PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI ISTRUZIONE DA OSSERVARSI NEI TRIBUNALI DIOCESANI DIGNITAS CONNUBII
La dignità del matrimonio, che tra i battezzati « è immagine e partecipazione dell'alleanza d'amore del Cristo e della Chiesa »(1), esige che la Chiesa promuova con la maggior sollecitudine pastorale possibile il matrimonio e la famiglia fondata sull'unione coniugale, e li protegga e li difenda con tutti i mezzi a sua disposizione. Il Concilio Vaticano II non solo ha proposto e sviluppato, con nuovi concetti e rinnovata terminologia, la dottrina sulla dignità del matrimonio e della famiglia(2), esplorando con più ampio sguardo la loro conformazione in senso cristiano e genuinamente umano, ma ha anche tracciato una qualificata via per ulteriori prospettive dottrinali, e ha gettato nuove basi sulle quali si è potuta preparare la revisione del Codice di Diritto Canonico. Queste nuove prospettive, correntemente dette ‘‘personalistiche'', hanno avuto grande efficacia nel far maturare sempre più, nella dottrina comunemente condivisa e frequentemente proposta con varie modalità dal Magistero, determinati valori che per loro stessa natura contribuiscono ampiamente a far sì che l'istituto del matrimonio e della famiglia raggiunga quei fini altissimi che Dio Creatore con provvida sapienza ha ad esso assegnato e Cristo Redentore ha arricchito con amore sponsale(3). È peraltro evidente che il matrimonio e la famiglia non sono una realtà privata, che ciascuno può modellarsi a suo arbitrio. Il Concilio stesso, che così vivamente esalta tutto ciò che riguarda la dignità della persona umana, ben conscio che di questa dignità è parte l'attitudine alla socialità degli esseri umani, non trascura di porre in luce che il matrimonio è per sua natura un istituto fondato dal Creatore e da Lui strutturato con leggi sue proprie(4), e che le sue proprietà essenziali sono l'unità e l'indissolubilità, « le quali, nel matrimonio cristiano, in ragione del sacramento, conseguono una peculiare stabilità » (can. 1056). Da ciò consegue che la dimensione giuridica del matrimonio non è né può essere concepita come qualcosa che si giustappone « come un corpo estraneo alla realtà interpersonale del matrimonio, ma ne costituisce una dimensione veramente intrinseca »(5). Ciò è esplicitamente affermato nella dottrina della Chiesa già a partire da San Paolo, come nota Sant'Agostino: « Alla fedeltà [coniugale] l'Apostolo ha attribuito tanta importanza da chiamarla potestà, dicendo: ‘‘non la moglie è arbitra del proprio corpo, ma l'uomo; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie'' (1 Cor 7, 4) »(6). Cosicché, come afferma Giovanni Paolo II, « in una prospettiva di autentico personalismo, l'insegnamento della Chiesa implica l'affermazione della possibilità della costituzione del matrimonio quale vincolo indissolubile tra le persone dei coniugi, essenzialmente indirizzato al bene dei coniugi stessi e dei figli »(7). Al progresso dottrinale nella comprensione dell'istituto del matrimonio e della famiglia, si accompagna in questo nostro tempo il progresso nelle scienze umane, soprattutto psicologiche e psichiatriche; che offrendo una più profonda conoscenza dell'essere umano, possono contribuire con molto giovamento alla cognizione di ciò che è richiesto nell'uomo per essere capace di contrarre il vincolo coniugale. I Romani Pontefici, fin da Pio XII(8), mentre mettono in guardia sui pericoli cui si va incontro se, in questa materia, si assumono come dati scientifici certi mere ipotesi scientificamente non confermate, hanno sempre incoraggiato ed esortato gli studiosi del diritto matrimoniale canonico e i giudici ecclesiastici a non esitare nel fare proprie, a vantaggio della loro disciplina, le conclusioni certe, fondate sulla sana filosofia e sull'antropologia cristiana, che quelle scienze sono state in grado di offrire loro col procedere del tempo(9). Il nuovo Codice, promulgato il 25 gennaio 1983, si è adoperato non solo a trasferire « nel linguaggio ‘‘canonistico'' »(10) la rinnovata visione dell'istituto del matrimonio e della famiglia offerta dal Concilio, ma anche ad acquisire i progressi legislativi, dottrinali e giurisprudenziali che nel frattempo erano stati compiuti per ciò che riguarda tanto il diritto sostantivo che quello processuale, tra i quali, sotto questo profilo, si distingue il Motu proprio di Paolo VI Causas matrimoniales del 28 marzo 1971, con il quale, in attesa di « una più completa riforma del processo matrimoniale », furono emanate alcune norme volte a far sì che lo stesso processo divenisse più celere(11): norme che per la maggior parte sono state recepite nel nuovo Codice. Peraltro, il nuovo Codice, per ciò che concerne il processo matrimoniale per la dichiarazione di nullità, ha seguito lo stesso metodo del Codice del 1917. Nella parte speciale I processi matrimoniali riunisce in un solo capitolo le norme proprie di questo processo (cann. 1671-1691), mentre le altre prescrizioni, che disciplinano il processo nel suo insieme, si trovano nella parte generale I giudizi in genere (cann. 1400-1500) e Il giudizio contenzioso (cann. 1501-1655). Da ciò deriva che le norme per lo svolgimento del processo, che i giudici e gli addetti del tribunale sono tenuti ad osservare per la dichiarazione di nullità di matrimonio, non si presentano riunite in un unico capitolo. Le difficoltà che ne derivano nel trattare queste cause sono evidenti di per sé, e i giudici dichiarano di doverle continuamente affrontare, tanto più che i canoni relativi ai giudizi in genere e quelli sul giudizio contenzioso ordinario debbono essere applicati soltanto « in quanto compatibili con la materia in discussione » e, inoltre, « osservate le norme speciali dettate per le cause sullo stato delle persone e per quelle di pubblico interesse » (can. 1691). Quanto al Codice del 1917, per far fronte a tali difficoltà la Sacra Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti pubblicò il 15 agosto 1936 l'Istruzione Provida Mater(12), proprio con questa intenzione: « affinché si provveda più celermente e sicuramente a istruire e a decidere queste cause ». Per quanto poi concerne il metodo e i criteri seguiti, l'Istruzione predispose la materia riunendo i canoni, la giurisprudenza e la prassi della Curia Romana. Dopo la promulgazione del Codice del 1983, era parso necessario predisporre sollecitamente un'Istruzione che, seguendo le tracce della Provida Mater, fosse di aiuto ai giudici e agli addetti dei tribunali nell'interpretare e applicare in modo corretto il rinnovato diritto matrimoniale: atteso che negli ultimi decenni mentre è aumentato il numero delle cause di nullità di matrimonio, per contro, troppo spesso sono diminuiti i giudici e gli altri addetti ai tribunali tanto da essere pochi e del tutto impari ad assolvere il loro ufficio. Nel contempo, però, era sembrato opportuno lasciare trascorrere un certo periodo di tempo, prima che la nuova Istruzione vedesse la luce, così come fu fatto dopo la promulgazione del Codice del 1917, affinché nel redigerla si fosse in grado di tener conto sia dell'applicazione del nuovo diritto matrimoniale alla luce dell'esperienza, sia delle interpretazioni autentiche eventualmente emesse dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, sia infine dello sviluppo della dottrina e dell'evoluzione della giurisprudenza, soprattutto quella del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e del Tribunale della Rota Romana. Una volta trascorso quell'opportuno intervallo di tempo, il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, il giorno 24 febbraio 1996, nella Sua prudenza ritenne conveniente costituire una Commissione interdicasteriale incaricata di elaborare l'Istruzione, con gli stessi criteri e lo stesso metodo adottato per l'Istruzione Provida Mater, mediante la quale i giudici e gli addetti dei tribunali fossero come guidati per mano a svolgere un ufficio di così grande rilievo, ossia a trattare le cause di dichiarazione di nullità matrimoniale, evitando la difficoltà che nello svolgimento del giudizio possono provenire anche solo dal modo in cui le norme di questo processo sono distribuite nel Codice. Il primo e il secondo schema di questa Istruzione sono stati redatti con la collaborazione dei Dicasteri interessati, cioè la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, il Tribunale della Rota Romana e il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi; sono state interpellate anche le Conferenze Episcopali. Dopo aver esaminato il lavoro svolto dalla Commissione, il Romano Pontefice, con Lettera del 4 febbraio 2003, ha stabilito che questo Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, tenuto conto dei due schemi precitati, preparasse e pubblicasse il testo definitivo dell'Istruzione, circa le norme vigenti in materia. Il che è stato conseguito tramite una nuova Commissione interdicasteriale e con la consulenza delle Congregazioni e dei Tribunali Apostolici interessati. L'Istruzione è stata dunque elaborata e pubblicata perché sia di aiuto ai giudici e agli altri addetti dei tribunali ecclesiastici, cui è affidato il sacro ufficio della decisione delle cause di nullità di matrimonio. Pertanto, le leggi processuali del Codice di Diritto Canonico per la dichiarazione di nullità di matrimonio rimangono integralmente in vigore, e ad esse occorrerà sempre riferirsi nell'interpretare l'Istruzione. In considerazione peraltro della natura specifica di questo processo, deve essere evitato con particolare cura, da un lato il formalismo giuridico, come del tutto estraneo allo spirito delle leggi della Chiesa, dall'altro lato quel modo di agire che indulge a un eccessivo soggettivismo nell'interpretazione e nell'applicazione tanto delle norme di diritto sostantivo che di quelle processuali(13). Inoltre, al fine di ottenere in tutta la Chiesa quella fondamentale unità della giurisprudenza che le cause matrimoniali esigono, è necessario che tutti i tribunali di grado inferiore guardino con attenzione ai Tribunali Apostolici, ossia al Tribunale della Rota Romana, che ha il compito di provvedere all'‘‘unità della giurisprudenza'' e di essere ‘‘di aiuto, con le proprie sentenze, ai tribunali di grado inferiore'' (Pastor Bonus, art. 126), e al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, al quale spetta, ‘‘oltre ad esercitare la funzione di Tribunale Supremo'', il compito di vigilare ‘‘sulla retta amministrazione della giustizia nella Chiesa'' (Pastor Bonus, art. 121). Senza dubbio vale anche oggi, anzi con urgenza ancora maggiore di quella del tempo in cui fu pubblicata l'Istruzione Provida Mater, l'avvertenza della stessa Istruzione: « Tuttavia è bene tener presente che queste regole si riveleranno insufficienti a conseguire il fine loro proposto, se i giudici diocesani non acquisiranno una conoscenza approfondita dei sacri canoni e non saranno bene addestrati nell'esperienza forense »(14). Pertanto, i Vescovi hanno il grave obbligo di provvedere che per i propri tribunali vengano formati con sollecitudine idonei amministratori di giustizia e che questi vengano preparati con un opportuno tirocinio in foro canonico a istruire secondo le norme e decidere secondo giustizia le cause matrimoniali in tribunale. Perciò nel trattare le cause di nullità di matrimonio presso i tribunali diocesani e interdiocesani devono essere osservate le seguenti norme: Art. 1 – § 1. La presente Istruzione riguarda solo i tribunali della Chiesa latina (cf. can. 1). § 2. Tutti i tribunali sono disciplinati dalle norme processuali del Codice di Diritto Canonico e dalla presente Istruzione, fatte salve le leggi proprie dei tribunali della Sede Apostolica (cf. can. 1402; Pastor Bonus, artt. 125; 130). § 3. La dispensa dalle leggi processuali è riservata alla Sede Apostolica (cf. can. 87; Pastor Bonus, art. 124, n. 2). Art. 2 – § 1. Il matrimonio dei cattolici, anche quando uno solo dei coniugi sia cattolico, è regolato non soltanto dal diritto divino ma anche da quello canonico, salvo l'art. 3, § 3 (cf. can. 1059). § 2. Il matrimonio tra una parte cattolica e una parte battezzata non cattolica è regolato altresì: 1o dal diritto proprio della Chiesa o della Comunità ecclesiale, alla quale appartiene la parte non cattolica, se tale Comunità ha un diritto matrimoniale proprio; 2o dal diritto in vigore presso la Comunità ecclesiale alla quale appartiene la parte non cattolica, se tale Comunità è priva di un diritto matrimoniale proprio. Art. 3 – § 1. Le cause matrimoniali dei battezzati spettano per diritto proprio al giudice ecclesiastico (can. 1671). § 2. Il giudice ecclesiastico, però, può esaminare solo le cause di nullità dei non cattolici, siano essi battezzati o non battezzati, nelle quali è necessario che sia provato davanti alla Chiesa cattolica lo stato libero di almeno una delle parti, salvo l'art. 114. § 3. Le cause sugli effetti puramente civili del matrimonio spettano al magistrato civile, a meno che il diritto particolare non stabilisca che le medesime cause, qualora siano trattate incidentalmente e accessoriamente, possano essere esaminate e decise dal giudice ecclesiastico (can. 1672). Art. 4 – § 1. Ogni qual volta il giudice ecclesiastico deve pronunciarsi sulla nullità di matrimonio di coniugi acattolici battezzati: 1o quanto al diritto, cui le parti erano soggette al tempo della celebrazione del matrimonio, si applica l'art. 2, § 2; 2o quanto alla forma della celebrazione del matrimonio, la Chiesa riconosce qualsiasi forma prescritta o ammessa nella Chiesa o nella Comunità ecclesiale di cui le parti erano membri al tempo della celebrazione del matrimonio, purché, se almeno una delle parti è fedele di una Chiesa orientale acattolica, il matrimonio sia stato celebrato con un rito sacro. § 2. Ogni qual volta il giudice ecclesiastico deve pronunciarsi sulla nullità di matrimonio contratto da due coniugi non battezzati: 1o la causa di nullità si svolge secondo le norme del diritto processuale canonico; 2o la nullità di matrimonio è decisa, fatto salvo il diritto divino, in base alle norme del diritto cui le parti erano soggette al tempo della celebrazione del matrimonio. Art. 5 – § 1. Le cause di nullità di matrimonio possono essere decise solo mediante una sentenza del tribunale competente. § 2. La Segnatura Apostolica gode della facoltà di decidere mediante decreto i casi di nullità di matrimonio nei quali la nullità appaia evidente; ma, qualora si manifesti l'esigenza di indagine od esame più accurato, la Segnatura li rinvierà al tribunale competente o, se il caso lo richiede, a un altro tribunale, che istruirà il processo di nullità secondo le disposizioni di legge. § 3. Al fine poi di provare lo stato libero di coloro che, pur essendo tenuti in forza del can. 1117 all'osservanza della forma canonica, hanno attentato matrimonio davanti a un ufficiale di stato civile o a un ministro di culto acattolico, è sufficiente l'investigazione prematrimoniale prevista dai cann. 1066- 1071(15). Art. 6 – Le cause di dichiarazione di nullità di matrimonio non possono essere trattate con processo orale (cf. can. 1690). Art. 7 – § 1. La presente Istruzione riguarda soltanto il processo di dichiarazione di nullità di matrimonio, non invece i processi di scioglimento del vincolo coniugale (cf. cann. 1400, § 1, n. 1; 1697-1706). § 2. Pertanto, è necessario tenere ben presente, per quanto riguarda la terminologia, la differenza tra dichiarazione di nullità e scioglimento del vincolo. Titolo I IL FORO COMPETENTE Art. 8 – § 1. Al solo Romano Pontefice compete il diritto di giudicare le cause di nullità di matrimonio dei capi di Stato, e le altre cause di nullità di matrimonio che Egli stesso abbia avocato al proprio giudizio (cf. can. 1405, § 1, nn. 1, 4). § 2. Nelle cause di cui al § 1 l'incompetenza degli altri giudici è assoluta (cf. can. 1406, § 2). Art. 9 – § 1. L'incompetenza di un giudice è assoluta anche: 1o se la causa è già legittimamente pendente davanti ad un altro tribunale (cf. can. 1512, n. 2); 2o se non è osservata la competenza concernente il grado di giudizio o l'oggetto del medesimo (cf. can. 1440). § 2. Pertanto, l'incompetenza del giudice è assoluta, in ragione del grado del giudizio, se la stessa causa, dopo che è stata emessa una sentenza definitiva, è trattata nuovamente nella medesima istanza, a meno che la sentenza sia stata dichiarata nulla; in ragione dell'oggetto o materia, se l'esame di una causa è compiuta da un tribunale competente a decidere soltanto cause di differente oggetto. § 3. Nei casi di cui al § 1 n. 2, la Segnatura Apostolica può, per giusto motivo, assegnare l'esame di una causa ad un tribunale di per sé incompetente (cf. Pastor Bonus, art. 124, n. 2). Art. 10 – § 1. Nelle cause di nullità di matrimonio, che non siano riservate alla Sede Apostolica, o ad essa avocate, sono competenti in primo grado di giudizio: 1o il tribunale del luogo in cui è stato celebrato il matrimonio; 2o il tribunale del luogo in cui ha il domicilio o il quasi- domicilio la parte convenuta; 3o il tribunale del luogo in cui ha il domicilio la parte attrice, purché entrambe le parti risiedano nel territorio della medesima Conferenza episcopale e intervenga il consenso del Vicario giudiziale del domicilio della parte convenuta, il quale, prima di concederlo, dovrà interrogare quest'ultima se abbia qualcosa da eccepire; 4o il tribunale del luogo in cui di fatto si debba raccogliere la maggior parte delle prove, purché vi sia il consenso del Vicario giudiziale del domicilio della parte convenuta, il quale, prima di concederlo, dovrà interrogare quest'ultima se abbia qualcosa da eccepire (cf. can. 1673). § 2. L'incompetenza del giudice che non è suffragata da alcuno di questi titoli si dice relativa, salve comunque le disposizioni concernenti l'incompetenza assoluta (cf. can. 1407, § 2). § 3. Se l'incompetenza relativa non è eccepita prima che sia concordato il dubbio, il giudice diviene ipso iure competente, salvo però il can. 1457, § 1. § 4. In caso di incompetenza relativa, la Segnatura Apostolica può per giusto motivo concedere la proroga della competenza (cf. Pastor Bonus, art. 124, n. 3). Art. 11 – § 1. Per provare il domicilio canonico delle parti, e soprattutto il quasi-domicilio, di cui ai cann. 102-107, nel dubbio non è sufficiente la semplice dichiarazione delle parti, ma si richiedono idonei documenti sia ecclesiastici che civili, o in mancanza di questi altri elementi di prova. § 2. Qualora si asserisce che il quasi-domicilio è stato acquisito con la dimora nel territorio di qualche parrocchia o diocesi, congiunta con l'intenzione di rimanervi per almeno tre mesi, si dovrà accertare con cura particolare se le disposizioni del can. 102, § 2 risultino effettivamente osservate. § 3. Il coniuge per qualsiasi ragione separato in perpetuo o a tempo indeterminato, non segue il domicilio dell'altro coniuge (cf. can. 104). Art. 12 – Il cambiamento del domicilio o del quasi-domicilio dei coniugi durante la pendenza della causa non toglie affatto al tribunale la sua competenza, né la sospende (cf. can. 1512, nn. 2, 5). Art. 13 – § 1. Fino a quando non siano state soddisfatte le condizioni di cui all'art. 10, § 1, nn. 3-4, il tribunale non può legittimamente procedere. § 2. Nei menzionati casi il consenso del Vicario giudiziale del domicilio della parte convenuta deve risultare per iscritto e non può essere presunto. § 3. La previa consultazione della parte convenuta ad opera del suo Vicario giudiziale può essere fatta per iscritto od oralmente; se fatta oralmente, lo stesso Vicario redigerà un documento che ne dia attestazione. § 4. Il Vicario giudiziale della parte convenuta, prima di dare il consenso, deve valutare con attenzione tutte le circostanze della causa, e soprattutto le difficoltà di difesa della parte convenuta davanti al tribunale del luogo in cui la parte attrice ha il domicilio, o nel quale deve essere raccolta la maggior parte delle prove. § 5. Nel caso, il Vicario giudiziale del domicilio della parte convenuta non è il Vicario giudiziale del tribunale interdiocesano, ma il Vicario giudiziale diocesano; e se questo in una particolare fattispecie manca, il Vescovo diocesano(16). § 