Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the MoveN° 97, April 2005
Integrazione interculturale:una sfida per lEuropa cristiana*
S.E. Mons. Agostino Marchetto Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
1. Nel 2001, dichiarato dalle Nazioni Unite Anno internazionale del dialogo fra le civiltà, Giovanni Paolo II invitava tutti i credenti in Cristo e tutti gli uomini di buona volontà a riflettere sul dialogo tra le differenti culture e tradizioni dei popoli. Tale infatti era il tema del Suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quellanno, e lo indicava come la via necessaria per l'edificazione di un mondo riconciliato, capace di guardare con serenità al proprio futuro. 2. In effetti, la presenza di persone di differenti culture e civiltà che vivono e interagiscono nello stesso territorio diventa sempre più frequente. Tale realtà, di cui la causa più dimmediato evidente è laccelerazione del fenomeno migratorio, pone problemi che vanno affrontati con saggezza. Qualunque sia infatti il motivo che induce una persona a lasciare la terra natìa per vivere, almeno per un certo tempo, in altro luogo, essa troverà inevitabilmente la nuova patria diversa dalla società in cui aveva sempre vissuto e operato: vale a dire si incontrerà-scontrerà con un modo differente di vedere e trattare le cose, una maniera diversa di reagire alle situazioni, con valori non sempre uguali e unaltra lingua. E se i nuovi arrivati sono centinaia di migliaia, provenienti dai luoghi più disparati, nessuno rimarrà indifferente di fronte alle culture altrui, diverse dalla propria, sia egli immigrato che autoctono. 3. A questo punto ci sia permesso richiamare, in breve, la situazione migratoria in Europa continente oggetto della nostra riflessione di oggi , a conferma della vastità di tale fenomeno e per renderci conto del caleidoscopio di culture qui presenti attualmente. Ho scelto solo pochi Paesi, ad illustrandum, ma potrete conoscere il tutto consultando lultimo rapporto (del 2003) della Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Così osserviamo che la Germania, con popolazione totale di circa 82 milioni, ospita sono cifre arrotondate 1,9 milioni di turchi, 609 mila italiani, 592 mila Serbi e Montenegrini, 359 mila greci, 318 mila polacchi, 231 mila croati, 189 mila austriaci, 164 mila bosniaci, 156 mila russi, 131 mila portoghesi e 128 mila spagnoli. Vi abitano inoltre, in minor numero, olandesi, statunitensi, francesi, britannici ed altri. La Danimarca, invece, per fare un altro esempio, con popolazione totale di 5,3 milioni di abitanti, è Paese di destino di 35 mila persone provenienti dallex-Iugoslavia, 33 mila turchi, 16,5 mila iracheni, 14,6 mila somali, 13 mila norvegesi, appena 13 mila tedeschi e quasi altrettanti britannici, 11 mila svedesi e, ancora, pakistani, afgani, islandesi, polacchi, statunitensi, thailandesi, srilankesi, ecc., ecc. Venendo ora allItalia, per finire, con popolazione totale di circa 57 milioni e mezzo di cittadini, costatiamo che vi sono accolti 158 mila marocchini, 144 mila albanesi, 75 mila romeni, 64 mila filippini, 57 mila cinesi, 47 mila tunisini sempre arrotondando le cifre , 44 mila statunitensi, 37 mila cittadini dellex-Yugoslavia, 36 mila tedeschi, 35 mila senegalesi e altri 35 mila srilankesi. Siamo inoltre un approdo anche per polacchi, indiani, peruviani ed egiziani. 4. Certo, in genere, ogni nazionalità rappresenta una cultura, giacché essa si riflette, in modo più o meno rilevante, nelle persone che ne sono portatrici, in un dinamismo continuo di influssi subìti dai singoli soggetti umani e di contributi che questi, secondo le loro capacità e il loro genio, danno alla loro cultura (così leggiamo sempre nel Messaggio della Pace 2001, al n. 5). Ogni persona, infatti, è segnata dalla cultura che respira attraverso la famiglia e i gruppi umani con i quali entra in relazione, attraverso i percorsi educativi e le più diverse influenze ambientali, attraverso la stessa relazione fondamentale che ha con il territorio in cui vive (ibid.). Tale processo, però, è dinamico, dove non cè alcun determinismo, ma una costante dialettica tra la forza dei condizionamenti e il dinamismo della libertà. La cultura dunque, espressione delluomo e della sua vicenda storica, sia a livello individuale che collettivo (ibid.), non è qualcosa di fisso ma è aperta a modifiche, grazie alle esperienze vissute. 