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PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA

INTERVENTO DI S.E. MONS. MAURO PIACENZA

PRESENTAZIONE DEL VOLUME
A CURA DI GAETANO QUAGLIARELLO
"ALLA RICERCA DI UNA SANA LAICITÀ.
LIBERTÀ E CENTRALITÀ DELL'UOMO"

Palazzo Altieri, Roma
Mercoledì, 27 giugno 2007

 

Oggi, tanto in ambiti ecclesiali quanto in contesti indifferenti o addirittura pregiudizialmente ostili alla Chiesa, si sente parlare frequentemente di laicità, laico, laici; l'impressione per quanto riguarda la lingua italiana, è che al termine laicità - e alle sue varianti -, ciascuno attribuisca un significato diverso da quello inteso dall'interlocutore; si viene così a creare un cortocircuito, da cui nasce una vera e propria incomunicabilità che vanifica sul nascere ogni tentativo di dialogo. Si tratta, quindi, di termini non solo usati in maniera impropria ma addirittura equivoca.

Di fatto, ogni realtà culturale, politica ed ecclesiale, prima o poi, viene sottoposta al vaglio di questo termine che, divenuto onnicomprensivo, necessita, innanzi tutto, d'esser chiarito, pena il cadere nella totale insignificanza; sempre più si sente parlare di laicità della cultura e della politica, di laicità della Chiesa e nella Chiesa; ma, alla fine, cosa s'intende realmente dire?

Nell'anno 2000, in un dibattito tenutosi a Roma presso il teatro Quirino, il Cardinale Ratzinger mostrava di conoscere bene tale situazione linguistica a dir poco confusa - che è una particolarità italiana -, e sottolineava: "pensiero laico è un concetto da definire. In Italia si concepisce la parola laico in confronto con la parola credente, cosa che non è così in altre lingue, perciò questo concetto di laico per me non è così limpido come appare forse qui".

In effetti in Italia, a differenza di quanto avviene altrove, il termine laico risulta contrapposto a credente e, addirittura, finisce per diventare sinonimo di non credente, in non pochi casi di anticlericale; comunque, per molti, indica uno spirito libero ed indipendente, al contrario, credente equivale a spirito dogmatico e denota un potenziale integralista, una persona incapace a dispiegare un vero esercizio autonomo della libertà, insomma, un uomo o una donna che starebbero bene in Chiesa, anzi, in sacrestia.

Ed è ancora Joseph Ratzinger - nel frattempo divenuto Benedetto XVI -, che aiuta ad intendere il termine "laicità"; Egli, in occasione della visita al Presidente della Repubblica Italiana, il 24 giugno 2005, citando la Costituzione Conciliare "Gaudium et spes" - là ove dice che la comunità politica e la Chiesa sono autonome ed indipendenti nei loro specifichi ambiti, seppure al servizio delle stesse persone -, afferma: "Legittima è dunque una sana laicità dello Stato in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione. L'autonomia della sfera temporale non esclude un'intima armonia con le esigenze superiori e complesse derivanti da una visione integrale dell'uomo e del suo destino".

Sia nel discorso tenuto a Verona, il 19 ottobre 2006, per il IV Convegno della Chiesa Italiana sia in quello pronunciato il 12 settembre 2006, nell'Aula Magna dell'Università di Regensburg, il Papa, muovendosi secondo prospettive diverse, esplicita questo suo pensiero spiegando cosa intende dire quando parla di una sana laicità che non ricusi gli ineludibili riferimenti etici che si riferiscono, in ultima istanza, alla religione.

Ma vi è ancora un testo, espressione del magistero di Benedetto XVI che, per la sua destinazione universale, riveste una particolare autorità, si tratta dell'enciclica Deus caritas est (cfr n. 28), del 25 dicembre 2005; iniziamo proprio da qui, ove si afferma che fa parte della stessa essenza del cristianesimo distinguere tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cfr Mt 22, 21) o, servendosi delle parole del Concilio Vaticano II, si afferma l'autonomia delle realtà temporali (cfr Gaudium et spes, n. 36).

A fare da sfondo è la nota espressione del De Civitate Dei, in cui il Vescovo di Ippona dice: "Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?" (De Civitate Dei, IV, 4: CCL 47, 102); ossia: se la cosa pubblica non è governata a partire dalla giustizia si riduce ad essere una società a delinquere.

