Venerdì, 19 Maggio 2000
Introduzione
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Fratelli e Sorelle, responsabili per la pastorale vocazionale in Polonia !
È per me una grande gioia partecipare a questo Congresso Nazionale sulle Vocazioni, organizzato in occasione dell'Anno del Giubileo 2000. La mia prima venuta in Polonia, in qualità di Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, è unita proprio a questa occasione così importante.
Nonostante i numerosi impegni già presi per questo periodo, non ho voluto mancare a questo Congresso, proprio perché sono sempre più convinto dell'importanza decisiva della promozione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata nella realtà contemporanea.
Ringrazio di tutto cuore S.E.R. Mons. Stefan Regmunt, Delegato della Conferenza Episcopale Polacca per le Vocazioni, per il gentile invito rivoltomi e per le cortesi espressioni che ha voluto indirizzarmi a nome dei presenti. Con lui saluto i venerati Fratelli nell'Episcopato e tutti i convenuti a questo Congresso.
Questo incontro è per me soprattutto una gioiosa occasione per manifestare - agli Ecc.mi Vescovi, ai sacerdoti, ai rappresentanti degli Istituti di vita consacrata, a voi tutti qui presenti e all'intera Chiesa polacca - il ringraziamento e l'apprezzamento più vivo della Congregazione per l'Educazione Cattolica per il generoso dono di sacerdoti, religiosi e religiose che la nostra cara Polonia ha dato negli anni scorsi e continua a dare agli altri Paesi bisognosi. Per questa generosità dobbiamo tutti rendere grazie a Dio e alla Madonna, Patrona della Polonia.
I. Il valore e la portata della pastorale vocazionale in Polonia, con particolare attenzione alla "Ratio institutionis sacerdotalis pro Polonia"
a) Mi pare doveroso anzitutto richiamare brevemente la nostra attenzione sull'azione pastorale in Polonia relativa alla promozione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata.
In uno sguardo d'insieme, tenendo conto anche della Visita Apostolica fatta nei Seminari diocesani e religiosi, mi piace rilevare che la Chiesa polacca considera la pastorale vocazionale come una questione vitale ed urgente. Segno visibile di ciò sono le numerose vocazioni sacerdotali e religiose. È confortante constatare in merito come oggi in Polonia vi sono quasi 4.900 seminaristi diocesani, 2.300 religiosi che si preparano al sacerdozio, nonché quasi 2.500 novizie dei vari Istituti di vita consacrata (1).
Questa presenza così significativa delle vocazioni deve costituire per tutti noi una fonte di gioia, ma anzitutto uno stimolo a continuare gli sforzi compiuti in passato, e ad intensificare maggiormente le attività pastorali vocazionali. A questo mira certamente il presente Congresso.
b) È degno di nota il fatto che nella Ratio institutionis sacerdotalis pro Polonia (2) - approvata dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica nel giorno della solennità della Madonna di Czestochowa dell'anno scorso - la Conferenza Episcopale Polacca ha dedicato una parte rilevante al problema delle vocazioni sacerdotali, analizzando perspicacemente i condizionamenti socio-culturali e storici del problema in Polonia, sia positivi che negativi (nn. 2-14), sottolineando fortemente la dimensione ecclesiale di ogni vocazione e la responsabilità di tutta la Chiesa per le vocazioni (nn. 15-16, 25), indicando i mezzi della pastorale vocazionale (nn. 17-24), specificando il ruolo da svolgere da parte di diverse cerchie di persone: del Vescovo e degli organismi diocesani, delle famiglie cristiane, dei sacerdoti, della scuola, dei laici (comunità parrocchiale, movimenti e associazioni giovanili), dei superiori e alunni dei seminari, dei seminari minori (nn. 26-54).
La Ratio - facendo tesoro dell'insegnamento del Concilio Vaticano II e dei numerosi documenti emanati in materia dalla Santa Sede, specialmente dell'Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II Pastores dabo vobis (25 marzo 1992) ed anche del documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa celebratosi a Roma nel 1997 (3) - si proietta verso il futuro e offre preziosi suggerimenti circa i metodi e i mezzi per la promozione della pastorale vocazionale.
Particolarmente vorrei sottolineare che in questo documento la pastorale vocazionale al sacerdozio viene giustamente considerata compito prioritario di tutta la Chiesa (cfr n. 16). Sono da evidenziare i due aggettivi adoperati: "prioritario" riferito al compito, e "tutta" riferito alla Chiesa. Si sente in questi due aggettivi la presenza del dinamismo ecclesiologico relativo alla problematica vocazionale. Possiamo e dobbiamo dire che l'Episcopato polacco, con piena e totale adesione alle disposizioni date dal Vaticano II, particolarmente nella Costituzione dogmatica Lumen gentium (nn. 10-13, 18-29, 43-47) e nel Decreto Optatam totius (n. 2), ha percepito come la natura e la vitalità della Chiesa sono profondamente connesse con il sacerdozio ministeriale.
