PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA RELAZIONE DI S.E. MONS. MAURO PIACENZA Vangelo - sviluppo - missione Genova, Convegno diocesano, maggio 2004
Introduzione «Ciò che fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, noi l’abbiamo veduto e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi. Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio Suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia perfetta» (Gv 1,1-4). Queste parole della prima lettera di S. Giovanni ci mostrano quale sia il ritmo di pulsazione del cuore della Chiesa e, quindi, ovviamente, di ciascun cristiano che sia veramente tale. Il cristiano, infatti, partecipa personalmente alla missione della Chiesa, ovvero vive come destinazione della propria esistenza l’universale, e l’universale è il Regno di Dio che viene. Per il cristiano la vita serve nella concretezza e nella quotidianità degli istanti; l’istante fuggevole è per il tutto, ovvero è per Cristo. Questo istante poi si può caricare dello splendido impeto missionario di S. Francesco Saverio, e può caricarsi della vita di una donna che accudisce alla propria casa, al marito e ai figli, vivendo una quotidianità che sembra opprimente e che, invece, se è vissuta in Cristo, con Cristo e per Cristo, è la strada per la propria realizzazione. La missione, dunque, è il «per Cristo» della vita, è il non vivere più per noi, ma per Lui che è morto e risorto per noi. Quando parliamo di missione, spostiamo subito l’attenzione al contenuto e alla spazio, mentre la prima preoccupazione da avere sulla missione è che venga centrato il soggetto. Il soggetto della missione è il cristiano che vive la vita non più per se stesso, ma per Lui, che è morto e risorto per noi. Così il contenuto della missione è la vita, è il mangiare e il bere, il vegliare e il dormire, il vivere e il morire; è questa possibilità di liberazione contenuta nella fattispecie concreta delle ore, dei minuti, di ciò che si progetta, di ciò che si fa, dei rapporti che si vivono, delle circostanze che dipendono da noi o di quelle inevitabili, quelle che recano con sé la volontà di Dio. Quindi la pienezza della vita cristiana è la consapevolezza di partecipare responsabilmente ad una missione che consiste nella vita concreta, nella vita quotidiana; è questo il passaggio delicato ed importante: la vita quotidiana che – vissuta nella fede, nella speranza e nella carità – è nuova, e perciò diventa segno del Signore, proposta di Lui. La grande missione cristiana è la vita del popolo cristiano che lo grida presente, che prima è fatto e poi è parola, prima è un modo nuovo di vivere l’esistenza, di guardare se stessi, di guardarsi attorno, di guardare gli altri, di trattare le faccende della quotidianità, i rapporti, quello dell’uomo con la donna, dell’uomo e della donna con i figli, la casa, il pane e le cose. Come del resto viene detto anche nella prima grande autopresentazione del cristianesimo al mondo pagano, quella misteriosa ed intensissima lettera a Diogneto, alla metà del secondo secolo, di datazione certa ma di provenienza difficile a definirsi. Qual è la novità del cristianesimo per quelli che lo presentano e per i pagani che lo vedono? Nella loro vita sociale, mirabile e paradossale: nel fatto che l’uomo non possiede la donna, e l’uomo e la donna non possiedono i figli, non li espongono se sono deformi; sta nel fatto che praticano l’ospitalità, che non rispondono con la violenza alla violenza, che considerano tutto in comune, in una società che violentemente difendeva i propri possessi contro tutto e contro tutti. È la vita quotidiana che riceve una origine ed un destino diverso, così che lo sviluppo nel tempo è finalizzato al di la del tempo e la bellezza contingente indica la bellezza spirituale e prelude la gloria divina. In tal senso la missione ecclesiale si avvale anche della «profezia» estetica. I beni culturali che la Chiesa pone al servizio della sua missione La missione è la vita quotidiana che il battezzato vive in funzione dell’annuncio di Cristo, ma è tutta la sua vita annunzio di Cristo. L’impegno artistico è un modo