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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 97, April 2005

 

Il lavoro, la SUA dignità e le migrazioni*

 

S.E. Mons. Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale

per i Migranti e gli Itineranti

 

Grato per l’invito, nello svolgimento di questa Conferenza seguirò passo passo il tema indicatomi, cominciando dunque con il primo gradino. 

I. Il lavoro

1.  “Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dal resto delle creature…; solo l'uomo ne è capace e solo l'uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua esistenza sulla terra” (LE Intro). Ma che cosa è il lavoro? La Rerum Novarum lo definisce “l’attività umana ordinata a provvedere ai bisogni della vita, e specialmente alla conservazione” (RN 130, cf. anche 114s.), distinguendolo da ciò che svolgono “altre creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro” (LE Intro). La Laborem Exercens lo indica così: “ogni opera compiuta dall'uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalle circostanze” (LE Intro). Con il lavoro, egli non soltanto procura il suo pane quotidiano ma anche contribuisce “al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto all'incessante elevazione culturale e morale della società, in cui vive in comunità con i propri fratelli” (LE Intro). E’ chiaro perciò che con il lavoro ogni persona trae i mezzi di sostentamento per sé e per la propria famiglia, e serve la comunità umana (cf. CCC 2428). Esso dunque ha una dimensione non soltanto “personale” ma pure “sociale”, in quanto ha “una intima relazione sia con la famiglia, sia anche col bene comune” (CA 6). Così il lavoro porta “il segno di una persona operante in una comunità di persone”, che “determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura” (LE Intro).

2.  Il lavoro, perciò, – concludiamo le premesse – costituisce una dimensione fondamentale dell’esistenza dell’uomo sulla terra, come del resto confermano le scienze: l’antropologia, la paleontologia, la storia, la sociologia, la psicologia, ecc. (cf. LE 4). Esso fa parte, in ogni caso, della condizione originaria dell’uomo, come risulta dalla Genesi (2, 4b-15). Leggiamo il passo:

“Quando il Signore fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo –; allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden … e vi collocò l’uomo che aveva plasmato…. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse”,

e ciò – si badi bene – ancor prima del “peccato originale”. Lo dico perché v’è ancora qualcuno che pensa che il lavoro è causato da tale peccato. Fu invece la sua fatica ad esserne la conseguenza, espressa in quel “sudore del tuo volto” (Gn 3,19), o della tua fronte, come si dice tradizionalmente.

Le note parole rivolte da Dio ad Adamo ed Eva, “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela” (Gn 1,28), non si riferiscono forse direttamente ed esplicitamente al lavoro, ma indirettamente lo indicano come un’attività da svolgere nel mondo. In effetti, nell’adempiere il mandato di soggiogare, di dominare la terra, – rispettandola, certo, ed ecco il problema ecologico di oggi – ogni essere umano riflette l’opera creatrice di Dio (cf. LE 4).   

3.  In ogni caso, l’uomo può cooperare alla redenzione, annunciata subito dopo la caduta originale, se sopporta la penosa fatica del lavoro in unione con Cristo, il nuovo Adamo, e così si mostra suo discepolo portando ogni giorno la croce gloriosa, perché v’è anche la gioia del lavoro – bisogna riconoscerlo –, nell’attività che si è chiamati a compiere. Il lavoro, perciò, è dimensione fondamentale dell’uomo non soltanto come partecipazione all’opera della creazione, ma anche a quella della redenzione (cf. CCC 2427, LE 27, Compendio 263).

4.  Creazione e redenzione, dunque, ma aggiungiamo un altro approfondimento. Quando Dio, nel Verbo e per mezzo Suo, ha creato l’universo, esso non era un “ammasso dovuto al caso”, ma portava in sé un ordine; era un “cosmo” (RH 1). Ebbene, l’uomo deve scoprire questo ordine, assecondarlo e portarlo a compimento attraverso il suo operare. “Mettendo in luce, in progressione crescente, ‘le imperscrutabili ricchezze di Cristo’ (Ef 3,8) nella creazione, il lavoro umano si trasforma in un servizio reso alla grandezza di Dio” (Compendio 262), poiché l’attività umana ha la possibilità e il compito di far emergere le perfezioni nascoste nell’universo (cf. Compendio 262) . Servizio a Dio, quindi, il lavoro.

