Sin dall'inizio viene sottolineata la missione universale dei presbiteri "fino agli ultimi confini della terra" (At 1,8) che è stata fortemente richiamata dal Concilio Vaticano II e dal Magistero post-conciliare. Il Decreto sull'attività missionaria "Ad Gentes" esorta i presbiteri ad essere "profondamente convinti che la loro vita è stata consacrata anche al servizio delle missioni" (AG 29). Il Decreto sul ministero e la vita sacerdotale "Presbyterorum Ordinis" indica il fondamento indelebile, ontologico, di questa caratteristica missionaria di ogni sacerdote nello stesso sacramento dell'Ordine che egli ha ricevuto: "Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'Ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensì ad una vastissima e universale missione di salvezza «fino agli ultimi confini della terra», dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli" (P.O. 10). Ovviamente, tale dimensione missionaria del presbitero non viene cancellata dalla sua assegnazione ad una diocesi. Infatti questa "innata" vocazione missionaria del presbitero è alla base di un prezioso servizio anche temporaneo che essi possono offrire alle Chiese giovani e ha motivato il sorgere della preziosa forma di cooperazione missionaria dei sacerdoti diocesani detti "fidei donum", secondo la famosa enciclica di Pio XII.
L'Istruzione si preoccupa di riaffermare la piena validità, oggi più che mai attuale, di questa forma, purché animata dal genuino movente missionario. Se ben realizzata, essa può dare, come ha già dato, molti frutti là dove l'evangelizzazione esigeva ed esige ancora oggi nuova spinta e vigore, per la povertà di mezzi e di personale.
Tale forma di cooperazione comincia a prendere piede anche tra il clero diocesano dei territori missionari verso altre giovani chiese. Per citare solo qualche esempio, l'episcopato del Burkina Faso, pur avendo ancora bisogno di missionari, sta inviando i propri presbiteri in Niger, ed il primo Vescovo della nuova diocesi di Maradi è uno di questi sacerdoti; alcune diocesi della Nigeria prestano i loro sacerdoti ad altre chiese dentro e fuori la nazione; sacerdoti diocesani di altri paesi africani e latino-americani diventano per alcuni anni missionari in altri continenti. Tale movimento è normalmente ispirato dalla genuina motivazione missionaria e regolato dagli accordi tra i rispettivi Vescovi di origine e di destinazione.
Anche la nuova ondata di emigrati dall'Africa, Asia, America Latina e Oceania può creare una sfida pastorale per le chiese locali, specie in Europa e in America del Nord, le quali debbono cercare pastori che li possano accompagnare ed eventualmente evangelizzare. Alcune Conferenze episcopali delle giovani chiese, come per es. quella Coreana, inviano alcuni preti che assistono i loro connazionali all'estero. L'Istruzione dedica un'attenzione anche a questa situazione.
Un ulteriore motivo, seppure più ristretto, per la permanenza dei sacerdoti diocesani dei territori di missione all'estero è costituito dallo stato di persecuzione, di guerre e simili gravissime circostanze. L'Istruzione prevede che il Vescovo che accoglie nella propria diocesi un tale sacerdote rifugiato, prima di assegnargli un ufficio pastorale, senta anche il parere della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, la quale può avere informazioni e valutazioni più complete sul caso.
Però esiste anche il rovescio della medaglia. Nelle giovani chiese ci sono molte vocazioni. Nel giro di vent'anni il loro numero è triplicato. Le Pontificie Opere Missionarie aiutano oggi quasi 30.000 seminaristi maggiori e circa 50.000 minori. Questi sono destinati a proseguire l'opera dell'evangelizzazione nelle loro regioni, sostituendo spesso anche i missionari occidentali nella prima evangelizzazione. La loro formazione seminaristica si fa normalmente nel paese d'origine per non sradicarli dalla propria diocesi e cultura. Alcuni di loro diventati sacerdoti vengono inviati agli studi superiori, possibilmente nello stesso continente oppure altrove, per coprire le necessità formative o direttive delle comunità in crescita. Molti di questi aspirano a venire in Occidente e vi restano per lunghi periodi o definitivamente, guidati da motivi non propriamente missionari, per es. dalle migliori condizioni di vita, dalla buona sistemazione economica. D'altra parte le chiese occidentali soffrono attualmente una certa cristi di vocazioni e ricorrono volentieri alla facile soluzione di coprire con i sacerdoti africani, asiatici o latino-americani, le proprie parrocchie, senza pensare al possibile danno che si può produrre alla missione ad gentes e alle fragili giovani comunità.
Molte diocesi di missione non possono rinunciare ai propri preti perché essi rappresentano le indispensabili energie per sopravvivere e per continuare l'opera dell'evangelizzazione danneggiata anche dalla diminuzione dei missionari occidentali. In tal modo le chiese di antica fondazione da un lato non offrono più l'aiuto di un tempo dei missionari e dall'altro canto, sottraggono ai territori di missione i sacerdoti locali che dovrebbero portare avanti l'opera dell'evangelizzazione. Inoltre è da considerare che un sacerdote nei territori di missione ha davanti a sè una massa mille e più volte numerosa, in confronto con un suo collega nei paesi occidentali. Così, per es. i sacerdoti in India, dove praticamente non vengono più concessi i visti ai missionari, dovrebbero servire non solo i 16 milioni di cattolici ma evangelizzare un miliardo di non cristiani. Intanto però una sola diocesi europea ha inserito qualche anno fa, nella propria pastorale, ben 39 di questi sacerdoti.
Vi sono diocesi in Africa e in Asia che hanno un terzo e persino la metà del clero diocesano all'estero, per motivi economici; ne conosco una, che ne ha ben 83, mentre l'evangelizzazione all'interno sta ristagnando. In Italia il numero dei preti stranieri viene calcolato intorno ai 1.800, di cui ben 800 si troverebbero inseriti a tempo pieno nella pastorale diretta. Con un tale numero di sacerdoti diocesani si possono creare parecchie nuove diocesi in terra di missione! Può l'Italia considerarsi fino a tal punto "terra di missione", con la proporzione di un prete per numero dei fedeli e della popolazione come in Africa e in Asia?
Questo interrogativo vale per tutte le chiese di antica tradizione. Alcune di esse hanno già cercato di analizzare la situazione e preparato le linee direttive. L'Istruzione è un tacito invito alla riflessione per le chiese di ambedue i tipi: giovani e antiche. Una comunità che non riesce a far emergere nel proprio seno i ministri che le sono necessari, deve interrogarsi sulle cause di tale situazione e sui giusti rimedi, come sono tra l'altro la pastorale della famiglia e delle vocazioni, nonché la valorizzazione del laicato. Essa può senz'altro cercare un aiuto temporaneo nella sua difficoltà o crisi, senza tuttavia privare le chiese giovani dei sacerdoti spesso più preparati. E' questione di equità e di senso ecclesiale.
L'Istruzione mira a regolare tali situazioni soprattutto attraverso gli accordi fra i Vescovi dei sacerdoti diocesani dei territori di missione che vengono inviati all'estero ed i Vescovi che li accolgono. Essa canalizza il flusso necessario dei sacerdoti perché serva a beneficio delle chiese e alla crescita del genuino spirito missionario.
Questa nuova Istruzione, per quanto possa apparire modesta e sobria, è un implicito invito a tutte le chiese, giovani e meno giovani, a riscoprire nella missione ben ordinata la ragione della loro esistenza e la forza del proprio rinnovamento: "La missione, infatti, rinnova la chiesa, ringiovanisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni" (Enciclica "Redemptoris missio", 2).
Jozef Card. Tomko