The Holy See
back up
Search
riga

PONTIFICIO CONSIGLIO
DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI

PRESENTAZIONE DELL'ISTRUZIONE
"ERGA MIGRANTES CARITAS CHRISTI"

 

 


Intervento di S.E. il Cardinale Stephen Fumio Hamao 

 

Prospettiva storica

1. Il fenomeno della mobilità umana è stato sistematicamente al centro della attenzione della Santa Sede, a partire dal secolo scorso, con interventi che evidenziano sia una profondità di lettura di questa mutevole realtà sociale, sia una indubbia capacità di proposte pastorali in vista di una piena integrazione dell'immigrato nell'ambiente che lo accoglie.

Comunque da un iniziale atteggiamento di preoccupazione, per i numerosi pericoli impliciti nel fenomeno, si passò a vederne pure le potenzialità, spirituali e culturali, pur senza dimenticare il costo umano dell'esperienza migratoria e le sue molteplici incidenze sociali, economiche e politiche.

2. Così, nel secondo dopoguerra del secolo scorso, mentre in varie Nazioni erano avviate iniziative assistenziali e religiose per gli emigrati, si sentì finalmente il bisogno di un intervento autorevole della Santa Sede, che rilanciasse e organizzasse il vasto e complesso impegno pastorale in detto settore.

Questo sentire si concretò nella Costituzione Apostolica Exsul Familia di Pio XII nell'agosto del 1952. Con tale documento, il Papa si rese promotore soprattutto di una ristrutturazione dell'assistenza ai migranti delle varie nazionalità, stabilendo, per la Chiesa Cattolica, una disciplina comune e universale. Per questo motivo la Exsul Familia è considerata la magna charta magisteriale sulle migrazioni. Essa è infatti il primo documento ufficiale della Santa Sede che affronta in modo globale e sistematico, sia dal punto di vista storico che pastorale e canonico, il problema dell'assistenza spirituale ai migranti.

Sul piano dei principi il Documento afferma che l'assistenza va compiuta da sacerdoti della medesima lingua o nazionalità dei migranti, adeguatamente preparati e posti sotto l'autorità dell'Ordinario del luogo, mentre anche i pastori locali devono avere per essi la sollecitudine che è loro richiesta nella cura pastorale ordinaria territoriale.

Tra gli strumenti pastorali si raccomandava l'erezione di parrocchie personali o di missiones cum cura animarum (missioni con cura d'anime) in cui le funzioni pastorali del Missionario/Cappellano risultano cumulative a quelle del parroco locale. La realtà etnica era entrata dunque nella pastorale della Chiesa universale. Si introducevano, in sostanza, elementi di pluralismo nell'assistenza agli emigrati, contro la tendenza a una immediata assimilazione. Nasceva la pastorale specifica!

3. Certo, come tutte le cose, anche la Exsul Familia risente dei condizionamenti del suo tempo. Ma l'intuizione pastorale (o profezia, che dir si voglia) era grande e dava adito a ulteriori futuri arricchimenti di pensiero e di azione. Così negli anni Sessanta la Chiesa cercherà di dare una risposta pastorale ai numerosi avvicendamenti che, in continuità, ricompongono il quadro complessivo delle migrazioni internazionali, vale a dire il processo di integrazione europea, la stabilizzazione dei flussi migratori intraeuropei, con il sorgere e il diffondersi dell'immigrazione, invece, dai Paesi del Terzo Mondo, il nascere di alcune mete migratorie in Paesi di rapida espansione nell'area del petrolio e l'esplodere del massiccio fenomeno dei rifugiati nelle regioni di tensione internazionale.

Sono, questi, gli anni che segnano in contemporanea la grande stagione del Concilio Vaticano II, del rinnovamento, nella continuità, delle strutture della Chiesa e del suo accresciuto impegno di evangelizzazione e promozione umana. La Chiesa si confrontava più profondamente con la nuova realtà del mondo contemporaneo in spirito di collaborazione, ma mantenendo la propria identità. Si vedevano così nei fenomeni salienti del mondo i "segni dei tempi" da interpretare alla luce della Parola di Dio e del Magistero.