5.  Ma lavorare è anche un diritto, sancito fra l’altro nel Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 ed entrato in vigore il 3 gennaio 1976. In esso si sottolinea che il diritto al lavoro “implica il diritto di ogni individuo di ottenere la possibilità di guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente scelto od accettato” (Patto, art. 6 §1). Vi si afferma inoltre il dovere degli Stati di salvaguardare tale diritto e, per garantire la sua piena attuazione, di offrire “programmi di orientamento e formazione tecnica e professionale, nonché di elaborare politiche e tecniche atte ad assicurare un costante sviluppo economico, sociale e culturale ed un pieno impiego produttivo, in condizioni che salvaguardino le fondamentali libertà politiche ed economiche degli individui” (Patto, art. 6 §2). 

6.  Anche se lo Strumento ora citato prende in considerazione soprattutto la dimensione personale del lavoro, ritornando alla visione cristiana, notiamo che già i Padri della Chiesa riconoscevano altresì la sua dimensione sociale. Mestieri e professioni rappresentano modalità di servizio sociale, che collegano maggiormente gli esseri umani tra di loro, in un rapporto d’interdipendenza. Basti la citazione di uno di essi per tutti: “Se il fabbro non volesse servire alcuno, trarrebbe in rovina sé, i suoi e quelli che abbisognano del suo lavoro, e lo stesso dicasi del sarto, del contadino, del mugnaio, del maestro e così via” (S. Giovanni Crisostomo, in ep. I ad Cor., hom. 10,4 : PG 61,87).

7.  Facciamo un altro passo. Il diritto al lavoro però è accompagnato da quello al riposo festivo. Il racconto biblico del riposo di Dio il settimo giorno (cf. Gn 2,2) è chiara indicazione, infatti, del valore attribuito al riposo dell’uomo lavoratore, creato a Sua immagine e somiglianza. La Laborem Exercens (n. 19) spiega dettagliatamente in cosa esso consiste: “Prima di tutto, si tratta qui del regolare riposo settimanale, comprendente almeno la Domenica, ed inoltre un riposo più lungo, sono le cosiddette ferie una volta all'anno, o eventualmente più volte durante l'anno per periodi più brevi.” 

8.  Un diritto, dunque, il lavoro con il riposo, ma anche obbligo, un dovere dell’uomo, che lo deve compiere non soltanto perché “il Creatore gliel'ha ordinato” (LE 16), ma altresì per la “sua stessa umanità, il cui mantenimento e sviluppo esigono il lavoro”. San Paolo infatti scrive: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi” (2 Ts 3,10). Con chi si trova in necessità, peraltro, è bene condividere i frutti del proprio lavoro e praticare la solidarietà anche materiale (cf. Compendio 264, p. 148). L’uomo, cioè, deve lavorare per sé e per gli altri, soprattutto per la propria famiglia, ma anche per la sua Nazione e per l’intera famiglia umana (cf. LE 16).  

Ed eccoci al secondo gradino, cioè a

II. La dignità del lavoro umano

9.  L’uomo dunque “soggioga la terra”. E’ dovere e diritto con l’agricoltura, in senso ampio, campo primario e indispensabile dell’attività economica, e poi con l’industria, diciamo così, semplicemente. Qui però, il lavoro diventa sempre più “meccanizzato” e nasce il pericolo che l’uomo, il quale ha progettato e realizzato gli strumenti della tecnica, ne venga asservito. Occorre dunque chiarire il rapporto tra l’uomo e la tecnica (cf. LE 5).

10.  In effetti pure nell’epoca di un lavoro sempre più moderno e avanzato, la Dottrina Sociale della Chiesa attesta che il soggetto proprio del lavoro rimane l’uomo. La tecnica, certo intesa come “un insieme di strumenti dei quali l’uomo si serve nel proprio lavoro”, è sicuramente un suo alleato, perché facilita, perfeziona e accelera il lavoro, aumentando i prodotti. Essa comunque può diventare avversa quando toglie ogni soddisfazione personale, lo stimolo alla creatività e alla responsabilità, oppure sottrae l’occupazione a molti o addirittura esalta la macchina e riduce l’uomo ad essere suo servo.

11.  L’uomo, “immagine di Dio”, è invece persona, essere capace di agire razionalmente e di decidere di sé, della propria realizzazione. Per questo e in tal senso deve “soggiogare la terra”. Come persona, dunque, l’uomo è soggetto del lavoro e le varie azioni che egli compie, indipendentemente dal tipo di attività, devono portare alla realizzazione della sua umanità, all’adempimento della vocazione ad esser persona. Non è dunque il genere di lavoro che si fa a determinare il suo valore, ma il fatto che chi lo attua è persona. La dignità del lavoro incontra quindi la sua base non nella dimensione oggettiva ma in quella soggettiva (cf. LE 6).