6. Se peraltro le condizioni di cui ai §§ precedenti non possono essere osservate perché, malgrado una diligente indagine, si ignora dove risiede la parte convenuta, ciò deve risultare agli atti. Art. 14 – Nel valutare se un determinato tribunale sia effettivamente quello in cui deve essere raccolta la maggior parte delle prove, occorre tenere in considerazione tanto le prove che si prevede siano addotte dall'una e dall'altra parte, quanto quelle che debbono essere acquisite d'ufficio. Art. 15 – Quando un matrimonio viene impugnato per più capi di nullità, questi, per ragione di connessione, debbono essere giudicati nello stesso processo da un solo e identico tribunale (cf. cann. 1407, § 1; 1414). Art. 16 – § 1. Il tribunale della Chiesa latina, salvi gli artt. 8-15, può esaminare cause di nullità di matrimonio dei cattolici di un'altra Chiesa sui iuris: 1o ipso iure, in un territorio dove non esiste altro Gerarca locale di qualsiasi altra Chiesa sui iuris oltre l'Ordinario del luogo della Chiesa latina, o dove la cura pastorale dei fedeli membri della Chiesa sui iuris, di cui si tratta, è stata affidata all'Ordinario del luogo della Chiesa latina, per designazione fatta dalla Sede Apostolica o almeno dietro suo assenso (cf. can. 916, § 5, CCEO); 2o negli altri casi, per proroga della competenza concessa dalla Segnatura Apostolica, sia stabilmente che per il caso in esame. § 2. Il tribunale della Chiesa latina in questi casi deve procedere secondo le norme della legge processuale sua propria, ma la nullità di matrimonio va accertata in base alle leggi della Chiesa sui iuris di cui le parti sono fedeli. Art. 17 – Quanto alla competenza dei tribunali nel secondo ed ulteriore grado di giudizio, si applicano gli artt. 25, 27 (cf. cann. 1438-1439, § 1; 1632, § 2; 1683). Art. 18 – A motivo della prevenzione, quando due o più tribunali sono egualmente competenti, ha diritto di giudicare la causa quel tribunale che per primo citò legittimamente la parte convenuta (can. 1415). Art. 19 – § 1. Chi, dopo l'interruzione dell'istanza per perenzione o per rinuncia, vuole introdurre di nuovo la causa o proseguirla, può adire a sua scelta qualsiasi tribunale competente in base alle norme di legge al tempo della riassunzione(17). § 2. Se, però, la perenzione o la rinuncia o la mancata comparizione hanno avuto luogo davanti alla Rota Romana, la causa può essere riassunta solo davanti alla Rota, tanto se tale causa era stata assegnata a quel Tribunale Apostolico, quanto se ad essa era pervenuta per appello(18). Art. 20 – I conflitti di competenza tra due tribunali soggetti allo stesso tribunale di appello, sono risolti da questo tribunale; se non sono soggetti allo stesso tribunale di appello, dalla Segnatura Apostolica (can. 1416). Art. 21 – Se è sollevata un'eccezione contro la competenza del tribunale, si applicano gli artt. 78-79. Titolo II I TRIBUNALI Capitolo I La potestà giudiziale in genere Art. 22 – § 1. In ciascuna diocesi il giudice di prima istanza per le cause di nullità di matrimonio, salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge, è il Vescovo diocesano, il quale può, a norma di legge, esercitare la potestà giudiziale sia personalmente che per il tramite di altri (cf. can. 1419, § 1). § 2. Tuttavia è opportuno, a meno che speciali motivi lo richiedano, che egli non la eserciti personalmente. § 3. Pertanto tutti i Vescovi debbono costituire per la propria diocesi un tribunale diocesano. Art. 23 – § 1. Più Vescovi diocesani, peraltro, possono, a norma del can. 1423, di comune accordo, con l'approvazione della Sede Apostolica, costituire per le loro rispettive diocesi un unico tribunale di prima istanza, in luogo dei tribunali diocesani di cui ai cann. 1419-1421. § 2. In tal caso, ciascun Vescovo può istituire nella propria diocesi una sezione istruttoria, con un uno o più uditori e di un notaio per la raccolta delle prove e la notificazione degli atti. Art. 24 – § 1. Se non è in alcun modo possibile costituire un tribunale diocesano o interdiocesano, il Vescovo diocesano si rivolga alla Segnatura Apostolica per la proroga della competenza a favore di un tribunale limitrofo, col consenso del Vescovo Moderatore di tale tribunale. § 2. Vescovo Moderatore del tribunale diocesano è il Vescovo diocesano; del tribunale interdiocesano il Vescovo designato di cui all'art. 26. Art. 25 – Per ciò che riguarda i tribunali di seconda istanza, salvo l'art. 27 e salve le facoltà concesse dalla Sede Apostolica: 1o dal tribunale del Vescovo suffraganeo si appella al tribunale del Metropolita, salvo il disposto dei nn. 3-4 (cf. can. 1438, n. 1); 2o nelle cause trattate in prima istanza davanti al tribunale metropolitano, si appella al tribunale che lo stesso Metropolita, con l'approvazione della Sede Apostolica, ha designato stabilmente (can. 1438, n. 2); 3o se è stato costituito un unico tribunale di prima istanza per più diocesi, a norma dell'art. 23, la Conferenza episcopale deve costituire, con l'approvazione della Sede Apostolica, il tribunale di seconda istanza, a meno che tutte le suddette diocesi non siano suffraganee della medesima arcidiocesi (cf. can. 1439, § 1); 4o la Conferenza episcopale può, con l'approvazione della Sede Apostolica, costituire uno o più tribunali di seconda istanza anche al di fuori dei casi di cui al n. 3 (cf. can. 1439, § 2). Art. 26 – I Vescovi, quanto al tribunale di cui all'art. 23, e la Conferenza episcopale, quanto ai tribunali di cui all'art. 25, nn. 3-4, o il Vescovo da loro designato, godono di tutti i poteri che spettano al Vescovo diocesano nei confronti del suo tribunale (cf. cann. 1423, § 1; 1439, § 3). Art. 27 – § 1. La Rota Romana è tribunale di appello di seconda istanza in concorso coi tribunali di cui all'art. 25; pertanto tutte le cause giudicate da qualsiasi tribunale in prima istanza possono essere deferite per legittimo appello alla Rota Romana (cf. can. 1444, § 1, n. 1; Pastor Bonus, art. 128, n. 1). § 2. Salve le leggi particolari emesse dalla Sede Apostolica o le facoltà concesse dalla medesima, la Rota Romana è l'unico tribunale di appello nella terza istanza e in quelle successive (cf. can. 1444, § 1, n. 2; Pastor Bonus, art. 128, n. 2). Art. 28 – Eccettuato il caso di legittimo appello alla Rota Romana a norma dell'art. 27, un ricorso interposto davanti alla Sede Apostolica non sospende l'esercizio della potestà giudiziale nel giudice che abbia già cominciato a trattare la causa; egli quindi può proseguire il giudizio fino alla sentenza definitiva, purché la Sede Apostolica non gli abbia significato di avere avocato la causa a sé (cf. can. 1417, § 2). Art. 29 – § 1. Ogni tribunale ha il diritto di chiedere la collaborazione di un altro tribunale per l'istruzione della causa e la notifica degli atti (can. 1418). § 2. Se del caso, possono essere inviate lettere rogatorie al Vescovo diocesano affinché provveda. Art. 30 – § 1. Riprovata ogni contraria consuetudine, le cause di nullità di matrimonio sono riservate al tribunale collegiale di tre giudici, salvi gli artt. 295, 299 (cf. can. 1425, § 1). § 2. Il Vescovo Moderatore può assegnare le cause di più rilevante difficoltà o di maggiore importanza al giudizio di cinque giudici (cf. can. 1425, § 2). § 3. In prima istanza, qualora non sia possibile costituire il collegio, la Conferenza episcopale può, per il tempo in cui perdura tale impossibilità, permettere che il Vescovo Moderatore assegni le cause a un giudice unico, chierico, il quale, se possibile, assocerà a sé un assessore e un uditore; a tale giudice unico, se non risulta altrimenti, competono i poteri che la legge attribuisce al collegio, al presidente o al ponente (cf. can. 1425, § 4). § 4. Il tribunale di seconda istanza deve essere costituito allo stesso modo di quello di prima istanza; ma tale tribunale, per la validità, deve sempre essere collegiale (cf. cann. 1441; 1622, n. 1). Art. 31 – Quando il tribunale è tenuto a procedere collegialmente, le decisioni debbono essere prese a maggioranza (cf. can. 1426, § 1). Art. 32 – § 1. La potestà giudiziale, di cui godono i giudici e i collegi giudiziari, si deve esercitare nel modo stabilito dal diritto, e non può essere delegata, se non per eseguire gli atti preparatori di qualsiasi decreto o sentenza (can. 135, § 3). § 2. La potestà giudiziale deve essere esercitata nell'ambito del proprio territorio, salvo l'art. 85. Capitolo II I ministri del tribunale 1. I ministri di giustizia in genere Art. 33 – Considerata l'importanza e la difficoltà delle cause di nullità di matrimonio, i Vescovi debbono aver cura: 1o che per i loro tribunali siano preparati idonei operatori di giustizia; 2o che coloro che sono stati scelti per svolgere questa funzione si dedichino alla loro attività con diligenza e a norma di legge. Art. 34 – § 1. I ministri del tribunale diocesano sono nominati dal Vescovo diocesano; quelli del tribunale interdiocesano, se non è espressamente stabilito altrimenti, dai Vescovi di cui all'art. 23, § 1, o dalla Conferenza episcopale. § 2. Però in caso urgente, i componenti del tribunale interdiocesano, possono essere nominati dal Vescovo Moderatore, fino a quando i Vescovi o la Conferenza non abbiano provveduto. Art. 35 – § 1. Tutti coloro che compongono il tribunale o in esso collaborano devono prestare giuramento di adempiere convenientemente e fedelmente l'ufficio (can. 1454). § 2. Per svolgere con competenza l'incarico loro affidato, i giudici, i difensori del vincolo e i promotori di giustizia debbono aver cura di acquisire una conoscenza sempre più approfondita del diritto matrimoniale e processuale. § 3. Essi debbono particolarmente applicarsi allo studio della giurisprudenza della Rota Romana, poiché questa ha il compito di provvedere all'unità della giurisprudenza e di essere di aiuto, con le proprie sentenze, ai tribunali inferiori (cf. Pastor Bonus, art. 126). Art. 36 – § 1. Il Vicario giudiziale, i Vicari giudiziali aggiunti, gli altri giudici, i difensori del vincolo e i promotori di giustizia non debbono esercitare stabilmente lo stesso ufficio, od altro, in due tribunali tra i quali vi è collegamento per ragione di appello. § 2. I medesimi, inoltre, non possono, salvo l'art. 53, § 3, ricoprire contemporaneamente due uffici nello stesso tribunale. § 3. Ai ministri del tribunale non è permesso svolgere, né direttamente né per interposta persona, la funzione di avvocati o di procuratori nello stesso tribunale o presso un altro tribunale collegato con questo per ragione di appello. Art. 37 – Al di fuori di quelli che sono previsti nel Codice, nel tribunale non può essere costituito alcun altro ufficio. 2. I ministri di giustizia in specie a) Il Vicario giudiziale, i Vicari giudiziali aggiunti e gli altri giudici Art. 38 – § 1. Ciascun Vescovo diocesano è tenuto a costituire per il suo tribunale un Vicario giudiziale, ossia Officiale con potestà ordinaria di giudicare, distinto dal Vicario generale, a meno che le ridotte dimensioni della diocesi o il ridotto numero delle cause non suggeriscano altrimenti (cf. can. 1420, § 1). § 2. Il Vicario giudiziale forma assieme al Vescovo un unico tribunale, ma non può giudicare le cause che il Vescovo riserva a sé (cf. can. 1420, § 2). § 3. Il Vicario giudiziale, salvo quanto a lui spetta ex iure, in modo particolare la libertà nel pronunciare la sentenza, è tenuto ad informare circa lo stato e l'attività del tribunale diocesano il Vescovo, al quale spetta la vigilanza circa la retta amministrazione della giustizia nel tribunale. Art. 39 – Anche in ciascun tribunale interdiocesano deve essere nominato un Vicario giudiziale, al quale con gli opportuni adattamenti, si applicano le stesse norme stabilite per il Vicario giudiziale diocesano. Art. 40 – I Vicari giudiziali sono obbligati a emettere personalmente davanti al Vescovo Moderatore del tribunale, o a un suo delegato, la professione di fede e il giuramento di fedeltà secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica (cf. can. 833, n. 5)(19). Art. 41 – § 1. Al Vicario giudiziale possono essere dati degli aiutanti, detti Vicari giudiziali aggiunti o Vice-officiali (can. 1420, § 3). § 2. Fatta salva la loro libertà nel giudicare, i Vicari giudiziali aggiunti sono tenuti ad operare sotto la direzione del Vicario giudiziale. Art. 42 – § 1. Sia il Vicario giudiziale che i Vicari giudiziali aggiunti devono essere sacerdoti, di integra fama, dottori o almeno licenziati in diritto canonico e che non abbiano meno di trenta anni (can. 1420, § 4). § 2. Si raccomanda vivamente che nessuno, che non abbia esperienza forense, sia nominato Vicario giudiziale o Vicario giudiziale aggiunto. § 3. Essi non cessano dall'incarico quando la sede si rende vacante, né possono essere rimossi dall'Amministratore diocesano; venendo però il nuovo Vescovo devono essere riconfermati (can. 1420, § 5). Art. 43 – § 1. Nella diocesi il Vescovo costituisca giudici diocesani che siano chierici (can. 1421, § 1). § 2. La Conferenza episcopale può permettere che anche i fedeli laici siano costituiti giudici; di essi, se la necessità lo suggerisce, uno può essere assunto a formare un collegio (can. 1421, § 2). § 3. I giudici siano di integra fama e dottori in diritto canonico o almeno licenziati (can. 1421, § 3). § 4. Si raccomanda inoltre che nessuno sia nominato giudice senza prima avere svolto nel tribunale un altro incarico per un tempo conveniente. Art. 44 – Il Vicario giudiziale, i Vicari giudiziali aggiunti e gli altri giudici sono nominati a tempo determinato, fermo restando il disposto dell'art. 42, § 3, e non possono essere rimossi se non per una causa legittima e grave (cf. can. 1422). Art. 45 – È compito del tribunale collegiale: 1o decidere la causa principale (cf. art. 30, §§ 1, 3); 2o pronunciarsi sull'eccezione di incompetenza (cf. art. 78); 3o pronunciarsi sul ricorso proposto avverso la reiezione del libello (cf. art. 124, § 1); 4o pronunciarsi sul ricorso contro il decreto del presidente o del ponente con cui si stabilisce la formula del dubbio o dei dubbi (cf. art. 135, § 4); 5o decidere con la massima sollecitudine (expeditissime) la richiesta di una parte perché una prova respinta sia ammessa (cf. art. 158, § 1); 6o decidere le questioni incidentali in conformità agli artt. 217-219; 7o stabilire, per grave motivo, uno spazio di tempo superiore ad un mese per la pubblicazione della sentenza (cf. art. 249, § 5); 8o imporre, quando ne sia il caso, il vetitum (cf. artt. 250, § 3; 251); 9o decidere sulle spese giudiziali e prendere in esame il ricorso contro la pronuncia circa le spese e gli onorari (cf. artt. 250, n. 4; 304, § 2); 10o correggere gli errori materiali nel testo della sentenza (cf. art. 260); 11o in grado di appello, a norma dell'art. 265, confermare sollecitamente con decreto la sentenza emessa a favore della nullità di matrimonio nel primo grado di giudizio, oppure ammettere la causa all'esame ordinario del nuovo grado; 12o vedere della nullità della sentenza (cf. artt. 269; 274, § 1; 275; 276, § 2; 277, § 2); 13o porre in essere gli altri atti processuali che il collegio abbia riservato a sé o gli siano stati deferiti. Art. 46 – § 1. Il tribunale collegiale deve essere presieduto dal Vicario giudiziale o dal Vicario giudiziale aggiunto, o, se ciò non è possibile, da un altro membro del collegio, che deve essere chierico, designato dall'uno o dall'altro (cf. can. 1426, § 2). § 2. È compito del presidente del collegio: 1o designare il ponente e sostituirlo con altri per giusto motivo (cf. art. 47); 2o designare un uditore o, per giusto motivo, delegare ad actum una persona idonea per interrogare una parte o un teste (cf. artt. 50, § 1; 51); 3o prendere in esame le eccezioni sollevate contro il difensore del vincolo, il promotore di giustizia o gli altri addetti del tribunale (cf. art. 68, § 4); 4o esercitare la vigilanza nei confronti di coloro che prendono parte al giudizio a norma dei cann. 1457, § 2; 1470, § 2; 1488-1489 (cf. artt. 75, § 1; 87; 111, § 1; 307, § 3); 5o ammettere o nominare il curatore (cf. artt. 99, § 1; 144, § 2); 6o provvedere quanto all'attività del procuratore e dell'avvocato, a norma degli artt. 101, §§ 1, 3; 102; 105, § 3; 106, § 2; 109; 144, § 2; 7o ammettere o rigettare il libello e citare in giudizio la parte convenuta a norma degli artt. 119-120; 126; 8o curare che il decreto di citazione in giudizio sia immediatamente notificato, e quando ne sia il caso, convocare le parti e il difensore del vincolo con nuovo decreto (cf. artt. 126, § 1; 127, § 1); 9o ordinare che il libello non sia portato a conoscenza della parte convenuta prima che questa abbia reso la sua deposizione giudiziale (cf. art. 127, § 3); 10o proporre e stabilire la formula del dubbio o dei dubbi (cf. artt. 127, § 2; 135, § 1); 11o disporre e svolgere l'istruzione della causa (cf. artt. 137; 155 ss.; 239); 12o dichiarare la parte convenuta assente dal giudizio, e adoperarsi perché essa receda dall'assenza (cf. artt. 138; 142); 13o procedere a norma dell'art. 140 se l'attore non dà riscontro alla citazione (cf. art. 142); 14o dichiarare l'istanza perenta o ammettere la rinuncia alla medesima (cf. artt. 146-147; 150, § 2); 15o nominare i periti e, quando ne sia il caso, acquisire agli atti le relazioni già fatte da altri periti (cf. art. 204); 16o rigettare in limine, a norma dell'art. 220, l'istanza di ammissione di una causa incidentale, o revocare un proprio decreto impugnato (cf. art. 221, § 2); 17o decidere con decreto per mandato del collegio una causa incidentale, a norma dell'art. 225; 18o decretare la pubblicazione degli atti e la conclusio in causa, e presiederne la discussione (cf. artt. 229-245); 19o fissare la sessione del collegio per la decisione della causa e presiedere la discussione del collegio (cf. art. 248); 20o provvedere a norma dell'art. 255, qualora un giudice non possa apporre la firma alla sentenza; 21o trasmettere con proprio decreto, nel processo di cui all'art. 265, gli atti al difensore del vincolo, perché questi possa dare il suo voto, e avvertire le parti che, se lo desiderano, possono proporre le loro osservazioni; 22o concedere il gratuito patrocinio (cf. artt. 306-307); 23o porre gli altri atti processuali che non siano riservati al collegio a norma di legge o per decisione dello stesso collegio. Art. 47 – § 1. Il ponente, ossia relatore, designato dal presidente tra i giudici che compongono il collegio, deve fare la relazione della causa nella riunione dei giudici, scrivere la decisione sotto forma di risposta al dubbio proposto, e redigere per iscritto la sentenza, nonché, nelle cause incidentali, i decreti (cf. can. 1429; artt. 248, §§ 3, 6; 249, § 1). § 2. Al ponente, o relatore, dopo l'ammissione del libello, spettano ipso iure gli stessi poteri del presidente di cui all'art. 46, § 2, nn. 8-16, 18, 21, salva la facoltà del presidente di riservare a sé qualche atto processuale. § 3. Il presidente può per giusto motivo sostituirlo con un altro giudice (cf. can. 1429). Art. 48 – § 1. Il Vicario giudiziale affidi ai giudici la trattazione delle cause per turno o, quando ne sia il caso, al giudice unico, secondo un ordine prestabilito (cf. can. 1425, § 3). § 2. Il Vescovo Moderatore nei singoli casi può provvedere diversamente (cf. can. 1425, § 3). Art. 49 – Il Vicario giudiziale non sostituisca i giudici, una volta nominati, se non per gravissimo motivo che deve essere indicato nel relativo decreto (can. 1425, § 5). b) Gli uditori e gli assessori Art. 50 – § 1. Il presidente può nominare un uditore per svolgere l'istruttoria della causa, scegliendolo fra i giudici del tribunale o fra le persone approvate per questo ufficio dal Vescovo diocesano (cf. can. 1428, § 1). § 2. Il Vescovo diocesano può, per la sua diocesi, nominare uditori sia chierici che laici: essi debbono distinguersi per onestà di costumi, prudenza e dottrina. § 3. Spetta all'uditore, secondo il mandato del giudice, solo raccogliere le prove e una volta raccolte trasmetterle al giudice; può, inoltre, a meno che non si opponga il mandato del giudice, decidere nel frattempo quali prove debbano essere raccolte e secondo quale metodo, se eventualmente sorga controversia in proposito durante l'esercizio delle sue funzioni (can. 1428, § 3). § 4. L'uditore in qualsiasi momento del giudizio può essere esonerato, per giusto motivo, da colui che lo ha designato (cf. can. 193, § 3). Art. 51 – Il presidente, il ponente e, fermo restando l'art. 50 § 3, l'uditore, possono per giusto motivo delegare ad actum una persona idonea, la quale, soprattutto se una parte o un teste non sono in grado di raggiungere la sede del tribunale senza grave incomodo, la interroghi in conformità al mandato ricevuto. Art. 52 – L'assessore, che viene associato al giudice unico come consulente a norma dell'art. 30, § 3, deve essere scelto tra i chierici o i laici approvati per questo incarico dal Moderatore del tribunale (cf. can. 1424). c) Il difensore del vincolo e il promotore di giustizia Art. 53 – § 1. Per tutte le cause di nullità di matrimonio in ciascun tribunale diocesano o interdiocesano, debbono essere stabilmente costituiti almeno un difensore del vincolo e un promotore di giustizia, fermo restando l'art. 34 quanto alla loro nomina (cf. cann. 1430; 1432). § 2. Per singole cause, inoltre, può essere nominato un altro all'ufficio di difensore del vincolo o del promotore di giustizia, fermo sempre restando l'art. 34 (cf. can. 1436, § 2). § 3. La stessa persona può esercitare sia l'ufficio di difensore del vincolo che quello di promotore di giustizia, non però nella stessa causa (cf. can. 1436, § 1). § 4. Il difensore del vincolo e il promotore di giustizia possono essere rimossi per giusto motivo da coloro che li hanno nominati (cf. can. 1436, § 2). Art. 54 – Il difensore del vincolo e il promotore di giustizia siano chierici o laici, di integra fama, dottori o licenziati in diritto canonico e di provata prudenza e sollecitudine per la giustizia (cf. can. 1435). Art. 55 – Al difensore del vincolo e al promotore di giustizia, sia all'inizio che durante il processo, con decreto di cui deve farsi menzione negli atti, possono essere dati dal Vicario giudiziale dei sostituti, scelti tra quelli nominati a norma dell'art. 53, §§ 1-2, che sostituiscano i primi nominati impediti. Art. 56 – § 1. Nelle cause di nullità di matrimonio la presenza del difensore del vincolo è sempre necessaria. § 2. Egli deve intervenire a norma di legge fin dall'inizio e nello svolgimento del processo. § 3. Ha l'obbligo di proporre in ogni grado di giudizio qualsiasi genere di prove, opposizioni ed eccezioni che, salva la verità dei fatti, contribuiscano alla tutela del vincolo (cf. can. 1432). § 4. Nelle cause che hanno ad oggetto le incapacità di cui al can. 1095, ha il compito di controllare che al perito siano sottoposti chiarimenti o questioni pertinenti alla fattispecie e non eccedenti la sua competenza; di vigilare che le perizie si fondino sui principi dell'antropologia cristiana e siano eseguite con metodo scientifico, indicando al giudice tutto quanto, a suo avviso, può essere addotto a favore del vincolo; in caso di sentenza affermativa, ha il dovere di significare chiaramente al tribunale di appello, se qualche deduzione contraria al vincolo, contenuta nelle perizie, non sia stata correttamente ponderata dai giudici. § 5. Non può mai agire a favore della nullità di matrimonio; se in qualche caso particolare non ha nulla da proporre o da esporre ragionevolmente contro la nullità di matrimonio, può rimettersi alla giustizia del tribunale. § 6. In grado di appello, valutati diligentemente tutti gli atti, anche se può fare riferimento alle osservazioni a favore del vincolo di prima istanza, deve sempre proporre le sue osservazioni, soprattutto circa un supplemento di istruttoria, se questo è stato eseguito. Art. 57 – § 1. Il promotore di giustizia deve intervenire quando egli stesso impugna il matrimonio a norma dell'art. 92, n. 2. § 2. Il promotore di giustizia in seguito al decreto del giudice deve intervenire d'ufficio o su richiesta del difensore del vincolo o di una parte, quando deve essere tutelata la legge processuale, specialmente se si tratta di nullità di atti o di eccezioni. § 3. Se il promotore di giustizia è intervenuto nella precedente istanza della causa principale o della causa incidentale, il suo intervento si presume necessario anche nei gradi successivi della stessa causa (cf. can. 1431, § 2). Art. 58 – Nelle cause in cui il promotore di giustizia ha impugnato il matrimonio a norma dell'art. 57, § 1, egli gode degli stessi diritti che spettano alla parte attrice, a meno che non risulti altrimenti dalla natura della controversia o da una disposizione di legge. Art. 59 – Se non si disponga espressamente altro: 1o ogni qual volta la legge prescrive che il giudice ascolti le parti o una di esse, debbono essere ascoltati anche il difensore del vincolo e il promotore di giustizia, se questi è intervenuto nel giudizio; 2o ogni qual volta è richiesta un'istanza della parte perché il giudice possa deliberare su un argomento, l'istanza del difensore del vincolo o del promotore di giustizia, se questi è intervenuto nel giudizio, ha lo stesso valore (cf. can. 1434). Art. 60 – Qualora, malgrado sia richiesta la loro presenza, il difensore del vincolo o il promotore di giustizia non siano stati citati, gli atti sono nulli, a meno che essi, benchè non citati, di fatto siano intervenuti o almeno, prima della sentenza, abbiano preso visione degli atti e potuto svolgere il loro compito (cf. can. 1433). d) Il capo della cancelleria del tribunale e gli altri notai Art. 61 – § 1. Al capo della cancelleria del tribunale, il quale è per ciò stesso notaio per gli atti giudiziari, spetta curare che gli atti del tribunale siano correttamente predisposti e redatti secondo le disposizioni del giudice e custoditi nell'archivio (cf. can. 482). § 2. Pertanto, se non è stabilito diversamente, spetta al capo della cancelleria protocollare tutti gli atti pervenuti al tribunale; annotare nel protocollo l'inizio, lo sviluppo e la fine di ciascuna causa; ricevere i documenti esibiti dalle parti; spedire le citazioni e le lettere; curare la preparazione dei sommari dei processi e la loro distribuzione ai giudici; custodire gli atti e i documenti di ciascuna causa; inviarne un esemplare al tribunale di appello, munito del sigillo di autenticità, sia che venga interposto appello sia d'ufficio; custodire nell'archivio del tribunale l'esemplare originale degli atti e dei documenti; munire del sigillo di autenticità la copia di ogni atto o documento dietro legittima richiesta di chi vi abbia interesse; ed infine restituire i documenti a norma dell'art. 91, §§ 1-2. § 3. Il capo della cancelleria del tribunale si astenga da qualsiasi intervento nella causa oltre ciò che gli spetta per ufficio. § 4. Assente o impedito il capo della cancelleria, di quanto indicato sopra relativamente agli atti giudiziari, si prenda cura un altro notaio. Art. 62 – § 1. A qualsiasi processo deve prendere parte un notaio, o attuario: gli atti da lui non sottoscritti sono da considerarsi nulli (cf. can. 1437, § 1). § 2. Gli atti che i notai redigono nell'esercizio della loro funzione con l'osservanza delle formalità prescritte dalla legge, fanno pubblica fede (cf. cann. 1437, § 2; 1540, § 1). § 3. Al notaio, con decreto di cui deve essere fatta menzione in atti, può essere dato un sostituto, che agirà in sua vece nel caso in cui egli sia impedito. § 4. Per giusto motivo può essere nominato dal giudice o dal suo delegato o dall'uditore un sostituto ad actum, soprattutto se si deve procedere all'interrogatorio di una parte o di un teste fuori della sede del tribunale. Art. 63 – Il capo della cancelleria e i notai debbono essere di integra fama e superiori ad ogni sospetto (cf. can. 483, § 2). Art. 64 – Essi possono essere rimossi dall'ufficio, nel tribunale diocesano a norma del can. 485; invece in quello interdiocesano, dal Vescovo Moderatore. Titolo III LA DISCIPLINA Capitolo I L'ufficio dei giudici Art. 65 – § 1. Il giudice, prima di accettare la causa ed ogniqualvolta intraveda una speranza di buon esito, faccia ricorso a mezzi pastorali, per indurre i coniugi, se è possibile, a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale (can. 1676). § 2. Se ciò non è possibile, il giudice esorti i coniugi perché, posposto ogni personale desiderio, collaborino sinceramente, adoperandosi per la verità ed in spirito di carità, all'accertamento della verità oggettiva, così come è richiesto dalla natura stessa della causa matrimoniale. § 3. Se poi il giudice avverte che i coniugi nutrono reciproca ostilità, li esorti caldamente perché nel corso del processo mettano da parte ogni rancore e si ispirino vicendevolmente alla disponibilità, alla correttezza ed alla carità. Art. 66 – § 1. Chi è intervenuto in una causa come giudice non può in seguito validamente decidere la stessa causa in una istanza successiva, o ricoprirvi l'incarico di assessore (cf. can. 1447). § 2. Chi è intervenuto in una causa come difensore del vincolo, promotore di giustizia, procuratore, avvocato, teste o perito, non può validamente decidere la stessa causa come giudice nella medesima istanza o in un'istanza successiva, o ricoprirvi l'incarico di assessore (cf. can. 1447). Art. 67 – § 1. Il giudice non accetti di giudicare una causa, che in qualche modo lo riguarda in ragione di vincoli di consanguineità o di affinità in qualsiasi grado della linea retta o fino al quarto grado nella linea collaterale, o in ragione di tutela e di curatela, di stretta consuetudine di vita, di grave inimicizia, oppure a scopo di guadagno o per evitare un danno, o nella quale possa essere oggetto di qualsiasi altro fondato sospetto di preferenza personale (cf. can. 1448, § 1). § 2. Nelle stesse circostanze debbono astenersi dal loro ufficio il difensore del vincolo, il promotore di giustizia, l'assessore, l'uditore e gli altri addetti del tribunale (cf. can. 1448, § 2). Art. 68 – § 1. Nei casi di cui all'art. 67, se il giudice, il difensore del vincolo, il promotore di giustizia o gli altri addetti del tribunale non si astengono, la parte li può ricusare (cf. can. 1449, § 1). § 2. Sulla ricusazione di un giudice decide il Vicario giudiziale; se è lui stesso ad essere ricusato, decide il Vescovo Moderatore (cf. can. 1449, § 2). § 3. Se il Vescovo stesso è giudice e contro di lui va la ricusazione si astenga dal giudicare. § 4. Se la ricusazione è proposta contro il difensore del vincolo, il promotore di giustizia o gli altri addetti del tribunale, su tale eccezione giudica il presidente nel tribunale collegiale, o il giudice stesso se è unico (cf. can. 1449, § 4). § 5. Fermo restando l'art. 67, non può essere considerata fondata la ricusazione proposta contro atti compiuti in conformità alla legge da un giudice o da un altro officiale del tribunale. Art. 69 – § 1. Ammessa la ricusazione le persone devono essere sostituite, ma non cambia il grado di giudizio (can. 1450). § 2. Se il tribunale non può trattare la causa per mancanza di personale e non vi sia un altro tribunale competente, la questione deve essere deferita alla Segnatura Apostolica, affinché questa designi un altro tribunale per la trattazione della causa. Art. 70 – § 1. La questione della ricusazione deve essere definita con la massima sollecitudine (expeditissime), udite le parti, nonché il difensore del vincolo e il promotore di giustizia, se questi è intervenuto nel giudizio, purché non siano stati ricusati essi stessi (cf. can. 1451, § 1). § 2. Gli atti posti dal giudice prima di essere ricusato sono validi; quelli posti dopo che ne fu proposta la ricusazione debbono essere rescissi, se la parte lo chiede entro i dieci giorni successivi all'ammissione della ricusazione stessa (cf. can. 1451, § 2). Art. 71 – § 1. Una volta che la causa di nullità di matrimonio è stata legittimamente introdotta, il giudice può e deve procedere non soltanto su richiesta di parte ma anche d'ufficio (cf. can. 1452, § 1). § 2. Pertanto, il giudice può e deve supplire alla negligenza delle parti nell'addurre prove e nell'opporre eccezioni, ogni qual volta lo ritenga necessario per evitare di emettere una sentenza ingiusta, ferme restando le disposizioni dell'art. 239 (cf. can. 1452, § 2). Art. 72 – Giudici e tribunali provvedano affinché, salva la giustizia, tutte le cause si concludano al più presto, di modo che non si protraggano più di un anno nel tribunale di prima istanza, e non più di sei mesi nel tribunale di seconda istanza (can. 1453). Art. 73 – § 1. I giudici e gli altri addetti e collaboratori del tribunale sono tenuti a osservare il segreto d'ufficio (cf. can. 1455, § 1). § 2. I giudici sono specialmente tenuti a osservare il segreto in ordine alla discussione che ha luogo nel tribunale collegiale prima di emettere la sentenza, e così pure in ordine ai voti e ai pareri esposti in tale circostanza, fermo restando il disposto dell'art. 248, § 4 (cf. can. 1455, § 2). § 3. Allorquando la natura della causa o delle prove è tale per cui l'altrui reputazione sia messa in pericolo dalla divulgazione degli atti o delle risultanze istruttorie, o questa dia occasione a dissidi, o ne derivino scandalo o altri simili inconvenienti, il giudice può vincolare i testi, i periti, le parti e i loro avvocati e procuratori all'osservanza del segreto con uno specifico giuramento, o, se del caso, almeno con una promessa, salvi gli artt. 159, 229-230 (cf. can. 1455, § 3). Art. 74 – Al giudice e a tutti gli officiali del tribunale è proibito accettare qualunque regalo in occasione dello svolgimento del giudizio (can. 1456). Art. 75 – § 1. I giudici e gli altri addetti e collaboratori del tribunale che commettono un atto illecito contro l'incarico loro affidato, siano puniti a norma di legge (cf. cann. 1386; 1389; 1391; 1457; 1470, § 2). § 2. Dove la retta amministrazione della giustizia sia impedita da negligenza, imperizia o abusi, il Vescovo Moderatore del Tribunale o la Conferenza episcopale debbono porvi rimedio con mezzi idonei, non esclusa, quando ne sia il caso, la rimozione dall'ufficio. § 3. Chiunque illegittimamente con un atto giuridico, anzi con qualsiasi altro atto posto con dolo o con colpa, arreca un danno ad un altro, è tenuto all'obbligo di riparare il danno arrecato (can. 128). Capitolo II L'ordine della trattazione delle cause Art. 76 – § 1. Le cause debbono essere trattate nell'ordine secondo il quale sono state proposte e iscritte nell'elenco (cf. can. 1458). § 2. Se una causa esige una trattazione più rapida rispetto alle altre, ciò deve essere stabilito con un apposito decreto motivato (cf. can. 1458). Art. 77 – § 1. I vizi per i quali si può avere la nullità della sentenza, possono essere eccepiti e anche dichiarati d'ufficio dal giudice in qualunque stadio o grado del giudizio (can. 1459, § 1). § 2. Oltre i casi di cui al § 1, le eccezioni dilatorie, soprattutto quelle che riguardano le persone e le modalità del giudizio, debbono essere proposte prima della determinazione della formula del dubbio, a meno che non siano emerse a formula già stabilita, e la decisione su di esse debba essere presa al più presto (cf. can. 1459, § 2). Art. 78 – § 1. Se è proposta un'eccezione contro la competenza del tribunale, su di essa deve pronunciarsi il collegio, salvo l'art. 30, § 3 (cf. can. 1460, § 1). § 2. Quando è stata eccepita l'incompetenza relativa, se il collegio si dichiara competente la sua decisione non ammette appello, ma non sono escluse la querela di nullità, di cui agli artt. 269-278, o la restituito in integrum, di cui ai cann. 1645- 1648 (cf. can. 1460, § 2). § 3. Se invece il collegio si dichiara incompetente, la parte che si ritiene gravata da tale decisione può ricorrere al tribunale di appello entro il termine di quindici giorni utili (cf. can. 1460, § 3). Art. 79 – Il tribunale che in qualunque fase di giudizio si riconosca assolutamente incompetente, deve dichiarare la propria incompetenza (cf. can. 1461). Art. 80 – Le questioni relative alla cauzione da dare per le spese giudiziali o alla concessione del gratuito patrocinio, del quale fin dall'inizio della causa sia stata fatta richiesta, e altre simili, di regola debbono essere decise prima che sia fissata la formula del dubbio (cf. can. 1464). Capitolo III I termini e le dilazioni Art. 81 – § 1. I cosiddetti fatalia legis, ossia quelli che la legge stabilisce per la perenzione dei diritti, sono improrogabili, e non possono essere validamente ridotti se non su richiesta delle parti (can. 1465, § 1). § 2. I termini giudiziali e convenzionali invece, cioè quelli fissati dal giudice per propria iniziativa o con il consenso delle parti, possono essere prorogati prima della loro scadenza dallo stesso giudice, per giusto motivo, udite le parti o su loro richiesta; non possono mai essere validamente ridotti senza il consenso delle parti (cf. can. 1465, § 2). § 3. Il giudice, tuttavia, provveda affinché per effetto della proroga la trattazione della causa non si protragga troppo a lungo (cf. can. 1465, § 3). Art. 82 – Dove la legge non fissa termini per il compimento degli atti processuali, li deve stabilire il giudice, tenuto conto della natura di ciascun atto (can. 1466). Art. 83 – Se nel giorno notificato per un atto processuale il tribunale non abbia lavorato, il termine si intende prorogato al primo giorno non festivo seguente (can. 1467). Capitolo IV Il luogo in cui si svolge il giudizio Art. 84 – Ciascun tribunale abbia una sede, per quanto è possibile stabile, che sia aperta ad ore stabilite (can. 1468). Art. 85 – § 1. Il giudice espulso con la violenza dal suo territorio o impedito di esercitare in esso la giurisdizione, può esercitare la sua giurisdizione fuori dal territorio ed emanare sentenze, dopo aver tuttavia informato il Vescovo diocesano (can. 1469, § 1). § 2. Oltre al caso di cui nel § 1, il giudice, per giusta causa e dopo aver udite le parti, può anche recarsi fuori del proprio territorio per acquisire le prove, su licenza tuttavia del Vescovo diocesano del luogo dove intende andare e nella sede designata dal medesimo (can. 1469, § 2). Capitolo V Le persone da ammettere nell'aula del tribunale Art. 86 – Durante la trattazione delle cause davanti al tribunale, nell'aula debbono essere presenti soltanto coloro la cui partecipazione è disposta dalla legge o dal giudice come necessaria per lo svolgimento del processo (cf. can. 1470, § 1). Art. 87 – Il giudice può richiamare al loro dovere tutti coloro che nell'assistere al giudizio contravvengono gravemente al rispetto e all'obbedienza dovuta al tribunale, e può anche sospendere gli avvocati e i procuratori dall'esercizio del loro incarico nella causa (cf. can. 1470, § 2). Art. 88 – § 1. Gli atti giudiziari, sia quelli relativi al merito della questione o atti di causa, sia quelli attinenti alla procedura o atti del processo, devono essere redatti per scritto (can. 1472, § 1). § 2. Le singole pagine degli atti siano numerate e autenticate (can. 1472, § 2). Art. 89 – Ogniqualvolta negli atti giudiziari è richiesta la firma delle parti o dei testimoni, se una parte o un testimone non può e non vuole sottoscrivere, lo si annoti negli atti stessi, e nello stesso tempo giudice e notaio facciano fede che l'atto stesso fu letto parola per parola alla parte o al testimone e che questi non poterono o non vollero firmare (can. 1473). Art. 90 – § 1. Se la causa deve essere giudicata dal tribunale di appello, un esemplare degli atti, della cui autenticità ed integrità abbia fatto fede il notaio, sia inviato al tribunale superiore (cf. can. 1474, § 1). § 2. Se gli atti furono scritti in una lingua sconosciuta al tribunale superiore, siano tradotti in lingua nota al medesimo usando le dovute cautele affinché consti che la traduzione è fedele (can. 1474, § 2). Art. 91 – § 1. Terminato il giudizio, i documenti di proprietà dei privati debbono essere loro restituiti, trattenendone però il tribunale una copia munita del sigillo di autenticità da parte del notaio (cf. can. 1475, § 1). § 2. Al capo della cancelleria e ai notai è fatto divieto di rilasciare senza ordine del giudice copia degli atti giudiziari e dei documenti acquisiti al processo (cf. can. 1475, § 2). Titolo IV LE PARTI IN CAUSA Capitolo I Il diritto di impugnare il matrimonio Art. 92 – Sono abili ad impugnare il matrimonio: 1o i coniugi, siano essi cattolici o acattolici (cf. cann. 1674, n. 1; 1476; art. 3, § 2); 2o il promotore di giustizia, quando la nullità sia già stata divulgata, se non si possa convalidare il matrimonio o non sia opportuno (cf. can. 1674, § 2). Art. 93 – Il matrimonio che, viventi entrambi i coniugi, non è stato impugnato, dopo la morte di uno dei due o di entrambi può essere impugnato da colui per il quale la causa di nullità sia pregiudiziale per la soluzione di un'altra controversia sia in foro canonico che in quello civile (cf. can. 1675, § 1). Art. 94 – Se uno dei coniugi muore nel corso del giudizio, si osservi l'art. 143 (cf. can. 1675, § 2). Capitolo II I coniugi parti in causa Art. 95 – § 1. Perché venga accertata più facilmente la verità e riceva miglior tutela il diritto di difesa, è quanto mai opportuno che entrambi i coniugi prendano parte al processo di nullità di matrimonio. § 2. Pertanto, il coniuge legittimamente citato in giudizio, deve rispondere (cf. can. 1476). Art. 96 – Anche se il coniuge si sia costituito un procuratore o un avvocato, egli è sempre tenuto a presenziare personalmente in giudizio quando ciò è prescritto dalla legge o dal giudice (cf. can. 1477). Art. 97 – § 1. Coloro che sono privi dell'uso di ragione possono stare in giudizio soltanto tramite il curatore (cf. can. 1478, § 1). § 2. Coloro che all'inizio del processo o durante il suo corso sono affetti da infermità mentale, possono stare in giudizio personalmente solo per disposizione del giudice; altrimenti debbono agire e rispondere solo per il tramite dei loro curatori (cf. can. 1478, § 4). § 3. I minori di età possono agire e rispondere personalmente, senza il consenso dei genitori o del tutore, salvi i §§ 1-2 (cf. can. 1478, § 3). Art. 98 – Ogni qual volta vi è un curatore costituito dall'autorità civile, questi può essere ammesso dal giudice ecclesiastico, udito, se possibile, il Vescovo diocesano di colui al quale è stato dato; se non vi sia, o non si ritenga di doverlo ammettere, il giudice stesso designerà un curatore per la causa (cf. can. 1479). Art. 99 – § 1. L'ammissione e la designazione del curatore, da farsi con decreto motivato che deve essere conservato agli atti, è di competenza del presidente. § 2. Tale decreto deve essere notificato a tutti coloro che vi hanno interesse, non eccettuato il coniuge al quale il curatore è stato dato, se a ciò non si oppone un motivo grave, fatto salvo comunque il diritto di difesa. Art. 100 – Il curatore è tenuto per dovere d'ufficio a tutelare i diritti della parte alla quale è stato dato. Capitolo III I procuratori e gli avvocati Art. 101 – § 1. Fatto salvo il diritto delle parti di difendersi personalmente, al tribunale è fatto obbligo di curare che entrambi i coniugi possano provvedere alla tutela dei loro diritti con l'aiuto di una persona competente, soprattutto nelle cause che presentano peculiari difficoltà. § 2. Se a giudizio del presidente la presenza di un procuratore o di un avvocato è necessaria, e la parte non provvede entro il termine stabilito, lo stesso presidente, secondo quanto il caso richiede, li nomini ed essi manterranno il loro ufficio fino a quando la parte non ne abbia costituiti altri. § 3. Se è concesso il gratuito patrocinio, la nomina del procuratore e dell'avvocato è di competenza dello stesso presidente. § 4. In ogni caso la nomina del procuratore e dell'avvocato deve essere comunicata con decreto alle parti e al difensore del vincolo. Art. 102 – Se entrambi i coniugi chiedono che il loro matrimonio sia dichiarato nullo, essi possono costituirsi un procuratore o un avvocato comune. Art. 103 – § 1. Le parti possono costituire un procuratore distinto dall'avvocato. § 2. Ognuno può costituirsi un solo procuratore, a questi non è consentito di farsi sostituire da un altro a meno che non gliene sia stata data espressa facoltà (can. 1482, § 1). § 3. Che se tuttavia, suggerendolo una giusta causa, la stessa persona ne abbia costituito parecchi, questi siano designati in modo che tra di loro abbia luogo la prevenzione (can. 1482, § 2). § 4. È possibile invece costituire più avvocati allo stesso tempo (can. 1482, § 3). Art. 104 – § 1. L'avvocato e il procuratore in forza del loro incarico sono tenuti a tutelare i diritti della parte e a osservare il segreto d'ufficio. § 2. La funzione del procuratore è quella di rappresentare la parte, presentare al tribunale libelli e ricorsi, ricevere le notifiche e tenere al corrente la parte dello stato della causa; mentre ciò che concerne la difesa è sempre riservato all'avvocato. Art. 105 – § 1. Il procuratore e l'avvocato debbono godere di buona fama; inoltre, l'avvocato deve essere cattolico, a meno che il Vescovo Moderatore non permetta altrimenti; dottore in diritto canonico o, in caso contrario, veramente esperto, ed approvato dal Vescovo stesso (cf. can. 1483) § 2. Coloro che hanno conseguito il diploma di Avvocato Rotale non necessitano di questa approvazione, ma il Vescovo Moderatore può per grave motivo vietare loro di esercitare il patrocinio nel suo tribunale; in tal caso è ammesso il ricorso alla Segnatura Apostolica. § 3. Per particolari circostanze il presidente, può ammettere come procuratore ad casum una persona non residente nel territorio del tribunale. Art. 106 – § 1. Procuratore ed avvocato prima di assumere l'incarico, devono depositare presso il tribunale un mandato autentico (can. 1484, § 1). § 2. Tuttavia, per impedire l'estinzione di un diritto, il presidente può ammettere un procuratore anche senza l'esibizione del mandato, previa, se del caso, idonea garanzia; ma l'atto rimane privo di qualsiasi valore se il procuratore non esibisca regolarmente il mandato entro il termine perentorio da stabilirsi dal presidente (cf. can. 1484, § 2). Art. 107 – § 1. A meno che non abbia avuto un mandato speciale, il procuratore non può validamente rinunciare all'azione, all'istanza o agli atti giudiziari, né in generale fare ciò per cui la legge richiede un mandato speciale (cf. can. 1485). § 2. Emanata la sentenza definitiva, il diritto e il dovere di appellare, se il mandante non si opponga, resta al procuratore (can. 1486, § 2). Art. 108 – Agli avvocati e ai procuratori può essere revocato, in qualsiasi fase della causa, il mandato, da parte di colui che li ha nominati, salvo l'obbligo di corrispondere loro l'onorario dovuto per l'opera svolta; ma perché la revoca del mandato abbia effetto, essa deve essere loro comunicata, e, se il dubbio è già stato concordato, deve essere resa nota al giudice e all'altra parte (cf. can. 1486, § 1). Art. 109 – Sia il procuratore che l'avvocato possono essere rimossi dal presidente con decreto motivato, sia d'ufficio che su richiesta delle parti, ma solo per grave motivo (cf. can. 1486, § 1). Art. 110 – Agli avvocati e ai procuratori è fatto divieto: 1o di rinunciare al mandato senza giusto motivo durante la pendenza della causa; 2o di pattuire un emolumento eccessivo: se lo fanno, il patto è nullo; 3o di venir meno al proprio ufficio a causa di doni, promesse o per qualunque altro motivo; 4o di sottrarre le cause ai tribunali competenti, o agire in qualunque altro modo in frode alla legge (cf. cann. 1488-1489). Art. 111 – § 1. Gli avvocati e i procuratori che abbiano commesso un atto illecito contro l'incarico loro affidato, siano puniti a norma di legge (cf. cann. 1386; 1389; 1391, n. 2; 1470, § 2; 1488-1489). § 2. Qualora si constati che sono impari al loro ufficio per imperizia, perdita della buona fama, negligenza od abusi, il Vescovo Moderatore o i Vescovi di cui all'art. 23, § 1 debbono opportunamente provvedere, non escludendo, se del caso, la proibizione di esercitare il patrocinio nel loro tribunale. § 3. Chiunque illegittimamente con un atto giuridico, anzi con qualsiasi atto posto con dolo o con colpa, arreca danno ad un altro, è tenuto all'obbligo di riparare il danno arrecato (can. 128). Art. 112 – § 1. Il Vescovo Moderatore ha il compito di pubblicare un elenco o albo, nel quale siano iscritti gli avvocati ammessi davanti al suo tribunale nonché i procuratori che in esso sono soliti rappresentare le parti. § 2. Gli avvocati iscritti nell'albo sono tenuti, per incarico del Vicario giudiziale, a prestare il gratuito patrocinio a coloro cui il tribunale abbia concesso questo beneficio (cf. art. 307). Art. 113 – § 1. Presso ogni tribunale ci sia un ufficio o una persona, dalla quale chiunque possa ottenere liberamente e sollecitamente un consiglio sulla possibilità di introdurre la causa di nullità di matrimonio e, se ciò risulta possibile, sul modo con cui si deve procedere. § 2. Qualora questa funzione sia svolta dagli addetti del tribunale, questi poi non possono aver parte nella causa né come giudici né come difensori del vincolo. § 3. In ogni tribunale, per quanto è possibile, si costituiscano patroni stabili, retribuiti dallo stesso tribunale, i quali possono svolgere la funzione di cui al § 1, ed esercitare l'ufficio di avvocati e procuratori a favore delle parti che di preferenza decidono sceglierli (cf. can. 1490). § 4. Se la funzione di cui al § 1 è stata demandata a un avvocato stabile, egli non può assumere la difesa della stessa causa, se non come avvocato stabile. Titolo V L'INTRODUZIONE DELLA CAUSA Capitolo I Il libello introduttorio della causa Art. 114 – Il giudice non può prendere in esame alcuna causa se non gli venga presentata domanda da parte di chi, a norma degli artt. 92-93, ha il diritto di impugnare il matrimonio (cf. can. 1501). Art. 115 – § 1. Chi intende impugnare il matrimonio deve presentare un libello al tribunale competente (cf. can. 1502). § 2. La domanda orale può essere ammessa qualora all'attore sia impedito di presentare il libello: in tal caso il Vicario giudiziale ordini al notaio di redigere per iscritto un atto, che deve essere letto all'attore e da lui approvato, e che sostituisce il libello scritto dall'attore a tutti gli effetti di legge (cf. can. 1503). Art. 116 – § 1. Il libello con cui viene introdotta la causa deve: 1o indicare il tribunale davanti al quale la causa si introduce; 2o delimitare l'oggetto della causa, ossia indicare il matrimonio di cui si tratta, formulare la domanda di dichiarazione della nullità, proporre, anche se non necessariamente con parole tecnicamente precise, la ragione della domanda e cioè il capo o i capi di nullità per i quali il matrimonio è impugnato; 3o indicare almeno sommariamente su quali fatti e su quali mezzi di prova l'attore si basa per dimostrare ciò che si asserisce; 4o recare la firma dell'attore o del suo procuratore, con l'indicazione del giorno, mese e anno, nonché del luogo in cui l'attore o il suo procuratore abitano, o in cui dichiarano di risiedere ai fini della notifica degli atti; 5o indicare il domicilio o il quasi-domicilio dell'altro coniuge (cf. can. 1504). § 2. Al libello deve essere acclusa una copia autentica dell'atto di celebrazione del matrimonio nonché, se del caso, la documentazione concernente lo stato civile delle parti. § 3. Non è lecito esigere al momento della presentazione del libello relazioni peritali. Art. 117 – Se viene proposta una prova documentale, i documenti, per quanto è possibile, siano allegati al libello; se una prova per testimoni, deve essere indicato il nome e il domicilio di questi. Se si propongono altre prove, occorre indicare almeno in generale i fatti o gli elementi indiziari da cui queste siano deducibili. Ma nulla vieta che ulteriori prove di qualsiasi genere siano addotte nel corso del giudizio. Art. 118 – § 1. Una volta presentato il libello, il Vicario giudiziale deve al più presto costituire con suo decreto il tribunale a norma degli artt. 48-49. § 2. I nomi dei giudici e del difensore del vincolo devono essere subito notificati all'attore. Art. 119 – § 1. Il presidente, dopo aver verificato che la causa è di competenza del suo tribunale e che l'attore ha la legittima capacità di stare in giudizio, deve al più presto con suo decreto ammettere o respingere il libello (cf. can. 1505, § 1). § 2. È opportuno che il presidente, prima di fare ciò, chieda il voto del difensore del vincolo. Art. 120 – § 1. Il presidente può, e se il caso lo richieda, fare una previa indagine circa la competenza del tribunale e la capacità dell'attore di stare in giudizio. § 2. Quanto invece al merito della causa, egli può fare indagini solo in relazione al problema dell'ammissione o della reiezione del libello, se questo sembra privo di qualsiasi fondamento, e ciò soltanto per appurare se qualche fondamento possa emergere dal processo. Art. 121 – § 1. Il libello può essere respinto soltanto: 1o se il tribunale non è competente; 2o se la domanda è stata presentata da chi certamente non ha il diritto di impugnare il matrimonio (cf. artt. 92-93; 97, §§ 1-2; 106, § 2); 3o se non sono state osservate le disposizioni dell'art. 116, § 1, nn. 1-4; 4o se risulta con certezza dallo stesso libello che la domanda è priva di qualsiasi fondamento, ed è impossibile che qualche fondamento emerga dal processo (cf. can. 1505, § 2). § 2. Il decreto deve esprimere almeno sommariamente i motivi della reiezione e deve essere notificato al più presto alla parte attrice e, se del caso, al difensore del vincolo (cf. can. 1617). Art. 122 – Il fondamento richiesto per l'ammissione del libello manca se il fatto su cui si basa l'impugnazione, anche se in tutto e per tutto vero, è completamente inadeguato a rendere nullo il matrimonio, oppure benché il fatto sia tale da rendere nullo il matrimonio, la falsità di quanto dichiarato è palese. Art. 123 – Se il libello è respinto per vizi che possono essere emendati, questi debbono essere indicati nel decreto di reiezione, e l'attore deve essere invitato a presentare un nuovo libello redatto correttamente (cf. can. 1505, § 3). Art. 124 – § 1. Contro la reiezione del libello la parte ha sempre il diritto di interporre ricorso motivato entro il termine utile di dieci giorni, al collegio se il libello è stato respinto dal presidente, altrimenti al tribunale di appello. In entrambi i casi la questione della reiezione deve essere decisa con la massima sollecitudine (expeditissime) (cf. can. 1505, § 4). § 2. Se il tribunale di appello ammette il libello, la causa deve essere giudicata dal tribunale a quo. § 3. Se il ricorso è stato interposto al collegio, non può essere interposto una seconda volta al tribunale di appello. Art. 125 – Se il giudice, entro il termine di un mese dalla data di presentazione del libello, non ha emesso il decreto con cui questo viene ammesso o respinto, la parte che vi ha interesse può sollecitare il giudice a provvedere; se ciò nonostante il giudice rimane inattivo decorsi inutilmente dieci giorni dalla data della richiesta, il libello, se è stato proposto in conformità alla legge, deve considerarsi ammesso (cf. can. 1506). Capitolo II La citazione e la notifica degli atti giudiziari 1. La prima citazione e la sua notifica Art. 126 – § 1. Nel decreto con cui viene ammesso il libello della parte attrice, il presidente deve chiamare in giudizio la parte convenuta, ossia citarla, e stabilire se essa deve rispondere per iscritto, oppure, in seguito alla domanda dell'attore, comparire davanti al tribunale per la concordanza dei dubbi. Qualora dalla risposta scritta emerga la necessità di convocare le parti e il difensore del vincolo, il presidente o il ponente lo stabilirà con un nuovo decreto e ne curerà la notifica (cf. cann. 1507, § 1; 1677, § 2). § 2. Se il libello è dato per ammesso a norma del can. 125, il decreto di citazione deve essere emesso entro venti giorni dalla presentazione della richiesta di cui allo stesso articolo (cf. can. 1507, § 2). § 3. Se la parte convenuta, di fatto, compare davanti al giudice per prendere parte alla causa, la sua citazione non è necessaria, ma il notaio metta agli atti che essa si è presentata (cf. can. 1507, § 3). § 4. Se il matrimonio è stato impugnato dal promotore di giustizia a norma dell'art. 92, n. 2, debbono essere citati entrambi i coniugi. Art. 127 – § 1. Il presidente o il ponente debbono aver cura che il decreto di citazione in giudizio sia subito notificato alla parte convenuta e, al tempo stesso, reso noto alla parte attrice e al difensore del vincolo (cf. cann. 1508, § 1; 1677, § 1). § 2. Il presidente o il ponente, assieme a queste notifiche, proponga alle parti la formula del dubbio o dei dubbi di causa, desumendola dal libello, invitandole ad esprimersi in merito. § 3. Alla citazione si aggiunga il libello introduttorio della causa, a meno che il presidente o il ponente, per gravi motivi, stabilisca con decreto motivato che il libello non deve essere reso noto alla parte convenuta prima che abbia reso la sua deposizione. In tal caso, però, è necessario che alla parte convenuta siano notificati l'oggetto della causa e la ragione della domanda addotta dall'attore (cf. can. 1508, § 2). § 4. Contemporaneamente al decreto di citazione devono essere notificati alla parte convenuta i nomi dei giudici e del difensore del vincolo. Art. 128 – Se la citazione non contiene ciò che è necessario a norma dell'art. 127, § 3, o non è stata notificata nei modi di legge alla parte convenuta, gli atti del processo sono nulli, salve le disposizioni degli artt. 60; 126, § 3; 131, e ferme restando le disposizioni dell'art. 270, nn. 4, 7 (cf. can. 1511). Art. 129 – Quando la citazione è stata legittimamente notificata alla parte convenuta, o essa è comparsa davanti al giudice per prendere parte alla causa, l'istanza comincia ad essere pendente, e diviene propria del tribunale davanti al quale l'azione è stata promossa, se ed in quanto provvisto di competenza (cf. can. 1512, nn. 2-3, 5). 