|
PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA INTERVENTO DI S.E. MONS. MAURO PIACENZA IN OCCASIONE DELL'INAUGURAZIONE DEL NUOVO PORTALE DELLA CATTEDRALE DI VITERBO Viterbo, 26 novembre 2005 Sollevate, o porte, i vostri frontali, / alzatevi porte antiche: / deve entrare il re della gloria! (Sal 23, 7) La porta della chiesa non è solo un utensile, sia pur necessario, ma è un vero arredo liturgico, dalla simbologia complessa, che richiama addirittura Cristo. In alcune celebrazioni liturgiche, come nel Battesimo, nel Matrimonio, nelle Esequie, i fedeli sono accolti alla porta della chiesa, e attraverso di essa, in determinati giorni dell’anno liturgico (Domenica delle Palme, Veglia pasquale, ecc.) il popolo di Dio entra processionalmente nella chiesa stessa. Per questo è opportuno che la porta della chiesa, nella sua struttura e nelle sue opere d’arte, sia come il segno di Cristo che disse: “Io sono la porta del gregge” (Gv 10, 7) e insieme di tutti coloro che hanno percorso la via della santità, che conduce alla casa di Dio (cfr Rituale. Benedizionale, p. 589). Questo è quanto ha fatto la Chiesa di Viterbo, che ha voluto dotare la propria cattedrale di un nuovo artistico portale, opera del Maestro Roberto Joppolo, che oggi inauguriamo e che ha voluto mirabilmente essere rappresentata nei suoi santi patroni, san Lorenzo e santa Rosa, e dai padri dei diversi conclavi che si tennero in questa città soprattutto nel corso del Duecento. Da un punto di vista antropologico, la porta, intesa come soglia tra spazio estraneo e spazio circoscritto, assume significato rilevante nell’immaginario culturale di molti popoli, diventando, oltre che arredo quotidiano, simbolo della casa stessa e, di qui, dello spazio religioso o tempio. Umile o grande che sia, il suo attraversamento costituisce un atto importante del vissuto quotidiano, per cui diventa facilmente un rito e come tale viene assunto nell’ambito religioso. La sacralità della porta del tempio e del suo attraversamento raccoglie l’istanza biblica del ritorno a Dio da parte del popolo che da ramingo, senza meta, si fa pellegrino. La “gloria di Dio” è irraggiungibile, ma all’uomo viene concesso di varcare le soglie del tempio a condizione di aver percorso un cammino di penitenza e di preghiera che ristabilisce la fedeltà all’alleanza. Nel pellegrinaggio al luogo sacro i credenti, dopo aver lodato Dio per la sua misericordia, ne riconoscono le sue imprese, per cui si rifugiano in lui, facendo il proposito di una vita santa. Il segno liturgico di questo passaggio lo troviamo espresso dal salmista che canta: “Apritemi le porte della giustizia: voglio entrarvi e rendere grazie al Signore. È questa la porta del Signore, per essa entrano i giusti” (Sal 118,19-20). Questo passaggio non può ridursi ad un rituale esteriore, poiché l’incontro con Dio esige uno spirito contrito ed un cuore riconciliato. L’antico Israele fu costretto a fare l’esperienza della distruzione del tempio e dello sconquasso delle sue porte, poiché non seppe spiritualizzare il suo rapporto con Dio, così che i segni sensibili non furono più simbolo veritiero degli atteggiamenti spirituali. Così, il nuovo Israele, la Chiesa, è chiamata a vivere la religione “in spirito e verità”, confidando nella presenza salutare di Cristo, e attraverso di lui varcare le porte del cielo. La porta della chiesa-edificio ha pertanto una valenza funzionale e mistica. Passando attraverso la porta-Cristo il fedele entra a far parte del grande pellegrinaggio verso “il solo gregge sotto un solo pastore” (Gv 10, 16), così che da individuo isolato si trasforma in membro della comunità. La porta mistica controlla l’entrata e l’uscita affinché la “sala del banchetto” sia sufficientemente protetta. È quindi segno di benedizione, ma anche di monito a quanti l’attraversano, poiché dichiara che occorre “l’abito nuziale” per poter partecipare “alle nozze del re” (cfr Mt 22, 1-14). Chiunque, varcando il sacro recinto, si deve impegnare a rispettare il luogo in cui sta entrando, ad essere recettivo di ciò che dice tale