5. I contatti tra le varie culture, perciò, necessariamente portano a una certa interculturalità, anche se lincontro tra persone di cultura diversa spesso può innescare un conflitto didentità. Il nuovo ambiente rende, cioè, limmigrato più consapevole di chi egli è, dei valori propri, di ciò che dava senso alla sua vita nella società dorigine. Gli autoctoni, da parte loro, sono messi a confronto con lidentità altrui. Occorre dunque trovare il giusto equilibrio tra il rispetto dellidentità propria e il riconoscimento di quella altrui (Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2005, n. 2). Così, da un lato, occorre saper apprezzare i valori della propria cultura, dallaltro è necessario riconoscere che ogni cultura, essendo un prodotto tipicamente umano e storicamente condizionato, implica necessariamente anche dei limiti (Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace 2001, n. 7). 6. Da qui dunque la necessità di riconoscere la legittima pluralità delle culture presenti in un Paese, compatibilmente con la tutela dellordine da cui dipendono la pace sociale e la libertà dei cittadini (GMMR 2005, n. 2). Conoscere infatti le altre culture, serenamente e senza pregiudizi, è un sicuro antidoto contro la chiusura che può portare, da una parte, alla formazione di ghetti o allemarginazione delle minoranze, o, dallaltra parte, alla loro assimilazione, spingendole a sopprimere o dimenticare la propria identità culturale, diventando quasi copie della popolazione locale. Su questo punto mi permetto di rimandare al mio intervento in occasione della presentazione del Messaggio Pontificio della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di questanno (v. LOsservatore Romano del 9-10 dicembre 2004), in cui mettevo in evidenza laspetto interculturale nella Istruzione nostra Erga migrantes caritas Christi, del maggio scorso. 7. Ma quale deve essere allora il rapporto tra la cultura della maggioranza e le culture delle minoranze? La via da percorrere afferma Giovanni Paolo II ancora per tale Giornata (n. 2) è quella della genuina integrazione, in una prospettiva aperta, che rifiuti di considerare solo le differenze tra immigrati ed autoctoni. Si mira, infatti, a formare, con il contributo di tutti, società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini (GMMR 2005, n. 1). Le culture, del resto, appaiono espressioni storiche varie e geniali delloriginaria unità della famiglia umana ed occorre salvaguardare sia le loro peculiarità che la loro reciproca comprensione e comunione, secondo il modello di Dio Uno e Trino (cf. GP 2001, n. 10). Avviene così un arricchimento reciproco e la società si trasforma in un mosaico, dove ogni cultura ha il suo posto nel comporre una figura sempre più bella, nella molteplicità delle culture, secondo il primordiale disegno dunità della famiglia umana (cfr. ibid.). 8. Quando si parla di integrazione ed essa dovrebbe essere progressiva molti pensano che limmigrato sintegra adattandosi al modello di vita locale, fino a diventare come tutti gli altri, a volte quasi trascurando le proprie radici culturali. In fondo verrebbe dunque assimilato e non integrato. I giovani immigrati sono del resto generalmente più attratti da questo tipo di inserimento, ma non sempre. Il problema è che tale assimilazione rappresenta in fondo un impoverimento anche della società daccoglienza, perché il contributo culturale e umano dellimmigrato al tutto nazionale viene così minimizzato se non distrutto. Senzaltro i migranti devono fare i passi necessari per essere inclusi socialmente nella società di destino, con lapprendimento della lingua nazionale e ladeguamento alle leggi e alle esigenze del lavoro, così da evitare il crearsi di una differenziazione esasperata (GMMR 2005, n. 1), ma ciò va fatto rispettando leredità culturale che ognuno porta con sé, non scartandola, annientandola. 9. Può accadere invece che il contatto con il nuovo ambiente renda limmigrato più che mai consapevole della propria identità, e di ciò che essa comporta, e perciò si senta spinto a cercare compagnia e sicurezza tra coloro che provengono dalla medesima Nazione e cultura. Se così facendo, peraltro, egli non si apre pian piano alla realtà più vasta della società dapprodo, corre il pericolo di formare, insieme agli altri, un ghetto ed essere di conseguenza emarginato, in situazione quasi di apartheid spirituale. 