Così anche i problemi migratori trovarono, in Concilio, una loro collocazione. Si insisterà sulla dignità e sui diritti del migrante e sulla dimensione culturale del fenomeno migratorio; si denunceranno le cause a monte delle vecchie e nuove migrazioni, e cioè lo sviluppo disordinato dell'economia e certe scelte politico-economiche; si esprimerà la convinzione che la Chiesa, nella sua cattolicità, potrà diventare segno e strumento di ordinamenti nuovi, anche in favore dei migranti.

Lo slancio conciliare porterà quindi, come frutto, un impegno rinnovato nelle Chiese particolari a dibattere il problema migratorio nel loro interno, ed approntare più adeguati mezzi di intervento, sentendosi esse, ormai, prime responsabili della relativa pastorale. Erano così gettate le basi di un aggiornamento anche della anzidetta pastorale, in relazione ai fondamentali temi della Chiesa, dello sviluppo e della pace.

4. Mentre a livello nazionale sorgevano e si consolidavano dunque le Conferenze episcopali e gli Organismi specifici per l'emigrazione, risultava quindi matura, anche a livello centrale, una riformulazione di tutta la questione. Lo fece Papa Paolo VI col Motu proprio Pastoralis migratorum cura e con la relativa Istruzione De pastorali migratorum cura ("Nemo est") della Congregazione per i Vescovi, nel 1969. Nel processo di integrazione migratoria risulta quindi che, nelle società di accoglimento, si dovrà rifiutare sia un'assimilazione passiva, che un'integrazione acritica e dannosa per l'individuo e per il gruppo etnico. L'immigrato va rispettato in quanto tale, con tutte le sue forme espressive, culturali, sociali e religiose. L'emigrazione comporta poi diritti e doveri, primo dei quali risulta il diritto di emigrare, cui corrisponde il dovere, da parte del migrante, di contribuire, in modo responsabile e leale, allo sviluppo del Paese di insediamento.

5. Il quadro degli interventi a favore dei migranti si arricchì, nel 1970, di strutture specifiche nella Curia Romana, con la creazione, da parte di Paolo VI, della Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo (diventato, nel 1989, Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti), a cui furono affidati importanti compiti di coordinamento, animazione e stimolo pastorale, in relazione soprattutto alle singole Conferenze episcopali. Anche molti Sinodi diocesani, per quanto riguarda la pastorale migratoria, dimostrano l'accresciuta sensibilità umana e cristiana per l'inserimento dei migranti nella vita comunitaria, civile ed ecclesiale, del Paese d'accoglienza.

6. Tale sensibilità caratterizza anche l'insegnamento di Giovanni Paolo II, il quale, nelle Encicliche e nei numerosi suoi Discorsi e Messaggi, ha lanciato costanti appelli alla solidarietà umana e cristiana anche nei loro confronti.

Con base nella collegialità, in senso largo, come accennavamo sopra, le Conferenze episcopali delle singole Nazioni si sono in genere organizzate per assumere il loro ruolo di prime responsabili del coordinamento della pastorale dei migranti nel proprio Paese. Inoltre, per l'appello alla partecipazione effettiva di tutte le componenti ecclesiali alla evangelizzazione e promozione umana, secondo la vocazione propria di ciascuno, anche i Religiosi, i Laici e le Istituzioni ecclesiastiche più antiche, nonché i nuovi movimenti, affrontano insieme i problemi posti dai flussi di popolazioni provenienti da aree sempre più lontane, che portano altresì ad un confronto interculturale e interreligioso.

Giovanni Paolo II, poi, nei suoi frequenti interventi sulla problematica - umana, sociale e religiosa - dell'emigrazione ha dato e dà a questo fenomeno, oggi ormai permanente, una singolare impronta personale, caratterizzata dal forte umanesimo cristiano delle sue Encicliche. La difesa dei diritti fondamentali della persona umana diventa così una delle vie privilegiate attraverso cui si realizza l'annuncio evangelico. Lo stesso patrimonio culturale di ciascun gruppo etnico assume uno speciale legame col messaggio cristiano, perché esso sia incarnato. La difesa dell'eredità culturale di un popolo è dunque, in un certo modo, una protezione di ciò che lo contraddistingue nella sua evoluzione e caratterizzazione storica, in strettissimo rapporto tra fede, cultura e civiltà.

