COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE DIGNITÀ E DIRITTI DELLA PERSONA UMANA * (1983)
Introduzione 1. Importanza e significato della presente ricerca La missione della chiesa è di annunziare il kerygma della salvezza per tutti gli uomini, operata da Cristo crocifisso e risorto. Tale salvezza trova la sua prima origine nel Padre, che ha inviato il proprio Figlio come redentore, e viene comunicata alle persone umane concrete come partecipazione alla vita divina, mediante l’infusione dello Spirito. L’accettazione del kerygma cristiano esige un’adesione di fede e la nuova vita conferita mediante la grazia implica una conversione che comporta molteplici conseguenze in ogni campo d’attività del credente. In questa prospettiva la chiesa colloca — e non può non farlo — la proclamazione e l’insegnamento sulla dignità e i diritti della persona umana, che i cristiani devono fedelmente rispettare in ciascun uomo. Tale dovere e tale diritto del popolo di Dio a proclamare e a difendere la dignità della persona umana s’impongono in maniera particolare ai nostri giorni, quando sono evidenti, da un lato, la crisi profonda dei valori umani e cristiani e, dall’altro, la presa di coscienza, più viva e profonda da parte di tutti, delle ingiustizie commesse contro la persona umana. Di tale dovere e di tale diritto parla chiaramente il nuovo Codice di diritto canonico al can. 747: «È compito della chiesa annunciare sempre e dappertutto i principi morali anche circa l’ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime ». Oggi, nella predicazione, nell’attività e nella vita della chiesa, si attribuisce giustamente e con vigore un’importanza tutta particolare ai diritti dell’uomo. A siffatto dinamismo la Commissione Teologica Internazionale intende associarsi nella misura delle proprie possibilità. Dopo aver segnalato gli equivoci da evitare (cf. più sotto i nn. 2-3) si proporranno alcune tesi della dottrina teologica in materia, soprattutto quella contenuta nella Sacra Scrittura (A, I, 1) e nell’attuale magistero romano (A, I, 2). Emergeranno così due grandi linee di pensiero, ispirate, la prima, al « diritto naturale delle genti » [1], e l’altra alla teologia della storia della salvezza. A questo secondo genere di considerazioni, particolarmente attuali, verrà riservata una speciale attenzione, affinché si possa vedere come, per ognuno di noi e per gli altri, la dignità umana debba esser considerata nell’uomo creato (A, II, 1), peccatore (A, II, 2), redento (A, II, 3). Nella terza parte, infine, ci si confronterà con alcune situazioni concrete (B, I, 1-4) e si proporranno alcune riflessioni filosofiche (B, II, 1) e giuridiche (B, II, 2). 2. Gerarchia dei diritti umani Certi diritti dell’uomo sono così fondamentali che mai possono essere ricusati senza che sia messa in pericolo la dignità stessa della persona [2]. In quest’ottica il Patto internazionale del 1966 [3] afferma che certi diritti non possono mai essere violati, come per esempio « il diritto alla vita » (art. 6), « la dignità inerente alla persona umana » e « l’eguaglianza fondamentale » (art. 16), « la libertà di pensiero, di coscienza e di religione » (art. 17). Sotto certi aspetti [4], la libertà religiosa può considerarsi come il fondamento d’ogni altro diritto, benché altre opinioni attribuiscano tale priorità all’eguaglianza di tutti gli uomini. Altri diritti si collocano a un livello inferiore [5], ancorché siano essi pure in radice essenziali, come a esempio, per alcune categorie particolari di persone, certi diritti civili, politici, economici, sociali, culturali. Sotto certi aspetti, infatti, essi possono talora apparire solo come conseguenze contingenti dei diritti fondamentali, come condizioni pratiche della loro applicazione perfetta, ma anche legate a circostanze storiche e geografiche. Perciò, simili diritti possono sembrare meno intangibili, soprattutto in circostanze difficili, purché non si giunga in tal modo a negare gli stessi diritti fondamentali. Altri diritti dell’uomo, infine, si possono considerare come postulati dell’ideale che s’impone e del progresso voluto dalla comune generalizzazione dell’« umanizzazione », più che come esigenza del diritto delle genti e come norme strettamente obbligatorie. Simili diritti derivano dal « comune ideale » dell’umanità, cui devono aspirare i responsabili del bene comune e della vita politica, secondo il desiderio di tutti i cittadini, ricorrendo, se il caso lo esige, anche a « misure progressive di carattere internazionale » [6]. Nelle decisioni riguardanti l’applicazione pratica dei diritti minori, si terranno sempre presenti le esigenze del bene comune, cioè — come spiega la Gaudium et Spes al n. 26 — « l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione in maniera più piena e agevole ». 3. Diverse concezioni della « dignità della persona umana » L’espressione « dignità della persona umana », spesso ricorrente nelle presenti tesi, assume però significati diversi nel linguaggio odierno; è necessario perciò evitare ogni equivoco. Alcuni fanno consistere la dignità umana in un’assoluta autonomia, avulsa da ogni relazione con un Dio trascendente, quando non giungono a negare persino l’esistenza d’un Dio creatore e provvidenza [7]. Altri, invece, riconoscono sì la consistenza e il valore dell’uomo, come pure la sua autonomia relativa, e insistono sul rispetto delle libertà personali; però affermano che il fondamento ultimo di tale autonomia e di tali libertà si trova nella relazione dell’uomo con la trascendenza suprema divina, anche se di quest’ultima danno poi diverse interpretazioni [8]. Altri, infine, si riferiscono alla teologia della storia della salvezza per trovare l’origine e il vero significato della dignità dell’uomo. Pur tenendo conto del peccato (cf. Tesi A, II, 2), cercano d’illuminare il mistero o la condizione dell’uomo mediante l’incorporazione degli uomini in Gesù