12.  Il più eloquente “Vangelo del lavoro”, del resto, cioè un suo lieto annuncio, è il fatto che “Colui, il quale essendo Dio è divenuto simile a noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere” (LE 6). Ancora, l’enciclica Redemptor Hominis (n. 8) afferma che il Figlio stesso di Dio, unito in certo modo a ciascuno di noi, “ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo”.Ciò conferma magnificamente che “il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso, il suo soggetto”. Di conseguenza, anche se “l’uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, … prima di tutto il lavoro è ‘per l’uomo’ e non l’uomo ‘per il lavoro’” (LE 6).

13.  Non è pertanto giusto considerarlo, compiuto da persona umana, come un qualsiasi altro fattore di produzione (per esempio la terra o il capitale). La peculiare dignità del lavoro, conferita dalla soggettività umana, impedisce infatti di vederlo quasi una semplice “merce” da vendere al datore di lavoro, o elemento impersonale dell’organizzazione produttiva. Così “qualsiasi forma di materialismo o di economicismo che tentasse di ridurre il lavoratore a mero strumento di produzione, a semplice forza-lavoro, a valore esclusivamente materiale, finirebbe per snaturare irrimediabilmente l’essenza del lavoro privandolo della sua finalità più nobile e profondamente umana. La persona è il metro della dignità del lavoro” (cf. Compendio, n. 271, p. 151).

14.  La menzionata errata considerazione del lavoro umano porta a gravi ingiustizie, indegne dell’uomo, quali lo “sfruttamento nel campo dei guadagni, delle condizioni di lavoro e di previdenza per la persona del lavoratore”. E’ sistema perciò “di ingiustizia e di danno” (LE 8) che clama al cielo (cf. Dt 24,15; Gc 5,4; e anche Gen 4,10). Questo abuso gravissimo è incoraggiato da sistemi socio-politici che non tengono in dovuta considerazione i diritti dell’uomo sul lavoro, reputandolo – come dicevamo – soltanto uno strumento di produzione, mentre il capitale è visto come “il fondamento, il coefficiente e lo scopo della produzione” (cf. LE 8).

15.  Varrebbe la pena quindi di tornare a riflettere in profondità sul rapporto tra lavoro e capitale. Oggi, per es., il termine “capitale” naturalmente può indicare i mezzi di produzione nell’impresa, certo, ma ancora le risorse finanziarie impegnate in un’iniziativa produttiva, o anche in operazioni in borsa. Ma si parla altresì, benché in modo improprio e fuorviante, di “capitale umano”, per significare gli stessi uomini con la loro capacità di lavorare, conoscere, creare, intuire le esigenze degli altri uomini, ecc. Oppure si fa allusione al “capitale sociale”, per indicare la capacità di collaborazione di una collettività. Occorre peraltro ribadire che il lavoro, per il suo carattere soggettivo, personale, è superiore ad ogni altro fattore di produzione, e questo principio vale, in particolare, rispetto al capitale, quale insieme dei mezzi di produzione. Il lavoro è cioè sempre causa efficiente primaria del processo stesso di produzione, mentre il capitale rimane solo strumento o causa strumentale. (cf. Compendio, n. 276-277). Di fatto “tutto ciò che è contenuto nel concetto di ‘capitale’ – in senso ristretto – è solamente un insieme di cose. L’uomo come soggetto del lavoro, ed indipendentemente dal lavoro che compie, l’uomo, egli solo, è … persona. Questa verità contiene in sé conseguenze importanti e decisive” (LE 12), lo ripetiamo.

16.  La Chiesa, con la sua opzione preferenziale, ma non esclusiva, per i poveri, è comunque impegnata ad essere solidale con i lavoratori, specialmente “là dove lo richiedono la degradazione sociale del soggetto del lavoro, lo sfruttamento dei lavoratori e le crescenti fasce di miseria e addirittura di fame” (LE 8). Questo perché i poveri sono in molti casi il “risultato della violazione della dignità del lavoro umano: sia perché vengono limitate le possibilità del lavoro – cioè per la piaga della disoccupazione -, sia perché sono svalutati il lavoro ed i diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia” (LE 8).

