Importanza delle cause di beatificazione e di canonizzazione Angelo Card. Amato, SDB
1. Le celebrazioni di canonizzazione e di beatificazione Il 17 ottobre 2010, in Piazza San Pietro, Papa Benedetto XVI ha canonizzato il polacco Stanisław Kazimierczyk Sołtys, sacerdote dell’Ordine dei Canonici Regolari Lateranensi; il canadese André Bessette, religioso della Congregazione di Santa Croce; la spagnola Cándida María de Jesús Cipitria y Barriola, fondatrice della Congregazione delle Figlie di Gesù; l’australiana Mary of the Cross MacKillop, Fondatrice della Congregazione delle Suore di San Giuseppe del Sacro Cuore; l’italiana Giulia Salzano, fondatrice della Congregazione delle Suore Catechiste del Sacro Cuore di Gesù, e l’italiana Battista Camilla da Varano, dell’Ordine di Santa Chiara. Questa cerimonia si è svolta durante il Sinodo dei Vescovi del Medio Oriente e ha visto la partecipazione plenaria dei Cardinali e dei Padri sinodali. Nell’omelia il Santo Padre ha esordito dicendo: «Si rinnova oggi in Piazza san Pietro la festa della santità». Dopo aver offerto un breve profilo della santità di ognuno di essi, Benedetto XVI invitava i fedeli a lasciarsi guidare dai loro insegnamenti per procedere spediti sulla via della santità. In queste solenni e festose cerimonie di canonizzazione – e in modo analogo in quelle di beatificazione – i protagonisti sono senza dubbio i santi e i beati, dei quali si celebrano le virtù esimie o il martirio. Ma un ruolo di primo piano è quello esercitato dal Sommo Pontefice, che è il giudice supremo per decretare le virtù eroiche o il martirio dei servi di Dio, proclamandone la santità della vita e l’efficacia della loro intercessione nella Chiesa. Spetta, infatti, al Papa emettere i decreti di beatificazione e di canonizzazione. La «beatificazione è, infatti, un atto con il quale il Sommo Pontefice Romano permette che qualche servo di Dio possa essere venerato in qualche provincia, diocesi, città o famiglia religiosa con un culto determinato e proprio dei beati, finché non si pervenga alla solenne canonizzazione». [1] A sua volta, «la canonizzazione è una sentenza definitiva del Sommo Pontefice, con la quale decreta che qualcuno, prima inserito tra i beati, debba essere portato nel catalogo dei santi ed essere venerato in tutto l’orbe cattolico e nella Chiesa universale con quel culto che viene tributato agli altri canonizzati». [2] 2. Una diligente preparazione I papi spesso nelle loro bolle hanno parlato della canonizzazione come opera che eccede il senso e l’intelligenza degli uomini, essendo più opera del giudizio divino che umano. Ad esempio, Innocenzo II (1130-1143) nella bolla di canonizzazione della beata Cunegonda imperatrice scrive: «Noi quindi conoscendo che in effetti questo giudizio è più sublime da esprimere rispetto agli altri giudizi, nel suo esame vogliamo applicare la massima cautela». [3] Gregorio IX (1227-1241) al vescovo di Bologna, che intendeva iniziare la causa di canonizzazione di san Domenico di Guzman, dopo aver affermato che la verità dei fatti non si chiarisce in fretta con sentimenti ambigui e che nelle cose dubbie è prudente procedere lentamente, invita mediante testimoni idonei «a investigare con cauta diligenza e vigilante sollecitudine la vita e l’attività del predetto frate, con cui si sa che piacque a Dio e agli uomini, nonché i miracoli che, essendo Dio autore, procedono dalla santità del suo corpo, avendo davanti agli occhi la sola riverenza della divina maestà». [4] Sono richieste cautela e diligenza e non fretta nelle inchieste e nei giudizi sulle cause concernenti i servi di Dio. Anche papa Giovanni XXII (1316-1334), nella causa di Roberto arcivescovo di Canterbury, dichiarava che «la madre Chiesa Romana non è solita, specialmente sopra una