7. Exsul Familia, Gaudium et Spes, Pastoralis Migratorum cura, ed ora Erga migrantes caritas Christi: la successione degli interventi del Magistero della Chiesa è rilevante, per continuità e innovazione: è la caratteristica del resto della cattolicità.

Certo la Chiesa si è interessata ed è sollecita per tutte le categorie della mobilità umana. Oltre ai migranti economici, mi riferisco ai rifugiati, ai turisti e pellegrini, ai marittimi, ai rom e sinti, ai circensi e lunaparkisti, agli utenti e agli abitanti della strada, a coloro che volano e agli studenti esteri. La Chiesa ha intrapreso un confronto e un dialogo con l'Islam, con migranti musulmani e di altre confessioni religiose. Al suo interno, ha "risvegliato" i laici cristiani, chiamandoli a una precisa responsabilità di animazione nelle loro comunità, in comunione profonda con i loro Vescovi e Sacerdoti. La Chiesa certo ha creato nuove strutture pastorali per il servizio religioso ai migranti, elaborato nuovi modelli operativi in vista di una più incisiva presenza nel territorio e nella costruzione di comunità giustamente integrate. Essa ha prospettato, infine, una dimensione universale e dialogico-missionaria all'azione pastorale, nel momento in cui il pluralismo etnico e culturale sta diventando tratto caratteristico di molte società contemporanee.

La Chiesa non guarda dunque solo a se stessa, ma al mondo intero, contemplando il volto di uomini e donne, di ogni colore, razza, nazionalità e religione. Con la nuova Istruzione "Erga migrantes Caritas Christi", la comunità ecclesiale è convocata a prendere sempre più coscienza della sua missione universale nel mondo e nella storia, davanti a Dio e agli uomini, fiduciosa che i migranti saranno, alla fine, strumento di unità e di pace, in un mondo sempre più unito e solidale.

 

 

Intervento dell'Arcivescovo Agostino Marchetto

Visione d'insieme

1. Le migrazioni contemporanee costituiscono il più vasto movimento di persone di tutti i tempi. In questi ultimi decenni tale fenomeno, che coinvolge ora più di duecento milioni di persone, si è trasformato in evento strutturale della società e costituisce una realtà complessa, sociale, culturale, politica, economica, religiosa e pastorale.

2. L'Istruzione Erga migrantes caritas Christi intende aggiornare proprio la pastorale migratoria, passati ormai trentacinque anni dalla pubblicazione del Motu proprio di Papa Paolo VI Pastoralis migratorum cura e della relativa Istruzione della Sacra Congregazione per i Vescovi De pastorali migratorum cura ("Nemo est").

L'Istruzione vuole essere poi una risposta ecclesiale ai nuovi bisogni pastorali dei migranti, per condurci a trasformare l'esperienza migratoria in occasione di dialogo e di missione nel segno della nuova evangelizzazione. Il Documento tende altresì a facilitare una puntuale applicazione della legislazione contenuta nel CJC e nel CCEO per rispondere in modo più adeguato alle particolari esigenze dei fedeli emigrati delle Chiese cattoliche orientali, oggi sempre più numerosi.

3. La composizione delle migrazioni odierne, oltre l'evolversi dell'ecumenismo stesso, impone altresí la necessità di una visione ecumenica di tale fenomeno, a causa della presenza in territori tradizionalmente cattolici di molti migranti cristiani non in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Vi è poi la dimensione del dialogo interreligioso, a causa del numero sempre più consistente di migranti appartenenti ad altre religioni, in particolare a quella musulmana.

Un'esigenza squisitamente pastorale si impone così a tutti i cattolici, e cioè il dovere di promuove un'azione fedele alla Tradizione ecclesiale e allo stesso tempo aperta a nuovi sviluppi per quanto riguarda anche le strutture pastorali, e ciò per renderle atte a garantire la comunione tra Operatori pastorali specifici e Gerarchia locale, che rimane decisiva nella sollecitudine ecclesiale verso i migranti, e ne ha la prima responsabilità.