Questi due aggettivi interpellano la Chiesa polacca nella sua totalità, interpellano anche il presente Congresso.
c) Con riferimento poi alla promozione della pastorale vocazionale dei religiosi e delle religiose è da rilevare che l'Episcopato polacco, unitamente ai vari Superiori e Superiore Religiose, ha fatto tesoro, nel promuovere la vocazione alla vita consacrata, delle prescrizioni del Decreto del Concilio Vaticano II Perfectae caritatis (nn. 5, 7-11) e dell'Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II Vita consecrata del 25 marzo 1996 (nn. 3, 5-6, 10, 15-16, 18-22, 29-31, 72-75, 87-91). In essi si trova evidenziato il significato specifico della vocazione alla professione dei consigli evangelici: in quanto essa s'inserisce nel mistero e nell'operosità della Chiesa stessa.
II. La promozione delle vocazioni sacerdotali nel contesto cristologico del Giubileo
Questo Congresso è celebrato nella ricorrenza del bimillenario della nascita di Cristo. Tale avvenimento dà ad esso una connotazione del tutto particolare. Meditiamo con particolare intensità il mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio e il suo decisivo riflesso nella nostra vita di ogni giorno; ringraziamo il Padre per l'amore con cui ci ha dato il suo Figlio, Salvatore del mondo, unto dallo Spirito Santo.
Allo stesso tempo il Giubileo è un impegno profondo che tocca il cuore delle persone per convertirle e permettere loro di allargare lo sguardo della fede verso orizzonti sempre nuovi. È un avvenimento di grazia, e insieme, un appello ad un rinnovato impegno che orienta verso un nuovo millennio anche la riflessione di questo Congresso.
1. L'incontro con Gesù come momento decisivo per la promozione delle vocazioni
Questo contesto giubilare ci spinge a dare alla nostra riflessione una prospettiva profondamente cristologica. Ci spinge cioè a riflettere tenendo lo sguardo fisso su Gesù "autore e perfezionatore della nostra fede" (Eb 12, 2). Questo "sguardo orientato" sarà l'atteggiamento di fondo che ci guiderà nell'affrontare le diverse tematiche relative alla vocazione sacerdotale e alla pastorale vocazionale.
Poiché l'oggetto di questo Congresso tocca da vicino la chiamata alla discepolanza di Gesù, penso che sia opportuno soffermarci brevemente a riflettere su quanto i Vangeli testimoniano al riguardo.
a) Tra i molti brani relativi alla chiamata degli Apostoli, sembra particolarmente significativo l'episodio riportato dall'Evangelista Giovanni nel capitolo primo del suo Vangelo (Gv 1, 35-39), dove si intrecciano brevità e densità teologica. L'Evangelista ci presenta il Battista in Betania sulle rive del Giordano che fissa lo sguardo su Gesù che passa e, sorprendendo due dei suoi discepoli, dice: "Ecco l'Agnello di Dio". Questa definizione, così misteriosa, suscita la loro curiosità e li induce a seguire Gesù. Egli, accortosi che lo seguono, inaspettatamente si ferma, si volge verso di loro e prendendo per primo la parola li interpella sulle loro vere intenzioni.
La sua domanda "Che cercate ?" lascia perplessi i due interlocutori, ma è anche la manifestazione dell'interesse di Gesù verso di loro; è la manifestazione della sua attenzione verso il loro cercare. Con la sua domanda Gesù si pone immediatamente in dialogo con i due discepoli di Giovanni. Con il suo gesto di accoglienza elimina ogni diffidenza e sembra provocare un dialogo che va al di là dell'appagamento di una semplice curiosità.
L'incontro con Gesù muove in profondità il loro cuore. L'interrogativo "Maestro, dove abiti ?" tradisce chiaramente l'interesse che essi hanno per Lui; palesa una curiosità e quasi il desiderio di entrare in una relazione personale con Lui. Dalla loro domanda, infatti, si può dedurre che essi vogliono trattare con Gesù di questioni che non si possono affrontare lungo la strada. L'espressione di voler conoscere il luogo della sua dimora rivela indirettamente il loro desiderio non solo di pura conoscenza, ma di una certa intimità.