10. Lintegrazione, infatti, progressiva, ripeto non è una strada a senso unico, non responsabilità solo dellimmigrato, ma anche della società di arrivo, che, a contatto con lui, come afferma il Santo Padre (cf. GMMR 2005, n. 1) scopre il suo segreto, cogliendone i valori della cultura. La vera integrazione quindi si realizza là dove linterazione tra gli immigrati e la popolazione autoctona non si verifica soltanto in campo economico-sociale, ma anche culturale. Ambedue le parti, comunque, devono essere disposte a farlo, giacché motore dellintegrazione è il dialogo (v. il filo rosso di tutti i documenti del nostro Dicastero, come appaiono in People on the Move, la nostra Rivista, del dicembre 2004, n. 96, pp. 37-51). 11. Qui entra in gioco la missione della comunità cristiana, chiamata a dare il proprio contributo, specifico, affinché i rapporti tra autoctoni e non siano caratterizzati da quel dialogo fra uomini di culture diverse, in un contesto di pluralismo, che vada oltre la semplice tolleranza e giunga alla simpatia (GMMR 2005, n. 3; cf. EMCC, n. 36). Ecco dunque il contesto in cui nasce latteggiamento cristiano verso lintegrazione, nel vero senso della parola. Esso implica mutua stima e simpatia, reciproco apprezzamento, con conseguente fecondazione delle culture, in un ambiente di autentica comprensione e benevolenza (ibid.). 12. Ai migranti e ai rifugiati, il V Congresso Mondiale della pastorale specifica ad essi relativa, tenutosi a Roma nel mese di novembre 2003, fa così un appello affinché aiutino i propri figli e nipoti nei loro sforzi verso una piena integrazione nel Paese di accoglienza, preservando nel contempo la loro identità culturale e perché apprezzino il Paese d'accoglienza e ne rispettino le leggi e lidentità culturale, fino ad amarlo. Al tempo stesso, il Congresso chiama la società civile e i singoli suoi membri ad apprezzare le origini culturali di ogni persona, e a rispettare le diverse abitudini culturali, nella misura in cui non contraddicano i valori etici universali inerenti al diritto naturale o ai diritti umani (Gli Atti sono pubblicati in People on the Move, N. 93 del dicembre 2003, e nel nostro sito internet: www.vatican.va Curia Romana Pontifici Consigli Pastorale per i Migranti e gli Itineranti Migranti Documenti del Dicastero ). 13. Lintegrazione è dunque un progetto a lungo termine, - è progressiva, come dicevamo - e coinvolge tanto i migranti quanto gli autoctoni in un clima di ragionevolezza civica, che consente una convivenza amichevole e serena (GMMR 2005, n. 3). E la prima volta notiamolo che il Magistero usa questa espressione: ragionevolezza civica. Quando si riconosce il benefico contributo che la presenza dellimmigrato con la sua cultura e i suoi talenti può donare alla società ospitante, egli stesso del resto è più motivato a cercare un alto grado di interazione con tale società di accoglienza. È allora che si verifica una sana integrazione interculturale. 14. Lidentità Europea e linterculturalità Entrando ora più profondamente nel nucleo del nostro tema si può anzitutto chiedere se lEuropa sia pronta ad affrontare la sfida di una tale integrazione interculturale, vale a dire se essa sia consapevole della sua identità e perciò atta a dialogare con le altre culture, senza perdere la propria. Cerchiamo quindi ora di definire, se possiamo, la cultura europea. 15. Nel suo saggio intitolato Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani, il Cardinale Joseph Ratzinger afferma che essa non è un continente afferrabile in termini geografici, ma piuttosto un concetto culturale e storico. A questo riguardo, egli segnala tre fondamentali svolte storiche che pure noi, come storici, accettiamo , e cioè, la prima, la dissoluzione del vecchio continente mediterraneo ad opera del Sacrum Imperium, collocato più verso nord, in cui si forma, a partire dallepoca carolingia, lEuropa come mondo occidentale-latino. Accanto a questo vè la continuazione della vecchia Roma, a Bisanzio, con il suo protendersi verso il mondo slavo. Il secondo passo è la caduta di Bisanzio e il conseguente spostamento, da una parte, dellEuropa verso nord e verso est, e perciò dellidea cristiana di Impero, e, dallaltra parte, linterna divisione dellEuropa in mondo germanico-protestante e latino-cattolico. Oltre a ciò, ci fu fuoruscita europea verso lAmerica. Il segnale, ben visibile, della terza svolta è la Rivoluzione francese: la storia non si misura più in base ad unidea di Dio ad essa precedente e che le dà forma. Lo Stato viene ormai considerato in termini puramente secolari, fondato sulla razionalità e sul volere dei cittadini. Per la prima volta in assoluto, nella storia, sorge lo Stato puramente secolare e si dichiara Dio stesso affare privato, che non fa parte della vita pubblica e della civile formazione del volere. E un nuovo tipo di scisma, nasce la divisione tra cristiani e laici. 