4. Il Documento, dopo una rapida rassegna dei tratti peculiari dell'odierno fenomeno migratorio (l'evento della globalizzazione, la transizione demografica in atto soprattutto nei Paesi di prima industrializzazione, l'aumento a forbice delle disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo, la proliferazione di conflitti e guerre civili), sottolinea i forti disagi che, generalmente l'emigrazione causa nelle famiglie e nei singoli individui, in particolare per donne e bambini. Tale fenomeno solleva pure il problema etico della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, nella visione della comunità mondiale come famiglia di popoli, con applicazione del Diritto Internazionale.

Nell'Istruzione si traccia poi, per l'emigrazione, un preciso quadro di riferimento biblico-teologico, contemplando il fenomeno migratorio nella storia della salvezza, quale segno dei tempi e della presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, in vista di una comunione universale.

5. Con un sintetico excursus storico, l'Istruzione intende dimostrare la sollecitudine della Chiesa per il Migrante e il Rifugiato nei documenti ecclesiali: dalla Exsul Familia al Concilio Ecumenico Vaticano II, all'Istruzione De Pastorali migratorum cura, e alla successiva normativa canonica. Tale lettura rivela importanti acquisizioni teologiche e pastorali, come la centralità della persona, la difesa dei diritti del migrante, la dimensione ecclesiale e missionaria delle migrazioni stesse, il contributo pastorale dei Laici, degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, il valore delle culture nell'opera di evangelizzazione, la tutela e la valorizzazione delle minoranze, anche all'interno della Chiesa locale, l'importanza del dialogo intra ed extra ecclesiale, e infine lo specifico contributo che l'emigrazione potrebbe offrire alla pace universale.

6. Altre istanze, come la necessità dell'"inculturazione" del messaggio cristiano, la visione di Chiesa intesa come comunione, missione e Popolo di Dio, la sempre attuale importanza di una pastorale specifica per i migranti, l'impegno dialogico-missionario di tutti i membri del Corpo mistico di Cristo e il conseguente dovere di una cultura dell'accoglienza e della solidarietà nei confronti dei migranti, introducono l'analisi delle specifiche esigenze pastorali a cui rispondere, sia a quelle dei migranti cattolici (di rito latino come di rito orientale), sia a quelle di coloro che appartengono a diverse Chiese e Comunità ecclesiali, ad altre religioni in genere, e all'Islam in specie.

7. Viene poi ulteriormente precisata e ribadita, la configurazione, pastorale e giuridica, degli Operatori pastorali - in particolare dei Cappellani/Missionari e del loro Delegato (Coordinatore) nazionale, dei Presbiteri diocesani/eparchiali, dei Religiosi e delle Religiose, dei Laici, delle Associazioni e dei Movimenti laicali - il cui impegno apostolico è visto e considerato nella visione di una pastorale di comunione.

8. L'integrazione delle strutture pastorali (quelle già acquisite e quelle in prospettiva) e l'inserimento ecclesiale dei migranti nella pastorale ordinaria - con pieno rispetto della loro legittima diversità e del loro patrimonio spirituale e culturale, in vista anche della formazione di una Chiesa sempre più "cattolica" - è un'altra importante caratteristica che il Documento intende sottolineare e proporre alle Chiese particolari. Tale integrazione è condizione essenziale perché la pastorale, per e con i migranti, possa diventare espressione significativa della Chiesa universale e missio ad Gentes, (missione alle Genti), incontro fraterno e pacifico, casa di tutti, scuola di comunione accolta e partecipata, di riconciliazione chiesta e donata, di mutua e fraterna accoglienza e solidarietà, nonché di autentica promozione umana e cristiana.

9. Un aggiornato e puntuale "Ordinamento giuridico-pastorale" corona l'Istruzione, richiamando, con linguaggio appropriato, compiti, incombenze e ruoli degli Operatori pastorali e dei vari Organismi ecclesiali preposti alla pastorale migratoria, allo scopo di renderla il più possibile adeguata alle odierne esigenze dei migranti, e alle prevedibili prospettive future.