Con la fede l'uomo si trova proiettato al centro della "realtà-intera"; realtà pensata e voluta da Dio in Cristo: "...poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili... Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui..." (Col 1, 16.17). Ora, un'obiettiva, reale e ben precisa dimensione di tale totalità, afferisce alla ragione e alla natura; termine, quest'ultimo, che chiede d'essere chiarito ma col quale si intende ciò che è l'uomo prima di ogni successiva differenziazione culturale e religiosa. San Tommaso all'inizio della Summa Teologica muovendosi su questa linea scrive: "...cum enim gratia non tollat naturam, sed perficiat, oportet quod naturalis ratio subserviat fidei.." (I, q. 1, art. 8, ad 2); vale a dire: poiché la grazia non distrugge la natura ma la perfeziona è necessario che la ragione serva la fede. Così, all'interno del tutto che costituisce la realtà cristiana, esiste uno spazio o ambito razionale, naturale, umano; e, proprio a partire da tale spazio o ambito, si legittima l'elaborazione di un'antropologia filosofica o visione razionale dell'uomo; è da qui che il cattolico può proporre una visione di uomo, famiglia, società, bene comune, educazione che non è - in alcun modo -, confessionale ma realmente e profondamente umana.

Ed esattamente, a partire da tale realtà razionale, naturale e umana, l'auspicio è di riuscire a trovare un possibile consenso su alcuni principi fondamentali riconosciuti dal sentire comune, ad esempio: il primato della persona, i principi di solidarietà, sussidiarietà e dell'effettiva libertà.

Esistono diversi tipi di Stato confessionale: quello scientista, ove il sapere scientifico si pone come assoluto e gli scienziati, in quanto tali - ossia in forza del loro sapere critico -, decidono, di fatto, sia i comportamenti individuali sia quelli comuni. Così, i problemi etici, posti, di volta in volta, dal progresso delle scienze, vanno risolti dalla scienza stessa; in altri termini solo chi è capace di sapere scientifico può valutare, in modo critico, le nuove acquisizioni e scegliere se accettarle o meno; alcuni, con grande ingenuità, pensano di affidarsi agli scienziati e al sapere scientifico; si potrebbe dire: lasciamo fare ai tecno-scienziati che stanno lavorando per la collettività, non bisogna disturbare il conducente che sta manovrando.

Altro tipo di Stato confessionale è quello religioso; si realizza quando nella sfera politica vengono indebitamente introdotte realtà che appartengono alla sfera della fede.

Si dà ancora lo Stato confessionale di tipo laicista, quando si persegue una concezione immanentista dell'uomo che disattende, conculca e anche irride i valori trascendenti e, obtorto collo, tollera, tutto al più, una religiosità "costretta" esclusivamente nell'intimo della coscienza dell'uomo.

Lo Stato, invece, è realmente laico se non impone una particolare concezione culturale, filosofica, teologica e quando non identifica il suo ordinamento giuridico con le prescrizioni che appartengono a determinate aggregazioni o gruppi.

Lo Stato e la Chiesa occupano, quindi, sfere distinte ma in relazione fra di loro. Se, come sottolinea Benedetto XVI, la politica non si esaurisce in mera tecnica volta unicamente a porre in essere pubblici ordinamenti, ma, al contrario riconosce di avere come suo compito principale l'attuazione della giustizia, allora, in modo previo, si pone una domanda: cos'è la giustizia? Qui entra in campo la ragione pratica sempre bisognosa di purificazione a causa dei suoi possibili accecamenti che le derivano o dalle sollecitazioni dell'interesse particolare o del potere. Nella sua prima enciclica, Benedetto XVI, dopo aver affermato che fede e politica vengono a contatto, precisa che la fede non può esser considerata unicamente nella sua realtà precipua d'incontro con Dio ma deve essere anche vista nella sua intima capacità di purificare la ragione dai suoi molti condizionamenti aiutandola ad essere sempre più se stessa; va sottolineato: aiutando la ragione ad essere sempre più se stessa.

A questo punto viene indicato lo strumento capace di attuare e garantire la sana laicità, ossia: la dottrina sociale della Chiesa; data la chiarezza d'espressione, riportiamo le parole del Santo Padre: "... qui si colloca la dottrina sociale cattolica: essa non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato. Neppure vuole imporre, a coloro che non condividono la fede, prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui e ora, essere riconosciuto e poi realizzato". (Deus caritas est, 28).