17.  La disoccupazione in epoca contemporanea, perciò, non è tanto frutto della mancanza di lavoro da compiere, bensì della difficoltà di avere accesso ad esso, come attesta con grande eloquenza l’enciclica Centesimus annus (n. 33):

“Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggioranza, non dispongono di strumenti che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale. Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base, che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate le loro qualità. Essi, insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per così dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza. … Ad essi di fatto non si riconosce dignità, e talora si cerca di eliminarli dalla storia mediante forme coatte di controllo demografico, contrarie alla dignità umana.”

18.  Tale Enciclica (CA 33) così continua, in denuncia del “dominio delle cose sugli uomini”:

“Molti altri uomini, pur non essendo del tutto emarginati, vivono all'interno di ambienti in cui è assolutamente primaria la lotta per il necessario … In altri casi è ancora la terra ad essere l'elemento centrale del processo economico, e coloro che la coltivano, esclusi dalla sua proprietà, sono ridotti in condizioni di semi-servitù. In questi casi si può ancora oggi … parlare di uno sfruttamento inumano. Nonostante i grandi mutamenti avvenuti nelle società più avanzate, …[il] dominio delle cose sugli uomini …[è] tutt'altro che scompars[o]; anzi, per i poveri alla mancanza di beni materiali si è aggiunta quella del sapere e della conoscenza, che impedisce loro di uscire dallo stato di umiliante subordinazione. Purtroppo, la grande maggioranza degli abitanti del Terzo Mondo vive ancora in simili condizioni….” Aspetti tipici …[di tale mondo], però, emergono anche nei Paesi sviluppati, dove l'incessante trasformazione dei modi di produrre e di consumare svaluta certe conoscenze già acquisite e professionalità consolidate, esigendo un continuo sforzo di riqualificazione e di aggiornamento. Coloro che non riescono a tenersi al passo con i tempi possono facilmente essere emarginati; insieme con essi lo sono gli anziani, i giovani incapaci di ben inserirsi nella vita sociale e, in genere, i soggetti più deboli e il cosiddetto Quarto Mondo. Anche la situazione della donna in queste condizioni è tutt'altro che facile.”

19.  In fine, non possiamo dimenticare l’alienazione, contro la quale Giovanni Paolo II mette in guardia così: “Essa si verifica anche nel lavoro, quando è organizzato in modo tale da «massimizzare» soltanto i suoi frutti e proventi e non ci si preoccupa che il lavoratore, mediante il proprio lavoro, si realizzi di più o di meno come uomo, a seconda che cresca la sua partecipazione in un'autentica comunità solidale, oppure cresca il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione, nel quale egli è considerato solo come un mezzo, e non come un fine” (CA 41). L’alienazione non si verifica dunque soltanto nelle varie forme di sfruttamento classico come il lavoro nero, o minorile, o sottopagato, che purtroppo continuano ad esistere, ma anche a nuove forme di sfruttamento quali il super-lavoro, il lavoro-carriera, l’eccessiva flessibilità del lavoro, che rendono l’uomo suo schiavo, togliendo ad esso altre dimensioni necessarie nella vita umana, quali sono le relazioni familiari, la salute, ecc. 

Siamo all’ultimo gradino del nostro procedere, cioè a

III. Le migrazioni

20.  Tra i problemi connessi all’odierno processo economico, in cui – come abbiamo detto – il fattore decisivo di produzione è l’uomo stesso, “cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, … di organizzazione solidale, … di intuire e soddisfare il bisogno dell’altro” (CA 32), Giovanni Paolo II ricorda anzitutto la migrazione dai piccoli centri rurali alle grandi città, cioè quella interna ad un Paese. Ecco le parole del Papa: “Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi nuovi e ben rispondenti ai bisogni, che prima essi solevano fronteggiare con forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di un'opulenza ostentata, ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla necessità, questi uomini affollano le città del Terzo Mondo, dove spesso sono culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà, senza possibilità di integrazione” (CA 33).