causa così importante, agire in modo precipitoso quanto piuttosto di valutare tale questione con l’indagine di una solenne esecuzione». [5] E lo stesso pontefice nella causa di Filippo, arcivescovo di Bourges, ribadisce che nella venerazione dei santi occorre quella cautela di maturità che elimini incertezza e ignoranza, in modo da emettere «una sentenza indubbia sulle cose dubbie e si abbia la certezza e si sia più certi nelle cose incerte». [6] Da questi brevi accenti, volutamente presi dalla prassi antecedente alla fondazione della Congregazione dei Riti, si ricava che i sommi pontefici, anche prima di una regolamentazione più precisa delle cause, hanno sempre condotto le inchieste sulla santità con somma cautela e diligenza per superare ogni dubbio e giungere a una motivata certezza morale. La suprema autorità della Chiesa non agiva frettolosamente o arbitrariamente, ma dopo aver raccolto i pareri di più persone e organismi, usufruendo del consiglio di cardinali, vescovi ed esperti. La decisione pontificia veniva quindi preceduta da una serie di esami e di passaggi, che agivano da filtro per eliminare eventuali dubbi e incertezze. 3. L’alto significato magisteriale delle canonizzazioni e beatificazioni Perché questo esame attento e puntiglioso e non affrettato e superficiale? Perché le beatificazioni e le canonizzazioni sono atti definitivi del Papa nell’esercizio del suo magistero ordinario universale: «La canonizzazione è la suprema glorificazione da parte della Chiesa di un Servo di Dio elevato agli onori degli altari, con pronunciamento a carattere decretorio, definitivo e precettivo per tuttta la Chiesa, impegnando il Magistero solenne del Romano Pontefice». [7] Una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 29 giugno 1998, precisa, al riguardo, che la canonizzazione dei santi appartiene al secondo grado delle verità dottrinali. Se al primo grado appartengono le verità rivelate, come quelle, ad esempio, contenute nel Credo, al secondo grado appartengono quelle verità, circa la fede o i costumi, proposte dalla Chiesa in modo definitivo. La canonizzazione dei santi – così come, ad esempio, la dottrina sulla illiceità dell’eutanasia – appartiene a quelle verità infallibilmente insegnate dal magistero ordinario e universale del Sommo Pontefice. [8] Di conseguenza all’atto della canonizzazione spetta da parte dei fedeli un assenso di fede fondato sulla persuasione dell’assistenza dello Spirito santo al magistero. Del resto, la stessa formula di canonizzazione evidenzia in modo esplicito questa sua caratteristica magisteriale solenne. Il Papa infatti dice: «Ad onore della Santissima Trinità, per l’esaltazione della fede cattolica e l’incremento della vita cristiana, con l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dopo aver lungamente riflettuto, invocato più volte l’aiuto divino e ascoltato il parere di molti Nostri Fratelli nell’Episcopato, dichiariamo e definiamo Santi i Beati Stanisław Kazimierczyk, André Bessette, Cándida María de Jesús Cipitria y Barriola, Mary of the Cross MacKillop, Giulia Salzano e Battista da Varano e li iscriviamo nell’Albo dei Santi e stabiliamo che in tutta la Chiesa essi siano devotamente onorati tra i Santi. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». La canonizzazione è, quindi, un atto magisteriale solenne di alta qualità teologica. A tale grado appartiene, di conseguenza, anche la beatificazione. Essa, infatti, pone le premesse indispensabili per la canonizzazione, che è il traguardo finale del lungo processo di ricerca, di discernimento e di valutazione. La beatificazione consiste nel conferimento da parte del Sommo Pontefice del culto pubblico in forma indultiva e limitata a un Servo di Dio, le cui virtù eroiche confermate da un miracolo o il cui martirio siano stati debitamente riconosciuti. Nella Lettera Apostolica per la beatificazione, ad esempio, il 23 ottobre 2010, di Suor Alfonsa Clerici, una religiosa della Congregazione del Preziosissimo Sangue di Monza, il Papa Benedetto XVI decretava: «Noi, accogliendo il desiderio del nostro fratello Enrico Masseroni, Arcivescovo di Vercelli, e di molti altri Fratelli nell’Episcopato e di molti fedeli, dopo aver avuto il parere della Congregazione delle Cause dei Santi, con la nostra Autorità Apostolica concediamo che la Venerabile Serva di Dio Alfonsa Clerici, religiosa delle Suore del Preziosissimo Sangue di Monza, che ha speso la sua esistenza nell’educazione dei giovani e delle loro famiglie, d’ora in poi sia chiamata Beata e che si possa celebrare la sua festa, nei luoghi e secondo le regole stabilite dal diritto, ogni anno, nel giorno della sua nascita al Cielo, il 14 gennaio. Nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen». Questo richiamo all’alta qualità teologica delle beatificazioni e delle canonizzazioni dimostra che l’elaborazione di una causa costituisce un evento di grande valenza ecclesiale. Si tratta, infatti di operare un discernimento sulla fama di santità di un battezzato, che ha vissuto le beatitudini evangeliche in grado eroico o che ha dato la vita per Cristo, ucciso “in odium fidei” dai nemici della Chiesa. A ciò bisogna aggiungere il fatto che le cause di beatificazione dei confessori e tutte le cause di canonizzazione includono una valutazione accurata anche di un miracolo, che è un’opera compiuta da Dio, per l’intercessione di un suo servo fedele, fuori dall’ordine delle cause da noi conosciute. [9] Se l’accertamento delle virtù eroiche di un servo di Dio è un’opera “dal basso”, l’evento miracoloso è un’opera “dall’alto”, un intervento gratuito di Dio, che richiede uno scrupoloso accertamento scientifico e teologico della verità dei fatti. 4. Una tradizione di accuratezza procedurale In ogni tempo e in ogni luogo, Dio sceglie alcuni battezzati, che, seguendo Cristo più da vicino sia con l’esercizio eroico delle virtù sia con l’effusione del sangue, diano fulgida testimonianza del Regno dei cieli. Da sempre, la Chiesa è attenta alla fama di santità, di martirio e di segni dei suoi figli più fedeli, additandoli alla nostra devozione e imitazione, in modo che tutti noi, attratti dalla forza del loro esempio, siamo spinti con più entusiasmo verso la Gerusalemme celeste. In questa sua catechesi agiografica la Chiesa – lo si è già accennato – agisce con prudenza e concretezza. Perseverando nella secolare tradizione di accuratezza procedurale, anche la più recente legislazione specifica insiste sulla diligenza e sulla meticolosità dell’indagine e del giudizio. Infatti, nelle due formule citate di canonizzazione e di beatificazione, oltre al richiamo solenne alla sua autorità di Pastore supremo della Chiesa di Cristo, il Papa dice di essere giunto a queste decisioni dopo aver lungamente riflettuto, dopo aver invocato più volte l’aiuto divino e dopo aver ascoltato il parere di molti fratelli e soprattutto della Congregazione delle Cause dei Santi. Lunga riflessione, intensa preghiera e ascolto dei pareri sono il sostegno umano-divino ai suoi pronunciamenti. Accennando alla lunga riflessione, il Santo Padre fa riferimento non solo alla sua personale meditazione ma anche al lungo e laborioso processo di preparazione di una causa di beatificazione e canonizzazione. In questa preparazione sono implicati innumerevoli protagonisti, che con la loro competenza storica, giuridica, teologica, spirituale, scientifica e pastorale danno il loro contributo al traguardo finale della dichiarazione solenne della santità di un servo di Dio. Una causa di beatificazione e di canonizzazione