16. Dal canto suo, lo storico Prof. Cesare Alzati, tenta di dare una definizione ad un altro concetto-chiave, per noi, per il nostro tema di oggi, quello della specificità europea nel contesto della civiltà, intesa, questa, come una categoria ... che attinge alla sfera culturale, e nella quale i vari aspetti dellattività delluomo, dalla elaborazione intellettuale alla creazione artistica, alle forme di vita istituzionalizzata, convergono in un insieme unitario e coerente, dotato di una sua irriducibile specificità (v. La Scuola Cattolica, 1994, p. 146). In questa luce, dunque, Alzati vede lEuropa apparirci come il comune spazio umano, in cui realtà originariamente assai diverse sono venute confluendo e, pur senza perdere la propria individualità, si sono inserite a pieno titolo in una più vasta Koiné, facendone propri gli ideali, gli orizzonti mentali, in una parola la Weltanschauung. Un processo più profondo, dunque, della casa comune europea a cui si è soliti riferirci. 17. Ma qual è la forza che ha reso popoli differenti, spesso antagonisti, cioè i latini e i germani, gli elleni e gli slavi, compartecipi di una medesima identità di fondo, di una specificità europea, nonostante le diversità di ceppo etnico-linguistico? Non ci sono dubbi per noi. Risulta evidente infatti che il Cristianesimo costituisce il comune humus in cui tutti questi popoli affondano le loro radici (ed ecco il terzo concetto chiave, le radici) e dal quale hanno tratto la linfa vitale che ha animato le rispettive culture. Per citare ancora il Prof. Alzati: E la fede cristiana, in effetti, che ha comunicato loro un medesimo patrimonio ideale, che ha loro donato un unico linguaggio, al di là delle diverse lingue, che ha insegnato loro le forme, anche istituzionali, per unarticolata e pur sinfonica convivenza; in altri termini, che ha suscitato in loro la comune civiltà. 18. Lunità culturale europea, prima ancora che quella economica e politica, va cercata dunque nelle sue radici, nei valori comuni, in quello stile di vita che ha un supplemento dumanità, identificante appunto la civiltà europea, radicata nellhumus cristiano. Giovanni Paolo II, allAngelus del 21 luglio 2003, definisce perciò il Cristianesimo elemento centrale e qualificante dellEuropa, un patrimonio che non va disperso. 19. E significativo qui ricordare che i Padri dellUnione Europea e mi si perdoni, se ho bisogno di scusarmi erano soprattutto tre grandi cattolici: il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer e litaliano Alcide De Gasperi. Per essi, dopo gli orripilanti orrori della II guerra mondiale, era chiaro che esiste una identità europea di cui fondamento e futuro è leredità cristiana. Risultava evidente, per essi, che le devastazioni naziste e leniniste-staliniste avevano origine nella demolizione della base popolare cristiana: era la superbia che non si sottometteva più al Creatore, bensì pretendeva creare da sé luomo, che si pensava migliore e invece giunse ad abissi di disumanità e scelleratezza infernale. 20. Accanto ai cattolici sopra indicati, vi sono comunque pure laici. Per Goethe la lingua materna dell'Europa è il Cristianesimo e anche per Kant il vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra civiltà. Marc Chagall era convinto che per secoli i pittori hanno intinto il loro pennello in quellalfabeto colorato della speranza che sono le sacre Scritture. Per lo stesso Francesco De Sanctis, spirito laico dell'Ottocento, la radice del nostro sentimento religioso, che è lo stesso sentimento morale nel senso più elevato, si trova altresì nel Cristianesimo. Concludiamo questa carrellata pur veloce di pensieri di grandi europei, sulle radici dellEuropa, con quello di T. S. Eliot per il quale senza Cristianesimo non ci sarebbe stato neppure un Voltaire o un Nietszche. Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta lanostra cultura, sene va il nostro stesso volto. 