21.  Oggi specialmente, peraltro, le migrazioni non si limitano ai soli movimenti interni ai vari Paesi, dai villaggi rurali alle grandi metropoli, con conseguente urbanizzazione galoppante e deleteria. Ormai la ricerca di lavoro, per provvedere alle proprie necessità e a quelle della famiglia, o per migliorare le proprie condizioni di vita, porta sempre più uomini e donne a varcare le soglie delle loro Nazioni, con o senza autorizzazione dei Paesi di destino, sicché praticamente tutti gli Stati ormai sono “toccati” dal fenomeno migratorio, come terra di origine, di transito e/o di destino dei migranti. Le difficoltà individuate da Giovanni Paolo II per le migrazioni interne permangono, certo, ma addirittura si intensificano, se pensiamo al livello internazionale. Naturalmente ci sono altre cause di emigrazione, quali i costi sempre più bassi dei trasporti, una migliore comunicazione, ed inoltre le violenze, i conflitti e le guerre, le violazione di diritti umani, oltre al grande divario tra Paesi ricchi e poveri, ecc.

22.  Appare qui la questione etica della ricerca di un nuovo ordine economico mondiale – come attesta la nostra ultima Istruzione Erga migrantes caritas Christi, del maggio scorso – “per una più equa distribuzione dei beni della terra, che contribuirebbe … a ridurre e moderare i flussi … delle popolazioni in difficoltà” (EMCC 8). Ciò richiede una nuova visione “della comunità mondiale, considerata come famiglia di popoli, a cui finalmente sono destinati i beni della terra, in una prospettiva del bene comune universale” (EMCC 8). E per beni della terra non ci fermiamo, naturalmente, a quelli che il suolo produce.

23.  Vari sono comunque i modi in cui i lavoratori migranti possono entrare in un Paese regolarmente. Tra questi ricordiamo (cf. Fair Deal, Cap 1.4, n. 29):

- la migrazione permanente, principalmente per i migranti altamente qualificati, per le riunificazioni familiari o per il reinsediamento di rifugiati;

- inoltre, v’è la migrazione temporanea per vari tipi di impiego e di lavoro. Mi riferisco ai cosiddetti “lavoratori ospiti” in occupazioni non appetibili per i lavoratori locali ed infine

- la migrazione temporanea prodotta da impiego in lavori stagionali o a tempo determinato (è il caso dei lavoratori in progetti di costruzione o nei servizi, degli apprendisti e degli studenti esteri).

24.  Un recente rapporto della Organizzazione Internazionale del Lavoro, già citato (cf. Fair Deal, Capitolo 1), indica alcune tendenze del presente fenomeno migratorio per motivi di lavoro. Eccole:

- Dagli ultimi dati ufficiali pubblicati si stima che sono circa 81 milioni i lavoratori migranti nel mondo (rifugiati esclusi), di cui il 34% si trova in Europa, il 27% in Asia, il 25 % in America del Nord, il 7% in Africa, il 4% in Oceania e il 3% nei Paesi latino-americani e dei Caraibi.

- I lavoratori migranti, provenienti dai Paesi in via di sviluppo, svolgono tutti i tipi di lavoro, ma la maggioranza è concentrato al fondo della classifica, con impegno in occupazioni diciamo “sporche, pericolose e difficili”, le quali tendono a essere “lavori per immigrati”. 

- La maggioranza (3/4) dei lavoratori professionisti, altamente qualificati, si spostano invece da un Paese ricco all’altro, soprattutto attraversando l’Atlantico, in cerca di salari più alti o di migliori opportunità professionali. I restanti passano da Paese a Paese di nuova industrializzazione in Asia orientale. Un numero significativo di essi, comunque, si trasferisce in Nazioni più poveri, accompagnando investimenti stranieri, contribuendo così al loro sviluppo.

- I Paesi di destino generalmente accolgono volentieri i lavoratori altamente qualificati. L’Australia, gli Stati Uniti e il Canada hanno, per esempio, un sistema di immigrazione che facilita l’ingresso di tali professionisti dai luoghi in via di sviluppo. Inoltre gli Stati Uniti concedono visti temporanei per lavoratori richiesti “formalmente” dai loro datori di lavoro, anche se dopo l’undici settembre le cose sono in parte cambiate. Molti Paesi europei, poi, impiegano lavoratori stranieri nel campo della sanità (medici, infermieri/e).

- Considerando l’elemento femminile delle migrazioni, si nota che la proporzione di donne in relazione al numero totale dei migranti è cresciuta dal 47%, nel 1960, al 49%, nel 2000. Le cause sono le più varie. In vari Paesi l’immigrazione regolare è consentita solo per motivi di riunificazione familiare, per cui le mogli dei lavoratori stranieri già presenti in un luogo li raggiungono. Aumentano però anche le donne capofamiglia che cercano occupazione all’estero. Nei Paesi in cui la popolazione sta invecchiando, c’è poi una crescente richiesta per lavoratrici nel campo della sanità, mentre in quelli in rapido sviluppo le famiglie tendono ad impiegare lavoratrici domestiche.  