2. Le formalità da osservarsi nelle citazioni e nelle notifiche Art. 130 – § 1. La notifica di citazioni, decreti, sentenze, e di altri atti giudiziari deve essere fatta tramite i servizi postali o in altro modo assolutamente sicuro, osservate le norme stabilite per legge particolare (can. 1509, § 1). § 2. Del fatto della notifica e del modo di cui essa fu fatta deve constare agli atti (can. 1509, § 2). Art. 131 – § 1. Se la parte è priva dell'uso di ragione o inferma di mente, le citazioni e le notifiche debbono essere fatte al curatore (cf. can. 1508, § 3). § 2. La parte che ha un procuratore deve essere informata attraverso quest'ultimo delle citazioni e delle notifiche. Art. 132 – § 1. Qualora, nonostante una diligente indagine si continua ad ignorare dove si trovi la parte da citare o quella alla quale deve essere notificato un atto, il giudice può procedere, ma dell'accurata ricerca eseguita deve risultare negli atti. § 2. Una legge particolare può stabilire che in questo caso la citazione o la notifica abbiano luogo in forma edittale (cf. can. 1509, § 1). Art. 133 – Chi si rifiuta di ricevere la citazione o la notifica di un atto giudiziale, o impedisce che queste gli pervengano, si consideri legittimamente citato ed informato dell'oggetto della notifica (cf. can. 1510). Art. 134 – § 1. Alle parti che stanno in giudizio personalmente o tramite un procuratore si notifichino tutti gli atti che per legge debbono essere notificati. § 2. Alle parti che si rimettono alla giustizia del tribunale debbono essere notificati il decreto con cui è stata stabilita la formula del dubbio, un'eventuale nuova domanda presentata, il decreto di pubblicazione degli atti e tutte le decisioni del collegio. § 3. Alla parte dichiarata assente dal giudizio si notifichino la formula del dubbio e la sentenza definitiva, salvo l'art. 258, § 3. § 4. Alla parte assente a norma dell'art. 132 perché è ignoto il luogo in cui abita, non si fa alcuna notifica di atti. Capitolo III La formula del dubbio Art. 135 – § 1. Trascorso il termine di quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione, il presidente o il ponente, a meno che una delle parti o il difensore del vincolo non abbiano chiesto l'udienza per la concordanza del dubbio, entro dieci giorni stabilisca d'ufficio con decreto la formula del dubbio o dei dubbi, in base alle domande e alle risposte delle parti (cf. can. 1677, § 2). § 2. Le domande e le risposte delle parti, oltre che nel libello introduttorio della causa, possono essere espresse nella risposta alla citazione e nelle dichiarazioni fatte verbalmente davanti al giudice (cf. can. 1513, §§ 1-2). § 3. La formula del dubbio deve determinare per quale capo o quali capi viene impugnata la validità del vincolo coniugale (cf. can. 1677, § 3). § 4. Il decreto del presidente o del ponente deve essere notificato alle parti, le quali, a meno che si siano già dichiarate consenzienti, possono ricorrere al collegio entro dieci giorni per la sua modifica. Tale questione deve essere risolta con decreto dal collegio con la massima sollecitudine (expeditissime) (cf. can. 1513, § 3). Art. 136 – Una volta stabilita, la formula del dubbio non può essere validamente cambiata, se non con un nuovo decreto, per grave motivo, su domanda di una delle parti, dopo aver udito l'altra parte e il difensore del vincolo e averne soppesato le ragioni (cf. can. 1514). Art. 137 – Dopo dieci giorni dalla notifica del decreto, se le parti non obiettano nulla, il presidente o il ponente con un nuovo decreto stabilisca l'istruttoria della causa (can. 1677, § 4). Capitolo IV Le parti che non compaiono Art. 138 – § 1. Se la parte convenuta legittimamente citata non si è presentata, né ha giustificato idoneamente la sua assenza, o non ha risposto a norma dell'art. 126, § 1, il presidente o il ponente la dichiari assente dal giudizio, e stabilisca che la causa, osservato quanto prescritto, proceda fino alla sentenza definitiva (cf. can. 1592, § 1). § 2. Tuttavia il presidente o il ponente debbono adoperarsi affinché la parte convenuta receda dall'assenza. § 3. Prima dell'emissione del decreto di cui al § 1 deve risultare, se necessario anche a mezzo di una nuova citazione, che la citazione fatta legittimamente sia pervenuta alla parte convenuta in tempo utile (cf. can. 1592, § 2). Art. 139 – § 1. La parte convenuta, se in seguito compare in giudizio, o abbia dato risposta prima della decisione della causa, può formulare conclusioni e addurre prove, fermo restando quanto prescritto dall'art. 239; il giudice però eviti che il giudizio si protragga di proposito con ritardi troppo lunghi e non necessari (cf. can. 1593, § 1). § 2. Benché non si sia presentata né abbia risposto prima della decisione della causa, la parte convenuta può servirsi delle impugnazioni contro la sentenza; se poi provi di essere stata trattenuta da un legittimo impedimento, che, senza sua colpa non le fu possibile dimostrare prima, può avvalersi della querela di nullità a norma dell'art. 272, n. 6 (cf. can. 1593, § 2). Art. 140 – Se nel giorno e nell'ora stabiliti per la concordanza del dubbio l'attore non comparve né personalmente né tramite il procuratore né addusse idonea scusa: 1o il presidente o il ponente lo citi una seconda volta; 2o se l'attore non dà riscontro neppure alla nuova citazione, il presidente o il ponente dichiari la causa deserta, a meno che la parte convenuta o il promotore di giustizia, a norma dell'art. 92, n. 2, non si facciano parti diligenti per la dichiarazione della nullità di matrimonio; 3o se in seguito egli vuole intervenire nel processo, si osservi l'art. 139 (cf. can. 1594). Art. 141 – Quanto alla parte di cui è stata dichiarata l'assenza dal giudizio, si osservi l'art. 134, § 3. Art. 142 – Le norme sulla dichiarazione di assenza della parte dal giudizio, con gli opportuni adattamenti, debbono essere osservate anche se la parte deve essere dichiarata assente durante il corso del processo. Titolo VI LA CESSAZIONE DELL'ISTANZA Capitolo I La sospensione e la perenzione dell'istanza Art. 143 – Se uno dei coniugi muore durante il processo: 1o prima della conclusione della causa l'istanza è sospesa fino a quando la sua prosecuzione non sia chiesta dall'altro coniuge o da chiunque altro vi abbia interesse: nel qual caso il legittimo interesse deve essere dimostrato; 2o a causa conclusa a norma dell'art. 237, il giudice deve procedere, citando il procuratore, se vi sia, o altrimenti l'erede o il successore del defunto (cf. cann. 1518; 1675, § 2). Art. 144 – § 1. Se il curatore, o il procuratore che sia necessario a norma dell'art. 101, § 2 cessano dal loro ufficio, l'istanza è nel frattempo sospesa (cf. can. 1519, § 1). § 2. Il presidente o il ponente costituisca quanto prima un altro curatore; così può costituire un nuovo procuratore, se la parte omette di farlo entro un breve termine fissato dal medesimo giudice (cf. can. 1519, § 2). Art. 145 – § 1. La trattazione della causa principale è sospesa anche ogni qual volta prima di tutto si deve risolvere una questione dalla quale dipende la prosecuzione dell'istanza o la stessa decisione della causa principale. § 2. Una tale sospensione ha luogo pure durante la pendenza della querela di nullità contro la sentenza definitiva, o in una causa per l'impedimento del vincolo se, nel contempo, è posta in dubbio l'esistenza del vincolo precedente. Art. 146 – Se nessun atto processuale sia posto dalle parti per sei mesi senza che si frapponga alcuno impedimento, l'istanza va in perenzione; il tribunale, però, non trascuri di avvertire prima la parte della necessità di agire. Una legge particolare può stabilire termini diversi per la perenzione (cf. can. 1520). Art. 147 – La perenzione ha effetto ipso iure e deve essere dichiarata anche d'ufficio (cf. can. 1521). Art. 148 – La perenzione estingue gli atti del processo, ma non gli atti di causa, che, pertanto, conservano il loro valore in una nuova istanza relativa alla dichiarazione di nullità del medesimo matrimonio (cf. can. 1522). Art. 149 – Le spese dell'istanza perenta restano a carico di ciascuna delle parti, a meno che il giudice per un giusto motivo non disponga altrimenti (cf. can. 1523). Art. 150 – § 1. La parte attrice può rinunciare all'istanza in ogni fase e grado di giudizio; così pure sia la parte attrice che la parte convenuta possono rinunciare a tutti gli atti del processo o ad alcuni soltanto, dei quali esse stesse abbiano fatto richiesta (cf. can. 1524, § 1). § 2. Perché sia valida la rinuncia deve essere fatta per iscritto; deve essere sottoscritta dalla parte o dal suo procuratore, munito di speciale mandato; deve essere comunicata all'altra parte, accettata o almeno non impugnata da quest'ultima, e ammessa dal presidente o dal ponente (cf. can. 1524, § 3). § 2. La rinuncia deve essere resa nota al difensore del vincolo, fermo restando l'art. 197. Art. 151 – La rinuncia ammessa dal giudice, per gli atti ai quali si è rinunciato, ottiene gli stessi effetti della perenzione dell'istanza; essa obbliga il rinunziante a pagare le spese che siano già state sostenute, a meno che il giudice per un giusto motivo non disponga altrimenti (cf. can. 1525). Art. 152 – In caso di perenzione o di rinuncia la causa può essere riassunta a norma dell'art. 19. Capitolo II La sospensione della causa Art. 153 – § 1. Se durante l'istruttoria della causa sia emerso un dubbio assai probabile che il matrimonio non sia stato consumato, il tribunale, col consenso delle parti e su richiesta di uno dei coniugi o di entrambi, può con decreto sospendere la causa e istituire il procedimento riguardante l'inconsumazione del matrimonio (cf. can. 1681). § 2. In tal caso il tribunale completerà l'istruzione per la dispensa super rato (cf. cann. 1681; 1702-1704)(20). § 3. Completata l'istruttoria, trasmetta gli atti alla Sede Apostolica con la domanda di dispensa di uno o di entrambi i coniugi, con le osservazioni del difensore del vincolo e il voto del tribunale e del Vescovo (cf. can. 1681). § 4. Se una delle due parti si rifiuta di dare il consenso di cui al § 1, sia ammonita delle conseguenze giuridiche che il suo rifiuto comporta. Art. 154 – § 1. Se la causa di nullità è stata istruita nel tribunale interdiocesano, il voto di cui all'art. 153, § 3 sia emesso dal Vescovo Moderatore del tribunale, il quale avrà cura di consultarsi col Vescovo della parte oratrice, quanto meno circa l'opportunità che la dispensa richiesta sia concessa(21). § 2. Nella redazione del voto il tribunale esponga il fatto dell'inconsumazione e la giusta causa della dispensa. § 3. Quanto al voto del Vescovo, nulla vieta che esso sia redatto in calce al voto dello stesso tribunale, mediante sottoscrizione di quest'ultimo, con l'assicurazione della giusta e proporzionata causa per la concessione della dispensa e l'assenza di scandalo da parte dei fedeli(22). Titolo VII LE PROVE Art. 155 – § 1. Nella raccolta delle prove si debbono osservare le norme che seguono. § 2. Col nome di ‘‘giudice'' nel presente titolo si indicano, a meno che non risulti altrimenti o altro sia richiesto dalla natura della questione, il presidente e il ponente, il giudice del tribunale chiamato a prestare la propria collaborazione in forza dell'art. 29, il loro delegato e l'uditore, salvo l'art. 158, § 2. Art. 156 – § 1. L'onere di fornire le prove tocca a chi asserisce (can. 1526, § 1). § 2. Non necessita di essere provato ciò che si presume per legge (cf. can. 1526, § 2 n. 1). Art. 157 – § 1. Possono essere addotte prove di qualsiasi genere, sempre che esse appaiano utili per la decisione della causa e siano lecite. Le prove illecite, sia in sé stesse sia quanto al modo della loro acquisizione, non siano addotte né ammesse (cf. can. 1527, § 1). § 2. Non si ammettano prove sotto segreto, se non per grave motivo, e assicurando agli avvocati delle parti il diritto di averne comunicazione, salvi gli artt. 230, 234 (cf. can. 1598, § 1). § 3. Il giudice limiti il numero troppo grande dei testi e delle prove; così pure non ammetta le prove addotte a scopo dilatorio (cf. can. 1553). Art. 158 – § 1. Se una parte insiste perché una prova, respinta, sia ammessa, il collegio risolva la questione con la massima sollecitudine (expeditissime) (cf. can. 1527, § 2). § 2. L'uditore, a norma dell'art. 50, § 3, può solo nel frattempo decidere la questione concernente l'ammissione di una prova eventualmente sorta. Art. 159 – § 1. Il difensore del vincolo e gli avvocati delle parti hanno il diritto: 1o di essere presenti all'esame delle parti, dei testi e dei periti, a meno che, limitatamente agli avvocati, il giudice, abbia stabilito per particolari circostanze di cose o di persone doversi procedere segretamente; 2o di prendere visione degli atti giudiziari, benché non ancora pubblicati, e di esaminare i documenti prodotti dalle parti (cf. cann. 1678, § 1; 1559). § 2. Le parti non possono assistere all'esame di cui al § 1, n. 1 (can. 1678, § 2). Art. 160 – Fermo restando l'art. 120, il tribunale non proceda se non per grave motivo alla raccolta delle prove, prima che a norma dell'art. 135 sia stato concordato il dubbio, dal momento che quest'ultimo determina la materia che deve essere oggetto d'indagine (cf. can. 1529). Art. 161 – § 1. Se una parte o un teste si rifiuta di sottoporsi all'esame giudiziale a norma degli articoli che seguono, è consentito interrogarli tramite una persona idonea designata dal giudice, o far attestare le loro dichiarazioni da un pubblico notaio o in qualsiasi altro modo legittimo (cf. can. 1528). § 2. Ogni qual volta nell'acquisizione delle prove non è possibile uniformarsi agli articoli che seguono, ci si deve sempre preoccupare che consti dell'autenticità e dell'integrità delle prove medesime, evitando qualsiasi pericolo di frode, collusione o corruzione. Capitolo I L'esame giudiziale Art. 162 – § 1. Le parti, i testi e, se occorre, i periti, siano interrogati nella sede del tribunale, a meno che il giudice per giusto motivo non ritenga altrimenti (cf. can. 1558, § 1). § 2. I Cardinali, i Patriarchi, i Vescovi e quelli che secondo il diritto del loro paese godono di egual beneficio siano uditi nel luogo da loro stessi prescelto (can. 1558, § 2). § 3. Il giudice stabilisca dove devono essere interrogati coloro ai quali, per la distanza, la malattia o altro impedimento, sia impossibile o difficile raggiungere la sede del tribunale, ferme restando le disposizioni degli artt. 29, 51, 85 (cf. can. 1558, § 3). Art. 163 – § 1. La citazione per l'esame giudiziale è fatta con decreto del giudice, legittimamente notificato a colui che deve essere interrogato (cf. can. 1556). § 2. Colui che è stato legittimamente citato compaia o renda nota al giudice sollecitamente la causa della mancata comparizione (cf. can. 1557). Art. 164 – Le parti, personalmente o per il tramite degli avvocati, e il difensore del vincolo, debbono presentare entro il temine stabilito dal giudice i punti degli argomenti sui quali si chiede l'interrogatorio delle parti, dei testi o dei periti, salvo l'art. 71 (cf. can. 1552, § 2). Art. 165 – § 1. Le parti, i testi e i periti debbono essere esaminati uno ad uno separatamente (cf. can. 1560, § 1). § 2. Se tuttavia essi forniscono versioni contrastanti su questioni di rilevante gravità, il giudice può metterli a confronto su ciò su cui divergono, evitando per quanto è possibile dissidi e scandali (cf. can. 1560, § 2). Art. 166 – L'interrogatorio è fatto dal giudice con la presenza del notaio; pertanto, fermo restando l'art. 159, il difensore del vincolo e gli avvocati che intervengono all'esame, se hanno altre domande da formulare, le debbono proporre al giudice o a chi ne fa le veci, affinché egli le ponga all'interrogando, a meno che una legge particolare non stabilisca altrimenti (cf. can. 1561). Art. 167 – § 1. Il giudice ricordi alle parti ed ai testi il grave obbligo di dire tutta la verità e solo la verità, salvo l'art. 194, § 2 (cf. can. 1562, § 1)(23). § 2. Il giudice li faccia, inoltre giurare di dire la verità o almeno di aver detto la verità, a meno che un grave motivo non suggerisca altrimenti; se qualcuno si rifiuta di emettere tale giuramento, dovrà impegnarsi a dire la verità con una promessa (cf. cann. 1532; 1562, § 2). § 3. Il giudice può anche deferire a costoro il giuramento, o se del caso la promessa, di obbligarsi al vincolo del segreto. Art. 168 – Il giudice si accerti anzitutto dell'identità di colui che deve essere interrogato; gli domandi in quale rapporto sia con le parti e quando gli rivolge le domande che hanno riferimento specifico all'oggetto della causa si informi sulle fonti della sua conoscenza e sul tempo preciso in cui è venuto a conoscenza di quanto asserisce (cf. can. 1563). Art. 169 – Le domande siano brevi, appropriate all'intelligenza di colui che deve essere interrogato, non includano più elementi insieme, non siano capziose, non siano subdole, non suggeriscano la risposta, escludano qualunque offesa e riguardino la causa di cui si tratta (can. 1564). Art. 170 – § 1. Le domande non debbono essere comunicate in anticipo agli interrogandi (cf. can. 1565, § 1). § 2. Tuttavia, se si tratta di fatti così lontani nella memoria da non consentire di deporre con certezza senza che prima questi siano richiamati alla mente, il giudice può prevenirli con qualche particolare, se ritiene che ciò possa essere fatto senza pericolo (cf. can. 1565, § 2). Art. 171 – Gli interrogandi debbono rispondere oralmente, senza leggere alcuno scritto, a meno che non si tratti di spiegare il contenuto di una perizia: in questo caso il perito può consultare gli appunti che abbia portato con sé (cf. can. 1566). Art. 172 – Se una persona da interrogare parla una lingua sconosciuta al giudice, si ricorra ad un interprete giurato, designato dal giudice. Tuttavia le dichiarazioni siano verbalizzate nella lingua originale, e vi si alleghi la traduzione. Si ricorra all'interprete anche se si deve interrogare un sordo o un muto, a meno che il giudice non preferisca che costoro rispondano per iscritto alle domande che egli pone loro (cf. can. 1471). Art. 173 – § 1. La risposta deve essere subito redatta per iscritto dal notaio sotto la direzione del giudice e deve riferire le stesse parole della deposizione, almeno per quanto si riferisce direttamente alla materia del giudizio (cf. can. 1567, § 1). § 2. È permesso l'uso del magnetofono o di altro analogo strumento, purché le risposte vengano poi trascritte e, se possibile, firmate da coloro che hanno deposto (cf. can. 1567, § 2). Art. 174 – Il notaio riferisca in atti sul giuramento fatto, sulla promessa di dire la verità fatta, dispensata o rifiutata, sulla presenza del difensore del vincolo e degli avvocati; sulle domande aggiunte d'ufficio, e in generale su tutti i fatti degni di menzione eventualmente accaduti durante l'interrogatorio (cf. can. 1568). Art. 175 – § 1. Al termine della deposizione, a colui che è stato interrogato si deve leggere quanto della sua deposizione è stato scritto dal notaio, o fargli ascoltare la sua deposizione così come è stata registrata al magnetofono, dandogli la facoltà di aggiungere, correggere, sopprimere, variare (cf. can. 1569, § 1). § 2. Fermo restando l'art. 89, l'atto deve essere sottoscritto dall'interrogato, dal giudice e dal notaio; così pure dal difensore del vincolo e, se sono stati presenti, dal promotore di giustizia e dagli avvocati (cf. can. 1569, § 2). § 3. Se si è fatto uso dello strumento di cui all'art. 175, § 2, deve essere redatto un atto che lo attesti, munito delle sottoscrizioni di cui al § 2. Il notaio, inoltre, deve munire la registrazione del sigillo di autenticità e far sì che essa sia conservata in modo sicuro e integralmente. Art. 176 – Gli interrogati, benché già escussi, possono essere chiamati a un nuovo esame su richiesta del difensore del vincolo o di una parte, oppure d'ufficio, se il giudice lo ritiene necessario o utile, purché non vi sia pericolo alcuno di collusione o di corruzione (cf. can. 1570). Capitolo II Le prove in specie 1. Le dichiarazioni delle parti Art. 177 – Il giudice, per venire a conoscere più adeguatamente la verità, provveda ad interrogare le parti (cf. can. 1530). Art. 178 – La parte legittimamente interrogata deve rispondere e dire integralmente la verità. Se rifiuta di rispondere, spetta al giudice valutare cosa se ne possa dedurre in ordine alla prova dei fatti (cf. cann. 1531; 1534; 1548, § 2). Art. 179 – § 1. L'asserzione di un fatto circa la materia stessa del giudizio resa per iscritto o oralmente da una parte contro di sé avanti al giudice competente, sia spontaneamente sia a domanda del giudice, è una confessione giudiziale (can. 1535). § 2. Tuttavia nelle cause di nullità di matrimonio si intende per confessione giudiziale la dichiarazione con cui una parte, oralmente o per iscritto, afferma davanti al giudice competente, sia di sua spontanea volontà che a domanda del giudice, un fatto suo proprio contrario alla validità del matrimonio. Art. 180 – § 1. Le confessioni e le altre dichiarazioni rese in giudizio dalle parti possono avere forza probante da valutarsi dal giudice insieme a tutte le altre circostanze della causa; ma non può essere loro attribuita forza di prova piena, se ad esse non si aggiungano altri elementi di prova in grado di avvalorarle pienamente (cf. can. 1536, § 2). § 2. Tranne il caso in cui la prova piena sia stata raggiunta altrimenti, il giudice per valutare le deposizioni delle parti si serva, se possibile, di testimonianze circa la loro credibilità, oltre ad altri elementi (cf. can. 1679). Art. 181 – Quanto alle confessioni extragiudiziali delle parti contro la validità del matrimonio e alle loro dichiarazioni extragiudiziali dedotte in giudizio, spetta al giudice valutare, considerate tutte le circostanze, quale valore sia loro da attribuire (cf. can. 1537). Art. 182 – La confessione o qualsiasi altra dichiarazione della parte manca assolutamente di forza probante se consti che essa fu pronunciata per errore di fatto o fu estorta con la violenza o con timore grave (can. 1538). 