presuppone infatti una rete di collaborazione, che si sviluppa prima nella fase diocesana e poi in quella romana, prima di approdare alla decisione finale del Sommo Pontefice. Tutto questo lavoro costituisce un apporto indispensabile al magistero della Chiesa, rappresentato, nei vari stadi del processo, dal Vescovo diocesano, dalla Congregazione delle Cause dei Santi e, infine, dal Sommo Pontefice. Proprio per la sua rilevanza magisteriale e pastorale, la Chiesa ha sempre più perfezionato gli strumenti adeguati per l’accertamento il più accurato possibile della verità dei fatti. Superando un falso presupposto che nei secoli passati i procedimenti avanzavano molto più speditamente di oggi, c’è, invece, da precisare che sia prima che dopo l’istituzione della Congregazione incaricata delle cause dei Santi, il criterio principale che reggeva l’indagine e che motivava il parere dei singoli era la verifica della verità dei fatti e la conseguente formazione di una ferma certezza morale. La Congregazione dei Riti, creata il 22 gennaio del 1588, aveva come finalità primaria la collaborazione col Papa. Come Mosè aveva istituito un senato di settanta anziani, per portare insieme il peso del popolo, così il Sommo Pontefice decise di distribuire il peso della sua responsabilità, temibile anche per spalle angeliche, tra i senatori del mondo, i fratelli cardinali, con una distribuzione adatta alla condizione dei tempi, alla molteplicità e varietà delle questioni, soprattutto a motivo di utilità. In questa Congregazione – dice Benedetto XIV nel suo Opus Magnum – «vengono accuratamente e diligentemente, anzi scrupolosamente valutate, discusse ed esaminate le cause di beatificazione e di canonizzazione, e il culto dei santi». [10] All’inizio era lo stesso Sommo Pontefice a partecipare alle congregazioni ordinarie. Per questo l’esame delle cause era accuratissimo e passava attraverso il giudizio di esperti nelle varie discipline e il superamento di eventuali obiezioni avanzate, soprattutto, dal promotore della fede. Ad esempio, nella causa del portoghese Giovanni de Britto, missionario gesuita, morto martire in India nel 1693, decapitato a Oriyur nel Tamil Nadu, si obiettò che avesse fatto uso nella sua missione di riti locali, proibiti dalla Sede Apostolica. Nella discussione che ebbe luogo il 22 aprile 1741, alla presenza di Benedetto XIV, lo stesso Papa Lambertini annota che «si esaminò molto accuratamente se il servo di Dio avesse fatto uso dei riti predetti; e in caso positivo, se li avesse usati sempre e in qualunque modo, oppure solo fino a quel giorno in cui erano stati permessi dalla Sede Apostolica; e finalmente, qualora ne avesse usato in modo proibito, se tale reato dovesse essere considerato come annullato, in modo che nel prosieguo della causa rimanesse provato il martirio del servo di Dio. Ascoltammo i voti dei cardinali; rimandammo la soluzione, prendendo tempo per conoscere più pienamente e riconoscere e infine deliberare sulla questione; e alla fine, il giorno 2 luglio 1741, abbiamo risposto e decretato che i riti obiettati non ostacolavano a che si potesse procedere ad ulteriora nella causa del servo di Dio, cioè alla discussione del dubbio sul martirio e sulla causa del martirio, nonché sull’altro dubbio dei segni e miracoli». [11] La causa di Padre Giovanni de Britto proseguì quindi regolarmente. La beatificazione avvenne il 18 maggio 1859 e la canonizzazione il 22 giugno 1947. Anche nella causa di Giovanna Francesca Fremiot de Chantal, tenendo conto del giansenismo del tempo, si accennò all’amicizia con Maria Angelica Arnauld, abbadessa di Port Royal, e alla corrispondenza epistolare con Giovanni Duvergier de Hauranne, abate di Saint-Cyran. Tutto ciò poteva ostacolare il prosieguo della causa. Dopo maturo consiglio sia dei cardinali sia del Papa stesso, si decise di procedere ad ulteriora. 