gesicht der Menschheit heute hat die Farben der Globalisierung und die daraus entstehenden Probleme haben eine planetarische Konfiguration. Denn keine Nation, sei sie auch noch so mächtig, ist in der Lage alleine das Problem der Migration und der ethnischen Minderheiten zu lösen. Schon Papst Johannes Paul II. bezeichnete das Phänomen der Migration als einen Faktor, fähig in einer immer mehr globalisierten  Umwelt, den Frieden in der Welt und die Begegnung der Kulturen sicher zu stellen.

Seit einiger Zeit nun wird die Migrations-Bewegung von einem anderen Element charakterisiert, welches bei vielen Besorgnis und Angst hervorruft, nämlich die Anwesenheit nicht weniger moslemischer Immigranten. Die Verwicklungen der jüngsten und der gegenwärtigen Geschichte, haben die Wahrnehmung einer radikalen Opposition oder eines unheilbaren Bruches zwischen der "christlichen Welt" und der "moslemischen Welt" verschärft. So ist es heute mehr denn je notwendig, eine ausgeglichene, klare und ruhige Gegenüberstellung zwischen den Mitgliedern der beiden Religionen zu suchen.

"Die Migrationen können eine Gelegenheit darstellen", bekräftigt Papst Johannes Paul II. nochmals. In diesem Licht ist es möglich, die Punkte zu umreißen, auf denen ein idealer "Weg" hin zum Frieden auch in einem Umfeld der Migration vorgezeichnet werden kann. Vor allem muss der Dialog verstanden werden als eine Gegenüberstellung und als Fähigkeit des Anhörens. Die Toleranz, die Aufnahme, die Gastfreundschaft sind auch alles Traditionen, die in der islamischen Welt präsent sind. Den Fremden aufnehmen bedeutet für das Christentum, Gott selbst aufnehmen.

Die Suche nach einem zufriedenstellenden Ausgleich zwischen einem gemeinsamen Kodex des Zusammenlebens und der kulturellen Vielfältigkeit stellt delikate und schwerwiegende Probleme. Die Frage nach der Identität ruft immer in denjenigen Angst hervor, an die sie gerichtet wird. Diese Ängste lenken hin zur Vernichtung oder Ablehnung der Identität des Anderen, und manchmal können sie zur Annahme von Praktiken einer reinen Wohlfahrt führen. Das Modell der inter-kulturellen Integration gründet hingegen auf der Idee, das Prinzip der inter-kulturellen Gleichheit mit dem der kulturellen Unterschiedlichkeit zusammen zu bringen.


 

* Incontro Internazionale  per la Pace.  Per un mondo senza violenza. Religioni e culture in dialogo. Tavola rotonda: Europa, immigrazione e futuro (Napoli, 22 Ottobre 2007, ore 9,30)

 

 

top