Cristo, perfetto Dio e perfetto uomo [9]. A) Teologia della dignità e dei diritti dell’uomo I. L’apporto di alcune fonti teologiche 1. Prospettive bibliche La Sacra Scrittura non parla evidentemente dei diritti dell’uomo, secondo il nostro vocabolario di oggi; però pone alcune premesse, da cui è possibile dedurre una dottrina più evoluta sulla dignità e sui diritti della persona umana. I fondamenti della vita morale e sociale del popolo d’Israele sono costituiti da un patto, da un’alleanza tra Dio e le sue creature. Nella sua misericordia verso gli uomini deboli e poveri, Dio rivela la sua « giustizia » (sedaqua Iahweh), ma esige dagli uomini, quale contropartita, l’obbedienza ai suoi precetti. L’osservanza di tale legge include il rispetto per i diritti degli altri uomini per ciò che riguarda la vita, l’onore, la verità, la dignità del matrimonio, l’uso dei propri beni; e si devono rispettare in maniera tutta speciale gli anawim Iahweh, cioè i poveri e gli oppressi. Così, in cambio dei suoi doni, Dio esige dall’uomo un’identica disposizione spirituale di misericordia e di fedeltà (hesed weemeth). Ai diritti delle persone corrispondono le responsabilità e i doveri degli altri, come dimostrerà in seguito l’Apostolo Paolo, quando compendierà nella carità il significato più profondo della seconda parte del decalogo dell’Antico Testamento (Rm 13, 8-10). Nell’Antico Testamento stesso, i profeti hanno sottolineato la necessità di adempiere dal profondo del proprio cuore (Ger 31, 31-39; Ez 36) le clausole morali dell’alleanza; e hanno protestato con vigore contro le ingiustizie sia delle nazioni, sia delle persone. Hanno suscitato la speranza del popolo in un Salvatore futuro. Questo regno di Dio, nuovo e insieme definitivo, Gesù lo ha predicato e realmente instaurato nella sua persona e nei suoi atti. Egli esige una metanoia da parte dei Discepoli; annunzia loro la nuova giustizia, mediante la quale essi imiteranno il Padre celeste (cf. Mt 5, 48; Lc 6, 36); e in conseguenza della quale considereranno e tratteranno tutti gli uomini come fratelli. Gesù ha preso le parti dei poveri e dei miseri; ha condannato la durezza del cuore dei superbi e dei ricchi che ripongono la loro speranza nei propri beni. Nelle sue parole e nel suo esempio Gesù, al momento della sua morte e della sua risurrezione pasquale, ha assunto l’atteggiamento attivo della « pro-esistenza », cioè del dono totale e del sacrificio della propria vita per gli altri. « Non considerò un tesoro geloso » (Fil 2, 6) il fatto di possedere tutti i diritti divini e umani; ma rinunciò a imporli e così, « spogliò se stesso » (ivi, 2, 7). « Facendosi obbediente sino alla morte » (ivi, 2, 8), ha sparso e offerto per il bene di tutti gli uomini il proprio sangue in una « nuova alleanza » (Lc 22, 20). Gli scritti apostolici mostrano la chiesa dei discepoli di Gesù come una nuova creazione realizzata dallo Spirito Santo. Mediante la sua azione, infatti, le persone umane vengono arricchite della dignità di figli adottivi di Dio. In rapporto agli altri uomini, i frutti dello Spirito nel cristiano sono: carità, pace, pazienza, bontà, benevolenza, dominio di sé, longanimità e dolcezza; d’altro canto, questa trasformazione interiore e morale esclude le inimicizie, le discordie, le rivalità, la collera, le risse, i dissidi, le divisioni, le invidie, gli omicidi (cf. Gal 5, 19-23). 2. Il magistero romano contemporaneo Ai nostri giorni, il supremo magistero romano della chiesa cattolica difende con forza e con numerosi interventi la dignità della persona umana e i diritti degli uomini. Ricordiamo soprattutto l’insegnamento e il costante zelo dei pastori romani Giovanni XXIII (Pacem in terris), Paolo VI (Populorum Progressio), Giovanni Paolo II (Redemptor Hominis, Dives in Misericordia, Laborem Exercens i discorsi pronunciati in tutto il mondo in occasione delle visite pastorali). Singolare attenzione meritano pure gli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, specie la costituzione pastorale Gaudium et Spes, ai nn. 12 ss. (consacrati alla dignità umana) e al n. 41 (ove si tratta sistematicamente dei diritti dell’uomo). Il nuovo Codice di diritto Canonico, promulgato nel 1983 e che, in qualche modo, è l’ultimo atto del Concilio Vaticano II [10], riserva una particolare trattazione ai « doveri e diritti di tutti i fedeli cristiani » nella vita della chiesa (cann. 208-223). In questa predicazione apostolica contemporanea si evidenziano due linee principali, peraltro complementari. La prima che potrebbe dirsi ascendente, riguarda il diritto naturale delle genti, basato su considerazioni e argomenti di ragione, ma confermato ed elevato dalla rivelazione divina, con la forza del Vangelo. Sotto quest’aspetto, l’uomo appare non come un oggetto o uno strumento che altri potrebbero manipolare, ma come fine intermedio, il cui bene va considerato in sé e in rapporto a Dio. L’uomo, infatti, è dotato di un’anima spirituale, di ragione, di coscienza, di senso di responsabilità; ed è chiamato a partecipare attivamente alla vita della società. I rapporti tra gli uomini, quindi, devono esser tali che questa dignità fondamentale dell’uomo sia rispettata in ogni persona, la giustizia e la benevolenza siano universalmente osservate e, nella misura del possibile, si possa venire incontro alle necessità di tutti. Discendente, invece, possiamo definire l’altra linea dottrinale che ritroviamo nell’insegnamento apostolico odierno. Infatti, alla luce del Verbo che ha assunto la condizione umana e le esigenze del sacrificio pasquale, appaiono il fondamento e l’ampiezza dei diritti dell’uomo. Grazie all’intervento divino tutti gli uomini sono arricchiti della dignità di figli adottivi di Dio e diventano insieme soggetti e beneficiari della giustizia e della carità suprema. Questo fondamento cristologico dei diritti dell’uomo sarà oggetto d’uno studio particolare nelle tesi seguenti, che