È per questo che all'invito di Gesù "venite e vedrete" essi rispondono senza alcuna incertezza o esitazione. L'annotazione di Giovanni che sottolinea la decisione di trattenersi con Lui per tutto il giorno si può solo comprendere alla luce del fascino che Gesù ha esercitato su di loro. L'Evangelista non dice come siano trascorse quelle ore. C'è quasi un silenzio voluto, come a sottolineare l'importanza dello stare con Gesù che richiede disponibilità, accoglienza, condivisione, richiede tempo per "fare esperienza di Lui". Ciò che è importante è soprattutto incontrarLo, partecipare alla Sua vita, rimanere con Lui.
b) È inoltre da sottolineare nella pagina giovannea, così semplice e scarna, la relazione tra la funzione del Battista, in particolare l'espressione con cui addita Gesù, e il conseguente desiderio dei due discepoli di incontrarlo.
Giovanni Battista sente la sua funzione specifica nei confronti del Messia e lo definisce con l'affermazione carica di significato teologico che ne rivela la profonda identità e che di conseguenza suscita la curiosità dei discepoli e il desiderio di incontrarlo in una maniera profonda.
È difficile non accorgersi che la definizione misterica di Gesù e il desiderio d'incontrarlo si relazionano profondamente.
In altri termini, è propriamente la presentazione di Gesù nel suo mistero che coinvolge i discepoli del Battista, a tal punto che essi lasciano il loro maestro per andare con questo nuovo Rabbì.
c) È interessante rilevare, poi, come Andrea, dopo aver udito le parole di Giovanni Battista e di avere fatto l'esperienza del rimanere con Gesù, sente immediatamente il desiderio di comunicare al fratello Simone chi ha incontrato, cioè il Messia, e di coinvolgere il fratello stesso in questa esperienza.
Certamente, l'incontro di Andrea con Gesù dovette essere forte e decisivo per motivare la curiosità di un uomo così concreto quale era Simone.
In realtà, la vocazione accolta con entusiasmo risveglia in modo naturale un vivo desiderio di indurre gli altri a condividere la stessa strada.
d) Riassumendo, la descritta pagina evangelica vuole insegnarci che - poiché la vocazione nasce dall'incontro con Gesù - la promozione delle vocazioni è primariamente un additare Gesù nel suo mistero affascinante, un provocare il desiderio di incontrarlo, di stare con Lui, di fare esperienza di Lui, di essere coinvolti da Lui. Ciò è indispensabile e sta a fondamento del problema vocazionale.
Inoltre, questa pagina ci insegna, grazie alla figura di Andrea, che il più naturale ed efficace promotore delle vocazioni è chi vive la propria vocazione con gioia ed entusiasmo.
e) Al riguardo è molto significativa anche l'esperienza di Saulo di Tarso. Pure il suo cambiamento nasce da un singolare incontro con Gesù sulla via di Damasco (At 9, 1-22; 22, 6-16), nasce dall'essere abbagliato dalla Sua persona. E Saulo si lasciò prendere da Lui. Percepì subito la portata di questa chiamata e cambiò completamente tutta la sua vita: dalla sua competente formazione farisaica, dalla sua appartenenza alla categoria degli accesi difensori della Legge mosaica, a quella di Apostolo innamorato di Gesù Cristo.
Questo incontro personale con Gesù fu decisivo per la sua vita. La passione per Cristo determinò definitivamente le sue scelte. A Cristo donò tutto se stesso così che per lui non c'era altro che Cristo.
Abbandonato tutto il suo passato, si dedicò totalmente all'annuncio del Vangelo. È questa esperienza personale e profonda, questa adesione totale a Gesù, che lo porterà ad affermare: "Quello che poteva essere per me un guadagno l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura" (Fil 3, 7-8).
Questo entusiasmo per Cristo lo indusse non soltanto ad affrontare pericoli ed opposizioni di ogni tipo, ma anche a condurre tanti altri a lasciarsi afferrare da Cristo con piena radicalità.
2. L'immagine di Gesù e la promozione delle vocazioni
In questa prospettiva non è azzardato ritenere che il problema della promozione delle vocazioni è anzitutto "cristologico": esso cioè dipende dal tipo di immagine di Gesù che viene proposta ai nostri giovani.
Dobbiamo saper proporre l'immagine reale di Cristo, come essa traspare dai testi sacri, l'immagine che affascina e rende pronta la decisione a seguire Cristo. Se l'identità di Cristo non è chiara davanti ai giovani d'oggi, Egli può apparire quasi superfluo per la loro vita.
Al riguardo potremmo chiederci se alcune parziali visioni cristologiche non debbano essere ritenute come con-causa di un affievolimento dello slancio vocazionale.
