PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA INTERVENTO DI S.E. MONS. MAURO PIACENZA In occasione del Concerto “Dulcis Praesentia” Roma, Basilica di Sant’Andrea della Valle
La bella circostanza di un omaggio musicale al Santissimo Sacramento, in questa splendida cornice di Sant’Andrea della Valle, ci offre l’occasione per riflettere sul fine spirituale della musica sacra. Essa si colloca essenzialmente nella tradizione liturgica della Chiesa e affonda le proprie radici nell’uso delle primitive comunità cristiane di “cantare a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali” (Col 3, 16; cfr Ef 5, 19), secondo l’esortazione dall’apostolo Paolo. Nella sua opera sull’Introduzione allo spirito della liturgia (pp. 132-152), l’allora cardinale Joseph Ratzinger, notava che la parola “cantare” è una delle più usate nella Bibbia, ricorrendo 309 volte nell’Antico Testamento e 36 volte nel Nuovo Testamento, e che con “cantare” si intendeva anche l’accompagnamento del salterio e di altri strumenti. Ma soprattutto indicava il fondamento teologico del canto, desunto dal significato dell’inno che Mosè e il popolo d’Israele intonarono appena attraversato il Mar Rosso (Es 15,1): un canto di fiducia in Dio, di gratitudine e di gioia per la liberazione. È, in tal senso, significativo che anche nell’ultimo libro della Sacra Scrittura, l’Apocalisse, nel descrivere la salvezza del nuovo popolo di Dio dal potere del male, riprenda l’immagine del mare e metta in bocca ai salvati proprio “il cantico di Mosé, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello” (15,2-3). Il canto e la musica sacra dunque si configurano innanzitutto come canto e musica liturgica, cioè parte integrante della divina liturgia, che fa memoria della liberazione operata in noi dal Signore con la sua croce, che si rinnova ad ogni Eucaristia. Ma perché la musica e il canto possano dirsi liturgici devono possedere alcune caratteristiche. Ci sono di guida in questo il Motu proprio di San Pio X “Tra le sollecitudini” (23 novembre 1903) e il chirografo che il Pontefice Giovanni Paolo II, di venerata memoria, scrisse in occasione del centenario di quel documento (“Mosso dal vivo desiderio”, 23 novembre 2003). La musica liturgica deve esprimere anzitutto “santità”, possedere cioè il senso della preghiera e costituire quindi sia un mezzo di elevazione dello spirito a Dio, sia un aiuto per i fedeli nella “partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa” (Tra le sollecitudini). In tal senso la musica liturgica si caratterizza per il chiaro prevalere della parola. Ciò significa concretamente che deve presentare aderenza ai testi biblici e liturgici, consonanza ai tempi liturgici e corrispondenza ai gesti e ai contenuti di una celebrazione; inoltre che la parte strumentale deve essere subordinata. In altri termini, il prevalere della parola, altro non è che un servizio alla Parola. Un secondo principio caratterizzante la musica e il canto sacro è individuato nella “bontà delle forme”, per cui la musica sacra deve essere “vera arte”, insignita di dignità e bellezza, capace in sé di introdurre nei sacri Misteri, perché Dio, oltre che verità e bontà, è anche infinita bellezza. La Chiesa crede che l’ispirazione artistica sia un frutto dello Spirito Santo, che spinge l’artista a partecipare, in qualche modo, certamente limitato ma reale, all’opera del grande artista divino, il Logos. La musica sacra, pertanto, pur toccando le corde del cuore, non si discosta mai dalla ragionevolezza, che ne indica la fedeltà al Logos. Di conseguenza, non ogni musica può entrare a far parte della liturgia cristiana, specialmente quella che facendo leva esclusivamente sui sensi impedisce l’elevazione dello spirito. La Chiesa riconosce sempre e chiaramente il canto gregoriano come il “canto proprio della liturgia romana” (Sacrosanctum Concilium, 116) e conferisce alla polifonia sacra un posto di eccellenza, ma incoraggia pure la produzione contemporanea di una musica e di un canto liturgico, che corrisponda allo spirito del nostro tempo, alle varie culture di cui è espressione, purché possieda le caratteristiche sopra citate. Credo che si possa affermare senza esitazione che quando una musica è autenticamente liturgica, la sua sacralità si percepisce sempre e ovunque, e che pertanto essa è “universale”. Oggi ci troviamo nella fortunata circostanza di avere ereditato un patrimonio di musica sacra: messe, mottetti, corali ecc., di ispirazione soprattutto mariana ed eucaristica, composte durante i secoli che ci hanno preceduto, la cui “sacralità” è tanto meglio percepibile quanto più i compositori, oltre che esperti nell’arte musicale, sono stati “imbevuti di senso del mistero” e partecipi della vita della Chiesa (Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 4 aprile 1999). Ma, come osservava ancora il Cardinal Ratzinger nell’opera sopra citata (pp. 141-142), in occidente la musica ecclesiastica e la musica profana si sono talmente compenetrate che talvolta la prima ha rischiato di essere travolta dalla seconda, “non sviluppandosi più dalla preghiera, staccandosi dalla liturgia e … diventando quasi fine a se stessa”. Per ricollocare la musica liturgica nei giusti confini sono state necessarie così la riforma del Concilio di Trento, per riportarla all’aderenza alla parola e, più tardi, quella di San Pio X, per “allontanare la musica operistica dalla liturgia”. Musica incantevole, quella lirica, ma da eseguire nei luoghi adatti, a vantaggio dell’affinamento del gusto. La musica sacra, per essere tale, deve essere sottratta all’uso comune e deputata solo al culto divino, alla preghiera. Tali riforme hanno giustamente posto in luce che, oltre alla musica liturgica, esiste tutto un repertorio, pressoché illimitato, di altissimo livello artistico e ispirazione religiosa, che va sotto il nome di musica “religiosa”. Sono gli oratori, con intenti squisitamente didattici, che presentano episodi della Storia Sacra o della vita dei Santi; è tutta quella produzione, formalmente liturgica, ma sostanzialmente teatrale, e quindi non propriamente sacra, ma ugualmente elevante, anche perché spesso legata ad importanti movimenti spirituali. Anche questo preziosissimo patrimonio musicale, da largamente incoraggiare nelle esecuzioni e nelle nuove produzioni, si può considerare, a buon diritto, come uno dei frutti più importanti dell’umanesimo cristiano e uno dei contributi della fede alla cultura dell’uomo. Poiché questo patrimonio culturale è vivo e ancora oggi apprezzato, va pienamente valorizzato nelle opportune sedi, di cui questo concerto costituisce un mirabile esempio. Se il canto e la musica propriamente liturgici sono normalmente eseguiti durante le celebrazioni, il restante repertorio può trovare il suo pieno apprezzamento in manifestazioni come quella che stiamo presentando. In questa opera di valorizzazione del patrimonio musicale hanno grande benemerenza istituzioni come il Coro Marciano, diretto dal M° Filippo M. Caramazza, nel reperimento, conoscenza ed esecuzione della musica sacra e religiosa antica e moderna più nota e più rara, sia per la liturgia sia, a seconda dei casi, per esecuzioni comunque spiritualmente feconde. In questa serata, dedicata alla contemplazione del Mistero eucaristico, sarà pertanto la musica a guidarci nella contemplazione della “dulcis praesentia” del Signore Gesù. Mauro Piacenza
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