metteranno in rilievo la luce e la grazia della teologia della storia della salvezza. Qui basti accennare come il « principio di reciprocità », che in molte tradizioni religiose e filosofiche viene presentato come fondamento dei diritti dell’uomo, riceva un senso cristologico nella predicazione di Gesù: « Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro [...] »; « ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro » (Lc 6, 36 e 31). II. La luce della teologia della storia della salvezza 1. L’uomo considerato come creatura Secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, una particolare attenzione va riservata alla teologia della storia della salvezza, ricercando i legami esistenti tra questa « teologia » e la nostra dignità umana. Questa, infatti, riceve una singolare illuminazione se considerata nella luce di Cristo Creatore (Gv 1, 3), incarnato (ivi, 1, 14), « messo a morte » anche « per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione » (Rm 4, 25). Consideriamo dunque innanzitutto l’uomo come un essere creato da Dio. Qui si manifestano quella sapienza, potenza, bontà di Dio, spesso ricordate dalla Sacra Scrittura (specialmente Gn 1-3) e di fronte a cui, del resto, neppure la ragione umana rimane indifferente (Rm 1, 20). Infatti quando, sotto certi aspetti, si considera l’uomo come una creazione di Dio, si notano singolari convergenze tra questa dottrina teologica, da un lato e la filosofia metafisica e morale, dall’altro. Nella presentazione biblica della creazione dell’uomo tre aspetti assumono eccezionale rilevanza. Preso nella sua integralità, l’uomo appare storicamente — nello stesso tempo — spirito, anima e corpo (1 Ts 5, 23). Egli non è il semplice prodotto dell’evoluzione generale della materia ma un effètto specialissimo dell’azione di Dio, perché è stato creato a « sua immagine » (Gn 1, 27). L’uomo non è solo un essere corporeo, ma è anche un’intelligenza che cerca la verità, una coscienza e una responsabilità, grazie a cui deve tendere al bene, secondo le possibilità del suo libero arbitrio. In queste differenti prerogative trova fondamento quella dignità che si ritrova in tutti gli uomini, e che in ognuno di loro dev’essere rispettata. Infatti — e in ciò consiste il secondo elemento caratteristico dell’esposto biblico —, le persone umane sono create in una dimensione sociale, nella diversità dei sessi (Gn 1, 27; 2, 24), che è il fondamento dell’unione coniugale in una donazione d’amore e di rispetto tra i coniugi e verso i figli che nasceranno da tale amore umano, considerato in ogni sua dimensione. Le famiglie si riuniscono in unità più vaste, in comunità e in società, nelle quali deve esserci un identico rispetto verso le persone. Perché creati da Dio e perché dotati delle medesime qualità caratteristiche e fondamentali, tutti i membri del genere umano sono degni della massima considerazione. « Dall’indole sociale dell’uomo — sottolinea la Gaudium et Spes al n. 25 — appare evidente come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti. Infatti, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e dev’essere la persona umana, come quella che di sua natura ha assolutamente bisogno della vita sociale ». Una terza caratteristica dell’uomo, considerato nel suo stato di « natura creata », consiste nella missione affidatagli da Dio, di dominare (Gn 1, 26) tutti gli esseri dell’universo, in qualità quasi di « reggente » delle realtà terrestri ». Così l’uomo sviluppa la propria dignità in molteplici maniere, inventando le tecniche, creando le belle arti, le scienze, le culture, le filosofie, ecc. E in ciò non può non esser presente pure la preoccupazione per i diritti dell’uomo, poiché tutte le attività devono essere condotte in modo tale che ogni persona umana goda di un’identica parità nella ripartizione delle corresponsabilità, degli impegni e dei profitti. « Quanto più cresce la potenza degli uomini — spiega la Gaudium et Spes, al n. 34 — tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità individuale e collettiva ». 2. L’uomo in quanto peccatore Nel secondo stadio della storia della salvezza, c’incontriamo con la realtà del peccato, come scrive San Paolo nella Lettera ai romani (1, 21): « Pur conoscendo Dio, gli uomini non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa ». Calpestando la giustizia verso Dio e verso i fratelli, essi, contro ogni ragione, hanno preferito l’egoismo, lo spirito di dominio, le ricchezze ingiustamente acquisite, il rifiuto delle responsabilità e i falsi piaceri d’ogni specie. Un simile comportamento genera nei cuori quella cecità interiore, che la chiesa oggi non cessa, nel suo magistero, di denunciare come la perdita del « senso del peccato », fenomeno piuttosto diffuso ai nostri giorni. Da questo gravissimo vuoto morale può nascere il pericolo che la pratica e la rivendicazione dei diritti dell’uomo spesso rimangano sterili. Talvolta, infatti, si rischia di orientare tutti gli sforzi verso il cambiamento delle « strutture del peccato », senza nessuna allusione alla necessità di convertire i cuori. Non possiamo dimenticare che tali strutture sono normalmente frutto di colpe personali, che hanno la loro radice nello stesso peccato originale e come un accumulo di colpe, vengono talora definite come il « peccato del mondo ». Anzi, a causa soprattutto del costante ripiegamento egoistico su di sé provocato dal peccato, l’uomo d’oggi, quanto più dispone di maggiori possibilità tecniche ed economiche, tanto più è tentato di atteggiarsi a padrone assoluto (e non come un amministratore delegato, dipendente da Dio), creando strutture sempre più oppressive nei confronti degli altri. Proclamando la dottrina del peccato in tutta la sua integralità, la chiesa esorta gli uomini alla conversione del cuore (metanoia), affinché abbandonino ogni ingiustizia e seguano la giustizia in tutta la sua ampiezza. Questa giustizia deve riconoscere i