Da qui nasce la conseguenza che il problema della promozione delle vocazioni non può ridursi all'uso di metodi pedagogici o alle preoccupazioni di creare strutture organizzative. A monte del problema della carenza delle vocazioni sta la capacità di presentare ai giovani d'oggi la persona di Gesù in una maniera vera, persuasiva, attraente, indipendente nei confronti dei condizionamenti storici, culturali e sociali, i quali alle volte hanno influito, anche se indirettamente, sulla presentazione di certi modelli vocazionali. Si pensi, per esempio, alla sterilità spirituale della presentazione della figura di Cristo in alcune correnti della teologia della liberazione o di quella politica, o all'affievolimento della figura di Cristo a causa di cristologie non complete, o addiritura erronee, o anche a causa della confusione che viene seminata da alcune correnti esoteriche o da sette che trovano facile accoglienza tra i giovani.
Quanto veniamo dicendo c'induce, nello spirito della conversione richiestaci dal Giubileo, a rivedere, ad approfondire e testimoniare, noi per primi, l'immagine di Gesù che vogliamo trasmettere ai nostri giovani evitando prospettive che non sono in grado d'interessare e affascinare in modo autentico e duraturo le nuove generazioni e a suscitare in loro il desiderio di "fare esperienza" dello stare con Gesù, e di seguirlo con "amore indivisibile" (Optatam totius, n. 10).
III. La promozione delle vocazioni connessa con l'immagine della Chiesa
La connessione tra promozione delle vocazioni e immagine di Gesù, tra promozione delle vocazioni e cristologia porta, per natura sua, alla considerazione di un altro tema, cioè della dimensione ecclesiale delle vocazioni.
La Ratio institutionis sacerdotalis pro Polonia (n. 16), seguendo la Pastores dabo vobis (n. 35. cpv. 5), rettamente costata che la vocazione deriva "dalla Chiesa" e dalla sua mediazione, si fa riconoscere e si compie "nella Chiesa", si configura necessariamente come servizio "alla Chiesa".
Sono quanto mai significative al riguardo le parole Giovanni Paolo II nella menzionata Esortazione Apostolica: "Il sacerdote ha come sua relazione fondamentale quella con Gesù Cristo, Capo e Pastore: egli, infatti, partecipa, in modo specifico e autorevole, alla "consacrazione/unzione" e alla "missione" di Cristo (cfr Lc 4, 18-19). Ma, intimamente intrecciata con questa relazione, sta quella con la Chiesa. Non si tratta di "relazioni" semplicemente accostate tra loro, ma interiormente unite in una specie di mutua immanenza. Il riferimento alla Chiesa è iscritto nell'unico e medesimo riferimento del sacerdote a Cristo, nel senso che è la "rappresentanza sacramentale" di Cristo a fondare e ad animare il riferimento del sacerdote alla Chiesa" (n. 16).
In questo contesto - avendo presente il nesso ontologico fra il sacerdote, Cristo e la Chiesa - si fa palese come anche la presentazione della Chiesa abbia una sua influenza sulla problematica relativa alla promozione delle vocazioni. Le presentazioni erronee e unilaterali sono spesso causa della non accoglienza della vocazione o di una sua equivoca realizzazione.
Perché i giovani possano rispondere positivamente all'invito di Gesù che chiama, è necessario che essi, oltre a fare esperienza del rimanere con Lui, possano realizzare questo incontro all'interno di una Chiesa per loro veramente credibile, perché presentata nella sua autenticità soprannaturale, quindi al di là di quelli che sono gli aspetti solamente percepibili dall'esterno.
Occorre offrire ai giovani la realtà della Chiesa nella profondità del suo mistero:
- come "Communio fidelium", come realtà anzitutto soprannaturale, che grazie al battesimo unisce i fedeli a Cristo e per mezzo di Lui li unisce tra di loro. Questa unione con Cristo è il fondamento dell'unione profonda e vitale dei fedeli tra di loro, nonché l'elemento che qualifica le loro attività esterne;
- come "Corpo Mistico di Cristo", con il suo dinamismo di interdipendenza e complementarietà;
- come "Popolo di Dio", chiamato alla santità e pellegrinante verso il fine escatologico, animato e rafforzato continuamente dallo Spirito Santo;
- come "Sacramento universale di salvezza" del genere umano.
I giovani devono essere stimolati a vedere e vivere questa dimensione misterica della Chiesa - che ho delineato in alcuni suoi aspetti - e pertanto ad avere fiducia nel suo insegnamento.
IV. La promozione delle vocazioni connessa con la retta presentazione del ministero ordinato
a) Di decisiva importanza nella promozione delle vocazioni è il problema relativo all'identità del sacerdote.
In merito, la Pastores dabo vobis al n. 11 precisa: "La conoscenza della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è il presupposto irrinunciabile, e nello stesso tempo la guida più sicura e lo stimolo più incisivo, per sviluppare nella Chiesa l'azione pastorale di promozione e di discernimento delle vocazioni sacerdotali e di formazione dei chiamati al ministero ordinato. La retta e approfondita conoscenza della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è la via da seguire [... ] per uscire dalla crisi sull'identità del sacerdozio".
Dopo il Concilio, si sono manifestati all'interno della Chiesa alcuni errori che hanno portato a concezioni equivoche o addirittura erronee relative all'identità sacerdotale, quali: una concezione funzionale, transitoria del sacerdote; una sua presentazione meramente orizzontale; un'idea di sacerdote compreso quasi come un delegato della comunità per assicurarne un'organizzazione o una qualche missione di carattere temporale; una visione intimistica, individualistica, disincarnata, senza alcuna incidenza sui problemi della vita reale.
Sono alcune tendenze, ancora qua e là diffuse, che offuscano e ostacolano la chiara percezione della natura del sacerdozio e, per conseguenza, della vocazione sacerdotale.
Davanti a questa situazione occorre rifarsi con fedeltà ai principi fondamentali quali ci vengono presentati dal magistero ecclesiastico.
b) Innanzitutto, sembra che oggi nella vita della Chiesa ci si dimentichi spesso che il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale differiscono non solo di grado ma essenzialmente (Lumen gentium, n. 10). Quindi è da tenere presente detta differenza ontologica, basata sul carattere specifico e indelebile trasmesso attraverso il sacramento dell'ordine.
I documenti conciliari e postconciliari evidenziano detta differenza. Non è possibile in questa circostanza presentare in modo esauriente la questione. Vorrei soltanto citare la Lumen gentium che al n. 28, quasi riassumendo il ruolo dei sacerdoti ministeriali, sottolinea che essi "in virtù del sacramento dell'ordine, ad immagine di Cristo sommo ed eterno sacerdote (Eb 5, 1-10. 7, 24. 9, 11-28) sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento. Partecipi, nel loro grado di ministero, dell'ufficio dell'unico mediatore Cristo (1 Tm 2, 5), annunziano a tutti la divina Parola. Ma esercitano la loro sacra funzione soprattutto nel culto eucaristico o sinassi, dove, agendo in persona di Cristo e proclamando il suo mistero, uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro capo; e nel sacrificio della messa rendono presente e applicano fino alla venuta del Signore (cfr 1 Cor 11, 26) l'unico sacrificio della nuova alleanza, cioè il sacrificio di Cristo che si offrì al Padre una volta per sempre quale vittima immacolata (cfr Eb 9, 11-28). Esercitano al più alto grado il ministero della riconciliazione e del sollievo per i fedeli penitenti o ammalati, e presentano a Dio Padre le necessità e le preghiere dei fedeli (cfr Eb 5, 1-4). Esercitando per la loro parte la funzione di Cristo pastore e capo, raccolgono la famiglia di Dio come fraternità animata dallo spirito di unità e la conducono a Dio Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. In mezzo al loro gregge adorano il Padre in spirito e verità (cfr Gv 4, 24). Infine, si affaticano nella parola e nell'insegnamento (cfr 1 Tm 5, 17), credendo a ciò che hanno letto e meditato nella legge del Signore, insegnando ciò che hanno creduto e imitando ciò che hanno insegnato".
L'identità del sacerdote - delineato in questo testo - ci è data da Cristo e occorre viverla e annunziarla con piena fedeltà. Se si smarriscono o si offuscano gli elementi essenziali del sacerdozio ministeriale si rischia di trasmettere un'immagine deformata del sacerdote con la conseguenza che la proposta vocazionale non potrà essere efficace e tanto meno potrà provocare una generosa risposta.
Queste mie brevi considerazioni desiderano sottolineare come la promozione delle vocazioni è intrecciata profondamente con la cristologia, l'ecclesiologia e la visione del ministero ordinato.
È da aggiungere anche, in modo chiaro, che tale connessione è da considerarsi la motivazione più profonda per vivere gioiosamente gli impegni sacerdotali.
In ultima analisi, questa riflessione ci porta alla conclusione che il problema della crisi delle vocazioni è legato alla crisi della fede in Gesù, nella Chiesa e nell'identità del sacerdote. Più questa fede sarà viva, operante e testimoniata più le vocazioni sorgeranno.
V. Alcune priorità relative alla promozione delle vocazioni
Dopo queste mie brevi riflessioni di ordine teologico è necessario passare alla considerazione di alcuni aspetti più concreti di ordine pastorale, idonei a dare alla promozione delle vocazioni lo slancio e la vitalità di cui si sente bisogno.
Al riguardo, il Santo Padre stesso ci è maestro illuminante con l'autenticità della sua figura sacerdotale e con il suo insegnamento, con il quale non si stanca di ribadire le verità fondamentali concernenti Cristo e la Chiesa, verità che illuminano il mistero e il nascere della vocazione.
Sono certo che all'uditorio presente sono molto ben note le varie iniziative volte alla promozione delle vocazioni. Da parte mia vorrei riflettere su alcune priorità che mi sembrano più significative nella prospettiva delle brevi riflessioni teologiche precedentemente fatte.
1. Priorità della pastorale delle vocazioni sacerdotali all'interno della pastorale ecclesiale
I tre elementi - Cristo, Chiesa e Ministero Ordinato - sono inseparabili ed in questa loro inseparabilità devono orientare l'attività pastorale circa le vocazioni sacerdotali, penetrandola e vivificandola dall'interno.
La pastorale delle vocazioni sacerdotali ha una particolare caratteristica; quella cioè di riferirsi al sacerdote ministro, il quale opera "in persona Christi Capitis" e "in nomine Ecclesiae" (4). Concerne, quindi, direttamente l'attualizzazione dell'azione salvifica di Cristo e della Chiesa.
Ciò significa che la promozione della vocazione sacerdotale non deve essere vista primariamente sotto l'angolazione delle altre vocazioni ecclesiali o accanto ad esse, ma anzitutto per se stessa, in quanto il sacerdozio ministeriale è essenziale per l'espletamento della missione di Cristo e della Chiesa.
Infatti, nota la Pastores dabo vobis: "In particolare, senza sacerdoti la Chiesa non potrebbe vivere quella fondamentale obbedienza che è al cuore stesso della sua esistenza e della sua missione nella storia: l'obbedienza al comando di Gesù "Andate dunque e ammaestrate tutte le genti" (Mt 28, 19) e "Fate questo in memoria di me" (Lc 22, 19; cfr 1 Cor 11, 24), ossia il comando di annunciare il Vangelo e di rinnovare ogni giorno il sacrificio del suo corpo dato e del suo sangue versato per la vita del mondo" (n. 1. cpv. 3).
Qui il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica Lumen gentium (nn. 10, 11, 28) e nel Decreto Presbyterorum Ordinis (nn. 1, 5), nonché le Esortazioni Apostoliche Christifideles laici del 30 dicembre 1988 (n. 22) e Pastores dabo vobis (nn. 1-2) sono illuminanti in merito.
L'annunzio della vocazione sacerdotale deve stare, pertanto, al centro dell'intera pastorale ecclesiale, perché senza il sacerdozio ministeriale non si possono realizzare pienamente le altre vocazioni. L'Esortazione Apostolica Christifideles laici nota a proposito: "I fedeli laici devono riconoscere che il sacerdozio ministeriale è del tutto necessario per la loro vita e per la loro partecipazione alla missione della Chiesa" (n. 22, alla fine).
Infatti, la pastorale delle vocazioni sacerdotali è rivolta verso il sacramento dell'ordine, mentre la pastorale delle altre vocazioni mira allo sviluppo dell'"essere battezzato" (5).
Il sacerdote ministro rimane, in verità, tra i battezzati, ma riceve un'altra configurazione a Cristo derivante da una nuova chiamata specifica e da un nuovo intervento sacramentale. Osserva al riguardo la Pastores dabo vobis: "Il presbitero partecipa alla consacrazione e alla missione di Cristo in modo specifico e autorevole, ossia mediante il sacramento dell'Ordine, in virtù del quale è configurato nel suo essere a Gesù Cristo Capo e Pastore e condivide la missione di "annunciare ai poveri un lieto messaggio" nel nome e nella persona di Cristo stesso", e quindi cita le parole del Messaggio dei Padri sinodali: "La nostra identità [quella del sacerdote ministeriale] ha la sua sorgente ultima nella carità del Padre. Al Figlio da Lui mandato, Sacerdote Sommo e buon Pastore, siamo uniti sacramentalmente con il sacerdozio ministeriale per l'azione dello Spirito Santo. La vita e il ministero del sacerdote sono continuazione della vita e dell'azione dello stesso Cristo" (n. 18).
2. Annunzio della grandezza e bellezza del sacerdozio ministeriale
a) Quanto detto porta alla conclusione che l'intera Chiesa si deve fare carico della promozione delle vocazioni sacerdotali: Papa, Vescovi, Sacerdoti, Laici, parrocchie, comunità religiose, movimenti, comunità ecclesiali, ecc. Ciò deve rispecchiarsi in tutte le manifestazioni della vita cristiana: liturgia, catechesi, attività di gruppi, diversi tipi e forme di pastorale. Si tratta, infatti, di un tema che coinvolge l'essere e la missione della Chiesa.