2. La prova documentale Art. 183 – Nelle cause di nullità di matrimonio è ammessa anche la prova mediante documenti, sia pubblici sia privati (cf. can. 1539). Art. 184 – § 1. Sono documenti pubblici ecclesiastici quelli rilasciati da una persona pubblica nell'esercizio del suo compito nella Chiesa, osservate le formalità stabilite nel diritto (can. 1540, § 1) § 2. Sono documenti pubblici civili quelli che sono ritenuti tali secondo le leggi di ciascun luogo (can. 1540, § 2). § 3. Tutti gli altri documenti sono privati (can. 1540, § 3). Art. 185 – § 1. Salvo che non si dimostri irrefragabilmente altro con argomenti contrari ed evidenti, i documenti pubblici fanno fede di ciò che in essi è direttamente e principalmente affermato (can. 1541). § 2. L'autenticazione di un documento privato, fatta da un notaio con l'osservanza delle disposizioni di legge, è di per sé pubblica, ma il documento in sé stesso resta privato. § 3. Nelle cause di nullità di matrimonio, a qualsiasi scritto di proposito predisposto al fine di provare la nullità di matrimonio va attribuito il valore probatorio di un documento privato, anche se esso è stato depositato presso un pubblico notaio. Art. 186 – § 1. Tra i documenti privati di non poco valore possono essere le lettere che, o i fidanzati prima del matrimonio, o i coniugi dopo, ma in tempo non sospetto, si sono scambiate o hanno spedito ad altri, purché consti in modo evidente della loro autenticità e del tempo in cui sono state scritte. § 2. Le lettere, così come gli altri documenti privati, hanno quel peso probatorio che deve essere giudicato dalle circostanze e soprattutto dal tempo in cui sono state redatte. Art. 187 – Il documento privato riconosciuto davanti al giudice ha la stessa efficacia probatoria di una confessione o dichiarazione extragiudiziale (cf. can. 1542). Art. 188 – Alle cosiddette lettere anonime e agli altri documenti anonimi di qualsiasi genere, di per sé non può essere attribuito neppure valore indiziario, a meno che riferiscano fatti che possono essere provati da altre fonti. Art. 189 – Se i documenti appaiono cancellati, corretti, interpolati o guasti per altro difetto, spetta al giudice decidere se ed in qual conto tali documenti si debbano tenere (can. 1543). Art. 190 – I documenti non hanno efficacia probatoria in giudizio, se non sono originali o esibiti in copia autentica, e non sono depositati presso la cancelleria del tribunale, così da poter essere esaminati dal giudice, dal difensore del vincolo e dalle parti nonché dai loro avvocati (cf. can. 1544). Art. 191 – Il giudice può ordinare che sia esibito nel processo un documento comune ad entrambe le parti, ossia che le riguarda entrambe (cf. can. 1545). Art. 192 – § 1. Nessuno è tenuto ad esibire i documenti, anche se comuni, che non possono essere resi noti senza pericolo di danno a norma dell'art. 194, § 2, n. 3, o senza pericolo di violare un segreto (cf. can. 1546, § 1). § 2. Se tuttavia è possibile descrivere almeno una piccola parte del documento e produrla in esemplare senza gli inconvenienti menzionati, il giudice può ordinarne l'esibizione (can. 1546, § 2). 3. I testi Art. 193 – La prova per testi ha luogo sotto la direzione del giudice a norma degli artt. 162-176 (cf. can. 1547). Art. 194 – § 1. – I testi devono confessare la verità al giudice che legittimamente li interroghi (can. 1548, § 1). § 2. Salvo il disposto dell'art. 196, § 2, n. 2, sono esenti dall'obbligo di rispondere: 1o i chierici, per quanto sia stato loro manifestato in ragione del sacro ministero; 2o i pubblici magistrati civili, i medici, le ostetriche, gli avvocati, i notai e chiunque altro è tenuto al segreto d'ufficio, anche per aver prestato una consulenza, relativamente alle questioni sottoposte al vincolo di tale segreto; 3o coloro i quali temono che dalla propria testimonianza possano derivare infamia, pericolose molestie o altri gravi danni a se stessi, al coniuge, ai parenti prossimi od affini (cf. can. 1548, § 2). Art. 195 – Tutti possono essere testi, a meno che non siano espressamente riprovati dal diritto in tutto o in parte (can. 1549). Art. 196 – § 1. Non siano ammessi a fare da testi i minori al di sotto dei quattordici anni e i deboli di mente; potranno tuttavia essere uditi per decreto del giudice, con il quale se ne dichiari l'opportunità (can. 1550, § 1). § 2. Si considerano incapaci: 1o coloro che sono parti in causa o stanno in giudizio a nome delle parti, il giudice e i suoi assistenti, gli avvocati e chiunque altro assiste o ha assistito le parti nella medesima causa; pertanto bisogna evitare che assumano nella causa questi uffici coloro i quali con la loro deposizione possono giovare in qualche modo all'accertamento della verità; 2o i sacerdoti per quanto concerne tutto ciò che fu loro rivelato nella confessione sacramentale, anche se il penitente ne richieda la manifestazione; anzi, tutto ciò che da chiunque ed in qualunque modo fu udito in occasione della confessione non può essere recepito neppure come indizio di verità (cf. can. 1550, § 2). Art. 197 – La parte che ha indotto un teste può rinunciare alla sua escussione, ma l'altra parte e il difensore del vincolo possono fare richiesta che egli, malgrado ciò, sia interrogato (cf. can. 1551). Art. 198 – Quando si chiede l'audizione dei testi, si indichino al tribunale i loro nomi e il loro domicilio o il luogo in cui abitano (cf. can. 1552, § 1). Art. 199 – Prima che i testi siano interrogati, dei loro nominativi siano informate le parti; che se ciò, a prudente valutazione del giudice non sia possibile senza grave difficoltà, lo si faccia prima della pubblicazione delle deposizioni testimoniali (can. 1554). Art. 200 – Fermo restando il disposto dell'art. 196, una parte può chiedere che un teste sia escluso, se sia dimostrata una giusta causa per l'esclusione prima dell'escussione del medesimo (cf. can. 1555). Art. 201 - Nella valutazione delle deposizioni il giudice, previa richiesta, se necessario, delle lettere testimoniali, deve tener presente: 1o quali siano la condizione e l'onestà del teste; 2o se depone per scienza propria, soprattutto per avere visto e udito egli stesso, o per una sua opinione, per voce di popolo o per notizie avute da altri; 3o quando precisamente è venuto a conoscenza di ciò che riferisce, e soprattutto se ciò è avvenuto in tempo non sospetto, ossia quando le parti non stavano ancora pensando di introdurre la causa; 4o se il teste sia costante nelle sue affermazioni e fermamente coerente, o invece sia mutevole, insicuro od esitante; 5o se ha altri testi a comprova della sua deposizione, e se è confermato o meno da altri elementi di prova (cf. can. 1572). Art. 202 – La deposizione di un solo teste non può fare fede piena, a meno che non si tratti di un teste qualificato che deponga su cose fatte d'ufficio, o le circostanze di cose o di persone suggeriscano altro (can. 1573). 4. I periti Art. 203 – § 1. Nelle cause per impotenza, o difetto di consenso causato da infermità mentale, per le incapacità di cui nel can. 1095, il giudice si serva dell'opera di uno o più periti, a meno che, dalle circostanze, ciò non risulti palesemente inutile (cf. can. 1680)(24). § 2. Nelle altre cause si deve ricorrere all'opera dei periti ogniqualvolta, per ordine del giudice, sono richiesti il loro giudizio e voto fondati sulle regole della tecnica e della scienza, per provare un determinato fatto o per appurare la vera natura di una certa realtà, come ad esempio se si deve indagare sull'autenticità di uno scritto (cf. cann. 1574; 1680). Art. 204 – § 1. È compito del presidente o del ponente nominare i periti e, se del caso, acquisire agli atti le relazioni già fatte da altri periti (cf. can. 1575). § 2. La nomina del perito deve essere resa nota alle parti e al difensore del vincolo, fermo restando l'art. 164. Art. 205 – § 1. All'incarico peritale siano deputati coloro che, non soltanto possiedono un'abilitazione professionale, ma sono anche ben qualificati per la loro scienza ed esperienza, e godano di buona reputazione per onestà e religiosità. § 2. Affinché l'opera del perito, nelle cause concernenti l'incapacità di cui al can. 1095, risulti realmente utile, si deve prestare la massima attenzione a scegliere periti che aderiscono ai principi dell'antropologia cristiana. Art. 206 – I periti possono essere esclusi o ricusati per le stesse ragioni per le quali lo possono essere i testi (cf. can. 1576). Art. 207 – § 1. Il giudice, tenuto conto delle eventuali deduzioni delle parti e del difensore del vincolo, stabilisca con suo decreto i singoli punti o argomenti circa i quali il perito dovrà svolgere il suo incarico (cf. can. 1577, § 1). § 2. Al perito devono essere trasmessi gli atti di causa e gli altri documenti e sussidi di cui può aver bisogno per eseguire correttamente e fedelmente il suo compito (can. 1577, § 2). § 3. Il giudice, sentito il perito, stabilisca il tempo entro il quale dovrà essere espletato l'esame e presentata la relazione, evitando che la causa subisca dilazioni non necessarie (cf. can. 1577, § 3). Art. 208 – Nelle cause concernenti l'impotenza, il giudice chieda di quale natura sia l'impotenza, se assoluta o relativa, anteriore o successiva al matrimonio, perpetua o temporanea e, se sanabile, con quali mezzi. Art. 209 – § 1. Nelle cause per l'incapacità, secondo il can. 1095, il giudice non ometta di chiedere al perito se una o entrambe le parti, al tempo del matrimonio fossero affette da una particolare anomalia abituale o transitoria; quale ne fosse la gravità; quando, per quali cause e in quali circostanze tale anomalia abbia avuto origine e si sia manifestata. § 2. Specificamente: 1o nelle cause per difetto dell'uso di ragione, chieda se l'anomalia abbia perturbato gravemente l'uso di ragione al tempo del matrimonio; con quale intensità e attraverso quali sintomi essa si sia manifestata; 2o nelle cause per difetto di discrezione di giudizio, chieda quale sia stato l'influsso dell'anomalia sulla facoltà critica ed elettiva, in relazione a gravi decisioni, particolarmente per quanto attiene alla libera scelta dello stato di vita; 3o nelle cause poi per incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, chieda quale sia la natura e la gravità della causa psichica che provoca nella parte non solo una grave difficoltà, ma anche l'impossibilità di far fronte ai compiti inerenti agli obblighi matrimoniali. § 3. Il perito nel suo voto deve rispondere secondo i dettami della propria tecnica e della propria scienza ai singoli quesiti posti nel decreto del giudice; eviti peraltro di dare giudizi che eccedono i limiti del suo incarico e spettano al giudice (cf. cann. 1577, § 1; 1574). Art. 210 – § 1. I periti facciano ciascuno la propria relazione distinta da quella degli altri, a meno che il giudice non ordini che se ne faccia una sola che i singoli periti dovranno sottoscrivere; se ciò avvenga, si annotino, diligentemente le differenze dei pareri, se ce ne fossero (can. 1578, § 1). § 2. I periti debbono indicare con chiarezza in base a quali documenti o altri mezzi idonei abbiano accertato l'identità delle persone o delle cose; secondo quale metodo e criterio abbiano proceduto nell'espletamento del compito loro demandato; e soprattutto su quali argomenti si fondino e quale grado di certezza godano le conclusioni formulate nella relazione (cf. can. 1578, § 2). Art. 211 – Il perito può essere chiamato dal giudice per confermare le sue conclusioni e fornire le ulteriori spiegazioni che appaiano necessarie (cf. can. 1578, § 3). Art. 212 – § 1. Il giudice valuti attentamente non soltanto le conclusioni dei periti, anche se concordi, ma anche tutte le circostanze della causa (can. 1579, § 1). § 2. Quando espone le ragioni della decisione, deve esprimere quali argomenti lo hanno indotto ad ammettere o respingere le conclusioni dei periti (can. 1579, § 2). Art. 213 – § 1. Le parti possono designare periti privati, i quali devono essere approvati dal giudice (can. 1581, § 1). § 2. Questi, se il giudice li ammette, possono prendere visione degli atti di causa nella misura in cui sia necessario e prendere parte all'esecuzione delle perizie. In ogni caso possono sempre esibire una relazione (cf. can. 1581, § 2). 5. Le presunzioni Art. 214 La presunzione è la deduzione probabile da un fatto certo di una cosa incerta; è detta iuris la presunzione che viene stabilita dalla legge stessa; è detta hominis quella che è formulata dal giudice (can. 1584). Art. 215 – Chi ha dalla sua parte una presunzione iuris è liberato dall'onere della prova, che ricade sull'altra parte (cf. can. 1585). Art. 216 – § 1. Il giudice non formuli presunzioni che non sono stabilite dal diritto, se non sulla base di un fatto certo e determinato, direttamente connesso con il fatto che è oggetto della controversia (can. 1586). § 2. Parimenti non formuli presunzioni discordanti da quelle elaborate nella giurisprudenza della Rota Romana. Titolo VIII LE CAUSE INCIDENTALI Art. 217 – Si ha una causa incidentale ogni qual volta che, dopo che la citazione ha dato inizio all'istanza del giudizio, viene sollevata una questione che, sebbene non contenuta espressamente nel libello introduttorio della causa, tuttavia è così pertinente alla causa stessa da dover essere risolta, nella maggior parte dei casi, prima che questa sia decisa (cf. can. 1587). Art. 218 – Nelle cause di nullità di matrimonio, considerata la natura della causa principale, le cause incidentali non siano proposte né ammesse con leggerezza; e se sono ammesse, debbono essere decise quanto prima con particolare sollecitudine.25 Art. 219 – La causa incidentale si propone per scritto o a voce, indicato il nesso che intercorre tra essa e la causa principale, avanti al giudice competente a decidere la causa principale (can. 1588). Art. 220 – Se la domanda non è correlata alla causa, oppure risulta con evidenza priva di qualsiasi fondamento, il presidente o il ponente la può respingere a limine, salvo l'art. 221. Art. 221 – § 1. A meno che non sia espressamente disposto in altro modo, la parte che vi ha interesse o il difensore del vincolo può fare ricorso incidentale contro un decreto non meramente ordinatorio emesso dal presidente, dal ponente o dall'uditore al collegio affinché si istituisca una causa. Il ricorso, però, deve essere interposto entro dieci giorni dalla notifica del decreto: in caso contrario si ritiene che le parti e il difensore del vincolo abbiano accettato il decreto. § 2. Il ricorso deve essere presentato allo stesso autore del decreto, il quale, se non ritiene di dover revocare il decreto emesso, deve sottoporlo senza dilazioni al collegio. Art. 222 – § 1. Il collegio, ricevuta la domanda e uditi il difensore del vincolo e le parti, decida se la questione incidentale proposta sembri avere fondamento e abbia un nesso con la causa principale, oppure sia da respingere a limine; e nel caso in cui la ammetta, se essa deve essere risolta con l'osservanza integrale delle formalità del giudizio, e quindi con la formulazione del dubbio, oppure per mezzo di memoriali e quindi per decreto (cf. can. 1589, § 1). § 2. Quanto è prescritto nel § 1 deve essere eseguito senza dilazioni e con la massima sollecitudine (expeditissime), cioè con esclusione di qualsiasi appello e senza possibilità di ulteriore ricorso (cf. cann. 1589, § 1; 1629, n. 5). § 3. Se invece il collegio ritenga che la questione incidentale non debba essere risolta prima della sentenza definitiva, stabilisca, anche in questo caso con la massima sollecitudine (expeditissime), che la questione sia decisa insieme alla causa principale (cf. can. 1589, § 2). Art. 223 – Il collegio, su richiesta di una parte o del difensore del vincolo, oppure d'ufficio, può richiedere l'intervento del promotore di giustizia, anche nel caso in cui egli non sia ancora intervenuto nel processo, se la natura o la difficoltà della questione incidentale ciò suggerisca. Art. 224 – § 1. Se la questione incidentale deve essere decisa con una sentenza del collegio, si osservino i cann. 1658-1670 circa il processo contenzioso orale, a meno che il collegio, considerata la gravità del problema, non disponga altrimenti (cf. can. 1590, § 1). § 2. Il collegio, tuttavia, allo scopo di assicurare una maggiore celerità, salva la giustizia, può con decreto motivato derogare alle norme processuali di cui al § 1, che non siano stabilite ad validitatem. (cf. can. 1670). Art. 225 – Se invece la questione deve essere decisa per decreto, alle parti e al difensore del vincolo va al più presto assegnato un termine entro il quale essi presentino le proprie ragioni in un breve scritto, o in un memoriale; inoltre il collegio, se non risulta altrimenti o non è richiesto dalla natura della questione, può affidarla a un uditore o al presidente (cf. can. 1590, § 2). Art. 226 – Prima che la causa principale abbia termine, il collegio, per un giusto motivo, tanto su richiesta di una parte o del difensore del vincolo quanto d'ufficio, udite le parti e il difensore del vincolo, può revocare o riformare il decreto o la sentenza interlocutoria, a meno che non si tratti di una pronuncia avente valore di sentenza definitiva (cf. can. 1591). Art. 227 – Se la causa è trattata dal giudice unico, egli stesso decide, con gli opportuni adattamenti, le questioni incidentali. Art. 228 – Non è ammesso l'appello contro la decisione, non avente valore di sentenza definitiva, con cui è decisa la causa incidentale, a meno che esso sia proposto unitamente all'appello contro la sentenza definitiva (cf. can. 1629, n. 4). Titolo IX LA PUBBLICAZIONE DEGLI ATTI, Capitolo I La pubblicazione degli atti Art. 229 – § 1. Dopo aver acquisito le prove il giudice, prima della discussione della causa, proceda alla pubblicazione degli atti (cf. can. 1598, § 1). § 2. La pubblicazione degli atti avviene con decreto del giudice, per mezzo del quale alle parti e ai loro avvocati è data la facoltà di prenderne visione. § 3. Pertanto con tale decreto il giudice deve permettere alle parti e ai loro avvocati di prendere visione, presso la cancelleria del tribunale, degli atti loro non ancora noti, salvo l'art. 230 (cf. can. 1598, § 1). § 4. Col nome di ‘‘giudice'' nel presente titolo si indicano, se non risulta altrimenti o non è richiesto in altro modo dalla natura della questione, il presidente e il ponente. Art. 230 – Per evitare pericoli gravissimi il giudice può stabilire che qualche atto non sia reso noto alle parti, garantendo comunque sempre che rimanga impregiudicato il diritto di difesa (cf. can. 1598, § 1). Art. 231 – La violazione del disposto di cui all'art. 229, § 3 comporta la nullità sanabile della sentenza; e nel caso in cui il diritto di difesa sia stato di fatto negato, la nullità insanabile (cf. cann. 1598, § 1; 1622, n. 5). Art. 232 – § 1. Il giudice, prima dell'esame degli atti, può esigere che le parti emettano il giuramento o, se del caso, la promessa di non utilizzare quanto conosciuto da tale esame se non per esercitare il loro legittimo diritto di difesa in foro canonico (cf. can. 1455, § 3). § 2. Se la parte si rifiuta di emettere il giuramento, o, se del caso, la promessa, a meno che una legge particolare non disponga diversamente, si presume che abbia rinunciato alla facoltà di prendere visione degli atti. Art. 233 – § 1. L'esame degli atti deve avvenire presso la cancelleria del tribunale davanti al quale pende la causa, entro il termine stabilito nel decreto del giudice. § 2. Se però la parte risiede in un luogo distante dalla sede di tale tribunale, può prendere visione degli atti presso la sede del tribunale del luogo in cui risiede, o in altro luogo idoneo, così che il suo diritto di difesa resti impregiudicato. Art. 234 – Se il giudice ritiene, per evitare gravissimi pericoli, che qualche atto non debba essere reso noto alle parti, tale atto può essere preso in visione dai loro avvocati, previo giuramento o promessa di mantenere il segreto. Art. 235 – § 1. Agli avvocati che ne fanno richiesta il giudice può consegnare una copia degli atti (cf. can. 1598, § 1). § 2. Peraltro gli avvocati sono gravemente tenuti a non consegnare copia degli atti, sia integrale sia parziale, ad altri, non eccettuate le parti. Art. 236 – Effettuata la pubblicazione degli atti, le parti e il difensore del vincolo possono presentare altre richieste istruttorie allo scopo di completare le prove; una volta che queste, a parere del giudice, ritenute necessarie, siano state acquisite, si dovrà emettere un nuovo decreto a norma dell'art. 229, § 3 (cf. can. 1598, § 2). Capitolo II La conclusio in causa Art. 237 – § 1. Espletato tutto quanto riguarda le prove da produrre, si addiviene alla conclusione in causa (can. 1599, § 1). § 2. Questa conclusione si ha ogniqualvolta o le parti dichiarano di non aver null'altro da addurre, o il tempo utile stabilito dal giudice per produrre le prove è trascorso, o il giudice dichiara di ritenere sufficientemente istruita la