10. Il Documento si ricollega dunque, idealmente, alla Exsul Familia - di cui due anni fa abbiamo celebrato il 50.mo anniversario - e ne sottolinea la continuità di ispirazione, ma con apertura, nello stesso tempo, alle nuove prospettive che il fenomeno migratorio oggi ci indica. La Chiesa si trova quindi continuamente impegnata ad aggiornare gli strumenti di analisi e di programmazione pastorale. Tradizione e innovazione vanno anche qui insieme.

11. Certamente, cinquant'anni fa non erano ancora entrate nelle nostre case le immagini di profughi, di esuli e deportati di guerra - nei Balcani, per esempio, o in Africa -, né delle "carrette del mare" stracolme di clandestini albanesi, curdi o africani. La televisione non ci aveva ancora mostrato i volti di migliaia di esseri umani smarriti, sfiniti e affamati in cerca di un posto di lavoro, di sicurezza, di futuro per sé e per la propria famiglia. Non ci erano ancora apparse quelle scene di sopraffazione e di morte, quei visi terrorizzati di tanti nostri fratelli, le devastazioni dei loro corpi, e la desolazione dei loro villaggi distrutti dalla violenza, dall'odio e dalla vendetta.

Quegli stranieri, feriti, oppressi e disperati non sbarcavano ancora sulle nostre coste quando, cent'anni fa, molti europei attraversavano invece l'oceano alla ricerca di un lavoro e di un avvenire migliore. La Chiesa, anche allora, era lì a garantire i primi soccorsi ai feriti, a sfamare piccoli e grandi, ad aiutare a trovare alloggio o riparo, per quanto umile e precario, ad assumersi soprattutto il compito di aprire una strada che allargasse lo sguardo accogliente di tutti, soprattutto dei cristiani.

12. La storia continua dunque tra questi drammi, vecchi e nuovi. E la Chiesa è sempre lì, accanto ai vecchi e ai nuovi migranti. Il documento "Erga migrantes caritas Christi" vuole indicare ancora una volta a tutti i cristiani l'esempio del Buon Samaritano che duemila anni fa ha soccorso l'uomo e lo ha salvato dando egli stesso la sua vita.

 

Presentazione del Sotto-Segretario, P. Michael A. Blume, SVD

 

L'"ERGA MIGRANTES CARITAS CHRISTI" E IL DIALOGO

Lo spirito che permea l'Istruzione è quello del dialogo. La mobilità umana, e in particolare le migrazioni, fanno sì che "ci troviamo di fronte … ad un pluralismo culturale e religioso forse mai sperimentato così coscientemente finora" (n. 35). L'incontrarsi di persone e gruppi che storicamente hanno vissuto prima separatamente, fa sorgere inevitabilmente numerosi problemi di fronte cioè alla necessità di formare una nuova esistenza insieme. Indispensabile per realizzare questo progetto è il dialogo, necessario anche per altri scopi che sono complementari, ma religiosamente e umanamente ancora più profondi.

Cos'è il dialogo? L'Istruzione non pretende di farne un'esposizione completa. Essa presuppone la conoscenza di altri documenti ecclesiali che lo promuovono (per es., GS, DH, NA, del Concilio Vaticano Secondo, come pure di diversi Dicasteri della Curia Romana). Il dialogo, inoltre, assume diverse forme concrete. Un convegno di esperti appartenenti a diverse religioni è solo una di queste forme, a cui si aggiunge il cosiddetto dialogo della vita, forse la forma più importante e frequente, perché è quello quotidiano, in cui persone di varie religioni cercano di vivere assieme come vicini, condividendo gioie e dolori, problemi umani e preoccupazioni. C'è poi il dialogo dell'azione, che coinvolge cristiani e non cristiani in una collaborazione mirata a promuovere lo sviluppo integrale della società. Infine, c'è il dialogo della condivisione delle esperienze religiose, in cui persone ben radicate nelle loro tradizioni religiose condividono le proprie ricchezze spirituali quali, ad es., la preghiera e la contemplazione, la fede o le vie che conducono a Dio o al Trascendente.

