Premessa
Si terrà dal 31 agosto al 7 settembre prossimi, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, a Durban, in Sud Africa, la Conferenza mondiale contro il Razzismo, la Discriminazione razziale, la Xenofobia e le altre forme di Intolleranza. La Santa Sede, consapevole come è dell’importanza del tema affrontato in questa Conferenza, vi sarà rappresentata da una importante delegazione. In quell'occasione, verrà distribuita ai partecipanti la seconda edizione del documento intitolato "La Chiesa di fronte al razzismo, per una società più fraterna". Tale documento è stato pubblicato una prima volta dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, su richiesta del Santo Padre, nel 1988. Il Consiglio stesso, però, avendo ben presente, da una parte un contesto internazionale in piena evoluzione e, dall'altra, i principali temi della Conferenza, fa precedere l'edizione di quest'anno da un articolato aggiornamento introduttivo con nuove riflessioni in merito alla questione.
Tra mondializzazione e nuovi particolarismi
La mondializzazione, in effetti, subisce continue accelerazioni: i paesi, le economie, le culture, gli stili di vita si avvicinano, si universalizzano, si confondono. Il fenomeno dell'interdipendenza si estende a tutti i campi: politico, economico, finanziario, sociale e culturale. Le scoperte scientifiche e lo sviluppo delle tecniche di comunicazione hanno "rimpicciolito" considerevolmente il pianeta.
Parallelamente, e paradossalmente, i contrasti si fanno più acuti, le violenze etniche aumentano, la ricerca dell'identità del gruppo, dell'etnia o della nazione si esaspera con il rifiuto dell'altro, del diverso, fino a commettere, a volte, atti barbarici. Così, quest'ultimo decennio è stato caratterizzato da guerre etniche o nazionalistiche, che costituiscono motivi di crescente preoccupazione per gli anni futuri.
Un paradosso ben conosciuto, che si spiega in parte con il timore di perdere la propria identità in un mondo che diventa planetario troppo in fretta, al momento stesso in cui le ineguaglianze si approfondiscono. Ma un paradosso dalle cause molteplici. E' noto come la caduta del muro di Berlino abbia risvegliato rancori e nazionalismi che covavano da anni sotto la cenere; ed è noto pure che le frontiere ereditate dalla colonizzazione troppo spesso non rispettano la storia e l'identità dei popoli, o, ancora, che la solidarietà fa difetto in modo crudele in società il cui tessuto sociale si disintegra.
Negli ultimi decenni, dunque, di fronte a queste crisi, la situazione, dal punto di vista del razzismo, della discriminazione razziale, della xenofobia e delle forme di intolleranza che vi sono connesse non è, purtroppo, migliorata, anzi è forse peggiorata, e questo proprio quando i movimenti di popolazione non hanno fatto che aumentare e che l'intreccio delle culture e la multietnicità sono diventati estesi fenomeni sociali. Da qui, l'importanza della prossima Conferenza mondiale sul razzismo, importanza che la Santa Sede desidera sottolineare.
I temi della Conferenza
In un contesto internazionale di questo genere, il Comitato preparatorio della Conferenza di Durban ha deciso, nel giugno scorso, di iscrivere all'ordine del giorno provvisorio della Conferenza i seguenti cinque grandi punti. Ha proposto che siano prima esaminate le fonti, le cause, le forme e le manifestazioni contemporanee del razzismo, della discriminazione razziale, della xenofobia e delle forme di intolleranza connesse; che siano in seguito prese in considerazione le vittime di questi mali. Al terzo punto, l'ordine del giorno rinvia alle misure, in materia di prevenzione, di educazione e di protezione, che mirano ad eliminare, a livello nazionale, regionale e internazionale, questi stessi mali. Oggetto del quarto punto sono i ricorsi utili, i mezzi giuridici, la riparazione e le misure di indennizzo. Si può fin d'ora segnalare che quest'ultima questione, quella delle "misure di indennizzo", è stata messa fra virgolette nel testo del Comitato preparatorio, poiché permane molto controversa: alcuni Stati desiderano, in effetti, che la schiavitù e la colonizzazione siano esplicitamente riconosciuti come fonte primaria del razzismo e, pertanto, che le ex-potenze coloniali prendano in considerazione di dover corrispondere delle riparazioni, eventualità che queste ultime non accettano. Infine, il quinto ed ultimo punto rinvia alle strategie che puntano ad instaurare l'uguaglianza integrale ed effettiva, particolarmente la cooperazione internazionale e il rafforzamento dei meccanismi di messa in opera da parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e altri meccanismi internazionali in materia di lotta al razzismo.
Il contributo della Chiesa: perdono e riconciliazione
In questo contesto e quadro ci si può interrogare sul contributo specifico che la Chiesa cattolica è chiamata ad offrire, non solo a tutta la prossima Conferenza di Durban, ma, più generalmente, alla lotta contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza.
