CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO PRESENTAZIONE DEL NUOVO MESSALE ROMANO Intervento dell'Arcivescovo Francesco Pio Tamburrino Lunedì, 18 marzo 2002
Facendo propria l'affermazione del Sinodo dei Vescovi del 1985, il Papa Giovanni Paolo II ha ribadito che "il rinnovamento liturgico è il frutto più visibile dell'opera conciliare" (Lettera apostolica Vicesimus Quintus Annus, 11). Per molti, il messaggio del Concilio Vaticano II è stato percepito innanzitutto mediante la riforma liturgica. Del resto, "esiste un legame strettissimo e organico tra il rinnovamento della liturgia e il rinnovamento di tutta la vita della Chiesa. La Chiesa non solo agisce, ma si esprime anche nella liturgia e dalla liturgia attinge le forze per la vita" (Giovanni Paolo II, Dominicae Cenae, 13). Il Missale Romanum, nella sua III edizione tipica, rappresenta, senza dubbio, il dono offerto dalla Santa Sede, e in modo speciale dal Santo Padre, alle Chiese particolari di Rito Romano, con la garanzia dell'autenticità, in sostanziale fedeltà alla traditio ereditata da chi ci ha preceduti e trasmessa alla generazione che viene. Tuttavia, a guardare con attenzione, questa III editio typica ha tenuto conto di particolari adattamenti del Messale Romano, avvenuti negli ultimi trent'anni in molte Chiese locali mediante le traduzioni nelle lingue parlate, confermate dalla Santa Sede. In questo senso, il nuovo Missale Romanum recepisce alcune istanze già ufficializzate nei Messali tradotti e rappresenta, sotto qualche aspetto, uno sviluppo del Rito Romano. Su questi elementi offrirò alcuni esempi. Nei giorni feriali di Avvento la editio typica altera del 1975, promulgata dal Papa Paolo VI, offriva una raccolta di testi a cui attingere ogni giorno. L'attuale edizione presenta formulari completi, distribuiti nei singoli giorni feriali. In parecchi Messali in lingue parlate era stata autorizzata l'introduzione del Simbolo Apostolico accanto al Simbolo Niceno-Costantinopolitano. La possibilità di scegliere, facoltativamente, questa formula di professione di fede introduce nel Messale un venerabile Simbolo occidentale, attestato a Roma dal III secolo (DS, 10ss), spiegato da eminenti Padri della Chiesa, quali sant'Ambrogio, sant'Agostino, Rufino, e altri Vescovi dell'Iberia, della Gallia meridionale, dell'Alemagna, della Ibernia, della Dacia, e presente, in forma interrogativa battesimale, nel Sacramentario Gelasiano, che riporta la prassi liturgica romana del VI secolo, che rimonta alla Traditio Apostolica attribuita ad Ippolito romano. Si può anche notare, per inciso, che tale Simbolo Apostolico trovò, dal secolo XVI, il favore delle Comunità riformate ed è tutt'ora in uso nel loro culto, spesso in alternativa al Niceno-Costantinopolitano, nelle Comunità luterane, calviniste, anglicane, presbiteriane, valdesi, ecc. A parte questo risvolto ecumenico, che è piuttosto secondario, il punto importante è il recupero di una tradizione genuinamente romana, arrivata fino al Catechismo Romano del 1564 e al Breviario Romano, edito nel 1568 "ad tollendam orandi varietatem: proinde etiam forma symboli toti Ecclesiae Latinae iniuncta est" (DS, 30). Per il tempo pasquale le orationes erano ripetute in forma ciclica nei giorni infra-settimanali: ora sono state introdotte orazioni proprie per ogni giorno, tratte dagli antichi Sacramentari, la cui qualità teologica e letteraria è di altissimo profilo. Talvolta, sono stati introdotti dei piccoli cambiamenti, che, nondimeno, veicolano principi importanti. Ad esempio, nelle Preci Eucaristiche, dove, da tempo si chiedeva di adeguare la stesura grafica del testo al genere letterario della Prex e alla sua teologia, recepita semper et ubique dalle antiche Chiese di Oriente e di Occidente, secondo la quale tale Prece inizia non dal "vere sanctus" o dal "Te igitur", bensì dal dialogo del prefazio. Del resto, già le rubriche del Messale postconciliare richiedevano che l'assemblea stesse "in piedi" fin dall'orazione sulle offerte. In base a questo principio, anche la Prex Eucaristica I o Canon Romanus inizia con il dialogo tra il sacerdote e l'assemblea, prosegue con il prefazio concluso dal Sanctus, al quale si lega il Te igitur (che proprio nell'avverbio igitur contiene un chiaro richiamo a ciò che strutturalmente lo precede). Un altro