L'Istruzione sottolinea anche altri aspetti del dialogo, quali ad. es. quelli che possiamo considerare atteggiamenti pastorali fondamentali e le loro caratteristiche. Il n. 36, sull'inculturazione del Vangelo, presenta una descrizione del processo di dialogo: "comincia con l'ascolto, con la conoscenza, cioè, di coloro a cui si annuncia il Vangelo ... Non basta qui la tolleranza, occorre la simpatia, il rispetto, per quanto possibile, dell'identità culturale degli interlocutori. Riconoscerne gli aspetti positive e apprezzarli ... è un preambolo necessario per l'esito dell'annuncio. Solo in questo modo nasce il dialogo, la comprensione e la fiducia".

La Chiesa affronta l'odierno pluralismo culturale e religioso a tre livelli. Li indico qui di seguito.

Il primo, e cioè il Dialogo all'interno della Chiesa Cattolica
Ricordiamo che l'Istruzione è indirizzata anzitutto ai cattolici, pastori e fedeli, sia componenti della comunità d'accoglienza che migranti. Tra di essi il dialogo deve essere attivo. Esso ha lo scopo di "edificare e far crescere in essi (gli stessi migranti) e con essi la Chiesa, per riscoprire, insieme, e rivelare i valori cristiani e per formare una autentica comunità sacramentale, di fede, di culto, di carità e di speranza" (n. 38). Notiamo qui che non si tratta di una pastorale solo a favore dei migranti, ma "in essi e con essi". Per questo l'Istruzione annette grande importanza alla lingua materna dei migranti, "attraverso la quale essi esprimono la mentalità, le forme di pensiero e di cultura ed i caratteri stessi della loro vita spirituale e delle tradizioni delle loro Chiese di origine" (n. 38). L'esperienza pastorale ci insegna che quando i migranti si sentono compresi e a loro agio, si inseriscono più facilmente nella comunità e la arricchiscono. A questo riguardo, la pietà popolare che i migranti portano con sé merita un'attenzione particolare, essendo "un elemento fondamentale di collegamento con la Chiesa di origine e con precisi modi di comprendere e di vivere la fede" ( n. 46). Per apprezzare questo fatto, ci vuole necessariamente un dialogo pastorale intenso.

I migranti cattolici includono anche i "gruppi rituali" (cfr. n. 38) e, in modo particolare, quelli che provengono dalle Chiese Orientali Cattoliche. "La Sacra Liturgia celebrata nel rito della propria Chiesa sui iuris, infatti, è importante perché salvaguarda l'identità spirituale" (n. 46) di questi migranti. Orbene assicurare che nei Paesi di accoglienza essi abbiano operatori e strutture pastorali che promuovano la loro identità è un dovere della Chiesa d'accoglienza (cfr. nn. 53-54). Anche tutto ciò richiede il dialogo, in modo particolare tra le Chiese di origine e d'accoglienza e con la Congregazione per le Chiese Orientali (cfr. 55).

Come ogni autentico dialogo, anche questo, all'interno della Chiesa cattolica, si basa su valori e convinzioni e, in questo caso concreto, su una visione teologica di comunione ecclesiale e su "un vero spirito cattolico", come possiamo leggere nella LG 13.

In seconda istanza v'è il Dialogo con altre Chiese e Comunità ecclesiali
Le migrazioni fanno sì che si incontrino anche i cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali. Esse offrono un'opportunità di dialogo, specialmente in quell'"ecumenismo della vita quotidiana", che rafforza alla base legami di unità, fin dove è possibile, e carità e promuove una maggiore comprensione reciproca. Come ogni autentico dialogo, anche questo è basato sull'adesione alla propria identità cattolica e non trascura la necessità di tener conto dei problemi esistenti tra cristiani ancora purtroppo separati. Per questo evita "facili irenismi", come pure all'altro estremo, il proselitismo (cfr. n. 56). L'Istruzione tocca anche alcune questioni più delicate, che possono sorgere quando i migranti si trovano non solo lontani dalla loro patria ma anche dalla loro Chiesa o Comunità ecclesiale. Interpretando le norme già esistenti, il n. 56, difatti, fa cenno per es., dell'uso delle chiese cattoliche da parte di cristiani non in piena comunione con quella cattolica. E il n. 57 tratta della communicatio in sacris, la cui disciplina prevede alcuni casi in cui essa è permessa. Il dialogo che procede e segue decisioni concrete al riguardo è, naturalmente, importante per l'unità dei cristiani.