- V’è altresì una tendenza abbastanza generale verso la femminizzazione della forza-lavoro, soprattutto nelle fabbriche e nei servizi, che ha un riflesso in quella immigrata. Tale tendenza è più evidente in Asia, dove centinaia di migliaia di donne emigrano ogni anno per lavorare in impieghi sia di alta che di bassa qualificazione. La maggioranza lavora comunque nel settore domestico e dello spettacolo, ma anche in qualità di infermiere o insegnanti. I principali Paesi di origine sono l’Indonesia, le Filippine, lo Sri Lanka e la Tailandia, mentre i più importanti luoghi di destinazione risultano essere Hong Kong, la Malesia, Singapore e il Medio Oriente. Vi fornisco un dato che riguarda le Filippine, e cioè circa il 61% dei partiti per l’estero, nel 1998, con un primo contratto di lavoro, erano donne. In Indonesia, invece, lo erano il 78% degli emigrati ufficialmente considerati, nel periodo 1996-97. Ancora, dei circa 858.000 emigranti dallo Sri Lanka, nel 2000, 590.420 erano di genere femminile, con maggioranza impiegata nel settore domestico (90% nel Medio Oriente). 

- Si calcola infine che, nel mondo, circa il 10-15% dei migranti si trova in situazione irregolare. Nel 2000 le Autorità degli Stati Uniti calcolavano, in effetti, tra i 7 e gli 8 milioni gli immigrati irregolari nel loro territorio. Nello stesso anno si presumeva tali, in Europa, circa 3,3 milioni di persone, mentre nella Federazione Russa si stimava la presenza di circa 5 milioni di stranieri con stato legale non ben definito, di cui, comunque, 1,5 milioni erano gli individui indubbiamente non autorizzati.

- La migrazione irregolare non si limita però ai soli Paesi ricchi – notiamolo –. Nel 2004, in Argentina, probabilmente vi erano 800.000 immigrati irregolari, provenienti soprattutto dalle Nazioni limitrofe. In Asia, Africa e America Latina, molti Stati poi hanno estese frontiere facilmente valicabili, con conseguenze che si possono ben immaginare, per cui le migrazioni che le valicano sono considerate “informali”, dato che le Autorità, a conoscenza del fenomeno, lo tollerano. 

Motivi possono esserne l’impossibilità di effettuare i controlli necessari lungo tutta la frontiera, oppure la consapevolezza che tale movimento può risultare utile a certi gruppi o comunità locali. V’è poi, forse, l’aspetto, in America, della “patria latino-americana”.

25.  In ogni modo, qualunque sia la causa dell’emigrazione o la condizione di impiego, il migrante resta “persona”, soggetto di lavoro, con dignità nel suo operare onesto, qualunque sia il tipo di attività che egli intraprende, e il suo grado di preparazione professionale o qualifica lavorativa. E anche qui si applica quanto asserito in precedenza, permanendo tale “soggettività”, indipendentemente dalla sua situazione legale o meno. Lo riconosce anche la Convenzione Internazionale per la Protezione dei Diritti di tutti i Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie, entrata in vigore il primo luglio 2003, la quale salvaguarda i diritti umani e lavorativi di tutti i lavoratori migranti – lo dice la denominazione –, inclusi coloro che non possiedono regolare documentazione. Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha vivamente incoraggiato la ratifica di tale Convenzione, o l’accessione ad essa da parte dei Paesi che non l’abbiano ancora fatto (Angelus Domini del 6 luglio 2003). Vale la pena ricordare purtroppo, a questo riguardo, che mancano all’appello i maggiori Paesi di destino delle migrazioni.

26.  La Chiesa, inoltre, ha raccomandato e raccomanda la ratifica di tutti gli strumenti legali che proteggono i diritti dei migranti e delle loro famiglie, nonché la loro osservanza, naturalmente. Grazie alle sue Istituzioni e Associazioni competenti, essa offre altresì quell’advocacy di cui non si può prescindere oggi. In effetti molti lavoratori migranti svolgono la loro attività in povere condizioni di lavoro e di vita, con contratti a breve termine, spesso senza assicurazioni mediche e sociali. Sono soggetti, cioè, a diverse forme di abusi e frequentemente risultano vittime di reclutamento illegale se non addirittura del traffico di esseri umani (cf. EMCC 6).  