personale di vivere la missione ed è la missione a generare anche i beni culturali. Tali beni, germinati dal grembo della fede, dimostrano che si vive la fede nella vita. La vocazione cristiana è rendere Cristo presente nel mondo, dilatando la Chiesa. L’arte in tal senso diventa espressione umana dell’inesprimibile divino. Pertanto la «bellezza che salva» è Cristo; la bellezza che deve sostanziare il credente è la santità; la bellezza che permette di sconfinare il recinto del finito è quella dell’arte. In tal senso l’arte è un bene culturale posto al servizio della missione della Chiesa. La Chiesa, comunità dei fedeli in Cristo (cf Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen gentium 9-17), dovendo annunciare il vangelo all’intera famiglia umana, è venuta elaborando lungo i secoli una propria visione del mondo ed ha per questo usato gli strumenti idonei a questa sua missione secondo i tempi e le situazioni (Cf Codice di Diritto Canonico can. 747, § 1). Di conseguenza, afferma il «diritto nativo, indipendentemente dal potere civile, di acquistare, possedere, amministrare ed alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri» (CIC/1983 can. 1254, § 1). Per questo ha promosso e promuove strumenti per svolgere la sua missione. Tali beni che assumono valore culturale sono definibili come la testimonianza viva della Tradizione, ovvero dell’azione della Chiesa nel mondo guidata dallo Spirito Santo, al fine di portare il vangelo alle «genti», cioè ai pagani di ogni tempo, oltre che di nutrire spiritualmente e culturalmente i christifideles. Infatti il patrimonio storico-artistico costituisce un bene solo perché ordinato alla promozione umana e all’evangelizzazione cristiana. È bene vivo per il valore storico o attuale che detiene. L’aspetto storico permette di instaurare una cultura della memoria, che manifesta l’inculturazione della fede in una determinata comunità radicandola nel suo passato e offrendo stimoli nel presente. L’aspetto di attualità permette di proseguire nell’oggi il culto, le opere di carità, la formazione dei christifideles e l’annuncio ai lontani. Questi sono i settori in cui si dispiega l’azione della Chiesa, che lungo i secoli ha costituito un consistente patrimonio di beni culturali dando continuità e prospettiva al vissuto ecclesiale, così da tessere la trama dell’ambiente entro cui si viene organizzando e sviluppando la comunità cristiana. I beni in oggetto sono culturalmente e spiritualmente significativi, in quanto enunciano le modalità di vita dei singoli gruppi e rappresentano un patrimonio la cui «ragion sufficiente» è nella comunità cristiana che li ha prodotti. Di conseguenza non si possono considerare isolatamente dal complesso cui appartengono e devono subordinarsi alla missione della Chiesa. Il patrimonio storico-artistico esprime il « sensus Ecclesiae» La Chiesa può trovare nelle espressioni artistiche uno strumento privilegiato di incontro e di confronto con le generazioni contemporanee attuando in tal senso la propria vocazione missionaria attraverso la promozione culturale e l’evangelizzazione cristiana. Le molteplici manifestazioni che ritrovano nella bellezza un linguaggio universale ed un veicolo per dirigersi verso il sacro rappresentano il tesoro spirituale di ogni cultura che perviene a piena maturazione quando, raggiunta dall’annuncio del vangelo, favorisce la conversione cristiana e, di conseguenza, l’autentico sviluppo. Tanto nelle terre di antica evangelizzazione quanto in quelle di nuova evangelizzazione il patrimonio artistico promosso dalla Chiesa accoglie, sintetizza e trasforma le tradizioni precedenti, così da configurare l’immagine estetica dell’habitat antropologico. Le precedenti generazioni nella loro dovizia culturale hanno espresso attraverso l’arte la loro fede, la loro speranza e la loro carità mediante opere molteplici. Queste si distinguono per il carattere cultuale, come le stupende cattedrali e gli innumerevoli siti sacri che costellano le terre evangelizzate dove costruzioni, arredi, suppellettili, vesti, repertorio musicale, libri liturgici costituiscono un tesoro