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 PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA

Conferenza Stampa di presentazione della Mostra

“In Hoc Signo”. Il tesoro delle croci

INTERVENTO DI S.E. MONS. MAURO PIACENZA

Roma, 14 marzo 2006

 

“Crux fidelis, inter omnes / arbor una nobilis …”

“O Croce di nostra salvezza, / albero tanto glorioso, / un altro non v’è nella selva, / di rami e di fronde a te uguale. / Dolce legno, che porti / appeso il Signore del mondo”.

Cosa ci dice la Croce?

La Croce ci dice che è finita ogni inimicizia con Dio, dal momento che il Suo figlio unigenito si è immolato per le nostre colpe ed è spirato chiedendo perdono per noi.

Spesso gli uomini sono più ignoranti che cattivi, sono più deboli che malvagi. Ed egli ha chiesto perdono per il male «spensierato», che quasi non ha coscienza di sé.

Ma più spesso gli uomini scelgono a ragion veduta la strada della prevaricazione, dell’egoismo, della ribellione alla legge divina e alla volontà del Padre. Anche per la realtà assurda e tragica del male consapevole e intenzionale Gesù ha sacrificato la sua vita.

Nessuna nostra iniquità è più grande del perdono di Cristo. Perfino il condannato che muore carico di delitti, crocifisso colpevole accanto al Crocifisso innocente, è stato detto: «Oggi sarai con me in Paradiso».

Dalla Croce questa prospettiva di salvezza è offerta a tutti noi.

La croce identifica il cristianesimo, riunendo nel mistero l’abbassamento e l’innalzamento di Cristo. Per questo il credente acclama “Ave, crux gloriosa!”. La teologia dell’incarnazione del Verbo da ragione della “kenosis”, lo “svuotamento” di Dio, poiché attraverso di essa si manifesta la potenza della risurrezione salvifica di Cristo. La via dell’umiliazione avvicina Cristo crocifisso ad ogni uomo, per cui non c’è indigenza che non possa essere riscattata.

A motivo di tale centralità nell’annuncio del Vangelo, nella teologia e nella liturgia, la croce è stato uno dei primi soggetti rappresentati, a mosaico o dipinta, sulle absidi delle basiliche paleocristiane. Tema teofanico per eccellenza, era direttamente connesso alla celebrazione liturgica; visibile dall’ingresso, nelle chiese orientate indicava anche il punto da cui il Signore era sorto come sole e da cui ci si attendeva il suo ritorno (cfr. Lc 1, 78; Mt 24, 27. 30); l’oro, le gemme e le perle di cui tali croci erano incrostate, riferendosi ai materiali  di cui è costituita la Gerusalemme celeste, secondo Apocalissi 21, 18-21, indicavano la signoria sul mondo e sulla storia di Cristo, risorto e asceso alla destra del Padre, e la sua permanente presenza nella Chiesa.

Questo messaggio è lo stesso che si coglie negli arredi e nelle suppellettili liturgiche, che costituiscono la materia della mostra “In Hoc Signo”. Il tesoro delle croci, che viene oggi qui presentato. La preziosità di tali oggetti ha quindi un’intima connessione con la celebrazione eucaristica e con altri momenti della liturgia e testimonia la fede della Chiesa che il Signore Gesù, proprio perché asceso alla destra del Padre, è presente laddove due o più persone si riuniscono nel suo nome (cfr. Mt 18, 20).

La Chiesa non ha avuto paura di manifestare la propria fede utilizzando anche notevoli mezzi per arricchire le proprie chiese, memore dell’apprezzamento manifestato da Gesù verso colei che aveva profumato i suoi piedi con un unguento molto prezioso, gesto che altri consideravano uno spreco e un insulto ai poveri (cfr Gv 12, 1-8). Senza trascurare di servire questi ultimi, i cristiani hanno voluto sempre onorare anche il Signore con il frutto della propria arte e del proprio ingegno.

Così rifletteva Suger (1081-1151), il celebre abate di Saint-Denis, sugli splendidi arredi della chiesa abbaziale, da lui innalzata: “Così, per l’amore che nutro per lo splendore della casa di Dio, la bellezza multicolore delle gemme talvolta mi richiama dalle preoccupazioni esteriori; e, trasportandomi dalle cose materiali a quelle spirituali, una meditazione retta mi invita a riflettere sulla diversità delle sante virtù. Allora mi sembra […]di potermi trasferire per dono di Dio, grazie all’ “anagogia”, da questa dimora inferiore a quella superiore” (Liber de rebus in administratione sua gestis, XXXIII: PL 186, 1233D-1234A). Secondo Suger, lo splendore delle immagini e delle suppellettili della chiesa è veicolo di ascensione, per via “anagogica”, alla perfezione ultraterrena.

Sono nati così i capolavori di oreficeria, di miniatura, di pittura, di scultura, di stampa e di tessuti, che si potranno ammirare, a partire dal 4 aprile prossimo, nelle diverse sedi della mostra, Pordenone e Portogruaro, e nelle altre località, sede di capolavori non asportabili, che sono ugualmente parte integrante dell’esposizione.

Questo evento è particolarmente meritorio, perché frutto del lavoro di una Diocesi, quella di Concordia-Pordenone, che ha fornito un bell’esempio di tutela, conservazione e valorizzazione del proprio patrimonio artistico e storico. Iniziative di questo genere, infatti, dimostrano come le operazioni appena citate siano connesse fra loro in una sorta di “circolo virtuoso”. Se, infatti, una mostra del genere non sarebbe realizzabile senza una adeguata conoscenza del patrimonio sul territorio, resa possibile solo mediante un inventario e un catalogo, così solo la conoscenza del patrimonio presso il grande pubblico, favorita da esposizioni ed eventi, potrà attirare capitali privati da investire, assieme alle provvidenze pubbliche, nella conservazione dei beni culturali stessi.

Mi sia consentito infine di esprimere un auspicio che mi sta particolarmente a cuore: ammirare le opere d’arte che saranno presenti in codesta esposizione deve essere uno sguardo rivolto non solo verso il passato, ma anche verso il futuro. Constatare che gli oggetti raccolti sono stati voluti ed eseguiti per il culto, dovrebbe stimolare le comunità cristiane di oggi a non accontentarsi per le loro chiese di cose seriali e di scarsissimo valore e qualità estetica, ma a commissionare paramenti, suppellettili e arredi veramente degni per lo splendore della liturgia.

La mostra che annunciamo alla stampa, In hoc signo, è sulla croce, non su un oggetto qualsiasi, ma sul simbolo stesso del Cristianesimo. Esso è un segno di gloria e di gioia perché su di essa il Cristo si è innalzato. Attraverso di essa, il Cristo ha innalzato l’uomo. Sulla croce ogni uomo è veramente elevato alla sua piena dignità, alla dignità del suo fine ultimo in Dio. Attraverso la croce, inoltre, è rivelata la potenza dell’amore che eleva l’uomo, che lo esalta. Diamo la nostra adesione al disegno di Dio e al suo senso! Ritroviamo il posto della croce nella nostra vita e nella nostra società.

 

Mauro Piacenza
Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa

 

 
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