diritti tanto di Dio-Padre quanto degli uomini-fratelli. Così intesa, la predicazione della dottrina del peccato costituisce un valido contributo alla promozione dei diritti della persona umana. Grazie a tale dottrina, i cristiani possono arrecare un contributo originale all’impegno universale oggi in atto per far applicare questi diritti. Nel dinamismo della predicazione ecclesiale, si ricordano il peccato e il suo influsso determinante sulle « strutture del peccato », non per indurre al pessimismo, ma perché si ricerchino i mezzi per ricuperare e ripristinare la dignità umana nella grazia del Cristo, offerta a tutti. La « natura decaduta » è storicamente un’attesa della redenzione. D’altronde, questa natura decaduta non va considerata — neppure negli individui più scellerati — come priva d’ogni diritto e dignità, o incapace di qualsiasi azione positiva nella vita sociale (cf. Rm 2, 14). È un’immagine di Dio, certo deformata, ma pur sempre capace d’essere riformata mediante la grazia; anche prima che questo rinnovamento avvenga, essa conserva i propri diritti e va esortata a promuovere il bene proprio e della società. Quest’invito, evidentemente, non dev’essere presentato in modo tale che gli uomini ripongano ogni loro speranza unicamente nella riuscita terrena. Il cristiano gode della certezza della speranza teologale, non per quanto riguarda le realtà « penultime », quelle cioè di questo mondo, ma per le realtà ultime. Egli deve sforzarsi costantemente di migliorare la società, anche se forse — sull’esempio di Cristo — raccoglierà solo i frutti terreni della croce e dell’insuccesso umano. Anche in questa sua conformità al Crocifisso, ogni uomo che cerchi la giustizia prepara il regno escatologico di Dio. 3. L’uomo redento da Cristo La singolare importanza della « teologia della storia della salvezza », insegnata dal Concilio Vaticano II, si rende evidente quando si considerano gli effetti della redenzione acquisiti da Cristo Signore. Nella sua croce e risurrezione, Cristo redentore dona agli uomini la salvezza, la grazia, il dinamismo della carità, e offre anche più facile accesso alla partecipazione della vita divina; e, « per ciò stesso, — come spiega la Gaudium et Spes, al n. 38 — anche ispira, purifica e fortifica quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra ». Questi doni, queste responsabilità e diritti, Cristo li comunica alla « natura umana redenta », e nel contempo invita tutti affinché « mediante la fede che opera per mezzo della carità » (Gal 5,6), s’integrino nel suo mistero pasquale. « Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli » (1 Gv 3, 16), senza più indulgere all’egoismo, all’invidia, all’avarizia, a ogni tipo di desideri sregolati, all’ostentazione del lusso, alla concupiscenza degli occhi e alla superbia della vita (ivi, 2, 16). Da parte sua, l’apostolo Paolo descrive questa morte al peccato e questa nuova vita « nel Cristo » in maniera tale, che i discepoli del Signore evitino ogni ostentazione o affettazione (cf. Rm 12, 3). Come membri della comunione cristiana, rispetteranno la diversità della vocazioni e dei doni rendendo giustizia a ognuno (ivi, 12, 4-8), « amandosi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiando nello stimarsi a vicenda » (ivi, 12, 10), « avendo i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri, non aspirando a cose troppo alte e piegandosi invece a quelle umili [...], senza rendere a nessuno male per male, cercando di compiere il bene non solo davanti a Dio ma davanti a tutti gli uomini » (ivi, 12, 16s; 6, 1-14; 12, 3-8). L’insegnamento, gli esempi, come anche il mistero pasquale di Gesù, confermano gli sforzi con cui gli uomini cercano essi stessi di costruire un mondo più conforme alle esigenze della dignità umana, d’essere più giusti e retti. Il cristianesimo è un’istanza critica nei confronti delle deformazioni che potrebbero presentare gli sforzi umani, quando raggiungono l’eccesso dell’utopia o quando si ricorre a mezzi contrari al Vangelo; offre prospettive che vanno oltre gli sforzi umani, i quali restano chiusi entro i propri limiti. Infatti, il Vangelo dà un nuovo fondamento religioso, specificamente cristiano, alla dignità e ai diritti della persona, e apre nuove e più ampie prospettive agli uomini, considerandoli come veri figli adottivi di Dio e come fratelli in Cristo crocifisso e risorto. Cristo è stato, ed è, presente in tutta la storia umana. « In principio era il Verbo [...]. Tutto è stato fatto per mezzo di lui» (Gv 1, 1-3); « Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose nei cieli e sulla terra » (1 Cor 1, 15s; cf. 1 Cor 8, 6; Eb 1, 1-4). Nella sua incarnazione, ha conferito alla natura umana una dignità senza pari. Così, il Figlio di Dio si è in qualche modo unito a ogni uomo [11]. Nella sua esistenza terrena, si è reso partecipe della condizione umana in ogni suo aspetto, tranne il peccato. Nei suoi patimenti corporali e spirituali, sofferti durante la passione, ha condiviso con noi la nostra condizione umana. Il suo passaggio dalla morte alla risurrezione è anche un nuovo dono da comunicare a tutti gli uomini. In Cristo, morto e risorto, si trovano le primizie dell’uomo nuovo trasformabile e trasformato in una condizione superiore. Così dunque ogni cristiano, nel proprio animo e nella vita concreta, deve conformarsi alle esigenze della nuova vita e comportarsi secondo le esigenze della « dignità cristiana ». Sarà particolarmente sollecito nel rispettare i diritti di tutti gli uomini (Rm 13, 8-10). Secondo la legge di Cristo (Gal 6, 2) e secondo il comandamento nuovo della carità (cf. Gv 13, 34), non cercherà il proprio interesse, fuggirà ogni egoismo (cf. 1 Cor 13, 5). Nell’uso dei beni terrestri, il cristiano deve collaborare alla rivelazione della gloria della creazione, liberandola dalla schiavitù della corruzione del peccato (cf. Rm 8, 19-25), per servire la giustizia nei confronti di