Nel terzo livello v'è il Dialogo con gli appartenenti ad altre religioni
Le migrazioni cambiano anche il volto religioso delle società d'accoglienza, come nel caso di Paesi di antica tradizione cristiana, dove ora esiste una pluralità religiosa mai conosciuta finora. La nostra sollecitudine pastorale si impegna anche nella loro "promozione umana e nella testimonianza della carità" di Cristo. "La Chiesa è dunque chiamata a entrare in dialogo con essi, dialogo [che] deve essere condotto e attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza" (n. 59). È quindi un dialogo che si basa sulla nostra identità, suscitando reciproco rispetto e la scoperta dei valori religiosi e umani dell'altro.

Vivere assieme ad altre religioni richiede altresì un'attenzione a certe realtà, in modo particolare ai luoghi sacri e alle scuole cattoliche, ai matrimoni e alla reciprocità, di cui parlano i nn. 61-64. Tutte realtà, queste, che richiedono una reciproca ricerca di soluzioni, rispettando l'identità e la libertà religiosa sia dei migranti che della comunità d'accoglienza.

Di particolare importanza è il dialogo che riguarda i migranti musulmani (nn. 65-68) che, in alcuni Paesi, sono ormai tanto numerosi da formare gruppi che si distinguono particolarmente per la loro identità. Il n. 65 ci ricorda l'atteggiamento del Concilio Vaticano II nei loro confronti, mentre il n. 66 presenta sinteticamente convergenze e divergenze tra cristiani e musulmani. I nn. 67 e 68 indicano problemi concreti nei casi di matrimonio, la preparazione ad esso, la posizione della donna, il battesimo e l'appartenenza religiosa dei figli.

I problemi concreti che sorgono tra i cristiani e i migranti di altre religioni richiedono una mentalità e un atteggiamento di dialogo da parte di tutti. Non si tratta però di cosa facile. L'incontro con persone profondamente radicate in convinzioni e costumi non condivisi dai cristiani può essere duro. Esso richiede, in ogni caso, molta pazienza e perseveranza. Il Papa, ben conoscendo i problemi che sorgono nel dialogo, ha affermato che esso "deve continuare ... è importante anche per mettere un sicuro presupposto di pace e allontanare lo spettro funesto delle guerre di religione che hanno rigato di sangue tanti periodi nella storia dell'umanità. Il nome dell'unico Dio deve diventare sempre di più, qual è, un nome di pace e un imperativo di pace"(NMI 55).

Per questo occorre "una solida formazione" degli operatori pastorali e una "informazione circa le altre religioni, per sconfiggere pregiudizi, per superare il relativismo religioso e per evitare chiusure e paure ingiustificate" (n. 69), che generano tante conseguenze negative.

Vorrei aggiungere, infine, che il dialogo e l'evangelizzazione non sono opposti. Il dialogo della vita, che dà una testimonianza di carità cristiana, richiede anche una spiegazione. San Pietro esorta i cristiani ad essere "pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto" (1 Pt. 3,15). Queste parole ci permettono di capire la Conclusione della nostra Istruzione, intitolata "Universalità di missione" (nn. 96 -104), con le sue riflessioni sui semina Verbi (semi del Verbo) e la pastorale dialogante e missionaria, da esercitare anche nelle terre di antica tradizione cristiana. "Con molto rispetto e attenzione per le tradizioni e culture di migranti, siamo cioè chiamati, noi cristiani, a testimoniare il Vangelo della carità e della pace anche a loro e ad annunciare esplicitamente pure ad essi la Parola di Dio, in modo che li raggiunga la Benedizione del Signore promessa ad Abramo e alla sua discendenza per sempre" (n. 100).

      

top