La prima risposta obbligata è che è dal cuore dell'uomo che nascono omicidi, cattiverie, invidia, superbia e stoltezza (Mc 7,21) ed è dunque a questo livello che il contributo della Chiesa cattolica, con i suoi costanti richiami alla conversione personale, è più importante e resta insostituibile. Infatti, è prima e innanzi tutto al cuore dell'uomo che ci si deve rivolgere, perché è il cuore che bisogna continuamente purificare affinché non vi dominino più né la paura, né lo spirito di dominio, ma l'apertura all'altro, la fraternità e la solidarietà. Da qui, il ruolo fondamentale delle religioni e, in particolare, della fede cristiana, che insegna la dignità di ogni essere umano e l'unità del genere umano. E, se la guerra o situazioni gravi dovessero fare dell'altro uomo un nemico, il primo e più radicale comandamento cristiano è, appunto, quello dell'amore per il nemico e di rispondere al male con il bene.
Al cristiano non è concesso avere propositi o comportamenti razzisti o discriminatori, anche se questo non è purtroppo sempre il caso nella pratica e non lo è sempre stato nella storia. A tale riguardo, Papa Giovanni Paolo II ha voluto caratterizzare l'Anno giubilare 2000 con richieste di perdono ripetute a nome della Chiesa , affinché la memoria della Chiesa fosse purificata da "ogni forma di antitestimonianza e di scandalo" succedutesi nel corso del passato millennio (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, n.33). In certe situazioni accade, infatti, che il male sopravviva a chi lo ha compiuto, attraverso le conseguenze dei comportamenti e questi ultimi possono diventare un pesante fardello che pesa sulla coscienza e la memoria dei discendenti. Una purificazione della memoria diventa allora necessaria: "Purificare la memoria significa eliminare dalla coscienza personale e collettiva tutte le forme di risentimento o di violenza che l'eredità del passato vi avesse lasciato, sulla base di un nuovo e rigoroso giudizio storico-teologico, che fonda un conseguente, rinnovato comportamento morale…in vista della crescita della riconciliazione nella verità, nella giustizia e nella carità fra gli esseri umani ed in particolare fra la Chiesa e le diverse comunità religiose, culturali o civili con cui essa ha rapporti" (Commissione Teologica Internazionale, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, Libreria Editrice Vaticana, 2000, p.49).
La richiesta di perdono riguarda in primo luogo la vita dei cristiani che fanno parte della Chiesa; tuttavia, "è legittimo sperare che i responsabili politici e i popoli, soprattutto quelli coinvolti in drammatici conflitti, alimentati dall'odio e dal ricordo di ferite spesso antiche, si lascino guidare dallo spirito di perdono e di riconciliazione testimoniato dalla Chiesa e si sforzino di risolvere i contrasti mediante un dialogo leale e aperto" (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Convegno di studio sull'Inquisizione, 31 ottobre 1998, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXI,2 (1998), p.900).
La questione della riparazione
Atto d'amore gratuito, il perdono ha le sue esigenze: è necessario riconoscere il male che si è compiuto e, nella misura del possibile, porvi rimedio. La prima esigenza è, dunque, il rispetto della verità. La menzogna, la slealtà, la corruzione, la manipolazione ideologica o politica rendono in effetti impossibile lo stabilire relazioni sociali pacifiche. Da qui, l'importanza di procedure che permettano di stabilire la verità, procedure necessarie ma delicate, poiché la ricerca della verità rischia di trasformarsi in sete di vendetta. All'esigenza della verità se ne aggiunge una seconda: la giustizia. Poiché "il perdono non elimina né diminuisce l'esigenza della riparazione, che è propria della giustizia, ma punta a reintegrare sia le persone e i gruppi nella società, sia gli Stati nella comunità delle Nazioni" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della Pace, 1° gennaio 1997, n. 5).
La Santa Sede è ben consapevole dell’importanza e, allo stesso tempo, della delicatezza dei problemi collegati con l’"esigenza di riparazione", specie quando si traduce in domande di indennizzo. Il dibattito che ha recentemente diviso alcuni Stati membri delle Nazioni Unite al momento dell'adozione dell'ordine del giorno provvisorio della Conferenza di Durban ne è un'ulteriore testimonianza. Non spetta alla Chiesa proporre una soluzione tecnica ad un problema così complesso. Tuttavia, la Santa Sede esprime la convinzione che occorre sempre più guardare al passato con memoria purificata così da affrontare serenamente il futuro.
L'educazione ai diritti umani
Fra le "buone pratiche da promuovere", inserite nel programma della prossima Conferenza di Durban, si trova anche l’impegno dell'educazione ai diritti umani, particolarmente attraverso i mezzi di comunicazione e l’opera delle religioni.
La Santa Sede ha coscienza che le radici del razzismo, della discriminazione e dell'intolleranza si trovano nel pregiudizio e nell'ignoranza, frutti, prima di tutto, del peccato, ma anche di una educazione erronea e insufficiente. Da qui, il ruolo fondamentale dell'educazione. A tale riguardo, la Chiesa cattolica ricorda il suo ruolo attivo "alla base", di vastissima portata, per educare ed istruire i giovani di ogni confessione religiosa e di tutti i continenti, e ciò, da secoli. Fedele ai suoi valori, la Chiesa dispensa un'educazione al servizio dell'uomo e di tutto l'uomo. Questa azione fondamentale, che serve la causa dei diritti dell'uomo, è ben conosciuta.
