Etica universale e libertà religiosa
I due documenti sono lunghi, in tutto 170 pagine nell’edizione appena
pubblicata. Con tante questioni trattate, non è facile dare un buon riassunto.
Però questo è stato fatto nell’introduzione al volume preparata dal Prof. Piero
Coda, che ringrazio per l’invito di partecipare in questa riunione (pp. 31-35).
Comincio con una storia. Nell’anno 2001 il Card. Ratzinger visitò la Pontificia
Università della Santa Croce per un incontro con i professori di teologia. Il
Prefetto dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede spiegò che uno dei
temi che interessava particolarmente in quel momento era quello dei diritti
umani. Si stava avviando una serie di ricerche in questa direzione, però la
proposta alla fine si indirizzò verso il tema della legge naturale,
se non sbaglio per indicazione espressa di san Giovanni Paolo II. Questa ricerca
si è consolidato poi nello studio fatto calla Commissione Teologica
Internazionale che stiamo considerando, pubblicato nel 2009. Allo stesso tempo,
come indica chiaramente il IV capitolo del documento, la questione dei diritti
umani non era assente.
Infatti, ambedue i documenti hanno una parte storica. Il primo mette in rilievo
che la nozione di legge naturale, in senso ampio, è stata presente in forme
diverse (e confluenti) entro le diverse visioni religiose e filosofiche lungo la
storia (pp. 126-49). In particolar modo è stata sviluppata dagli stoici, che
hanno in qualche modo lasciato un’impronta sulla visione cristiana. E il secondo
documento si centra specialmente nella genesi e ricezione della centralissima
dichiarazione del Vaticano II Dignitatis humanae del 1965, appunto sulla
libertà religiosa (pp. 466-77). In effetti, la storia illustra in modo efficace
lo sviluppo e la rilevanza attuale di questi due documenti, oltre al loro
collegamento di fondo, poiché – e questa è la tesi che presenterò qui – trattano
la questione della libertà umana.
Cominciamo con il primo, che fornisce una riflessione sulla legge naturale
capace di dare una solida base per un’etica universale. Il vero problema, a mio
avviso, tipica peraltro della modernità, si enuncia nei nn. 53 e 71 del testo,
che parlano rispettivamente de “la storicità della legge naturale”, e de “la
cultura come negazione della natura”. A livello tecnico si può dire che negli
ultimi secoli “la natura non è più considerata come un’epifania del Logos, ma
come ‘l’altra’ dello spirito” (I, 72). Diceva Romano Guardini nella sua opera
Mondo e persona che il pensiero moderno è strutturata in torno a tre figure:
la natura, il soggetto e la cultura. La natura è ciò che troviamo, ciò
che ci è stato dato. Essa viene trasformata dal soggetto umano
libero, a livello personale e collettivo, e questo processo dà vita a ciò
che chiamiamo cultura.
Detto un po’ semplicisticamente, nelle visioni classiche della legge naturale il
dono della natura determinava tout court la prassi della vita umana;
conteneva già, programmata e chiara, il profilo intero del impegno etico umano.
L’uomo doveva semplicemente obbedire la natura, e così obbediva a Dio che
l’aveva creato. La modernità invece, a partire da tempi rinascimentali, ci ha
convinto che l’agire libero del soggetto umano non solo rese possibile la
conformità del soggetto con la immutabile natura, ma anche che l’agire umano
‘crea’ (se è giusta questa parola) qualcosa di nuovo, di differente, di più
ricco dell’originale. L’uomo libero crea appunto cultura, che è
considerato come qualcosa di superiore alla natura e autonomo rispetto ad essa.