elemento che caratterizza la nuova "editio" è il ripristino delle orationes super populum in tutto il tempo quaresimale, che arricchiscono la forma consueta di benedizione, prima della dimissione del popolo di Dio. In questo caso si può costatare il senso della traditio del nuovo Messale, che non disprezza nessuna precedente forma liturgica autenticamente romana, perché una gran parte di tali orationes super populum sono riprese dal Messale del 1962 e altre dagli eccelsi formulari dei Sacramentari antichi. Ancora, nell'Ordo Missae e nei princìpi espressi chiaramente nella Institutio generalis Missalis Romani (nn. 115 ss), viene riconfermata la scelta - che ha anche una chiara connotazione ecclesiologica - della Missa cum populo come forma tipica della celebrazione eucaristica, a differenza dell'Ordo Missae del Messale Plenario del 1570, che presentava in primo luogo la Messa privata del sacerdote con possibili adattamenti in presenza di un ministro, dei fedeli, di dignitari ecclesiastici (Papa, Vescovi), cantata o con la schola. Anzi, la III editio typica, che vede la luce dopo la pubblicazione del Caeremoniale Episcoporum (1984) e dei vari Ordines dei sacramenti, evidenzia l'esemplarità della Celebrazione Eucaristica presieduta dal Vescovo: "In Ecclesia locali primus sane locus tribuatur, propter eius significationem, Missae cui praeest Episcopus a suo presyiterio, diaconis et ministris laicis circumdatus [cfr SC, 41)] et in qua plebs sancta Dei plene et actuose participat, ibi enim habetur praecipua manifestatio Ecclesiae" (Insitutio generalis Missalis Romani, 112) Si noterà anche che, la stessa forma di celebrazione "cui unus tantum minister assistit" (Institutio generalis Missalis Romani, 252-272), in questo Messale è stata uniformata nei riti alle altre forme di celebrazione, perché per una inspiegabile incoerenza, anche nel Messale del 1975 era regolata da rubriche che prevedevano lo spostamento del Messale da destra a sinistra e altre cerimonie della Messa tridentina. Una ricchezza straordinaria di questa editio typica III è l'inserimento di una enorme quantità di testi musicali in gregoriano, che trovano la loro collocazione non in "Appendici", bensì al loro posto nello svolgimento celebrativo dell'Ordinario o del Proprio. Per il testo latino del Messale, compare per la prima volta nella Institutio generalis Missalis Romani, al n. 41, l'indicazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 116, in cui si afferma: "Principem locum obtineat, ceteris paribus, cantus gregorianus, utpote Liturgiae romanae proprius", senza escludere altre forme musicali, purché siano confacenti allo spirito dell'azione liturgica e favoriscano la partecipazione di tutti i fedeli. Senza dubbio, il Messale attuale favorisce e incoraggia la partecipazione con il canto, ma anche segnala, in due luoghi della Institutio generalis Missalis Romani, ai nn. 45 e 56, l'opportunità di momenti di silenzio, che dovranno aiutare a dare alla celebrazione un clima intensamente orante e contemplativo. Questa complessa e laboriosa opera della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, nonostante i condizionamenti e i limiti che essa possa contenere in quanto opera delle mani dell'uomo, rappresenta il libro autentico che la Chiesa ci offre per celebrare i divini misteri in piena ortodossia e legittimità. Esso offre alle Chiese locali un modello per le loro edizioni in lingue volgari e una occasione per ravvivare nelle comunità cristiane lo spirito genuino della liturgia della Chiesa. * * * Anche in questa editio del Messale si verifica la sintesi di lex orandi e lex credendi. Tale libro liturgico è uno strumento nelle mani dei Pastori e dei fedeli. Lo si potrebbe paragonare ad un acquedotto: ne possiamo sottoporre ad analisi i percorsi tra monti e valli, la portata delle condutture, ma l'importante è che l'acqua arrivi in abbondanza. Oggi possiamo rallegrarci, perché la liturgia, regolata ormai dalla terza edizione del Missale Romanum può dissetare il popolo di Dio pellegrinante nel deserto ed è in grado di far sperimentare ai credenti, radunati per il convito sacrificale, che il Risorto è in mezzo ai suoi e continua ad offrire "la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo" (Canon Romanus).
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