ogni uomo, mediante i « valori della dignità umana, della fraternità e della libertà » [12]. In tal modo come, per certi aspetti della nostra vita terrena, col peccato « abbiamo portato l’immagine del primo uomo di terra », così già sin d’ora con una vita nuova dobbiamo portare « l’immagine dell’Adamo celeste » (cf. 1 Cor 15, 49) che invariabilmente « pro-esiste » per il bene di tutti. B) Confronti e proposte I. Raffronti 1. Diversità delle condizioni concrete delle persone Dopo aver esposto la specifica dottrina cristiana sulla dignità e i diritti della persona umana, quale risulta dalla teologia cattolica contemporanea, la Commissione Teologica Internazionale ritiene opportuno esaminare la stessa tematica da angolazioni diverse, pertinenti ad altre discipline nonché a culture e ad ambienti sociali, economici e politici di oggi, nel cosiddetto primo, secondo e terzo mondo. L’idea della dignità della persona umana e dei diritti dell’uomo s’è andata sviluppando per buona parte sotto l’influsso della dottrina cristiana in campo antropologico; ha trovato conferma nelle dichiarazioni universali del nostro secolo, e oggi essa viene rifiutata o conculcata sempre più frequentemente e in modo gravissimo, sia per le errate interpretazioni di tali testi, sia per le violazioni che ne impediscono l’applicazione. « Se passiamo in rassegna l’ultimo trentennio — scriveva recentemente Giovanni Paolo II — abbiamo più d’una buona ragione per rallegrarci dei progressi realizzati in questo campo. Tuttavia, non possiamo ignorarlo, il mondo in cui oggi viviamo ci offre troppi esempi di situazioni d’ingiustizia e d’oppressione. È facile rilevare una crescente divaricazione tra le dichiarazioni molto significative dell’ONU, da un lato, e, dall’altro, un massiccio aumento delle violazioni dei diritti dell’uomo in ogni parte della società e del mondo » [13]. Riflettendo su tale situazione, il cristiano oggi vuole discernere il bene dal male, non già per condannare qualcuno, ma perché tutti diventino più coscienti e più efficienti nel promuovere il bene comune mediante l’osservanza e il rispetto dei diritti e della dignità della persona umana. Il cristiano invita tutti non solo ad accogliere il regno di Cristo, « regno di giustizia, d’amore e di pace », ma anche a stabilire dappertutto rapporti umani e conformi alla ragione. È cosciente, da un lato, della propria specificità e identità cristiana, che implica l’osservanza delle « leggi paradossali » del regno di Dio, già in questo mondo [14]; e d’altro lato, è cosciente della sua comunione profonda con tutti gli uomini di buona volontà. In questo spirito, dopo aver esaminato la situazione dei « tre mondi » in cui è divisa oggi l’umanità (B, I, 1-3), la Commissione Teologica Internazionale ha ritenuto di poter formulare due suggerimenti particolari anche per chi non condivide la fede cattolica. Il primo (B, II, 1) si pone sul piano generale della riflessione filosofica, tradizionale e contemporanea; il secondo, più concreto, mira a una migliore collaborazione internazionale, nonché a una maggiore tutela giuridica di tutte le libertà, anche di fronte ai poteri pubblici e ai governi che, in alcuni casi, potrebbero rivelarsi meno attenti nel tutelare le libertà individuali. 2. Il « primo mondo » Nel cosiddetto « primo mondo » [15], la dignità e i diritti dell’uomo sono proclamati con forza e si moltiplicano le iniziative per farli rispettare. Si tratta indubbiamente d’un progresso non trascurabile. D’altra parte, però, se questi diritti vengono interpretati in modo puramente formale e nel senso d’un’« autonomia » assoluta, si finisce con l’arrivare a una concezione della libertà che rischia di non promuovere sempre un’autentica dignità umana. Paradossalmente, la vera dignità e libertà possono venir stravolte, come dimostrano gli esempi che seguono. Molte società del primo mondo, sono assai ricche e garantiscono una grande libertà individuale ai loro membri. Tuttavia in esse si verifica pure una spinta al consumismo, che di fatto porta spesso all’egoismo [16]. Così, nelle società del primo mondo si smarrisce non di rado il senso dei valori superiori (naturalismo); ci si preoccupa unicamente di se stessi (individualismo); scompare la volontà di assoggettarsi alle norme morali (falsa autonomia [17], lassismo pratico, cosiddetto « diritto alla differenza »). Di conseguenza, molti mal sopportano le restrizioni imposte alla loro libertà, sia a motivo degli obblighi derivanti dal bene comune, sia dal rispetto dovuto ai diritti e alle libertà altrui; e così prevale un bisogno sfrenato di libertà, assunto a norma di vita sociale e morale [18]. Per di più, non si evitano, né si combattono abbastanza l’evidenti differenze sociali, esistenti tra i cittadini d’uno stesso paese. Benché tutto ciò non si ritrovi esclusivamente nel primo mondo, tuttavia bisogna riconoscere che questa mentalità porta a situazioni tali, per cui le nazioni più forti finiscono col far servire altre nazioni ai propri interessi, aprendo la via alla discriminazione dei diritti. A questo pulito risulta evidente che non basta formulare con cura le norme giuridiche e proclamarle solennemente. Del resto ciò sarà sempre insufficiente, se gli uomini non si convertono nel loro intimo e non s’impegnano, rinnovati nella carità di Cristo, a vivere secondo le esigenze della giustizia sociale e degli imperativi morali, accolti con la loro conversione. 