causa (cf. can. 1599, § 2). § 3. Sulla compiuta conclusione in causa, in qualunque modo essa sia avvenuta, il giudice emetta un decreto (can. 1599, § 3). Art. 238 – Il giudice, tuttavia, eviti di emettere il decreto che dichiari la conclusione in causa, se ritiene che ci sia ancora qualcosa da indagare affinché la causa possa ritenersi sufficientemente istruita. In tal caso il giudice, dopo aver udito, se ritenuto opportuno, il difensore del vincolo, ordini che si completi ciò che manca. Art. 239 – § 1. Dopo la conclusione in causa il giudice può convocare ancora i testi già sentiti, convocarne altri o ordinare altre prove non richieste in precedenza: 1o quando è presumibile che, qualora la nuova prova non sia ammessa, la futura sentenza risulti ingiusta per i motivi di cui al can. 1645, § 2, nn. 1-3; 2o negli altri casi, dopo aver udito le parti, purché vi sia un grave motivo e sia evitato qualsiasi pericolo di frode o subornazione (cf. can. 1600, § 1). § 2. Il giudice può inoltre ordinare o ammettere che sia prodotto un documento, che, senza colpa dell'interessato, non poté essere prodotto in precedenza (can. 1600, § 2). § 3. Le nuove prove siano pubblicate, osservati gli artt. 229- 235 (cf. can. 1600, § 3). Capitolo III La discussione della causa Art. 240 – § 1. Fatta la conclusio in causa, il giudice stabilisca un congruo spazio di tempo perché sia predisposto, se del caso, il sommario degli atti, e siano presentate per iscritto le difese e le osservazioni (cf. can. 1601). § 2. Quanto alla preparazione del sommario ed alla stesura delle difese e delle osservazioni, al numero degli esemplari ed altre cose simili, si osservi il regolamento di ciascun tribunale (cf. can. 1602). Art. 241 – È assolutamente proibito alle parti, ai loro avvocati o anche ad altri di dare al giudice informazioni, che rimangano fuori dagli atti di causa (can. 1604, § 1). Art. 242 – § 1. Comunicate vicendevolmente le difese e le osservazioni, all'una e all'altra parte è consentito presentare delle risposte entro un breve spazio di tempo stabilito dal giudice (can. 1603, § 1). § 2. Le parti abbiano questo diritto una sola volta, a meno che il giudice per un motivo grave non ritenga lo si debba concedere un'altra volta; in tal caso però la concessione fatta ad una parte si intende fatta anche all'altra (can. 1603, § 2). Art. 243 – § 1. Al difensore del vincolo deve sempre essere riconosciuto il diritto di essere sentito per ultimo (cf. can. 1603, § 3). § 2. Se il difensore del vincolo, entro il breve termine stabilito dal giudice, non dà alcuna risposta, si presume che non abbia nulla da aggiungere alle sue osservazioni, e si può procedere nella trattazione della causa. Art. 244 – § 1. Dopo la discussione della causa fatta per iscritto, il giudice può stabilire che, allo scopo di chiarire alcune questioni, abbia luogo un moderato dibattimento orale davanti al tribunale riunito in seduta (cf. can. 1604, § 2). § 2. Al dibattimento orale sia presente il notaio, affinché, se il giudice lo ordini, oppure la parte o il difensore del vincolo lo chiedano e il giudice acconsenta, egli possa subito verbalizzare ciò di cui si è discusso e le relative conclusioni. Art. 245 – § 1. Se gli avvocati trascurano di esibire in tempo utile le difese, le parti ne debbono essere informate e invitate a provvedere personalmente entro il termine stabilito dal giudice, o per mezzo di un nuovo avvocato legittimamente costituito. § 2. Se le parti non provvedono entro il termine stabilito dal giudice, oppure si rimettono alla scienza e coscienza del giudice, questi, se dagli atti e da quanto è stato dimostrato abbia piena cognizione della causa, dopo aver acquisito le osservazioni scritte del difensore del vincolo può pronunciare subito la sentenza (cf. can. 1606). Titolo X LE DECISIONI DEL GIUDICE Art. 246 – La causa principale è decisa dal giudice con sentenza definitiva, salvo l'art. 265, § 1; la causa incidentale con sentenza interlocutoria, fermo restando quanto prescritto dall'art. 222, § 1 (cf. can. 1607). Art. 247 – § 1. Perché sia dichiarata la nullità di matrimonio si richiede nell'animo del giudice la certezza morale di tale nullità (cf. can. 1608, § 1). § 2. Per conseguire la certezza morale necessaria per legge, non è sufficiente una prevalente importanza delle prove e degli indizi, ma occorre che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo di errore, tanto in diritto quanto in fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario. § 3. Il giudice deve attingere questa certezza dagli atti e da quanto è stato dimostrato (can. 1608, § 2). § 4. Il giudice deve poi valutare le prove secondo la sua coscienza, ferme restando le disposizioni della legge sull'efficacia di talune prove (can. 1608, § 3). § 5. Il giudice che, dopo aver diligentemente esaminato la causa, non ha potuto conseguire questa certezza, deve dichiarare che non consta della nullità di matrimonio, fermo restando l'art. 248, § 5 (cf. cann. 1608, § 4; 1060). Art. 248 – § 1. Terminata la discussione della causa, il presidente del tribunale collegiale stabilisca il giorno e l'ora in cui i soli giudici, senza la presenza di alcun altro addetto del tribunale, debbono riunirsi per decidere; questa riunione, a meno che un motivo particolare non suggerisca altrimenti, deve tenersi nella sede stessa del tribunale (cf. can. 1609, § 1; art. 31). § 2. Nel giorno fissato per la riunione i singoli giudici portino per iscritto le conclusioni sul merito della causa, contenenti le ragioni sia in diritto che in fatto in forza delle quali ciascuno è pervenuto alla propria conclusione (cf. can. 1609, § 2). § 3. Dopo aver invocato il Nome di Dio, esposte per ordine le conclusioni dei singoli secondo la precedenza, in modo tuttavia che si abbia sempre inizio con il ponente o relatore della causa, si apra la discussione sotto la guida del presidente del tribunale, soprattutto per concordare insieme quello che si deve stabilire nella parte dispositiva della sentenza (cf. can. 1609, § 3). § 4. Nel corso della discussione ciascuno ha la facoltà di recedere dalla sua precedente conclusione annotando il suo recesso nel voto medesimo. Il giudice tuttavia che non intende accedere alla decisione degli altri può esigere che il suo voto sia trasmesso sotto segreto al tribunale di grado superiore (cf. can. 1609, § 4). § 5. Se nel corso di questa prima discussione i giudici non vogliono o non possono addivenire alla sentenza, la decisione può essere rinviata a una nuova riunione stabilita per iscritto, al più tardi di una settimana, a meno che a norma dell'art. 239 debba essere completata l'istruttoria della causa; in quest'ultimo caso i giudici debbono pronunciare: dilata et compleantur acta (cf. can. 1609, § 5). § 6. Deliberata la decisione, il ponente la scrive sotto forma di risposta affermativa o negativa al dubbio proposto, la sottoscrive assieme agli altri giudici e la allega al fascicolo degli atti. § 7. I voti dei singoli giudici debbono essere uniti agli atti in una busta chiusa da conservarsi sotto segreto (cf. can. 1609, § 2). Art. 249 – § 1. Nel tribunale collegiale il compito di redigere la sentenza spetta al ponente, o al relatore, a meno che nel corso della discussione si sia ravvisata l'opportunità di affidare questo compito, per un giusto motivo, a un altro giudice del turno (cf. can. 1610, § 2). § 2. L'estensore tragga le motivazioni da quelle addotte dai singoli giudici nel corso della discussione, a meno che i giudici a maggioranza non abbiano determinato quali siano le motivazioni da preferirsi (cf. can. 1610, § 2). § 3. La sentenza, inoltre, deve essere sottoposta all'approvazione di ciascun giudice (cf. can. 1610, § 2). § 4. Se il giudice è unico, egli stesso redigerà la sentenza (cf. can. 1610, § 1). § 5. La sentenza deve essere pubblicata non oltre un mese dal giorno in cui la causa fu decisa, a meno che, nel tribunale collegiale, i giudici per una grave ragione non abbiano stabilito un tempo più lungo (can. 1610, § 3). Art. 250 – La sentenza deve: 1o decidere la questione trattata davanti al tribunale, dando un'adeguata risposta ai singoli dubbi; 2o esporre gli argomenti, ossia le motivazioni, in diritto e in fatto, sui quali si fonda la parte dispositiva della sentenza; 3o apporre, se del caso, il vetitum di cui all'art. 251; 4o decidere circa le spese giudiziarie (cf. can. 1611). Art. 251 – § 1. Se nel corso del processo si è accertato che una delle parti è impotente in modo assoluto, o in modo permanente incapace di contrarre matrimonio, nella sentenza si apponga il divieto di contrarre un nuovo matrimonio senza previa consultazione del tribunale che ha emesso la sentenza. § 2. Se invece una delle parti è stata causa della nullità per dolo o per simulazione, il tribunale è tenuto a stabilire se, considerate tutte le circostanze del caso, nella sentenza debba essere apposto il divieto di contrarre un nuovo matrimonio senza la previa consultazione dell'Ordinario del luogo in cui il nuovo matrimonio deve essere celebrato. § 3. Se il tribunale di grado inferiore ha apposto il divieto nella sentenza, spetta al tribunale di appello decidere se esso debba essere confermato o meno. Art. 252 – Nella sentenza si ammoniscano le parti sugli obblighi morali o anche civili, cui siano eventualmente tenute l'una verso l'altra e verso la prole, per quanto riguarda il sostentamento e l'educazione (can. 1689). Art. 253 – § 1. La sentenza, dopo l'invocazione del Nome di Dio, deve indicare di seguito quale sia il giudice o il tribunale, chi sia la parte attrice, la parte convenuta, il procuratore, indicandone correttamente i nomi e i domicili, il difensore del vincolo, nonché il promotore di giustizia nel caso in cui egli abbia avuto parte nel giudizio (cf. can. 1612, § 1). § 2. Deve quindi riferire brevemente la fattispecie con le conclusioni delle parti e la formulazione dei dubbi (can. 1612, § 2). § 3. A queste cose faccia seguito la parte dispositiva della sentenza, cui sono premesse le ragioni sia di diritto che di fatto sulle quali si fonda. § 4. Si chiuda con l'indicazione del luogo e del giorno, mese ed anno in cui è stata pronunciata, e con la firma di tutti i giudici, o del giudice unico, e del notaio (cf. can. 1612, § 4). § 5. Debbono anche essere aggiunte informazioni indicando se la sentenza sia o no immediatamente esecutiva, il modo con cui può essere impugnata e, se del caso, la trasmissione d'ufficio della causa al tribunale di appello (cf. cann. 1614; 1682, § 1). Art. 254 – § 1. La sentenza, senza eccedere in concisione o in prolissità, deve essere chiara nell'esposizione delle motivazioni sia in diritto che in fatto, ed essere fondata sugli atti e su quanto è stato dimostrato, in modo da far comprendere attraverso quale percorso logico i giudici siano giunti alla decisione, e in qual modo abbiano applicato la legge alle circostanze di fatto. § 2. L'esposizione poi dei fatti, per quanto è richiesto dalla natura della questione, deve essere svolta con prudenza e cautela, evitando qualsiasi offesa nei confronti delle parti, dei testi, dei giudici e degli altri addetti dei tribunali. Art. 255 – Se per causa di morte, grave infermità o altro impedimento un giudice non può sottoscrivere la sentenza, è sufficiente che il presidente del collegio o il Vicario giudiziale lo dichiari, allegando copia autentica del dispositivo della sentenza sottoscritto dal medesimo giudice, ai sensi dell'art. 248, § 6, il giorno della decisione. Art. 256 – Le regole sopra riferite circa la sentenza definitiva, devono essere adattate anche all'interlocutoria (can. 1613). Art. 257 – § 1. La sentenza deve essere pubblicata quanto prima. Essa, prima della pubblicazione, non ha alcun valore, neppure nel caso in cui il suo dispositivo, su autorizzazione del giudice, sia stato reso noto alle parti (cf. can. 1614). § 2. Se la sentenza è appellabile, insieme alla pubblicazione si deve indicare il modo con cui l'appello può essere interposto e proseguito, facendo menzione espressa della facoltà di adire, oltre al tribunale di appello del luogo, la Rota Romana (cf. can. 1614). Art. 258 – § 1. La pubblicazione, ossia notifica, della sentenza, avviene o consegnandone un esemplare alle parti o ai loro procuratori oppure trasmettendo loro l'esemplare a norma dell'art. 130 (cf. can. 1615). § 2. La sentenza deve sempre essere notificata in pari tempo e nello stesso modo al difensore del vincolo, nonché al promotore di giustizia se ha preso parte nel giudizio. § 3. Se una parte ha dichiarato di rifiutare di ricevere qualsiasi informazione relativa alla causa, si ritiene che abbia rinunciato ad ottenere l'esemplare della sentenza. In tal caso, osservate le leggi particolari, può esserle notificato il solo dispositivo. Art. 259 – La sentenza definitiva valida non può essere ritrattata neppure se tutti i giudici vi consentano. Art. 260 – § 1. Se nel testo della sentenza è sfuggito un errore materiale nella trascrizione del dispositivo o dei fatti o delle petizioni delle parti, oppure è stato omesso quanto è richiesto dall'art. 253, § 4, la sentenza deve essere corretta o completata dallo stesso tribunale che l'ha emanata, sia ad istanza della parte che d'ufficio, uditi sempre tuttavia il difensore del vincolo e le parti, con decreto apposto in calce alla sentenza (cf. can. 1616, § 1). § 2. Se una delle parti o il difensore del vincolo fanno opposizione, la questione incidentale sia definita con decreto (cf. can. 1616, § 2). Art. 261 – Tutti gli altri pronunciamenti del giudice oltre alla sentenza sono decreti. Questi, se non hanno mero carattere ordinatorio, non hanno valore se non indicano almeno sommariamente i motivi o non rinviano ai motivi espressi in un altro atto legittimamente pubblicato (cf. can. 1617). Art. 262 – La sentenza interlocutoria o il decreto hanno valore di sentenza definitiva se impediscono il giudizio o pongono fine al giudizio stesso o ad un grado di esso, nei riguardi di una almeno delle parti in causa (can. 1618). Titolo XI LA TRASMISSIONE DELLA CAUSA Art. 263 – § 1. Il tribunale, a norma dell'art. 30, § 4, in secondo grado di giudizio e in quelli successivi deve, sotto pena di nullità, essere collegiale. § 2. Questa norma si applica anche se la trattazione della causa ha luogo in forma abbreviata a norma dell'art. 265. Art. 264 – La sentenza che per la prima volta dichiarò la nullità di matrimonio insieme agli appelli, se ce ne furono, e agli altri atti del giudizio, siano trasmessi d'ufficio al tribunale di appello entro 20 giorni dalla pubblicazione della sentenza (can. 1682, § 1). Art. 265 – § 1. Se la sentenza dichiarativa della nullità di matrimonio è stata emessa in primo grado di giudizio, il tribunale di appello, valutate le osservazioni del difensore del vincolo dello stesso foro di appello, e anche quelle delle parti, se ve ne siano, con proprio decreto confermi sollecitamente la decisione, oppure ammetta la causa all'ordinario esame del nuovo grado (cf. can. 1682, § 2). § 2. Una volta scaduti i termini stabiliti per legge per l'appello, e ricevuti gli atti giudiziari, si costituisca al più presto il collegio dei giudici, e il presidente o il ponente con suo decreto deve trasmettere gli atti al difensore del vincolo perché dia il suo voto, e avverta le parti che, se lo desiderano, possono proporre le loro osservazioni al tribunale di appello. § 3. Tutti gli atti debbono essere messi a disposizione dei giudici prima che il collegio emetta il decreto di cui al § 1. § 4. Il decreto con cui la decisione affermativa è confermata con procedura abbreviata deve, sotto pena di nullità, esprimere almeno in modo sommario i motivi e dare risposta alle osservazioni del difensore del vincolo, e se del caso a quelle delle parti (cf. can. 1617). § 5. Anche nel decreto con cui la causa è ammessa all'ordinario esame i motivi devono essere indicati sommariamente, e si deve anche indicare quale supplemento di istruttoria eventualmente si richieda. § 6. Se la sentenza emessa nel primo grado di giudizio ha dichiarato nullo il matrimonio per più capi di nullità, tale sentenza può essere confermata con procedura abbreviata in relazione a tutti i capi o ad alcuni soltanto. Art. 266 – Ogni qual volta contro una sentenza negativa è stato interposto appello, o la sentenza affermativa è stata emessa in secondo o in un ulteriore grado di giudizio, la causa, sia nel secondo grado che in quelli successivi, deve essere sempre rimessa nell'ordinario esame. Art. 267 – § 1. Se la causa nel secondo o ulteriore grado di giudizio deve essere trattata per esame ordinario, si deve procedere, con gli opportuni adattamenti, allo stesso modo che in prima istanza (cf. can. 1640). § 2. A meno che le prove non debbano essere eventualmente integrate, dopo la notifica delle citazioni e stabilita la formula del dubbio, si deve addivenire quanto prima alla discussione della causa ed alla emissione della sentenza (cf. can. 1640). § 3. Le nuove prove sono ammesse solo a norma dell'art. 239 (cf. can. 1639, § 2). Art. 268 – § 1. Se nel grado di appello viene addotto un nuovo capo di nullità, il tribunale può ammetterlo come in prima istanza, a norma degli artt. 114-125, 135-137, e giudicarlo (cf. can. 1683). § 2. Giudicare tale nuovo capo in seconda istanza e in ulteriore istanza è riservato, sotto pena di nullità, al tribunale di terzo ed ulteriore grado di giudizio. § 3. Se per il nuovo capo giudicato come in prima istanza è stata pronunciata sentenza a favore della nullità di matrimonio, il tribunale competente proceda a norma dell'art. 265, § 1. Titolo XII L'IMPUGNAZIONE DELLA SENTENZA Capitolo I La querela di nullità contro la sentenza Art. 269 – Qualora il tribunale di appello rilevi che nel grado inferiore di giudizio si è svolto il processo contenzioso orale, dichiari la nullità della sentenza e rimetta la causa al tribunale che l'ha emessa (cf. can. 1669). Art. 270 – A norma del can. 1620, la sentenza è viziata da nullità insanabile se: 1o è stata emessa da un giudice assolutamente incompetente; 2o è stata emessa da un giudice privo della potestà di giudicare nel tribunale in cui la causa è stata decisa; 3o è stata emessa da un giudice costretto con violenza o timore grave; 4o il giudizio si è svolto senza la domanda giudiziale di cui all'art. 114, o non è stato istituito nei confronti della parte convenuta; 5o è stata emessa tra parti di cui una almeno non aveva capacità di stare in giudizio; 6o qualcuno ha agito in nome altrui senza averne ricevuto legittimo mandato; 7o a una delle parti è stato negato il diritto di difesa; 8o non ha definito la controversia neppure parzialmente. Art. 271 – La querela di nullità, di cui all'art. 270, può essere proposta, a modo di eccezione in perpetuo, a modo di azione entro dieci anni dalla pubblicazione della sentenza (cf. can. 1621). Art. 272 – La sentenza è viziata da nullità soltanto sanabile se: 1o è stata emessa da un numero non legittimo di giudici, in violazione del disposto dell'art. 30; 2o non contiene le motivazioni, ossia le ragioni della decisione; 3o manca delle firme prescritte dalla legge; 4o non riporta l'indicazione dell'anno, mese, giorno e luogo in cui è stata emessa; 5o si fonda su un atto giudiziale nullo, la cui nullità non sia stata sanata; 6o è stata emessa contro una parte legittimamente assente a norma dell'art. 139, § 2 (cf. can. 1622) Art. 273 – La querela di nullità, nei casi di cui all'art. 272, può essere proposta entro tre mesi dalla notizia della pubblicazione della sentenza; decorso tale termine, la sentenza si considera ipso iure sanata. Art. 274 – § 1. Esamina la querela di nullità proposta a modo di azione lo stesso giudice che ha emesso la sentenza. Se la parte tema che il giudice che ha emesso la sentenza impugnata con la querela di nullità sia prevenuto, e pertanto lo ritenga sospetto, può esigere che sia sostituito da un altro giudice a norma dell'art. 69, § 1 (cf. can. 1624). § 2. Se la querela di nullità ha per oggetto sentenze emesse in due o più gradi di giudizio, su di essa deve pronunciarsi il giudice che ha emesso l'ultima decisione. § 3. La querela di nullità può anche essere proposta insieme all'appello, entro il termine stabilito per appellare o insieme alla richiesta