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PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA

INTERVENTO DI S.E. MONS. MAURO PIACENZA

I Santini della Pasqua – Arte per la devozione

 

In una conferenza pronunciata nel 1981 l'allora card. J. Ratzinger così presentava la devozione come via per avvicinarsi al Signore: "Per accostarsi al mistero di Dio l'uomo ha bisogno di vedere, di fermarsi a vedere, e di fare sì che tale vedere divenga un toccare. Egli deve salire la 'scala' del corpo, per trovare su di essa la strada alla quale la fede lo invita"[1]. Tale coinvolgimento dei sensi e del "cuore" nella vita di fede è profondamente radicata nella storia della pietà cristiana ed è complementare alla spiritualità "oggettiva", che trae la sua linfa dalla partecipazione alla celebrazione della liturgia e dalla lectio divina della Sacra Scrittura.

Santa Teresa di Gesù raccomandava di farsi aiutare nell’orazione da un’immagine del Signore[2]. Ancor più nota è la pratica suggerita da sant’Ignazio di Loyola di far precedere ogni meditazione spirituale da una "composizione visiva di luogo", con cui immaginare nei minimi dettagli la scena evangelica oggetto della contemplazione[3].

Si può facilmente constatare che la pietà popolare ama le immagini, perché appunto esse consentono il coinvolgimento anche dei sensi nell'esperienza di fede. Certamente c'è una doverosa distinzione da operare, da una parte, fra le immagini liturgiche, i cicli pittorici didattici e le immagini devozionali delle chiese, che fanno parte dei "santi segni" e accompagnano le azioni liturgiche e cultuali in genere e, dall'altra, i "Santini", i quali però partecipano alcuni significati delle prime.

Anche i Santini, infatti, sebbene in tono minore, traggono la loro ragion d'essere nell'economia dell'incarnazione, che è alla base del culto delle immagini, poiché lo stesso Cristo Verbo incarnato, "immagine del Dio invisibile" (Col 1, 15), è venuto incontro alla nostra debolezza prendendo un aspetto simile al nostro[4].

Pure essi sono una trascrizione iconografica del messaggio evangelico, in cui immagine e parola si illuminano a vicenda[5] e costituiscono quindi una forma di catechesi, attraverso cui il popolo è istruito e confermato nella fede. Sono altresì una memoria dei fratelli Santi, coi quali siamo in comunione e che intercedono per noi. Sono quindi un aiuto a pregare, ricordando i misteri della salvezza e le meraviglie di grazia operate da Dio nei suoi santi e costituiscono, infine, uno stimolo all'imitazione di Cristo, sulla strada dei santi, a loro volta imitatori di Cristo.

Inoltre è evidente la capacità che tali immagini hanno di aiutare il fedele ad "entrare" nelle scene evangeliche che rappresentano. E così nei Santini del Natale, partecipando alla tenerezza e alla trepidazione della Madre di Dio, che stringe a sé o contempla il suo bambino, attraverso l'emozione si sarà attratti con la mente alla considerazione del Mistero della spoliazione di Dio nel farsi uomo e, vedendo nei pastori o nei magi che adorano il bambino sé stesso, ci si deciderà di farsi come loro discepoli del Signore. Analogamente, contemplando nei Santini della Passione il disfacimento dell'"uomo dei dolori" (Is 53, 3), si sarà ammoniti a ricordare a qual prezzo siamo stati salvati, mentre, rallegrati dalla luce che promana dai Santini della Pasqua, si sarà esortati a risorgere con Cristo in una vita nuova (cfr 2 Cor 5, 17), per poter godere della sua stessa vita immortale.

Pertanto, "il necessario rigore richiesto per il programma iconografico delle chiese - rispetto alle verità della fede e della loro gerarchia, bellezza e qualità - deve potersi incontrare anche in immagini e oggetti destinati alla devozione privata e personale", in modo che "tali immagini sacre, variamente riprodotte ad uso dei fedeli, per essere esposte nelle case o portate al collo o custodite presso di sé, non scadano mai nella banalità, né inducano in errore"[6].

Non a caso le immagini più amate sono le rappresentazioni realistiche dei fatti sacri, con i personaggi facilmente individuabili, nelle cui scene sacre si possono riconoscere i momenti più significativi della vita che l'uomo intende porre sotto la protezione di Dio, della Madre di Dio e dei santi: la nascita, la prima comunione, le nozze, l'ordinazione o la professione religiosa, il lavoro, la sofferenza, la morte. I Santini sono sovente oggetti "biografici", nel senso che appartengono ai momenti dell'esistenza fondamentali di una persona e possono essere considerati fra le cose più intime.