21. Perdere le radici cristiane dellEuropa equivarrebbe dunque a perdita della identità. Ebbene ciò che per Eliot era una ipotesi, per Giovanni Paolo II e il Primate della Chiesa ortodossa di Grecia, Sua Beatitudine Christodoulos, costituisce comune preoccupazione, come attesta la loro Dichiarazione congiunta, pronunciata proprio dallAreopago di Atene il 4 maggio 2001. Ci rallegriamo affermarono i due esponenti religiosi del successo e del progresso dellUnione Europea. Lunità del Continente europeo in ununica entità civile, senza tuttavia che i popoli componenti perdano la propria autocoscienza nazionale, le loro tradizioni e la loro identità, è stata unintuizione dei suoi pionieri (n. 6). La Dichiarazione, però, così continua: La tendenza emergente a trasformare alcuni Paesi europei in Stati secolarizzati senza alcun riferimento alla religione costituisce una regresso e una negazione della loro eredità spirituale. Siamo chiamati essi attestarono ad intensificare i nostri sforzi affinché lunificazione dellEuropa giunga a compimento. Sarà nostro compito fare il possibile perché siano conservate inviolate le radici e lanima cristiana dellEuropa (ibid.). 22. Preoccupa infatti la supina omologazione delle culture a modelli culturali del mondo occidentale che, ormai disancorati dal retroterra cristiano, sono ispirati ad una concezione secolarizzata o praticamente atea della vita e a forme di radicale individualismo (GP 2001, n. 9). Gli alti livelli raggiunti dalla moderna scienza e tecnologia tendono a generare infatti una cultura che vuol realizzare il bene delluomo facendo a meno di Dio. Ma la creatura afferma Giovanni Paolo II, citando il Concilio Vaticano II, senza il Creatore svanisce! Una cultura che rifiuta di riferirsi a Dio perde la propria anima e si disorienta, divenendo cultura di morte, come testimoniano i tragici eventi del secolo XX, e come stanno a dimostrare gli esiti nichilistici attualmente presenti in rilevanti ambiti del mondo occidentale (GP 2001, n. 9). 23. Perciò se lEuropa vuol essere se stessa deve riconoscere le sue radici cristiane. In effetti, il contributo della nostra fede alla vita e allautocoscienza dei popoli deve necessariamente procedere in senso autenticamente cristiano. Non li si orienta, quindi, a una rivendicazione chiusa e conflittuale della propria identità, ma piuttosto a conservarla e valorizzarla, promuovendo la comprensione reciproca e la pace, la riconciliazione e la collaborazione anche con popoli di matrici religiose e culturali diverse. Del resto, ogni cultura porta con sé valori radicati nella natura stessa della persona umana. Sono dunque valori in comune ad esse e si può puntare su tali valori universali per intavolare il dialogo tra le culture, strumento privilegiato per costruire la civiltà dellamore. 24. Certo ci sono differenze, anche importanti, nei valori che ogni gruppo culturale considera propri, ma sembra che sia in corso un processo di sviluppo, o evoluzione, afferma il noto Prof. Fukuyama che porta allaccoglienza dei valori sorti dallilluminismo occidentale, egli dice per esempio luguaglianza universale, i diritti umani, la democrazia politica, ecc., come parte del cammino verso la modernizzazione. Tali valori, ereditati per noi dalla cultura cristiana dellOccidente, sono caratterizzati da un certo universalismo per ora almeno potenziale egli attesta . Cristianesimo infatti, oggi specialmente, vuol dire universalismo, apertura, umanesimo, speranza nel futuro, ecumenismo, dialogo interreligioso, attenzione allambiente, riconoscimento della diversità nelluguaglianza, capacità critica, accettazione del pluralismo, tolleranza e solidarietà, messaggio di civiltà e potenza morale. 25. Certo, unidentità culturale non si può imporre. Anche le leggi, in tal senso, non sarebbero efficaci se non fondate nellethos della popolazione. Anzi sono naturalmente destinate a cambiare, se una cultura perdesse di fatto la capacità di animare un popolo e un territorio, diventando una semplice eredità custodita in musei o monumenti artistici e letterari (GP 2001, n. 15). E dunque necessario che lEuropa mantenga la sua anima, se vuole mantenere la sua identità, perché una cultura, nella misura in cui è veramente vitale, non ha motivo di temere di essere sopraffatta, mentre nessuna legge potrebbe tenerla in vita quando fosse morta negli animi (ibid.). 26. Ne abbiamo conferma dallagire dei discepoli di Cristo dei primi tempi. Essi, lungi dal dibattere su cosa fosse il cristianesimo, lo tradussero nella vita. Ne troviamo conferma nella lettura di J. Holzner, nel suo Le défi culturel chrétien selon Saint Paul, riedito or non è molto da Téqui (Parigi, 2002) dalloriginale Rings um Paulus. Holzner ricordiamo è lautore del famosissimo Paolo di Tarso, un vero bestseller scientifico. Ecco dunque la vera sfida della cultura cristiana oggi, quella posta ai credenti, i quali debbono essere capaci e disposti a tradurre nella vita il loro cristianesimo. 