27. Continuo citando la nostra recente “Istruzione” ed attesto che di fronte al fenomeno migratorio odierno nessun Paese ormai può pensare di risolvere da solo i problemi ad esso connessi. Le misure puramente restrittive si rivelano poi largamente inefficaci, diventando persino causa dell’aumento degli ingressi irregolari, o addirittura favorendo l’attività criminale organizzata a scapito della sicurezza dei migranti (cf. EMCC 7). La cooperazione internazionale è dunque chiaramente indispensabile per “salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate, e al tempo stesso quelli delle società di arrivo dei migranti stessi” (EMCC 8). In questa linea, che è pastorale, va il pensiero e l’opera del nostro Pontificio Consiglio della Pastorale, appunto, per i Migranti e gli Itineranti che cristallizza la sollecitudine della Chiesa a livello universale per la mobilità umana, di cui le migrazioni sono una fondamentale espressione.

28.  Non è superfluo, ormai alla fine del nostro intervento, spendere una parola sul complesso processo di integrazione che attende gli immigrati. Come Giovanni Paolo II afferma nel Suo Messaggio in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2005, celebrato ieri, nella Chiesa universale, l’integrazione – che è meta del processo migratorio – non è “assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale”, ma è opera d’evoluzione prolungata in cui il migrante si impegna “a compiere i passi necessari all’inclusione sociale, quali l’apprendimento della lingua nazionale e il proprio adeguamento alle leggi e alle esigenze del lavoro, così da evitare il crearsi di una differenziazione esasperata.” Contemporaneamente, risulta necessario “riconoscere la legittima pluralità delle culture presenti in un Paese, compatibilmente con la tutela dell’ordine da cui dipendono la pace sociale e la libertà dei cittadini”. Bisogna dunque cercare “un giusto equilibrio tra il rispetto dell’identità propria e il riconoscimento di quella altrui”. Infatti, “la via da percorrere è quella della genuina integrazione, in una prospettiva aperta, che rifiuti di considerare solo le differenze tra immigrati ed autoctoni … Ovviamente occorre coniugare il principio del rispetto delle differenze culturali con quello della tutela dei valori comuni irrinunciabili, perché fondati sui diritti umani universali.Scaturisce di qui quel clima di ‘ragionevolezza civica’ che consente una convivenza amichevole e serena”.

29.  La generale progressiva femminizzazione della forza-lavoro, di cui si parlava in precedenza, rende necessario altresì un richiamo alla necessità del “riconoscimento e [della] tutela dei diritti delle donne nel contesto lavorativo”. In esso, il lavoro va organizzato in modo da “tener conto della dignità e della vocazione della donna”. La sua vera promozione “esige che il lavoro sia strutturato in tal modo che essa non debba pagare la sua promozione con l’abbandono della famiglia, nella quale ha come madre un ruolo insostituibile”. Su ciò si misura “l’effettiva tutela del diritto al lavoro delle donne” (Compendio 295). Le molte forme di discriminazione nei loro riguardi e in quelli degli immigrati nel mondo del lavoro penalizzano doppiamente le lavoratrici immigrate, per cui a loro favore va applicata – direi – una doppia tutela. 

IV. Conclusione

30.  I più recenti interventi pontifici, per non parlare del Concilio Vaticano II (v. sintesi per noi in EMCC 21-23) hanno ribadito e ampliato gli orizzonti e le prospettive pastorali in relazione al fenomeno migratorio, per cui concludo ricordando che, pure in questo settore, l'uomo è la via della Chiesa. Nell’enciclica Redemptor Hominis (n. 14), Giovanni Paolo II così affermava: “L’uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale – nell’ambito della propria famiglia, …[e] di società e di contesti tanto diversi, nell’ambito della propria nazione, o popolo, …[e] di tutta l’umanità –, quest’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa ..., via che corre, in un certo modo, alla base di tutte quelle vie, per le quali deve camminare la Chiesa … perché con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando …[egli] non è di ciò consapevole”.

Si parla di ogni uomo e ogni donna, e dunque anche del lavoratore migrante che è “strada”, “via” della Chiesa. Lo dev’essere ancor più per il nostro Pontificio Consiglio della Pastorale della Mobilità Umana che ho avuto la gioia qui di rappresentarvi questa sera. Grazie!