Per ben comprendere, si deve sottolineare come la dottrina sociale della Chiesa argomenti proprio a partire dalla ragione e dal diritto naturale, così che la dottrina sociale cattolica si pone in rapporto a quanto appartiene in modo sorgivo all'uomo ed è presente, nell'uomo, in quanto uomo o, se preferiamo, nella natura dell'essere umano; tutto ciò, ovviamente, prima di ogni fede, di ogni cultura, di ogni civiltà.

Si deve ancora precisare che: far valere politicamente la dottrina sociale della Chiesa non è - in ultima istanza - compito della Chiesa, infatti la dottrina sociale cattolica serve, piuttosto, a formare le coscienza per ciò che riguarda l'ambito dell'azione politica, facendo crescere la percezione delle vere esigenze della giustizia al di là di quelli che sono gli interessi di parte; in ogni epoca, gli uomini hanno il compito di perseguire, in modo sempre nuovo, il giusto ordinamento sociale e statale.

È, invece, l'azione politica a dover far valere politicamente la dottrina sociale cattolica, tale incombenza non può essere affidata direttamente alla Chiesa, alla quale, tuttavia spetta, poiché compito umano primario, purificare la ragione e la formazione del giudizio etico affinché le esigenze della giustizia siano recepibili sul piano dell'intelligenza e quindi realizzabili, concretamente, sul piano della polis. Insomma, la Chiesa non può scendere direttamente nell'agone politico prendendo il posto dello Stato ma ha il dovere di prendere l'iniziativa nella lotta per la giustizia.

Proprio partendo da tale ragionamento chiaro ed articolato, svolto con ricchezza di argomentazioni, si possono comprendere, in tutto il loro significato, le parole pronunciate dal Santo Padre, al Palazzo del Quirinale, il 24 giugno 2005: "...legittima è dunque una sana laicità dello Stato in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti che trovano il fondamento ultimo nella religione...".

Così, da parte dello Stato, sana laicità significa, riconoscere le realtà, i valori e le verità che vengono prima dello Stato e che lo Stato deve limitarsi a riconoscere, ad accogliere e a promuovere, sapendo fare dinanzi ad esse, se è il caso, un passo indietro; si tratta, fondamentalmente, di realtà, verità e valori che, in modo sorgivo, appartengono alla persona umana e, senza dei quali, la persona risulta conculcata nella sua dignità; la persona, insomma, viene prima della costruzione dell'ordinamento sociale e statale, conseguentemente lo Stato, e prima ancora una corretta filosofia della politica, devono riconoscere quelli che, a ragione, sono stati definiti i valori non-negoziabili.

Riconoscerli e valorizzarli non è mai atto confessionale o di una parte ma è riconoscimento dell'uomo e vero servizio alla collettività.

Da parte della Chiesa, poi, riconoscere la sana laicità dello Stato significa dare piena attuazione al principio evangelico: dare a Cesare quello che è di Cesare (cfr Mt 22, 20); riconoscere, concretamente, come le cose create, le scienze e le stesse società abbiano leggi e valori propri che devono essere scoperti, ordinati e rispettati; tale esigenza non è solo richiesta dalla sfera politica ma, prima di tutto, è pienamente conforme alla volontà divina; al di fuori di questa logica si darebbe una invasione di campo, si dimenticherebbe che la società giusta non è esito della diretta azione della Chiesa, in quanto, propriamente, è di spettanza della politica (GS 36).

Non sfugge - come ha rilevato Benedetto XVI a Verona - che l'Italia è profondamente segnata da quella cultura, sempre più diffusa in occidente, che mira a plasmare un nuovo tipo di uomo e un nuovo costume di vita e che si presenta con i caratteri dell'universalità e dell'autosufficienza, tanto che il Papa parla, in maniera esplicita, di: "... una nuova ondata di illuminismo e laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla via pubblica".

Tale dolorosa constatazione non impedisce, però, di guardare all'Italia come a un terreno fecondo in vista di una rinnovata testimonianza cristiana; in Italia, infatti, la Chiesa è una realtà viva e di popolo, con radicate e forti tradizioni cristiane.

Infine, dopo aver sottolineato come sia in atto una forte azione evangelizzatrice rivolta alle nuove generazioni e alle famiglie, Benedetto XVI ribadisce come anche fra uomini di cultura, non appartenenti all'area cattolica, si avverta sempre più l'insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e un'etica avvertita come eccessivamente individualistica: "...la Chiesa e i cattolici italiani sono dunque chiamati a cogliere questa grande opportunità, e anzitutto ad esserne consapevoli".

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