5. Non «santo subito» ma «santo sicuro» Continuando in questa tradizione di accuratezza di procedura, la legislazione della Chiesa oggi è retta sia dalla costituzione apostolica Divinus Perfectionis Magister di Giovanni Paolo II del 1983, sia dalla Istruzione Sanctorum Mater della Congregazione delle Cause dei Santi del 2007. Quest’ultima è dedicata all’esatto compimento dei procedimenti diocesani ed eparchiali. Da questi documenti emerge la preoccupazione di una procedura molto raffinata sia in ambito diocesano o eparchiale sia in ambito romano. Tutto ciò sta a dimostrare come l’esito positivo di una causa dipenda non tanto da una fretta importuna, ma dalla scrupolosa osservanza delle varie tappe dell’iter procedurale. Molti sono impegnati in questo lavoro di preparazione. In primo luogo gli attori, che promuovono la causa e la sostengono spiritualmente ed economicamente. Poi anche il Vescovo diocesano o eparchiale che dovrà verificare se presso una parte significativa del popolo di Dio il Servo di Dio goda di un’autentica e diffusa fama di santità o di martirio, unitamente a una autentica e diffusa fama di segni. Ma è soprattutto il postulatore, sia in sede diocesana sia in sede romana, uno dei maggiori protagonisti della buona riuscita di una causa. Egli, infatti, deve svolgere ricerche accurate sulla vita del servo di Dio, utili per la conoscenza della fama di santità o di martirio, della fama di segni e dell’importanza ecclesiale della causa. Inoltre, non può occultare eventuali ritrovamenti contrari alla fama di santità o di martirio. Il postulatore, infatti, deve agire nell’interesse superiore della Chiesa e quindi ricercare la verità con coscienza e onestà, evidenziando le eventuali difficoltà. Deve anche consegnare ai periti in materia storica ed archivistica tutti i documenti della causa in suo possesso. Al postulatore, oltre che agli attori, spetta soprattutto tenere viva la causa sia mediante il coinvolgimento dei fedeli nella conoscenza sempre più diffusa e partecipata delle virtù o del martirio del servo di Dio, sia mediante l’accompagnamento spirituale di diocesi o di congregazioni religiose con la preghiera e la richiesta di intercessione del servo di Dio. Una causa di beatificazione non è mai un arido iter procedurale di fonte a un tribunale laico, ma un pellegrinaggio di fede nella ricerca, nella meditazione e nella imitazione dell’eroismo virtuoso dei santi. È un’azione ecclesiale che ha un certo carattere liturgico, in quanto è finalizzata alla lode di Dio e alla glorificazione dei suoi servi fedeli. Queste mie parole costituiscono un invito a iniziare il corso in una prospettiva di serietà scientifica, unita a una indispensabile maturazione spirituale. Non si tratta di promuovere un prodotto di bellezza, ma di proporre modelli di vita cristiana, che sono autentiche pagine di vangelo vissuto. Non ci si può accostare a questa impresa con leggerezza, superficialità e fretta. I servi di Dio sono pepite preziose che, mediante il vostro accurato lavoro, vengono sottratte dall’oscurità della miniera per poter brillare e riflettere nella Chiesa lo splendore della verità e della carità di Cristo.
[1]
Benedetto XIV,
De Servorum Dei Beatificatione et Beatorum Canonizatione, I, XXXIX 5.
[2] Ib. [3] Ib., I XV 3. [4] Ib., I XV 5. [5] Ib., I XV 7. [6] Ib. [7] J. Saraiva Martins, Le nuove procedure nei riti della beatificazione, in «L’Osservatore Romano», 29 dicembre 2005. [8] Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della “Professio fidei” (29 giugno 1998), n. 11.1 [9] Summa Theologiae, I q. 105, a. 7c. [10] Benedetto XIV, De Servorum Dei Beatificatione et Beatorum Canonizatione, I, XVI 1. [11] Ib. I XVI 4.
|
|