 

Abbreviazioni e Sigle

CA - Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II Centesimus Annus

CCC - Catechismo della Chiesa Cattolica (1992)

Compendio - Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Città del Vaticano, 2004

EMCC - Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Istruzione Erga migrantes caritas Christi (2004)

Fair Deal - Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO), International Labor Conference Report VI, Towards a fair deal for Migrant Workers in the global economy, Ginevra, 2004

LE - Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II Laborem Exercens

Patto - Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966

PG - Migne, Patrologia Greca

RH - Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II Redemptor Hominis

RN - Lettera Enciclica di Leone XIII Rerum Novarum 

art. - articolo

cap. - capitolo

cf. - confronta

Intro - Introduzione

 

Work, its Dignity, and Migration.

Summary

The author, first of all, presents the concept of work that characterises and distinguishes man from other creatures. The Holy Scriptures and the teaching of the Church give us a combined vision, derived not only from creation but also from redemption. Work, then, is a right (as is the weekly rest day) and also a duty for personal, family and community reasons.

The second step in the procedure of the author is the dignity of human work. Man, image of God, is disposed to work; and in the various actions that he performs, his humanity and the fulfillment of his vocation as a human being must be acknowledged, independently of the type of work done. It is not just, therefore, to consider the work done by men and women as any other factor of production. It would thus be worthwhile to turn and reflect deeply on the relationship between work and capitalism. The Church, with its preferential but not exclusive option for the poor, is consequently committed to solidarity with workers.

Lastly, the author confronts the subject of work in the migratory context, with ample references to the recent Instruction Erga migrantes caritas Christi (No 6-7-8 and 21-25) and to a document, “Fair Deal”, of the International Labour Organization. In this one perceives that there is a fairly general tendency today towards the feminisation of the workforce, from which there follow consequences. It also reveals that 10-15% of immigrants find themselves in irregular situations. In any case, whatever is the cause of emigration or the condition of employment, the migrant remains “a person”, a subject on work, with dignity (in ang honest activity), using his degree of professional preparation or work qualifications. Finally there is a reminder of the International Convention for the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Their Families, as well as to the Holy Father’s appeal to the States to ratify it. It is not to be forgotten that man, every man and woman, is the “way of the Church”.

Le travail, sa dignité, et les migrations 

Résumé 

L’Auteur présente avant tout le travail comme une caractéristique qui distingue l'homme du reste des créatures, selon ce qui est dit dans les Saintes Ecriture et le Magistère de l'Eglise, dans une double vision dérivant de la création mais aussi de la Rédemption. Le travail constitue un droit des (au même titre que le repos, les jours de fête) ainsi qua un devoir pour des raisons personnelles, familiales et communautaires.

La deuxième étape du discours de l'Auteur porte sur la dignité du travail. L’homme, image de Dieu, est sujet du travail et les diverses actions qu'il accomplit, indépendamment du type d'activité menée, doivent porter à la réalisation de son humanité, à l'accomplissement de sa vocation en tant que "personne". Il n'est donc pas juste de considérer le travail accompli par l'homme et par les femmes comme n'importe quel facteur de production. Aussi vaudrait-il la peine que l'on recommence à réfléchir profondément sur le rapport entre travail et capital. L'Eglise, par son option préférentielle, mais non exclusive, en faveur des pauvres, est de toute façon engagée dans la solidarité en faveur des travailleurs.

Enfin, l'Archevêque Marchetto affronte le problème du travail dans le contexte migratoire, en se référant amplement à la récente instruction Erga migrantes caritas Christi (No. 6-7-8 et 21-23) ainsi qu'au Document (“Fair Deal”) de l’Organisation Internationale du Travail. La tendance générale est que l'on va aujourd'hui vers une féminisation de la force travail a ses consequences, sans compter que 10 - 15% des immigrés se trouvent en situation irrégulière. Cela dit, en dépit des raisons de son émigration ou de la condition de son emploi, le migrant reste une "personne" à part entière, sujet de travail, investi de toute sa dignité de travailleur honnête, au delà même de l'activité entreprise ou de son degré de préparation professionnelle et de sa qualification. L'Auteur rappelle aussi les clauses de la Convention Internationale en faveur de la protection des droits de tous les travailleurs migrants et des membres de leurs familles, et fait mémoire de l'appel pontifical aux Etats afin qu'ils y adhèrent. Il ne faut pas oublier, en fin, que l'homme, n'importe quel homme ou femme, est la voie de l'Eglise. 


* Conferenzatenutaal “Gruppo Impegno Socio-Politico”, Bassano del Grappa (VI), il 17/I/05

 

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