Sovente si usa portare i Santini con sé e ciò infonde la fiducia di sentirsi protetti; infatti essi spesso riproducono immagini particolarmente venerate di Cristo, della Vergine e dei Santi, conservate in santuari famosi, a motivo della fama di miracoli e di grazie ad esse legati. Ma, come ci ricorda il Concilio tridentino, alle immagini "si deve attribuire il dovuto onore e la venerazione, non certo perché si crede che vi sia in esse qualche divinità o potere che giustifichi questo culto o perché si debba chiedere qualche cosa a queste immagini o riporre fiducia in loro, come un tempo facevano i pagani, che riponevano la loro speranza negli idoli, ma perché l'onore loro attribuito si riferisce ai prototipi che esse rappresentano"[7].

Secondo quanto afferma san Tommaso d'Aquino, il più bell'oggetto di pietà è il Nome divino, il nome di Gesù, che quasi come una gemma sonora fiorisce dalle labbra di coloro che lo invocano nella preghiera. Che straordinaria utilità spirituale possono avere i Santini se con le loro immagini o le preghiere stampate sul retro invitano a lodare e a benedire sovente il Signore!

I primi Santini di cui si abbia notizia sembrano risalire al XIV secolo, come immagini autonome staccate dai libri di preghiera (i Libri d'ore) e il primo Santino documentato è un san Cristoforo risalente al 1423. L'arte della stampa promosse non poco la diffusione dei Santini, dapprima come piccole xilografie rudimentali, in seguito come acqueforti sempre più raffinate nella tecnica. L'epoca d'oro si può ritenere il periodo fra il '600 e l'800 con la produzione di Santini intagliati a mano con temperini (canivet), "vestiti" a collage, merlettati, traforati, a rilievo, realizzati con varie tecniche di stampa meccanica (litografia, cromolitografia, oleografia, fotolitografia), su carta o sulla più pregiata pergamena. A una diminuzione d'uso nell'ambito della devozione, ha corrisposto il fiorire del collezionismo, specie a partire dagli anni '70 del secolo scorso, in Europa e oltreoceano, come documento della religiosità popolare.

Forse - e questo sarebbe un fatto davvero positivo, come pure dimostrativo della preziosità dell'umile messaggio dei Santini - assistiamo ora al fenomeno inverso: dalla devozione al collezionismo e dal collezionismo alla devozione. È un auspicio!

Per tutti questi motivi, sono molto lieto di presentare il presente catalogo Gloriae. I Santini della Pasqua. Si tratta di un'iniziativa molto apprezzabile dell'editore Collezionare Cultura di Lugo di Romagna, consistente nella ristampa di Santini artistici da collezione e in una loro ampia diffusione in album nelle edicole italiane. E si auspica la traduzione delle didascalie per arrivare a tanti altri Paesi.

Ci auguriamo che la serenità che questi piccoli oggetti sacri sanno comunicare con le loro figure un po' naïf e i loro colori sgargianti, si traduca in sentimenti di pace interiore, nella quale il Signore possa fare risuonare la sua voce.

Arbusta iuvant humilesque myricae, cantava Virgilio[8]: anche gli umili Santini possono giovano alla fede, potremmo parafrasare noi!

Mauro Piacenza
Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa
Presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra



[1] J. Ratzinger, Il Mistero pasquale. Contenuto e fondamento profondo della devozione al Sacro Cuore di Gesù, in Id., Guardare al Crocifisso. Fondazione teologica di una cristologia spirituale, Milano 1992, pp. 43-61, part. p. 49 (Conferenza al Congresso sul Sacro Cuore di Gesù, Toulouse, 24-28 luglio 1981).

[2] Cammino di perfezione 34, 11.

[3] Esercizi spirituali 47 e passim.

[4] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 1992, n. 1161.

[5] Cfr Concilio di Nicea II, Definitio de sacris imaginibus, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo e altri, Bologna 1991, p. 135.

[6] Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio sulla pietà popolare e liturgia [17 dic. 2001], Città del Vaticano 2002, n. 18 (cfr Sacrosanctum concilium 124-125).

[7] Concilio di Trento, Decretum de invocatione, veneratione et reliquiis Sanctorum, et sacris imaginibus, in H. Denzinger, Enchiridion simbolorum […], a cura di P. Hünemann, Bologna 2001, n.1823.

[8] Ecloga IV, 2.

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