27. Tale concetto-sfida è stato ripreso anche recentemente dal Cardinale Camillo Ruini, nel suo discorso al VI Forum del progetto culturale sul tema: A quarantanni dal Concilio. Ascoltiamolo anche noi: Allinterno della Chiesa e della cultura cattolica, di fronte [alla] riscoperta dellidentità cristiana si registrano sensibilità e valutazioni differenziate: è frequente la denuncia dei rischi, certamente reali, che essa venga strumentalizzata e porti a uno snaturamento della fede autentica, a una sua riduzione a ideologia. Non sempre, pertanto, vengono percepite le opportunità che essa offre e le sfide che issa implica, sia culturali sia propriamente pastorali, e in ultima analisi a livello di fede vissuta (Il Regno, N. 960 del 1 gennaio 2005, p.28). 28. Se però teniamo presente continuava il Card. Ruini che la fede cristiana stessa, fin dalle sue origini, si rivolge certamente anzitutto al cuore e alla coscienza delluomo, ma ha anche unineliminabile dimensione pubblica, latteggiamento più congeniale allindole e alla missione del cristianesimo, oltre che meglio conforme alle necessità attuali dellItalia, come dellEuropa e dellintero Occidente, sembra piuttosto quello di rispondere positivamente alle richieste, implicite nel risveglio identitario, che la fede cristiana possa alimentare, in unottica non confessionale, ossia pienamente rispettosa della libertà religiosa e della distinzione tra Chiesa e Stato, una visione della vita e alcuni fondamentali valori etici che forniscano la base dellidentità delle nostre nazioni: si ha così, tendenzialmente, il superamento della fase storica del laicismo e del secolarismo. In questo contesto anche per la cultura cattolica lidea della laicità appare da sola del tutto inadeguata alla nuova congiuntura storica E essenziale [comunque] rendersi conto che la fede cristiana può svolgere in maniera efficace e duratura un simile ruolo pubblico solo se non si riduce a uneredità culturale del passato, ma è attualmente creduta e vissuta dalle persone concrete, nella sua verità e autenticità Vanno pertanto prese sul serio le preoccupazioni di strumentalizzazione e snaturamento della fede (ibid.). 29. Ma non vè Cristianesimo senza Chiesa e concludiamo . A questo riguardo, per fugare nuovi timori e antichi ricordi negativi nelle relazioni Chiesa e Stato, basterà ricordare che e lo ha ripetuto il Santo Padre nella sua recente allocuzione al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede la Chiesa sa ben distinguere, come suo dovere, ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cf. Mt 22,21); essa coopera attivamente al bene comune della società, perché ripudia la menzogna ed educa alla verità, condanna lodio e il disprezzo ed invita alla fratellanza; essa promuove ovunque sempre come è facile riconoscere dalla storia le opere di carità, le scienze e le arti. Essa chiede soltanto libertà, per poter offrire un valido servizio di collaborazione con ogni istanza pubblica e privata preoccupata del bene delluomo (n. 8). Integración intercultural: un reto para la Europa cristiana Resumen Mirando al Año internacional [proclamado por las Naciones Unidas] del diálogo entre civilizaciones y al correspondiente discurso del Santo Padre a los Diplomáticos acreditados ante la Santa Sede, en el que se invitaba a reflexionar sobre el diálogo entre las diferentes culturas y tradiciones de los pueblos, el Arzobispo Secretario afronta aquí el tema intercultural, fruto de los contactos entre las varias culturas que caracterizan la identidad de los emigrantes. De aquí la necesidad de encontrar el justo equilibrio entre respeto a la identidad propia (del autóctono) y el reconocimiento de la del otro. En el fondo, es la cuestión de la genuina y progresiva integración que no asimilación de los emigrantes en la sociedad de acogida. Las culturas del resto aparecen como expresiones históricas varias y geniales de la originaria unidad de la familia humana que deben entrar en diálogo (este es justamente el hilo conductor afirma Mons. Marchetto de todos los últimos documentos de nuestro Dicasterio). Aquí entra también en juego la comunidad cristiana y la "racionalidad cívica", que consiente una convivencia amigable y serena. Es un término nuevo pero importante la tal "racionalidad cívica", para poder llegar a una sana integración