immobile e mobile di inestimabile valore; per l’uso catechetico, come i cicli iconografici denominati «Biblia pauperum» attraverso cui si è voluto presentare allo sguardo dei credenti l’intero dogma cristiano in modo che i fedeli fossero stimolati a corrispondere alla santità; per la destinazione caritativa, come ospedali, ostelli, ricoveri e altre opere sociali sostenute dagli ordini religiosi e dalle confraternite laicali. Per questo nella sua azione missionaria la Chiesa «è stata sempre amica delle arti liberali ed ha sempre ricercato il loro nobile servizio, specialmente perché le cose appartenenti al culto sacro fossero veramente degne, decorose e belle, segni e simboli delle realtà soprannaturali, ed ha formato degli artisti» (Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, 122) invitandoli al suo servizio e istruendoli nella dottrina cattolica. Il rapporto arte e cristianesimo s’avvia fin dalla prima ora della Chiesa, poiché è Gesù stesso ad aprire la stagione dell’arte quale mezzo di annuncio. Infatti «con i vangeli l’arte è entrata nella storia. Dai piccoli centri della Galilea e della Giudea la gente accorreva per ascoltare il messaggio. E Gesù operò il mirabile rivestimento, modellò, diremmo con parole moderne, il racconto in maniera che si potesse, oltreché ascoltare, vedere. Parlò del pastore che aveva perduto la sua pecorella, del seminatore che aveva seminato il seme in terreni diversi, del figliol prodigo che si era allontanato da casa. E gli ascoltatori capivano subito che si trattava di loro, pecorelle smarrite, semi che avrebbero dovuto fruttificare, figlioli ricercati dall’amore del Padre» (Giovanni Paolo II, Allocuzione Ai partecipanti al Convegno Nazionale Italiano di Arte sacra, 27 aprile 1981). La Chiesa ha da sempre promosso un proprio patrimonio storico-artistico Innumerevoli, fin dalla Chiesa primitiva, sono gli interventi delle istituzioni ecclesiastiche nel settore dell’arte. Si può risalire a Papa Zefirino (199-217), che affidò la soprintendenza delle Catacombe sulla Via Appia al Diacono Callisto, poi suo successore, prefigurando un’opera di conservazione, di abbellimento iconografico, di supporto all’inculturazione della fede. Finite le persecuzioni ci fu il periodo della costruzione delle grandi basiliche e si accese la discussione sulle sacre immagini, poiché si intravvedeva il rischio dell’idolatria. Non si può dimenticare al riguardo il Sinodo di Elvira (III sec.) quando afferma: «Picturas in ecclesia esse non debere, ne quod colitur et adoratur in parietibus depingatur». Tuttavia il sensus ecclesiae dei fedeli e del Magistero sembra pronunciarsi a favore dell’arte e dell’iconografia avviando l’ininterrotta serie di stagioni che hanno raccolto le opere dei più grandi artisti di tutto il mondo e dell’occidente in particolare. Lo dimostrano già le testimonianze epigrafiche e del Liber Pontificalis sull’opera di costruzione e la cura dei monumenti della Chiesa da parte di Leone Magno (440-461). Si può ricordare ciò che Pammachio scrisse nel IV secolo: «Celsa sacraria Christi vestibulum decorat gratia pulchra loci»; ciò che Papa Felice IV (526-530) fece scrivere nella Basilica dei SS. Cosma e Damiano: «Aula Dei claris radiat speciosa metallis in qua plus fidei lux praetiosa micat»; e ciò che Gregorio Magno (590-604) disse al riguardo dell’arte figurativa: «Ipsa pictura, quasi Scriptura». Nel medioevo l’intera Europa divenne un enorme cantiere di cattedrali, nel rinascimento i maggiori artisti si adoperarono per trovare nuove soluzioni con cui esprimere il sacro inculturandolo nella grande tradizione classica; nei secoli successivi ogni generazione della civitas christiana si adoperò nel lasciare un segno del proprio percorso di fede; anche nelle difficile congerie del ‘900 la Chiesa non ha rinunciato a riprendere la sua alleanza con l’arte, come ha proclamato il Concilio Ecumenico Vaticano II nel Messaggio agli Artisti. Il valore culturale e cherigmatico del patrimonio artistico Le nostre terre sono inimmaginabili senza il concorso dell’arte cristiana che ha modellato il paesaggio, umanizzato l’ambiente, offerto i riscontri della fede. Attraverso l’arte si può narrare la storia più intima e più grande dell’Italia, dove il cristianesimo vanta ormai quasi due millenni di presenza. Siffatte creazioni, in cui si plasma e si ricompone la materia, parlano un linguaggio universale, totale, epifanico, teofanico, diacronico, metafisico, pentecostale. Universale, poiché vinta l’ignoranza tutti possono comprendere il messaggio catarchico della bellezza. Totale, in quanto essa rivela l’armonia trascendentale dell’essere. Epifanico poiché manifesta le cose nell’atto d’essere e non solo nell’apparenza fenomenica. Teofanico in quanto porta a liberarsi dall’angustia contingente per fruire del divino. Diacronico poiché narra la storia nei diversi stili culturali. Metafisico in quanto esprime l’ente nella sua piena e percepibile intelligibilità. Pentecostale poiché apre all’estasi mistica e sospinge al servizio disinteressato dei fratelli. Nella mens cristiana l’arte religiosa assume perciò valore cherigmatico. Essa «è un grande libro aperto, un invito a credere al fine di comprendere» (Giovanni Paolo II, Allocuzione Ai partecipanti al Convegno Nazionale Italiano di Arte sacra, 27 aprile 1981) che suscita commozione nei fruitori. Con atmosfere rappacificanti o drammatiche, ripete missionariamente il monito del Signore: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). Con bellezza sacrale attrae a sé lasciando intuire che è il Signore a venire verso ogni uomo, così come essa s’accosta ai propri fruitori. Con contenuti mistici canta l’utopia cristiana del «Deus omnia in omnibus», indicando nella grotta di Betlemme l’Emmanuele, il Dio-con-noi, e sul Calvario il Cristo salvatore, il Dio-per-noi. L’arte è voluta dalla Chiesa ed aiuta a riconoscere e ospitare Dio, poiché la bellezza esteriore stimola quella interiore. «L’uomo, contemplando l’arte e la sua bellezza, vi si abbandona come alla sollecitazione delle sue elevazioni più genuinamente umane, cioè spirituali; e perciò sente e trasmette l’incanto della spiritualità purissima, Dio, che di ogni spiritualità creata è origine e fine» (Giovanni Paolo II, Allocuzione All’Unione Artisti Cattolici Italiani – U.C.A.I. Il talento dell’arte è dono di Dio, 1 marzo 1986). Per il cristianesimo «ogni forma d’arte è, a suo modo, una via d’accesso alla realtà più profonda dell’uomo e del mondo. Come tale, essa costituisce un approccio molto valido all’orizzonte della fede, in cui la vicenda umana trova la sua interpretazione compiuta» (Ibid. 6). Essa riscatta i viandanti del tempo dalla mera contingenza facendoli artefici di cultura e spiritualità onde chiarire il senso del pellegrinaggio verso la felicità senza fine. La sua funzione consiste nell’animare la storia scovando il significato degli accadimenti, evidenziando l’anima spirituale delle umane gesta, lasciando emergere l’impronta divina della creazione. Con metodologie molteplici e poetiche diverse, che vanno dalle tenere atmosfere arcadiche alle solenni apocalissi, dai tormenti titanici ai paradisi mistici, l’arte è diario dell’esistere dei singoli e delle collettività lasciando trasparire l’insaziabile desiderio di pace e di divino. L’arte dunque riporta la quiete nello spirito infondendo pace ai cuori. Permette all’uomo di distaccarsi dagli eventi sereni o tristi, senza dimenticarli. Per questo «chi vuol comprendere a fondo le dimensioni spirituali di un’epoca, deve consultare, oltre alla storia politica, anche quella letteraria e quella artistica. I capolavori dell’arte creativa possono infatti dare, in modo spesso più profondo ed accurato di una ricerca concettuale, la misura precisa del temperamento, delle aspirazioni, del pensiero, della sensibilità di un popolo» (Pont. Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Communio et progressio, 23 marzo 1971, 56). La Chiesa trova nell’arte la fonte dello stupore e nello stupore l’atteggiamento favorevole per iniziarsi ai divini misteri. Per questo invita gli artisti ad una creatività capace di meravigliare: «La bellezza che trasmetterete alle generazioni di domani sia tale da destare in esse lo stupore. Di fronte alla sacralità della vita e dell’essere umano, di fronte alle meraviglie dell’universo, l’unico atteggiamento adeguato è quello di stupore» (Giovanni Paolo II, Lettera del Papa Giovanni Paolo II agli Artisti, 4 aprile 1999, 16). Il valore antropologico ed etico del patrimonio artistico L’arte in tutte le sue manifestazioni di bellezza è profezia della «civiltà dell’amore» che trova nel cristianesimo la proposta esemplare e il contenuto oggettivo. Emblematicamente in essa si presenta quello che l’uomo deve lasciare e ciò che invece deve far suo per instaurare un mondo più giusto in un linguaggio che tutti possano comprendere e condividere, un linguaggio che non massifichi bensì promuova la persona. La prospettiva cristiana esige un umanesimo integrale per cui la Chiesa, che si proclama «esperta in umanità», si è inculturata ed ha acculturato i popoli ai quali ha diretto l’annuncio del vangelo. La bellezza dell’arte ha evidenziato i risultati delle scienze, ha rispettato l’ambiente, ha umanizzato le persone assolvendo ad un’importante compito culturale. Musei, biblioteche, archivi non sono solamente dei contenitori di cultura, ma sovente sono stupendi scrigni di bellezza atti a dare senso a quanto in essi racchiuso e a stimolare il desiderio dei fruitori. Favorendo la catarsi dello spirito e lo sviluppo culturale l’arte ha valore etico, anzi è subordinata alla morale, attraverso cui si ordina l’agire dell’uomo verso il suo fine. In questo senso essa assolve al ruolo «di innalzare, mediante la vivezza della rappresentazione estetica, lo spirito ad un ideale intellettuale e morale, che oltrepassa la capacità dei sensi e il campo della materia, fino ad elevarlo verso Dio, Bene supremo e assoluta Bellezza, da cui ogni bene ed ogni bellezza deriva» (Pio XII, Allocuzione L’essenza, la missione, i pericoli della nobile e delicata arte drammatica, 26 agosto 1945). Ne consegue che «il rapporto tra buono e bello suscita riflessioni stimolanti: La bellezza è in un certo senso l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza. Lo avevano ben capito i Greci che, fondendo insieme i due concetti, coniarono una locuzione che li abbraccia entrambi: ‘kalokagathía’, ossia ‘bellezza-bontà’. Platone scrive al riguardo: ‘La potenza del Bene si è rifugiata nella natura del Bello’» (Giovanni Paolo II, Lettera del Papa Giovanni Paolo II agli Artisti, 4 aprile 1999, 3). L’arte deve spingere alla trasformazione del mondo nella sua dilettevole bellezza ordinata al bene. In questo contesto il piacere estetico è segno che rimanda al piacere di condividere la vita accanto ad altri. L’«era estetica» o «edonistica», che ha contrassegnato le culture della modernità, deve potersi risolvere in una rinnovata «era etica», grazie anche all’impegno delle arti liberali. Gli artisti hanno dunque grandi responsabilità etiche, poiché l’incidenza dell’arte sulle persone è notevole. «Proprio mentre obbediscono al loro estro […] essi non solo arricchiscono il patrimonio culturale di ciascuna nazione e dell’intera umanità, ma rendono anche un servizio sociale qualificato a vantaggio del bene comune» (Ibid. 4). Pertanto «gli artisti sono da enumerare tra i benefattori più grandi dell’umanità, tra gli operatori più efficaci della sua salvezza, perché alimentano il senso qualificante, essenziale dell’uomo, che è la sua spiritualità» (Giovanni Paolo II, Allocuzione All’Unione Artisti Cattolici Italiani – U.C.A.I. Il talento dell’arte è dono di Dio, 1 marzo 1986). Attraverso le loro opere essi sono araldi e menestrelli. Dicono e cantano il divino cagionando fascino e ascolto, poiché la bellezza fa risaltare i contenuti. Le loro opere manifestano il proprium dell’uomo di interloquire con i simili comunicando emozioni, intuizioni, delibere. «C’è dunque un’etica, anzi una “spiritualità” del servizio artistico, che a suo modo contribuisce alla vita e alla rinascita di un popolo» (Giovanni Paolo II, Lettera del Papa Giovanni Paolo II agli Artisti, 4 aprile 1999, 4). Il valore sociale e mistagogico del patrimonio artistico L’arte, quale linguaggio universale della bellezza, che tutti attrae, è latore di un messaggio utopico, che annuncia l’era dell’armonia e della pace. Nelle opere artistiche si vive intimamente la dimensione profetica e messianica del «toto orbe in pace composito». La bellezza infatti porta alla catarsi facendo volgere l’attenzione ai contenuti attraverso la contemplazione di forme che indicano l’energia primigenia dell’essere e si aprono all’Assoluto. Gli eventi più drammatici, che intristiscono il «particolare» del singolo soggetto e danno colori crepuscolari alla scena di questo mondo, attraverso l’arte si sublimano e attraverso la teologia si risolvono nella speranza di un futuro di pace che in Cristo trova certezza. L’universalità dell’arte sta nel fatto che tutti sospinge verso un mondo ricreato, culminante «nei nuovi cieli e nella terra nuova». Allorquando percorre la via estetica verso l’estasi mistica l’arte infrange «il recinto angusto e angoscioso del finito, in cui l’uomo è immerso, finché vive quaggiù» per aprire un varco verso l’infinito (Pio XII, Allocuzione Agli espositori della VI Quadriennale di Roma. L’essenza della vera arte, 8 aprile 1952). È dunque utopia che si attiva nell’attimo fuggente della fruizione estetica, si attua realmente nella contemplazione mistica e si risolve pienamente nella visione di Dio. Nel pensiero cristiano l’arte ha valore universale poiché «quando è sentita e sofferta nella sua autenticità, è linguaggio dello spirito, ne è raffinato strumento. Essa cerca lo spirito, perché capta con antenne invisibili e pur potenti, il suo linguaggio arcano, e cerca di esprimerlo con i mezzi a propria disposizione, comunicando agli altri la ricchezza delle sue esperienze e delle sue conquiste» (Paolo VI, Allocuzione L’arte deve sempre avvicinarsi a Dio (10 maggio 1969). Se «la solidarietà è il nuovo nome della pace», l’arte nella sua universalità di linguaggio può catalizzare l’attenzione dei popoli sui grandi drammi che affliggono l’umanità e sulla profonda sperequazione tra il piccolo gruppo degli abbienti e quello ben più numeroso degli indigenti. L’arte non può ridursi a fenomeno elitario, né diventare distintivo di gruppi egemoni, perché la bellezza è godibile da tutti e tutti devono poterne usufruire. L’arte ha infine una connaturale istanza soteriologica che ben si addice a presentare l’avvento del Messia, termine ultimo dello sviluppo della societas humana. «Ecco perché la pienezza evangelica della verità non poteva non suscitare fin dall’inizio l’interesse degli artisti, sensibili per loro natura a tutte le manifestazioni dell’intima bellezza della realtà» (Giovanni Paolo II, Lettera del Papa Giovanni Paolo II agli Artisti, 4 aprile 1999, 6). Il valore ascetico e mistico del patrimonio artistico L’arte viene ad assumere un ruolo importante nel veicolare le informazioni religiose e l’ispirazione cristiana, poiché punta sull’intrinseca apertura dell’uomo verso Dio e smaschera le mistificazioni che chiudono dall’esterno questo naturale romitaggio spirituale. Percorrendo la via della bellezza la creazione appare nella sua purezza originaria e l’uomo si ritrova, pur nella consapevolezza del suo peccato, ad aspirare ai «carismi più alti», ad «accumulare tesori nel cielo», ad attendere «i cieli nuovi e la nuova terra», a pregustare la visione della «gloria di Dio». Bello e sacro sono aspetti complementari ed aprono le coscienze verso l’Assoluto muovendo gli animi al culto di Dio in spirito e verità. Il bello è lo splendore delle forme sensibili, il sacro è lo splendore della gloria di Dio. L’estetica è dunque ordinata alla contemplazione della forma, la mistica alla contemplazione del fine. La conoscenza mistica è inabitazione nello Spirito che si risolve nel patire le cose divine. Essa produce un’esperienza incomunicabile in quanto lo Spirito innalza l’intelletto anticipandogli la facoltà di sostenere la visione di Dio. È un momento di trasfigurazione del proprio essere a motivo del riflettersi dello splendore di Dio che poi riporta all’urgenza di incamminarsi lungo la via della croce al fine di raggiungere Dio eternamente. La conoscenza estetica è il frutto della sensazione che coinvolge sentimento ed intelletto nella diletto delle cose sensibili. Essa produce la contemplazione della potenza creatrice dell’uomo impressa nelle forme. È un momento di catarsi dalla bruta contingenza che attiva la nostalgia del divino e può risolversi in un atto di culto a Dio e di donazione ai fratelli. Grazia artistica e grazia santificante non si elidono, ma si coniugano per far nascere il sacro nell’arte, così da condurre i credenti alla lode di Dio Il valore caritativo e pastorale del patrimonio artistico Se per la Chiesa lo sviluppo è in termini di missione, questa comporta la testimonianza del vangelo attraverso le opere di misericordia corporali e spirituali. I grandi monumenti dello spirito, gli edifici di culto, le iconografie catechetiche, i laboratori della cultura, le opere di assistenza, sono incarnazione della fede cattolica. L’arte di cui sono rivestiti tali insigni vestigia non fa che rendere più trasparente l’immagine di Dio e l’ascesa dell’umanità verso di lui, al fine di recuperare umilmente la propria divina immagine. Religione ed arte, pur costituendo due universi formali distinti, si ritrovano così tra loro coniugate di modo che questa diventa veicolo di quella. L’origine del patrimonio artistico cristiano si fonda sull’urgenza spirituale e pastorale. È stato costituito, durante i secoli, dalla generosità spontanea dei poveri, dall’offerta di persone economicamente agiate, dalla disponibilità di grandi artisti. Sempre è segno e testimonianza di un’aspirazione profonda dei singoli e della collettività, ordinata ad offrire a Dio le proprie primizie innalzando lodi e impetrando grazie. È perciò nello stesso tempo espressione di creatività umana e di devozione religiosa. Conclusione La trilogia «vangelo - sviluppo - missione» è strettamente connessa in un unico e articolato dinamismo in cui l’annuncio del vangelo cagiona la missione di evangelizzazione e questa si concretizza in un’opera di sviluppo, poiché l’«urgere» della carità di Cristo comporta la predicazione evangelica attraverso le opere di misericordia. In questo contesto culto, catechesi, cultura, carità sono la proiezione concreta delle virtù teologali che trovano nell’arte segno sensibile. L’arte diventa strumento privilegiato poiché con il suo valore di bellezza genera atmosfere sacrali, rende più evidenti i contenuti dottrinali, indica l’ineffabile divino, dispone i fruitori al raccoglimento religioso. Arte e fede rappresentano l’intima risposta dell’uomo a Dio che crea e redime. Attraverso l’arte l’uomo intuisce la grandezza del divino creare e comprende la possibilità di ridare forme splendide al creato di cui è parte. Attraverso la fede il credente intuisce il dono di grazia ricevuta e lo accoglie annunciando il vangelo. L’arte è dunque la sinfonia del creato ed indica il coro dei credenti la cui voce canta le lodi dell’Altissimo. Esprime il mistero in quanto è documento della presenza divino-umana del Cristo. Acquista la sua potenza e il suo vigore nell’essere ponte verso l’ineffabile, ovvero nel collegarsi al divino manifestandolo attraverso il sottile mondo delle analogie e dei simboli che diventano «segno sensibile di cose e di bellezze nascoste» (Paolo VI, Allocuzione La nomina di nuovi cardinali spiegata ai fedeli, 24 febbraio 1965). Svela il mistero della salvezza nel narrare l’intervento provvidenziale di Dio e nel ridare grandezza all’uomo. «Registra l’umanità visibile e le azioni divine del Cristo, mentre con la trasparenza del suo linguaggio apre un varco all’intuizione di qualche aspetto dell’Ineffabile» (Giovanni Paolo II, Allocuzione Ai partecipanti al Convegno di Studi, 2 maggio 1986). Canta la gioia della vita e annuncia la misericordia divina, diventando stimolo per la ricerca di Dio. È il diario spirituale scritto da ogni generazione per essere donato alla lettura dell’intera umanità, affinché ciascuno «uomo di buona volontà» comprenda che il vero sviluppo è il raggiungimento del fine immortale intrinseco alla natura umana e rivelato dalle Scritture. Mons. Mauro Piacenza
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