Occorre curare un risveglio di tutta la comunità cristiana riguardo a questo sacramento essenziale. Il Decreto conciliare Optatam totius, parlando del dovere - di tutto il Popolo di Dio e dei diversi suoi componenti - di dare incremento alle vocazioni sacerdotali, nota fra l'altro: "a tale riguardo il massimo contributo viene offerto [... ] dalle famiglie le quali, se animate da spirito di fede, di carità e di pietà, costituiscono come il primo seminario" (n. 2). Perché quindi non affrontare opportunamente la questione anche nella stessa preparazione dei fidanzati al matrimonio?
b) In questa prospettiva, l'annunzio dovrà far emergere la grandezza, la bellezza del ministero consacrato. Davanti ai giovani occorre presentare non in primo luogo gli obblighi e le rinunzie provenienti dalla risposta alla chiamata ma, anzitutto, questo prezioso e bellissimo dono che comporta l'agire "in persona Christi". Come non far brillare davanti ad essi il dono di rendere presente Gesù nell'Eucaristia, il dono grandissimo di assolvere dal peccato in nome di Gesù stesso e della Chiesa.
Gli obblighi e le rinunzie vanno visti e compresi nella visuale del dono del mistero sacerdotale ed accolti come esigenza derivante dall'assunta missione affidata da Cristo. Più si entra nel mistero del dono, più si sente la gioia e si comprende il senso di accettare e vivere le esigenze del dono stesso.
3. La testimonianza di vita e di fede del ministro ordinato
Un ruolo importante nella pastorale vocazionale lo riveste senza dubbio il ministro ordinato con la sua fede e la sua vita.
Egli deve porsi di fronte alla comunità cristiana come il primo annunciatore della vocazione sacerdotale, come il testimone visibile della risposta alla chiamata del Maestro a seguirlo nel dono totale di sé.
Grazie alla sua testimonianza di vita sacerdotale, i fedeli e particolarmente i giovani fanno esperienza del grande dono della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Grazie all'espletamento del suo ministero essi vedono trasparire l'agire di Gesù Buon Pastore.
Pertanto, la sua testimonianza dev'essere anzitutto una manifestazione gioiosa della sua adesione al mistero di Gesù. Il suo essere e agire "in persona Christi Capitis" deve esprimere la sua consacrazione a Lui come di persona affascinata dal mistero del Maestro, rapita dal suo sguardo e dalla sua parola. La sua vita dovrebbe essere una lode continua per il dono ricevuto, un quotidiano rendimento di grazie per le grandi cose, operate in lui dal Signore. Chi lo avvicina dovrebbe percepire la sua passione per la vocazione sacerdotale, il suo amore profondo e totalizzante per Gesù; dovrebbe respirare la bellezza e la gioia che vengono dal suo essere in Cristo e per Cristo; dovrebbe avvertire il senso di piena realizzazione, anche umana, che traspare dalla sua vita.
Il suo atteggiamento di preghiera, l'intensità spirituale con cui celebra la Santa Messa e amministra i sacramenti, il modo con cui anima la comunità cristiana devono rispecchiare la sua fede viva e sincera, nonché il suo appagamento e la sua soddisfazione sacerdotale.
Da qui s'irradia anche quell'esempio che affascina i giovani a percepire che vale veramente la pena investire la propria vita nel sacerdozio ministeriale.
Di questi sacerdoti abbiamo bisogno! Con tali sacerdoti l'invito segreto che Gesù rivolge al cuore di tanti giovani trova certamente la risposta generosa e il senso del donarsi a Lui per sempre.
L'esperienza mostra che sono particolarmente incisivi i contatti dei giovani con tali sacerdoti per orientarsi all'accoglienza gioiosa della chiamata.
4. La cura pastorale dei giovani nel cui cuore Gesù ha fatto sentire la sua chiamata
a) L'annuncio che tutta la comunità cristiana, e particolarmente i ministri ordinati, faranno con la loro vita, certamente aiuterà i ragazzi e i giovani ad aprire il cuore ed accogliere la chiamata del Signore e a svilupparla.
La realtà d'oggi, nelle sue diverse manifestazioni, non aiuta certo a fermarsi per ascoltare la voce divina e riflettere sulla possibilità di orientare la propria vita dietro a Gesù e decidersi per il sacerdozio (cfr Pastores dabo vobis, nn. 7-8).