ambiente, a vivere un’esperienza religiosa. La porta può diventare metafora del “giogo soave e peso leggero” a cui fa riferimento Gesù (cfr Mt 11, 29-30), poiché non è un attraversamento umiliante, pur richiedendo disciplina, non è un peso gravoso, pur richiedendo impegno. È un varco circoscritto, ma sufficientemente ampio: sono ante possenti, ma apribili. Poiché la porta è un “segno” tanto importante, il fedele deve essere reso consapevole di tale appannaggio e stimolato alla percezione del sacro così che la porta nel suo svolgimento iconografico e nel suo splendore di bellezza assolva anche al compito didascalico, di annuncio e di catechesi, propedeutica al sacro. La porta della chiesa-edificio assolve, pertanto, alla funzione di araldo che invita, presenta, chiede, emoziona. Invita il fedele ad entrare per celebrare i divini misteri ed il lontano ad introdursi in un luogo separato da quelli abituali della convivenza civile. Presenta la particolare destinazione d’uso dell’ambiente e la sua dedicazione a Cristo, alla Madonna, ai Santi. Chiede un atteggiamento devoto attraverso uno stimolo alla conversione, al raccoglimento, alla preghiera. Emoziona con la bellezza delle forme che evidenziano i contenuti, così da indurre al piacere della contemplazione estetica e conseguentemente al desiderio di quella mistica. Data tale emergenza, la porta assume notevole rilevanza nella progettazione della chiesa-edificio con soluzioni talora molto complesse. Nella progettazione l’artista è libero di esprimere il proprio estro, poiché la porta di una chiesa-edificio è un «pezzo unico». Nel contempo, però, non può ignorare l’abbondante documentazione storico-artistica, il contesto urbanistico, la portata liturgica, l’economia generale dell’edificio, affinché lo splendore formale della sua opera si innesti come parte indisgiungibile del complesso cultuale. L’intero programma iconografico, che comprende struttura architettonica e ornamentazione figurativa, sacralizza natura e cultura, poiché è narrazione cosmica, biblica, ecclesiale, escatologica dove creazione e redenzione trovano congiungimento in Cristo. I capitoli di tale racconto propongono temi cosmologici, biblici, ecclesiologici, escatologici, liturgici, unificati dal denominatore cristologico, essendo la porta, anzitutto, icona di Cristo proclamatosi “vera porta dell’ovile” (Gv 10, 9). La scelta iconografica della porta che inauguriamo è particolarmente felice. È chiamata “Porta della luce” perché vi sono rappresentati i nuovi “Misteri” che il Santo Padre Giovanni Paolo II, di venerata memoria, ha inserito nella recita del Santo Rosario, detti appunto “della luce”. Ma essi non sono solo questo, si inseriscono piuttosto nella lunga e nobile tradizione dell’arte liturgica, che accomuna occidente e oriente cristiano, di rappresentare i principali misteri della salvezza, esattamente come la liturgia li presenta alla celebrazione nel corso dell’anno. Nella selezione presentata – Battesimo di Cristo, Nozze di Cana, Annuncio del Regno, Trasfigurazione e Ultima cena – sono impliciti anche gli altri misteri che esplicitano l’unico Mistero di Cristo: l’incarnazione, la morte-risurrezione-ascensione del Signore, nell’attesa della sua definitiva venuta alla fine dei tempi, che è quanto ci invita a considerare il tempo di Avvento, che inizierà coi primi vespri di questa sera. L’odierna cultura occidentale è chiamata a riappropriarsi del suo passato per scoprire la propria anima cristiana. Le opere d’arte cristiana, del passato come del presente sono “ porte aperte” per accogliere il fedele e chi è ancora in ricerca, comunicando, con la loro arte, la fede e la genialità di chi le ha volute e create. La porta della chiesa rivive il suo senso quando accoglie i fedeli in santa assemblea. I monumenti del passato e del presente devono allora insegnarci a costruire, grazie all’impegno personale e comunitario, “la casa di Dio” dalle porte sempre aperte. Mauro Piacenza Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa Presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra |