Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the Move N° 94, April 2004, pp. 219-220 Nell'effimero delle crociere porto la voce di Dio*Chiara DOMENICI Don Coperchini, imbarcato sulle navi delle vacanze: accolgo e ascolto persone di ogni Paese. E come stare in missione. La Messa? Devo celebrarla in 5 lingue diverse. Ho iniziato il mio servizio cappellano a bordo delle navi da crociera praticamente per caso. Fui chiamato da don Giacomo Martino, direttore nazionale dellApostolato del Mare per la Fondazione Migrantes, e frequentai il corso. E da dicembre dello scorso anno sono imbarcato sulle navi della Costa crociere. Così don Giuseppe Coperchini, 66 anni, originario di Alseno (Piacenza), prete della diocesi di Livorno dal 1964, racconta la sua esperienza. Fare il cappellano su una nave è un po una missione: ti trovi a contatto con centinaia di persone ogni giorno, diverse per etnia, cultura e estrazione sociale e devi portare Cristo praticamente solo con la tua presenza e la tua disponibilità perché a bordo tutto e precario. Ognuno ha i propri turni e le proprie mansioni, la propria spiritualità ed anche un proprio contratto, che nel giro di pochi mesi potrebbe portarlo chissà dove. E impossibile fare un progetto a lungo termine, che cerchi di coinvolgere tutti. Ciò non significa che queste persone non siano vicine al Signore e non siano meritevoli di ricevere unattenzione particolare da parte della Chiesa. Per questo sono convinto che lidea della fondazione Migrantes di rifondare lapostolato del mare sia veramente necessaria. Il problema più pressante in chi vive mesi e mesi a bordo di una nave è la solitudine e spesso il cappellano rappresenta un aiuto importante per chi cerca un confidente: La mia giornata inizia alle 6 - racconta don Giuseppe - dopo un giro in coperta insieme al comandante recito il Rosario in cappella, insieme a chi vuole. Poi cè il lavoro di ufficio: ricevo le persone, distribuisco la posta, consiglio letture, ecc, ascolto e faccio da tramite per risolvere una gran numero di problemi. La giornata prosegue con la Messa (nei giorni festivi nel salone) che celebro in francese, inglese, spagnolo o tedesco, secondo la provenienza dei turisti o anche in latino, quando appartengono a diversi Paesi. E poi ancora il lavoro dufficio nel pomeriggio, le confessioni ed i colloqui con equipaggio e passeggeri fino alla sera. Sulle navi Costa - continua - la direzione chiede che lequipaggio professi il cattolicesimo, ma la religione è vissuta diversamente nel mondo. Il personale (circa 450 persone sulle navi più piccole), è composto da italiani, ma anche da filippini, indonesiani, dominicani, indiani, russi, ucraini, rumeni, cinesi, polacchi ... spesso lontani da casa da anni. Ad ogni porto scendono dalla nave praticamente solo per telefonare e trascorrono ore intere al telefono. Sarebbe importante se in ogni porto riuscissero a trovare un po di casa: un centro di accoglienza, un gruppo di persone disponibili ad ascoltarli, ad aiutarli, a sollevarli, insomma, dal grande peso della solitudine.
* Da
Avvenire, 6 novembre 2003
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