3. Il « secondo mondo » Passando a studiare, dopo il primo, il « secondo mondo » — cioè quello caratterizzato dal prevalere del cosiddetto « socialismo reale » —, incontriamo non poche difficoltà, di cui la principale consiste forse nell’evoluzione del marxismo stesso e nella diversificazione delle teorie post-marxiste. Di questa evoluzione, noi qui consideriamo solo il marxismo che oggi è praticato in quei regimi politici particolari, in cui le costituzioni e le leggi implicano una visione dell’uomo e una prassi così differente, che i diritti dell’uomo sono riconosciuti, sì, a parole, ma dando a queste un significato del tutto diverso. Poniamo questo problema non a mero titolo informativo, quanto piuttosto a motivo della « co-esistenza » della cooperazione ohe si esige dai cristiani che vivono in quelle regioni, e dove essi, se come cittadini sono più o meno tollerati, tuttavia sono guardati con sospetto. Secondo il « materialismo storico », l’uomo non è creato da Dio, ma è il prodotto dell’evoluzione della materia; e il progresso del mondo si realizza unicamente quando le condizioni della produzione dei beni, dovuta al lavoro umano, cambiano a vantaggio del bene della collettività, modificando le strutture economiche, dalle quali, del resto, proviene e dipende ogni altra cosiddetta « sovrastruttura ». Per raggiungere questo felice risultato, gli individui devono inserirsi quanto più possibile nella collettività. Per quanto riguarda i diritti e le libertà dei cittadini del secondo mondo, si sottolineano soprattutto tre aspetti. In primo luogo, si esige da tutti che accettino la legge della necessaria evoluzione della materia, la quale si compie nella vita della collettività; ciò che viene concesso agli individui non può mai essere considerato come qualcosa di strettamente privato, ma dev’essere, in ultima analisi, ordinato a beneficio della collettività, come a essa appartenente, sempre alla luce della teoria d’un futuro collettivo, definito e perfetto. In secondo luogo, il criterio del bene e del male è dettato esclusivamente dal senso dell’evoluzione della « storia » a vantaggio della collettività. Infine la coscienza individuale dei cittadini non è una voce propria personale, ma è la voce della collettività in quanto riflessa negli individui. Si capisce, allora, che il vocabolario marxista relativo alla dignità dell’uomo, ai diritti, alla libertà, alla persona, alla coscienza, alla religione, ecc., abbia un significato tutto proprio completamente diverso, non solo dalla concezione cristiana, ma anche dalla concezione del diritto internazionale, quale si trova espresso nelle varie dichiarazioni o carte universali. Ma, nonostante queste difficoltà, è necessario instaurare e portare avanti un dialogo prudente ed efficace. 4. Il « terzo mondo» Altri problemi riguardano i diritti dell’uomo, come vengono percepiti nel cosiddetto « terzo mondo », dove le condizioni di vita sono evidentemente molto diverse, dal momento che i « nuovi popoli » vogliono valorizzare e conservare la propria cultura, aspirano ad accrescere l’indipendenza politica e a sviluppare il progresso tecnico ed economico. In tali paesi, perciò, prevalgono gli aspetti sociali dei diritti umani. Finito il periodo della colonizzazione — i cui effetti non mancano di molte ambiguità, e durante il quale sono state commesse non poche ingiustizie —, le giovani nazioni si aspettano ora, giustamente, una giustizia maggiore sia nei rapporti economici, sia nelle questioni politiche. Essi ritengono che i diritti d’una piena giustizia internazionale spesso non siano loro pienamente riconosciuti; che il potere e il peso politico di cui godono siano spesso inferiori a quelli dei paesi del primo e del secondo mondo. Raramente un paese povero è in grado di esercitare pienamente i diritti della propria sovranità, se non si allea con questa o quella nazione più ricca e più potente, la quale però cerca allora d’imporre la propria egemonia. Sul piano internazionale le condizioni economiche e commerciali sono spesso sottoposte a clausole ingiuste, come avviene, per esempio, nel caso della vendita dei prodotti agricoli o della remunerazione degli operai dipendenti da società commerciali straniere e internazionali. Minimi sono per lo più gli aiuti concessi dalle nazioni ricche, le quali non di rado manifestano nei confronti dei paesi poveri una durezza di cuore, già stigmatizzata dalla predicazione dei profeti e dallo stesso Signore Gesù. È raro che i valori delle culture indigene siano apprezzati come un bene in sé o a livello internazionale. Ovviamente, simili carenze si riscontrano anche tra gli stessi paesi del terzo mondo, e vanno rimosse affinché si possa realizzare un genuino progresso. In simili circostanze, è urgente che la Chiesa cattolica rechi la sua testimonianza a favore di quanti sono gravati da tante difficoltà. II. Proposte e speranze 1. Le tendenze filosofiche personalistiche Come s’è visto, difficoltà non di poco conto permangono circa il significato autentico dei diritti dell’uomo e la loro applicazione, nel primo, nel secondo e nel terzo mondo. A queste difficoltà — lo abbiamo già ricordato (B, I, 1) — i cristiani d’oggi devono opporre (come ricorda la Lumen Gentium, al n. 25) sia il vigore « della fede in cui credono e che devono applicare nella pratica della vita », sia la forza illuminante della teologia e della filosofia cristiana. Senza dimenticare però, il necessario aiuto, sia pratico (sul piano del diritto internazionale; cf. B, II, 2), sia dottrinale (cf. quanto detto in A, I-II). Nel campo della filosofia, in modo particolare, la Commissione Teologica Internazionale vorrebbe sottolineare i valori propedeutici e dottrinali presenti nelle attuali tendenze del personalismo, soprattutto quando esse si radicano (come ricorda la Optatam Totius, al n. 15) « nel patrimonio filosofico perennemente valido » e si trovano così sorrette dalla dottrina tradizionale. Contro il naturalismo materialista (cf. B, I, 3) e l’esistenzialismo ateo, il « personalismo comunitario » sostiene che l’uomo è, per sua stessa natura o per un modo di essere più alto, orientato verso una finalità che supera il processo fisico di questo mondo. Tale personalismo differisce radicalmente dall’individualismo, sottolinea la natura sociale dell’uomo, considerando l’individuo, in primo luogo, in relazione con gli altri individui e, in secondo luogo soltanto, in relazione