Questa situazione, - reale e presente, in maggiore o minore grado, dovunque, - non deve per nulla scoraggiare e far perdere l'entusiasmo della promozione. Gesù chiama anche in questa situazione così complessa (cfr ivi, n. 1). Spetta a noi tutti farci carico affinché questa chiamata non venga soffocata da altre voci che possono affascinare e rendere l'appello del Signore inascoltato (cfr Mt 13, 3-23).
b) Perché ciò si possa realizzare, occorrerà curare in una maniera seria e costante il germoglio della vocazione nel cuore del giovane. Al riguardo, diversi potrebbero essere i suggerimenti. Vorrei, però, menzionare quelli che sono i fondamentali ed indispensabili:
- Condurre i giovani a Cristo nelle circostanze odierne significa anzitutto prepararli alla preghiera personale. Oggi i giovani sono circondati dal rumore, amano il frastuono, non sanno liberarsi da questa atmosfera. Più facilmente prendono parte alle preghiere comunitarie di tipo sensazionale, ma quella che più profondamente porta a scoprire la chiamata di Cristo è la preghiera personale, silenziosa, nascosta. Penso che oggi manchi soprattutto questo tipo di preghiera fra i giovani.
- Di primaria importanza è, comunque, l'Eucaristia. È essa che nutre, vivifica e fa maturare il germe della vocazione. Ai giovani si deve presentare il mistero eucaristico nella sua ricchezza e profondità; essi vanno stimolati a parteciparvi in modo conscio e attivo; vanno educati a saper trarre dall'unione con l'Eucaristia la forza per il loro cammino spirituale. Da ciò, l'urgenza di sottolineare come essa deve essere veramente culmine e fonte della loro vita.
- Il sacramento della confessione, in alcune nazioni purtroppo molto trascurato, assume poi un'importanza decisiva in ordine alla conversione del cuore e ad una progressiva e costante crescita nell'intimità con Gesù, nella conformità a Lui, nella radicale sequela.
- La direzione spirituale è un altro aspetto sul quale portare la nostra attenzione, specialmente nell'attuale contesto d'incertezza. Il compito del direttore spirituale dovrà mirare a che il giovane interiorizzi la sua scelta, la maturi profondamente e la consideri possibile come impegno definitivo per la sua vita. A tale riguardo sono molto significative le parole di Suor Faustina, canonizzata tre settimane fa (30.4.2000): "È una grande grazia avere un direttore dell'anima. Rende più veloce l'agire nella virtù, rende più chiara la volontà di Dio, più fedeli nel compierla, rende il cammino più certo e sicuro" (Diario, 331). E, ripensando alla sua esperienza personale, riconosce con un certo rammarico: "Se io avessi avuto fin dall'inizio un direttore dell'anima non avrei perso tante grazie divine" (Diario, 35).
- L'attenzione sempre rivolta a Maria, Regina degli Apostoli, dovrà stimolare la preghiera del giovane perché il Signore gli conceda, grazie all'intercessione di Sua Madre, la perseveranza nella vocazione. Infatti, non è difficile rilevare che il sacerdozio gioioso e dinamico di Giovanni Paolo II trova un forte sostegno nell'affidamento totale alla Madonna.
Conclusione
In quest'anno, nel quale celebriamo il bimillenario della nascita di Gesù, siamo invitati a comprendere più profondamente come il dono totale della propria vita a Cristo, Buon Pastore, può diventare sempre più affascinante nella misura in cui si prende piena consapevolezza che il mistero dell'incarnazione e della redenzione richiede essenzialmente l'indispensabile missione del ministero sacerdotale.
Tutte le nostre attività devono però essere animate e vivificate da una preghiera costante. Ci è di esempio lo stesso Gesù, il quale chiama dopo aver pregato. San Luca, l'Evangelista della preghiera, sottolinea che Gesù passò una notte intera in preghiera sul monte prima della scelta dei dodici (Lc 6, 12-16). Questa lunga preghiera notturna rivela l'importanza decisiva che Egli attribuisce a questa scelta. Luca sembra voler evidenziare che Gesù, prima della costituzione dei Dodici, abbia voluto parlare con il Padre che lo aveva inviato.
È significativo l'invito di Gesù alla preghiera quale risulta nel Vangelo di Matteo: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe" (Mt 9, 37-38).
1) Dati statistici sulle vocazioni in Polonia negli anni 1998-1999, elaborati dalla Conferenza Episcopale Polacca.
2) Zasady formacji kaplanskiej w Polsce (Biblioteka "Niedzieli", tom 78), Czestochowa 1999.
3) Nuove vocazioni per una nuova Europa, Città del Vaticano 1997. In lingua polacca Nowe powolania dla nowej Europy, Poznan 1998.
4) Cfr ad es. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1548-1553.
5) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1547.