Alla fin fine, lungo la modernità, la cultura, come prodotto dell’agire umano
libero, sostituisce in qualche modo alla natura, e occupa il suo posto,
rendendolo sempre meno rilevante (si veda I, 71). In questo modo le leggi e
dinamiche della cultura prevalgono su quelle della natura. In effetti, nella
riflessione filosofica, da Cartesio a Kant e fino ai nostri giorni, la
riflessione etica tende a considerare la ‘natura’ a livello meramente materiale,
e la ‘cultura’ a livello piuttosto formale. In versione estrema questo fenomeno
si dà negli scritti di Marx, Nietzsche, Sartre e Foucault. Ci si invita a
trasformare il mondo, superando con fermezza le costrizioni pesanti imposte
dalla natura del mondo.
La problematica attuale con la ‘legge naturale’, dunque, riguarda l’esteriorità
della natura rispetto all’agire umano, e la centralità della cultura umana. E la
domanda viene fuori: come si rapporta la natura creata con l’agire libero delle
persone? Quale è il logos che interpella la volontà umana? Dove è situato
tale logos? Nella natura oppure nello spirito? Nel documento questa
dinamica si esprime così: “La libertà suppone che la volontà umana sia ‘messa
sotto tensione’ dal desiderio naturale del bene e del fine ultimo. Il libero
arbitrio si esercita allora nella scelta degli oggetti finiti che consentono di
raggiungere tale fine” (I, 77).
L’odierno dibattito ecologico rende urgente queste domande (si veda I, 1, 10,
81-82) perché ci rende consapevoli che la natura non è qualcosa di infinitamente
flessibile e malleabile. Essa accoglie l’intervento umano ma anche lo può
rifiutare. Ha le sue regole, la dinamica propria ed esige rispetto. Si capisce
che i tentativi di modificare la natura volontariamente non deve produrre
necessariamente uno sviluppo, un progresso, ma una distruzione, un’abuso, un
andare in dietro. Si tratta di considerare in profondità la dinamica della
libertà umana che produce la cultura nei suoi confronti con la natura.
Per gli stoici il libero agire umano non cambia la natura (I, 21, 26); essa è
troppo massiccia, troppo solida, troppo inamovibile. La natura va rispettata in
modo incondizionato. Anzi, va obbedita. Come diceva Seneca, ducunt volentem
fata, nolentem trahunt: “il destino conduce chi vuole, e trascina chi non
vuole” (Epist. 107, 10). E Marco Aurelio ‘prega’ così nei confronti del
cosmo: “tutto ciò che è in armonia con te, o cosmo, armonizza con me. Ciò che
per te è nel giusto momento, anche per me non è né troppo presto né troppo
tardi. Per te sono tutte le cose, in te sono tutte le cose, a te tutto ritorna”
(Soliloquia 4, 103).
Allora quale ruolo gioca la libertà umana nei confronti della natura creata
nella visione cristiana? Come viene costruita la cultura umana? Bisogna capire
che la natura nella sua stabilità non è qualcosa che sta lì, disponibile,
passiva, come ‘materia prima’, da manipolare come si vuole. È il frutto della
creazione divina, il risultato dell’opera creatrice del Trinità, e Dio, tramite
essa, interpella l’uomo. La natura è dono dall’altro, dono dell’esistenza. Si
veda il mio libro God’s Gift of the Universe (Washington D.C., 2022). E
la libertà umana si confronta con la natura precisamente nel suo essere donato,
donato da Dio. Perciò si può dire che l’agire libero dell’uomo, che plasma la
cultura e arricchisce la medesima natura, si può considerare innanzitutto come
accoglienza del dono. Appunto accogliendo il dono di Dio liberamente,
l’uomo si arricchisce, cresce, e con lui, le altre persone, e poi anche la
cultura. L’agire libero certamente non può creare il mondo… solo Dio lo
può fare. Però può cambiare, trasformare, il mondo e la cultura perché l’uomo è
in grado di aprirsi alle fonti inesauribili della generosità divina. Forse si
può dire che il cuore dell’agire libero dell’uomo sta nella ricettività, e
quindi nella riconoscenza del dono ricevuto.
Però è anche possibile che l’uomo possa liberamente rifiutare di ricevere il
dono della natura creata. Con tutto, il dono interpella, non obbliga. Inoltre,
non basta agire liberamente per agire bene. Allora in che cosa consiste
l’accoglienza valida, arricchente, del dono divino della natura creata, e il suo
corrispondente rifiuto? Se tutto è dono, dove si concretizza l’accoglienza, e
dove il rifiuto? C’è qualche altra istanza?
Qui dobbiamo considerare il fatto che la libera volontà umana va preceduta
sempre dall’istanza razionale, dal logos presente nelle cose che il
soggetto conosce. Appunto Dio lascia la sua impronta, i suoi suggerimenti, la
sua volontà, nella natura da lui creato, il ‘libro’ della natura. Così
l’accoglienza libera diventa retta, arricchente, divinizzante, quando l’uomo si
sforza per ‘leggere’ la volontà del Creatore proprio a partire della natura da
Lui creata. Così l’agire retto dell’uomo diventa un’obbedienza libera,
arricchente e filiale alla gentile ed insistente voce di Dio presente nella
natura creata. Per questa ragione, la legge di Dio, presente nella natura, è
anteriore a qualsiasi determinazione giuridica (I, 18).
Questo ci porta al secondo documento, sulla libertà religiosa. Più che mai si
tratta di un tema candente, perché è in gioco la pacifica convivenza tra i
popoli, tra tutti gli 8000 milioni di persone che attualmente abitano sulla
terra. Il punto fondamentale è questa: la verità presente nelle cose, presente
nella natura che Dio ci ha dato, non può essere imposto a nessuno. E non
solo perché non il soggetto non lo ‘vuole’ ma perché lo vieta la sua dignità
umana da cui scaturisce il dovere di cercare la verità, di svilupparsi nel
più profondo come un’essere religioso, rispettando i limiti di ogni potere umano
(II, 17-21). La verità su Dio e sul mondo, presente nella natura creata (e non
solo), deve essere conosciuto serenamente, accolto liberamente, attuata in
coscienza. Appunto nella coscienza si percepisce la voce di Dio per me, il che
non esclude il ruolo delle mediazioni create (II, 39s.). Dice il documento della
Commissione Teologica: “se è vero che la libertà cresce con la verità, è
altrettanto evidente che la verità ha bisogno di un clima di libertà per
fiorire” (II, 41).
La nozione che la verità non va imposta sul soggetto umano è di particolare
importanza per la religione cristiana che è destinata ad un impegno universale
di evangelizzazione. Altre forme religiose non condividono questo profilo,
poiché limitate culturalmente e geograficamente, o semplicemente perché
impostano diversamente l’antropologia, ad esempio per quanto riguarda il peso
che si dà alla libertà umana. Però il Signore stesso ha dato ai credenti il
mandato imperativo di evangelizzare in tutta la terra (Mt 28,20).
L’evangelizzazione universale è la ragione di essere della vita della Chiesa,
come è stato messo in rilievo tante volte dai recenti pontefici, e in particolar
modo da Papa Francesco. Un apostolato cristiano, mosso dallo Spirito, che
predica la salvezza e l’amore di Dio a tutti gli uomini… un impegno sconfinato
nei confronti del quale i cristiani non si possono tirare indietro, che richiede
però un rispetto grande per la libertà personale del singolo, alla sua dignità.
Questo sì: con tutte le tentazioni che ci si presentano: di manipolazione, di
forzature, di impazienza, di minacce, di abusi di coscienza, etc. Ecco la sfida
della libertà religiosa.
In realtà, e con questo concludo e allo stesso tempo ricomincio, il tema di
fondo della libertà religiosa, si identifica semplicemente con quella della
dinamica della libertà umana stessa, radicata nella dignità che Dio ha dato a
tutti gli uomini. E così vediamo come i temi trattati nei due documenti si
collegano in profondità.
Paul O’Callaghan
Pontificia Università della Santa Croce |