con le cose. La persona, in quanto tale, non può esistere né può raggiungere il pieno sviluppo, se non nell’unione e nella comunicazione con gli altri uomini. Così intesa, la comunità personalistica differisce notevolmente da quelle società meramente politiche o da quei gruppi sociali che disattendono le realtà spirituali e un’autentica autonomia. In tale prospettiva, è utile ricercare il fondamento di questo personalismo nella tradizione e nella filosofia cristiana, in particolare nella dottrina di San Tommaso; e per facilitare la ricerca ricorderemo come, secondo l’insegnamento dell’Angelico, le sostanze naturali esistono proprio allo scopo di operare. Le azioni, infatti sono la perfezione degli esseri. Tra le realtà naturali, all’uomo — proprio perché intelligente e libero — spetta un posto privilegiato. In quanto sostanza razionale, l’uomo ha il dominio delle sue azioni e perciò si onora d’un nome che ne esprime la dignità, quello di persona. Di conseguenza, l’uomo non compie solo operazioni comuni a quelle degli animali, ma anche, azioni specifiche che appartengono a lui solo, frutto della ragione e della volontà. Essendo persona libera, l’uomo deve realizzare la sua vocazione, dopo averla conosciuta con la ragione. Da questa conoscenza, tuttavia, l’uomo non viene determinato in una sola direzione, ma rimane libero di scegliere il proprio modello di vita e il suo cammino. Ogni persona, dunque, si definisce anche per la vocazione che deve seguire e per il fine che deve raggiungere. Gli obblighi che derivano all’uomo dal suo essere personale vengono proposti come doveri da compiere. Questo compito (o necessità), che l’uomo può accettare o rifiutare, esige innanzitutto che egli sia cosciente di ciò che veramente è, e che viva in modo conforme alla nobiltà del suo essere. Una simile responsabilità dell’uomo può essere compresa meglio alla luce della religione, perché ciò che la persona umana è e ciò che la sua dignità comporta va visto alla luce del disegno di Dio. Perciò, possiamo dire che attendere alla propria perfezione è lo stesso che obbedire alla volontà divina. Dunque, prima di tutto, occorre ricercare quale e che genere di perfezione sia da ritenere come fine ultimo della persona umana. La questione pone due problemi: in quale realtà troverà l’uomo la propria perfezione (finis qui)? Attraverso quale via potrà raggiungere ciò che lo rende felice (finis quo)? Secondo il personalismo, la realtà che l’uomo deve raggiungere è un’altra persona e la via attraverso cui ricercare la perfezione è l’amore. L’amore infatti crea l’unione. Sebbene una persona sia sempre unica e la medesima (l’« io ») e rimanga quindi, per se stessa, il centro soggettivo della propria vita, tuttavia, per raggiungere la pienezza della personalità, essa deve, in certo modo, trasferire — attraverso l’amore — quell’« io » (che è il suo « centro ») in un’altra persona, la quale così diverrà il centro oggettivo della sua vita (un altro io, un altro sé, un tu). Mediante il mutuo amore l’« io » e il « tu », pur rimanendo due, diventano tuttavia un’unità (il « noi » in senso personalistico). Vi è qui — come si vede — una « preparazione evangelica » alla dottrina neotestamentaria sull’unione delle persone divine nella santissima Trinità, e su quella, nel corpo mistico, delle persone umane tra di loro e con Cristo capo. Nella società umana, la giustizia rispetta e tutela l’« alterità », di cui l’uomo naturalmente non può essere privato. Tale virtù si fonda sul rispetto che ogni uomo deve all’altro. Infatti, la persona umana non può mai, in quanto tale, essere un mezzo, di cui altri possano servirsi; ma va sempre considerata come fine. Ora, l’amore comporta questo rispetto e questa giustizia, proprio perché spinge l’uomo ad adoperarsi liberamente per conseguire il bene degli altri. I diritti della persona umana derivano dalle esigenze stesse della giustizia. E, secondo giustizia, a ogni uomo è dovuto quanto è necessario per il suo sviluppo e per raggiungere, nei limiti del bene comune, la perfezione del proprio essere. Quindi, il primo valore da riconoscere è il diritto alla vita. L’uomo, poi, non può svilupparsi in quanto persona nel mondo, se manca dei beni materiali. Dunque, deve poterne disporre. D’altro canto, in quanto dispone di sé, l’uomo deve godere del diritto d’una conveniente libertà e corresponsabilità. In quest’ottica, che tocca insieme la fede, la teologia e la filosofia, la Commissione Teologica Internazionale intende ora formulare, come conclusioni pratiche, alcuni voti per il comune e universale rispetto dei diritti dell’uomo. 2. Voti per un comune e universale rispetto dei diritti dell’uomo Abbiamo costatato come nel nostro mondo esista un consenso piuttosto generale sul valore normativo e morale dei diritti dell’uomo, e come invece sussistano profonde discordanze per quanto concerne sia la loro giustificazione filosofica e la loro interpretazione giuridica, sia la loro traduzione politica. Di conseguenza, in fatto di diritti dell’uomo si palesano molte ambiguità. Nella realtà c’imbattiamo di frequente in ingiustizie e violazioni delle libertà della persona. Stando così le cose, ai giorni nostri, per ciò che riguarda il riconoscimento dei diritti dell’uomo, occorre tenere presente quanto segue: ammesso che quello fondamentale della dignità umana sia da ritenere come il valore sommo nell’ordine morale e come la ragione dell’obbligatorietà giuridica, bisogna innanzitutto definire con chiarezza e precisione i diritti dell’uomo e fissarne la formulazione giuridica. Che questi diritti fondamentali possano poi esser riconosciuti nella pratica, dipenderà dal consenso che si riuscirà a ottenere al di là delle diverse concezioni (filosofiche e sociologiche) sull’uomo. Una volta ottenuto, tale consenso servirà come fondamento per un’interpretazione comune dei diritti dell’uomo, almeno in termini politici e sociali. Ora, questo fondamento sta in quei tre principi basilari che sono la libertà, l’uguaglianza e la partecipazione. Da questi dipendono i diritti relativi alla libertà personale, all’eguaglianza giuridica e alla partecipazione sociale, economica, culturale e politica. Il nesso esistente tra i tre principi basilari esclude qualsiasi interpretazione unilaterale, quale, ad esempio, quella del liberalismo, del funzionalismo e del collettivismo. Tutte le nazioni, quindi, nel riconoscere i diritti fondamentali, devono provvedere che si creino le condizioni elementari per una esistenza degna e libera. In quest’impegno bisogna inoltre tener conto delle condizioni particolari di ciascuna nazione, relative alla cultura, alla vita sociale ed economica. Una volta definiti, i diritti fondamentali dovranno essere inseriti nella Costituzione e nelle istituzioni e garanti dappertutto con sanzione giuridica. Tuttavia non si giungerà mai a un pieno riconoscimento e a una pratica attuazione universale dei diritti dell’uomo, finché tutti gli stati non riconosceranno — specie in occasione di conflitti — la giurisdizione d’un istituto internazionale, rinunciando, in quei casi, all’esercizio della propria assoluta potestà. Per ottenere un simile consenso giuridico internazionale, è necessario prescindere, metodicamente, dai conflitti dottrinali del passato e dai modelli più restrittivi, propri di alcune comunità. Parimente è necessario, nella famiglia dei popoli, che tutti — e ogni singolo cittadino per parte sua — attribuiscano grande importanza ai diritti fondamentali e mantengano vivi quei valori che ne sono la fonte. * Tesi approvate « in forma specifica » dalla Commissione Teologica Internazionale. Un ampio commento, approvato « in forma generica » dalla Commissione, si trova nel volume pubblicato in collaborazione con la Pontificia Commissione « Justitia et Pax »: Les chrétiens d’aujourd’hui devant la dignité et les droits de la personne humaine, Commission Pontificale « Justitia et Pax », Cité du Vatican, 1985, 185 pp. (traduzioni inglese e spagnola). Le relazioni preliminari (dei professori Ahern, Ernst, Hamel, Khalifé-Hachem, Onaiyekan, Pozo, Principe, Schönborn, Schürmann, Walgrave) sono state pubblicate in Human Dignity and Human Rights: International Theological Commission Working Papers, Gregorianum, n. 65/2-3 (1984), pp. 229-481. [1] Gaudium et Spes, 79, § 2. [2] Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948), art. 5, 2. [3] Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (16 dicembre 1966), art. 4, 2. [4] Cf. Giovanni Paolo II, Dichiarazione al quinto colloquio dei giuristi, 10 marzo 1984, 5, in Oss. Rom., 11 marzo 1984, 6. [5] Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, cit., art. 5, 2. [6] Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, cit., Preambolo (fine). [7] Cf. Gaudium et Spes, 20; Tesi B, I, 3. [8] Cf. Gaudium et Spes, 12, 14-16, 36; Tesi A, II, 1-3. [9] Cf. Gaudium et Spes, 22, 32, 38, 45; Tesi A, II, 3. [10] Più volte Giovanni Paolo II ha così presentato il significato della nuova legislazione canonica. Per esempio: Ai partecipanti al corso sul nuovo Codice di diritto canonico, in Oss. Rom., 21-22 novembre 1983, 1 e 4; Ai partecipanti al 2° corso sulla nuova legislazione canonica della Chiesa, ivi, 9-10 dicembre 1983, 7; Discorso alla Sacra Rota Romana, in AAS 76 (1984) 644; esortazione apostolica Redemptoris Donum, ivi, 514. [11] Cf. Gaudium et Spes, 22, 2; Redemptor Hominis, 8. [12] Cf. Gaudium et Spes, 39, 3. [13] Giovanni Paolo II, Lettera a K. Waldheim, segretario generale dell’ONU, in occasione del 30° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in AAS 71 (1979) 122; e Discorso all’ONU, 2 ottobre 1979, ivi, 1149, n. 9. In merito a tale situazione, il Papa dichiarava particolarmente: « Se la verità e i principi contenuti in questo documento [= la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU] venissero dimenticati, trascurati, perdendo la genuina evidenza di cui rifulgevano al momento della loro nascita dolorosa, la nobile finalità dell’ONU potrebbe trovarsi di fronte alla minaccia d’una nuova rovina ». [14] Epistola a Diogneto, 5 (Funk, I, 396-400). [15] L’espressione « primo mondo » ricorre piuttosto raramente al di fuori degli ambienti specializzati negli studi di politica e di sociologia, ed è stata formulata in riferimento al « terzo mondo », in India, dopo la seconda guerra mondiale. La Gaudium et Spes (n. 9) si limita a enumerare « le nazioni in via di sviluppo » e « le altre nazioni più ricche, il cui sviluppo è più rapido ». [16] Paolo VI nella lettera apostolica Octogesima Adveniens al Cardinale Roy lo rileva: « L’egoismo e il dominio sono, tra gli uomini, tentazioni permanenti » (AAS 63 [1971] 412, n. 15). [17] I sostenitori d’un’autonomia assoluta dell’uomo dimenticano gli insegnamenti della Gaudium et Spes: « Benché Dio Salvatore e Dio Creatore siano sempre lo stesso Dio, e così pure s’identifichino il Signore della storia umana e il Signore della storia della salvezza, tuttavia in questo stesso ordine divino la giusta autonomia della creatura, specialmente dell’uomo, nonché tolta viene piuttosto restituita nella sua dignità e in essa consolidata» (n. 41). Nell’ottica invece d’una falsa autonomia « la dignità della persona umana, nonché salvarsi, piuttosto si perde » (ivi). [18] II necessario equilibrio che deve esistere tra gli elementi della vita sociale è descritto molto bene da Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris: « Gli esseri umani, essendo persone, sono sociali per natura. Sono nati quindi per convivere e operare gli uni a bene degli altri. Ciò domanda che la convivenza umana sia ordinata, e quindi che i vicendevoli diritti e doveri siano riconosciuti e attuati » (AAS 55 [1963] 264 ss., n. 29; cf. Paolo VI, lettera apostolica Octogesima Adveniens, AAS 63 [1971] 417 ss., n. 22).
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