di nuovo esame, di cui all'art. 290 (cf. can. 1625). Art. 275 – Esamina la querela di nullità proposta a modo di eccezione, o d'ufficio a norma dell'art. 77, § 1, il giudice davanti al quale è pendente la causa. Art. 276 – § 1. La querela di nullità può essere proposta non solo dalle parti che si considerano gravate, ma anche dal difensore del vincolo, nonché dal promotore di giustizia se è già intervenuto o vi interviene per decreto del giudice (cf. can. 1626, § 1). § 2. Il giudice stesso può, d'ufficio, entro il termine stabilito dall'art. 273 per promuovere l'azione, ritrattare o correggere la propria sentenza nulla, a meno che nel frattempo non sia stato interposto l'appello insieme alla querela di nullità, o la nullità non sia stata sanata per decorrenza del termine di cui all'art. 273 (cf. can. 1626, § 2). Art. 277 – § 1. Le cause relative alla querela di nullità proposta per modo di azione possono essere trattate secondo le norme del processo contenzioso orale; quelle relative alla querela di nullità proposta a modo di eccezione, o d'ufficio a norma dell'art. 77, § 1, sono trattate secondo le norme stabilite dagli artt. 217-225, 227 per le cause incidentali (cf. can. 1627). § 2. Spetta però al tribunale collegiale pronunciarsi sulla nullità della decisione emessa da un tribunale collegiale. § 3. Contro la decisione sulla querela di nullità è ammesso l'appello. Art. 278 – Dichiarata nulla una sentenza dal tribunale di appello, la causa sia rinviata al tribunale a quo, affinché questo proceda a norma di legge. Capitolo II L'appello Art. 279 – § 1. La parte che si considera gravata da una sentenza, il difensore del vincolo, e così pure il promotore di giustizia, se è intervenuto nel giudizio, hanno diritto di interporre appello contro la sentenza davanti al giudice superiore, salvo quanto prescritto dall'art. 280 (cf. can. 1628). § 2. Fermo restando quanto prescritto dall'art. 264, il difensore del vincolo è tenuto per dovere d'ufficio a interporre appello, se ritiene non sufficientemente fondata la sentenza che per la prima volta ha dichiarato la nullità di matrimonio. Art. 280 – § 1. Non si dà luogo all'appello: 1o contro una sentenza emessa dallo stesso Sommo Pontefice o dalla Segnatura Apostolica; 2o contro una sentenza nulla, salvo non lo si faccia congiuntamente alla querela di nullità a norma dell'art. 274, § 3; 3o contro una sentenza passata in giudicato; 4o contro il decreto del giudice o una sentenza interlocutoria, che non abbia valore di sentenza definitiva, a meno che non lo si faccia insieme all'appello contro la sentenza definitiva; 5o contro una sentenza o un decreto in una causa nella quale il diritto stabilisca si debba definire la questione con la massima sollecitudine (expeditissime) (can. 1629). § 2. La norma di cui al § 1, n. 3 non riguarda la sentenza con cui viene decisa la causa principale di nullità del matrimonio (cf. can. 1643). Art. 281 – § 1. L'appello deve essere interposto avanti al giudice a quo, che ha emesso la sentenza, nel termine perentorio di quindici giorni utili dalla notizia della pubblicazione della sentenza (can. 1630, § 1). § 2. È sufficiente che l'appellante dichiari davanti al giudice a quo di voler interporre appello. § 3. Se l'appello è fatto a voce, il notaio lo rediga per iscritto avanti allo stesso appellante (can. 1630, § 2). § 4. Se l'appello è interposto dopo che, a norma dell'art. 257, § 1, è stata comunicata alle parti soltanto la parte dispositiva della sentenza prima che questa sia stata pubblicata, si osserva l'art. 285, § 2. Art. 282 – Se sorge la questione sul diritto di appello, la esamini con la massima sollecitudine (expeditissime) il tribunale di appello, secondo le norme del processo contenzioso orale (cf. can. 1631). Art. 283 – § 1. Se nell'atto di appello non viene indicato a quale tribunale questo è diretto, si presume fatto al tribunale di appello di cui all'art. 25 (cf. can. 1632, § 1). § 2. Se una delle parti appella alla Rota Romana, e l'altra a un diverso tribunale di appello, l'esame della causa spetta alla Rota Romana, salvo l'art. 18 (cf. can. 1632, § 2). § 3. Interposto appello alla Rota Romana, il tribunale a quo deve trasmettere al tribunale della Santa Sede gli atti. Nel caso in cui gli atti siano già stati inviati ad un altro tribunale di appello, il tribunale a quo deve immediatamente comunicare al medesimo il detto appello affinché questo non dia inizio alla trattazione della causa e trasmetta gli atti alla Rota Romana. § 4. Comunque, fino a quando i termini stabiliti dalla legge non sono scaduti, nessun tribunale di appello ha il diritto di far propria la causa, al fine di non privare le parti del diritto di appello alla Rota Romana. Art. 284 – § 1. L'appello deve essere proseguito avanti al giudice ad quem entro un mese dalla sua interposizione, a meno che il giudice a quo, che ha emesso la sentenza non abbia stabilito alla parte un tempo più lungo per la prosecuzione (can. 1633). § 2. L'appellante può chiedere l'intervento del tribunale a quo perché questo trasmetta l'atto di prosecuzione dell'appello al tribunale ad quod. Art. 285 – § 1. Per la prosecuzione dell'appello si richiede e basta che la parte invochi il ministero del giudice superiore perché corregga la sentenza impugnata, allegando copia di questa sentenza e indicando le ragioni dell'appello (can. 1634, § 1). § 2. Che se la parte non possa ottenere entro il tempo utile copia della sentenza impugnata dal tribunale a quo, che l'ha emessa, nel frattempo non decorrono i termini, e l'impedimento va segnalato al giudice di appello, il quale obbligherà con precetto il giudice a quo, che ha emesso la sentenza, ad adempiere al più presto il suo dovere (can. 1634, § 2). § 3. Nel frattempo il giudice a quo, che ha emesso la sentenza, deve trasmettere al giudice di appello gli atti a norma dell'art. 90 (cf. can. 1634, § 3). Art. 286 – Trascorsi inutilmente i fatalia per l'appello sia avanti al giudice a quo, che ha emesso la sentenza, sia avanti al giudice ad quem, si ritiene abbandonato l'appello (can. 1635). Art. 287 – L'appellante può rinunciare all'appello con gli effetti di cui all'art. 151 (cf. can. 1636). Art. 288 – § 1. L'appello interposto dall'attore vale anche per la parte convenuta, e viceversa (cf. can. 1636). § 2. Se l'appello è stato interposto da una delle parti su un determinato capo della sentenza, l'altra parte, anche se i fatalia per appellare sono già decorsi, può interporre appello incidentalmente sugli altri capitoli entro il termine perentorio di quindici giorni dalla notifica dell'appello principale (cf. can. 1637, § 3). § 3. Salvo non consti altro, l'appello si presume fatto contro tutti i capitoli della sentenza (can. 1637, § 4). Art. 289 – § 1. Le cause di nullità di matrimonio non passano mai in giudicato (cf. can. 1643). § 2. Una causa matrimoniale, che sia già stata giudicata da un tribunale, non può mai essere giudicata nuovamente dallo stesso o da un altro tribunale di pari grado, fermo restando l'art. 9, § 2. § 3. Questa disposizione deve applicarsi soltanto quando si tratta della stessa causa, ossia del medesimo matrimonio e del medesimo capo di nullità. Capitolo III La domanda del nuovo esame Art. 290 – § 1. Se in una causa di nullità di matrimonio sono state pronunciate due sentenze conformi, non è ammesso l'appello, ma è possibile adire in qualsiasi momento il tribunale di terza o ulteriore istanza, adducendo nuove e gravi prove o argomenti entro il termine perentorio di trenta giorni da quando l'impugnazione fu proposta (cf. can. 1644, § 1). § 2. Questa disposizione deve essere osservata anche se la decisione che ha dichiarato la nullità di matrimonio è stata confermata non da una seconda sentenza ma da un decreto (cf. can. 1684, § 2). Art. 291 – § 1. Due sentenze, ossia decisioni, si dicono formalmente conformi se sono state pronunciate tra le medesime parti, sulla nullità del medesimo matrimonio e per il medesimo capo di nullità, nonché in virtù delle medesime motivazioni in diritto e in fatto (cf. can. 1641, n. 1). § 2. Si considerano equivalentemente ossia sostanzialmente conformi le decisioni che, benché indichino e determinino il capo di nullità con una diversa denominazione, tuttavia si fondano sui medesimi fatti che hanno causato la nullità di matrimonio e sulle medesime prove. § 3. Salvo l'art. 136, e impregiudicato il diritto di difesa, sulla conformità equivalente o sostanziale di due decisioni giudica il tribunale di appello, che ha emesso la seconda decisione, oppure il tribunale superiore. Art. 292 – § 1. Non si richiede che i nuovi argomenti o le nuove prove, di cui all'art. 290, § 1, siano gravissimi, e ancor meno decisivi, che esigano cioè indiscutibilmente una decisione contraria, ma è sufficiente che la rendano probabile. § 2. Non sono, però, sufficienti le sole censure ed osservazioni critiche sulle decisioni pronunciate. Art. 293 – § 1. Il tribunale di appello, entro un mese dalla presentazione delle nuove e gravi prove e degli argomenti, udito il difensore del vincolo e informata l'altra parte, deve stabilire con decreto se il nuovo esame della causa sia da ammettere o no (cf. can. 1644, § 1). § 2. Se il nuovo esame viene ammesso, si proceda a norma dell'art. 267. Art. 294 – La domanda volta ad ottenere il nuovo esame non sospende l'esecuzione della doppia decisione conforme, a meno che il tribunale di appello, ritenendo che la domanda sia probabilmente fondata e che dall'esecuzione possa derivare un danno irreparabile, non ne ordini la sospensione (cf. can. 1644, § 2). Titolo XIII IL PROCESSO DOCUMENTALE Art. 295 – Ricevuta la domanda presentata a norma degli artt. 114-117, il Vicario giudiziale o un giudice dal medesimo designato, tralasciate le formalità del processo ordinario, citate però le parti e con l'intervento del difensore del vincolo, può dichiarare con sentenza la nullità di matrimonio, se da un documento che non sia soggetto a contraddizione o ad eccezione alcuna, consti con certezza l'esistenza di un impedimento dirimente o la mancanza della forma legittima, purché sia chiaro con eguale sicurezza che non fu concessa la dispensa, oppure che il procuratore non aveva un mandato valido (cf. can. 1686). Art. 296 – § 1. Il Vicario giudiziale competente è determinato a norma dell'art. 10. § 2. Il Vicario giudiziale o il giudice da lui designato prima di tutto accerti che si verifichino tutte le condizioni richieste a norma dell'art. 295 perché la causa possa essere decisa tramite processo documentale. Se ritenga, o prudentemente dubiti che non tutte le condizioni ricorrano, si proceda tramite processo ordinario. Art. 297 – § 1. Poiché solo molto raramente l'impedimento di impotenza o il difetto della legittima forma possono risultare da un documento non soggetto a contestazione od eccezione, il Vicario giudiziale o il giudice da lui designato, in questi casi, proceda con particolare diligenza ad una previa indagine cosicché la causa non sia ammessa con leggerezza e temerariamente al processo documentale. § 2. Per quanto riguarda le parti che hanno attentato il matrimonio davanti a un ufficiale di stato civile o a un ministro di culto acattolico, essendo tenute a norma del can. 1117 alla forma canonica, si osservi l'art. 5, § 3. Art. 298 – § 1. Contro la dichiarazione di cui all'art. 295, il difensore del vincolo, se prudentemente ritiene che i vizi indicati nello stesso articolo o la mancata concessione della dispensa non siano certi, deve interporre appello al giudice di seconda istanza, al quale si debbono trasmettere gli atti, avvertendolo per iscritto che si tratta di un processo documentale (cf. can. 1687, § 1). § 2. Alla parte che si ritiene onerata resta il diritto di appellare (can. 1687, § 2). Art. 299 – Il giudice di seconda istanza, con l'intervento del difensore del vincolo e dopo aver udito le parti, stabilisca allo stesso modo di cui all'art. 295 se la sentenza debba essere confermata, o se si debba procedere per processo ordinario; in questo caso rinvia la causa al tribunale di prima istanza (cf. can. 1688). Titolo XIV L'ANNOTAZIONE Art. 300 – § 1. Non appena la sentenza diviene esecutiva il Vicario giudiziale la deve notificare all'Ordinario del luogo in cui fu celebrato il matrimonio. Questi poi deve provvedere affinché al più presto si faccia menzione nei registri dei matrimoni e dei battezzati della nullità di matrimonio decretata e degli eventuali divieti stabiliti (cf. can. 1685). § 2. Se l'Ordinario sia altrimenti edotto che la sentenza è nulla, rimetta la questione al tribunale, salvo l'art. 274, § 2, informandone le parti (cf. can. 1654, § 2). Art. 301 – § 1. Dopo che la sentenza, la quale ha dichiarato per la prima volta la nullità di matrimonio, è stata confermata in grado d'appello con decreto o con una seconda sentenza, coloro, il cui matrimonio è stato dichiarato nullo, possono contrarre nuove nozze non appena il decreto o la seconda sentenza sono stati loro notificati, purché non ne siano impediti da un divieto loro irrogato nella sentenza o nel decreto, o disposto dall'Ordinario del luogo, fermo restando l'art. 294 (cf. can. 1684, § 1). § 2. La stessa norma si applica nel processo documentale dopo che il matrimonio è stato dichiarato nullo da un'unica sentenza non appellata. § 3. Si osservino, però, le disposizioni dei cann. 1066-1071 relative agli atti da premettere alla celebrazione del matrimonio. Titolo XV LE SPESE GIUDIZIARIE Art. 302 – Le parti sono tenute secondo le loro possibilità a contribuire alle spese giudiziarie. Art. 303 – § 1. Il Vescovo diocesano quanto al tribunale diocesano, i Vescovi di cui all'art. 23, § 1 o il Vescovo da costoro designato quanto al tribunale interdiocesano, debbono stabilire le norme: 1o sul pagamento e la compensazione delle spese giudiziali; 2o sugli onorari ai procuratori, agli avvocati, ai periti e agli interpreti, nonché sul rimborso spese ai testi; 3o sulla concessione del gratuito patrocinio e sulla riduzione delle spese giudiziarie; 4o sul risarcimento dei danni eventualmente arrecati a una delle due parti; 5o sul deposito pecuniario o cauzione che deve essere fatto relativamente alle spese da pagare e ai danni da riparare (cf. can. 1649, § 1). § 2. Nello stabilire queste norme, il Vescovo abbia presente la particolare natura delle cause matrimoniali, la quale richiede che, per quanto possibile, entrambi i coniugi prendano parte al processo di nullità (cf. art. 95, § 1). Art. 304 – § 1. Spetta al collegio disporre nella sentenza se le spese debbono essere pagate dal solo attore oppure anche dall'altra parte e determinare la ripartizione proporzionale del pagamento tra le due parti. In ordine alla decisione sulla compensazione delle spese, si deve tener conto della scarsezza dei mezzi delle parti, osservate le norme di cui all'art. 303 (cf. can. 1611, n. 4). § 2. Non è ammesso distinto appello circa le spese, gli onorari e la riparazione dei danni, ma la parte può ricorrere entro quindici giorni al collegio, il quale potrà modificare la tassazione (cf. can. 1649, § 2). Art. 305 – Coloro che non sono affatto in grado di sostenere le spese giudiziarie hanno diritto di ottenerne l'esenzione; coloro che possono provvedervi in parte, la riduzione. Art. 306 – Nello stabilire le norme di cui all'art. 303, § 1, n. 3, il Vescovo deve opportunamente tener presente quanto segue: 1o chi intende ottenere l'esenzione dalle spese giudiziarie o la loro riduzione ed il gratuito patrocinio, deve farne domanda al Vicario giudiziale o al presidente, allegando le prove o i documenti atti a dimostrare quale sia la sua condizione economica; 2o la causa, soprattutto se si tratta di una questione incidentale proposta dal richiedente, deve godere di un presunto buon fondamento; 3o il Vicario giudiziale o il presidente, se lo ritiene opportuno, prima di concedere il gratuito patrocinio o la riduzione delle spese può chiedere il parere del promotore di giustizia e del difensore del vincolo, trasmettendo loro la domanda e la relativa documentazione; 4o l'esenzione totale o parziale dalle spese si presume estesa anche all'istanza successiva del giudizio, a meno che il presidente, per giusto motivo, non la revochi. Art. 307 – § 1. Se il presidente ritiene che il gratuito patrocinio debba essere concesso, deve chiedere al Vicario giudiziale di designare un avvocato per la difesa d'ufficio. § 2. L'avvocato designato ex officio non può rifiutare l'incarico se non per un motivo approvato dal presidente. § 3. Se l'avvocato non adempie il suo incarico con la debita diligenza, il presidente ne solleciti l'adempimento, sia d'ufficio che su istanza della parte o del difensore del vincolo, nonché, se è intervenuto nel giudizio, del promotore di giustizia. Art. 308 – Il Vescovo Moderatore vigili affinché i fedeli non siano trattenuti dall'adire i tribunali per il comportamento degli addetti ad essi e per le eccessive spese, con grave danno delle anime, la cui salvezza deve sempre essere, nella Chiesa, la legge suprema. La presente Istruzione, emanata da questo Pontificio Consiglio per mandato pro hac vice dato dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II il 4 febbraio 2003, e preparata con la stretta cooperazione delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nonché dei Tribunali della Segnatura Apostolica e della Rota Romana, è stata approvata dallo stesso Romano Pontefice, il quale ha disposto che essa venga osservata dal giorno stesso della sua pubblicazione da tutti coloro ai quali è diretta. Roma, dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, il 25 gennaio 2005, nella festa della Conversione di San Paolo Apostolo. Julián Card. Herranz Bruno Bertagna (1) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 48d. (2) Cf. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, cap. I, nn. 47-52. (3) Cf. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, cap. I, n. 48b. (4) Cf. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, cap. I, n. 48a. (5) Giovanni Paolo II, Alloc. agli Uditori della Rota Romana, 27 genn. 1997, in AAS 89 (1997) 487. (6) S. Agostino, De bono coniugii, 4, 4 in CSEL 41, 191. (7) Giovanni Paolo II, Alloc. agli Uditori della Rota Romana, 27 genn. 1997, in AAS 89 (1997) 488 (Giovanni Paolo II, Alloc. agli Uditori della Rota Romana, 28 genn. 2002, in AAS 94 [2002] 340-346). (8) Cf. Pio XII, Alloc. agli Uditori della Rota Romana, 3 ott. 1941, in AAS 33 (1941) 423. (9) Cf. soprattutto Giovanni Paolo II, Allocuzioni agli Uditori della Rota Romana, 5 febbr. 1987, in AAS 79 (1987) 1453-1459 e 25 genn. 1988, in AAS 80 (1988) 1178-1185. (10) Cf. Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sacrae disciplinae leges, 25 genn. 1983, in AAS 75/2 (1983) VIII e XI. (11) Paolo VI, M.p. Causas matrimoniales, 28 marzo 1971, in AAS 63 (1971) 442. (12) Cf. AAS 28 (1936) 313-361. (13) Cf. Giovanni Paolo II, Allocuzioni agli Uditori della Rota Romana, 22 genn. 1996, in AAS 88 (1996) 774-75, e 17 genn. 1998, in AAS 90 (1998) 783-785. (14) AAS 28 (1936) 314. (15) Cf. Pont. Comm. per l'Interpr. Aut. del CIC, Resp. del 26 giugno 1984, in AAS 76 (1984) 747. (16) Cf. Pont. Comm. per l'Interpr. Aut. del CIC, Resp. del 28 febbr. 1986, in AAS 78 (1986) 1323. (17) Cf. Pont. Comm. per l'Interpr. Aut. del CIC, Resp. del 29 apr. 1986, in AAS 78 (1986) 1324. (18) Cf. Norme del Tribunale della Rota Romana, 18 apr. 1994, art. 70. (19) Cf. Congr. per la Dottrina della Fede, Professione di fede e giuramento di fedeltà nell'atto di assumere un ufficio da esercitarsi a nome della Chiesa, nonché nota dottrinale annessa, 29 giugno 1998, in AAS 90 (1998) 542-551. (20) Cf. Congr. per i Sacr., Lett. Circ., 20 dic. 1986, n. 7. (21) Cf. Congr. per i Sacr., Lett. Circ., 20 dic. 1986, n. 23b. (22) Cf. Congr. per i Sacr., Lett. Circ., 20 dic. 1986, n. 7. (23) Pio PP. XII, Alloc. agli Uditori della Rota Romana, 2 ott. 1944, in AAS 36 (1944) 281-290. (24) Cf. Giovanni Paolo II, Allocuzioni agli Uditori della Rota Romana, 5 febbr. 1987, in AAS 79 (1987) 1453-1459 e 25 genn. 1988, in AAS 80 (1988) 1178-1185. (25) Cf. Giovanni Paolo II, Alloc. agli Uditori della Rota Romana, 22 genn. 1996, n. 4, in AAS 88 (1996) 773-777.
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