intercultural. El Arzobispo afronta, después, el tema de la identidad europea y el de la interculturalidad, inclinándose a considerar a Europa más como un concepto cultural, histórico, de civilización, que como continente. Europa se abre puessiguiendo el pensamiento del historiador Prof. Alzati "como un común espacio humano en el que realidades bastantes diversas han ido confluyendo y que, sin perder la propia individualidad, se han ido insertando, a título pleno, en una más vasta Koiné, haciendo propios los ideales, los horizontes mentales, en una palabra, la Weltanschauung". Ahora bien, esta misma identidad de fondo, tal especificidad europea, su humus profundo, no son otra cosa que el Cristianismo. Como dice Kant, es en fin "el Evangelio la fuente de la que mana nuestra civilización", o como atesta T. S. Eliot: "Si el Cristianismo desaparece, también toda nuestra cultura desaparece, y con ella nuestro propio rostro". Es cierto, con todo, que la identidad cultural no se puede imponer y no debe ser una herencia custodiada en museos o monumentos artísticos y literarios, sino realidad viva, con una inalienable dimensión pública. Mons. Marchetto concluye recordando que no existe Cristianismo sin Iglesia, pero "una Iglesia que sabe distinguir bien como es su deber lo que es de César y lo que es de Dios". Es cuanto Juan Pablo II recuerda (n. 8) en su alocución de comienzo de este año al Cuerpo Diplomático acreditado ante la Santa Sede. Intercultural Integration: A Challenge for Christian Europe Summary Referring to the International Year of the Dialogue between Civilizations (proclaimed by the United Nations) and to the relative discourse of the Holy Father to the diplomats accredited to the Holy See (which urges reflect[ion] on the dialogue between the different cultures and traditions of the nations), the Archbishop-Secretary confronts the intercultural theme, which results precisely from contacts between the various cultures characterising migrants identity. In this context it is necessary to find the right equilibrium between the respect for ones own identity and the recognition of the identity of other people. It is, after all, a question of the genuine and progressive integration and not assimilation of migrants in the welcome society. Cultures, moreover appear to be various and ingenious historical expressions of the original unity of the human family, which must converse together (and that dialogue is really the recurring theme, claims Archbishop Marchetto, of all our latest documents). Here Christian communities and civic reasonableness also come into play, permitting a serene, friendly relationship. It is a new term, but an important one, this civic reasonableness, needed to attain a healthy intercultural integration. The author then confronts the theme of European identity and particularly that of interculturism, considering Europe more as a cultural and historical concept, that of civilization, than a continent. Europe appears, therefore now following the thoughts of the historian Prof. Alzati as a common, human space where originally very different realities have combined and, without losing their own individualities, have fully inserted themselves into a vaster Koiné, making it their own with common ideals and mental horizons, in short a Weltanschauung. So Christianity, in the end, is basically the same deep-rooted identity that specifies Europe in its profound humus. As Kant says: The Gospel is the source from which our civilization springs. Or as T. S. Eliot certifies: If Christianity goes, all our culture will also go and with it our very countenance. It is certain however, that a cultural identity cannot be imposed and must not be an inheritance bequeathed to museums or artistic and literary monuments, but must be a living reality with a public dimension that cannot be eliminated. Archbishop Marchetto concludes remembering that there cannot be Christianity without the Church, but a Church that knows how to distinguish as is its duty what is Caesars and what is Gods. It is this that John Paul II recalls in this years Address to the Diplomatic Corps Accredited to the Holy See (n. 8).
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Conferenza pronunciata nella Biblioteca del Senato, Roma, il 16 febbraio 2005. Indissero lincontro Europa Cristiana e lAssociazione Amici del Benin, con il Patrocinio del Senato della Repubblica.
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