Riguardo al ruolo insostituibile delle religioni, e in particolare della fede cristiana, in materia di educazione al rispetto dei diritti dell'uomo, ricordiamo rapidamente che un corretto insegnamento della religione consente di allontanare quei " falsi idoli" che sono il nazionalismo e il razzismo. Il Papa Giovanni Paolo II affermava davanti all'Assemblea interreligiosa del 1999: "Il compito che dovremo affrontare sarà quello di promuovere una cultura del dialogo. Da soli e tutti insieme dobbiamo dimostrare che la fede religiosa ispira la pace, incoraggia la solidarietà, promuove la giustizia e sostiene la libertà" (Città del Vaticano, 25-28 ottobre 1999, in "La Traccia", n.10/1999, pp.1045-1047).
Le discriminazioni positive
La prossima Conferenza di Durban, si propone anche di promuovere, in quanto "buona pratica", quelle che vengono definite come "discriminazioni positive". La Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965, che la Santa Sede ha ratificato, prevede in effetti la possibilità di adottare misure speciali "al solo fine di assicurare in modo adeguato il progresso di alcuni gruppi razziali o etnici o di individui bisognosi della protezione che può essere loro necessaria per garantirgli il godimento dei diritti dell'uomo… in condizioni di eguaglianza" (art.1° §4). Su questa base della "azione positiva", alcuni paesi hanno adottato legislazioni che concedono una protezione speciale in favore, specialmente, dei popoli autoctoni o minoritari. La scelta di questo tipo di politica rimane, però, controversa. Esiste il rischio reale che tali misure cristallizzino la differenza piuttosto che favorire la coesione sociale, che in materia di impiego o di vita politica, per esempio, gli individui siano reclutati o eletti in funzione del loro gruppo etnico e non in funzione delle loro competenze e, infine, che la libertà di scelta risulti condizionata. E' incontestabile che il peso dei precedenti di carattere storico, sociale culturale, esigono, a volte, da parte degli Stati, azioni positive. I popoli autoctoni, in particolare, soffrono ancora molto a causa di discriminazioni. Ora, la Chiesa cattolica, sempre molto attenta alla difesa della realtà dell'uomo concreto, situato e storico, rivendica un rispetto effettivo dei diritti dell'uomo. Queste politiche trovano dunque la loro legittimità dal momento in cui la prudente riserva dell'articolo 1° §4 della Convenzione del 1965 è rispettata. Questo dispone, in effetti, che le misure di discriminazioni positive siano temporanee, che non debbano avere come effetto il mantenimento di diritti distinti per gruppi differenti e non debbano essere mantenute in vigore una volta ottenuti gli obiettivi prefissi.
Forme inedite di razzismo
Notiamo, infine, che dal 1988 due grandi fratture si sono approfondite a livello mondiale, quella sempre più drammatica della povertà e della discriminazione sociale e quella, più nuova e meno denunciata, riguardante l'essere umano non nato, soggetto ad esperimenti e oggetto della tecnica (attraverso le tecniche di procreazione artificiale, l'utilizzazione di "embrioni sopranumerari", la clonazione detta terapeutica, ecc.). Il rischio di una forma inedita di razzismo è ben reale, poiché lo sviluppo di queste tecniche potrebbe portare alla creazione di una "sotto-categoria di esseri umani" destinata essenzialmente al comfort di alcuni. Nuova e terribile forma di schiavitù. Ora, potenti interessi commerciali vorrebbero sfruttare questa latente tentazione eugenetica. Così, corre l'obbligo ai governi e alla comunità scientifica internazionale di vigilare attentamente.
Conclusione
Nel settembre del 1995, Papa Giovanni Paolo II, visitando il Sud Africa, affermava: "la solidarietà è, prima di tutto, la risposta necessaria per superare il completo fallimento morale costituito dai pregiudizi razziali e dalle rivalità etniche". Una solidarietà da sviluppare fra gli Stati ma anche in seno a tutte le società dove, incontestabilmente, la disumanizzazione e la disintegrazione del tessuto sociale conducendo all'esacerbazione delle opinioni e dei comportamenti razzisti e xenofobi, al rigetto del più debole, sia esso straniero, invalido o senza-tetto. Una solidarietà che trova fondamento nell'unità della famiglia umana, poiché tutti gli uomini, creati ad immagine e somiglianza di Dio, hanno la stessa origine e sono chiamati allo stesso destino. Ed è su questa base che il contributo delle religioni resta insostituibile, un contributo che deve essere quello di ogni credente che, aderendo liberamente alla sua fede, la vive quotidianamente. Tutto questo, nella consapevolezza che la libertà di coscienza e di religione rimane il presupposto, il principio e il fondamento di ogni altra libertà, umana e civile, individuale e comunitaria.
François-Xavier Card. Nguyen Van Thuân
Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi
Segretario