PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE
NUOVE VOCAZIONI PER UNA NUOVA EUROPA
(In verbo tuo...)
Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e
alla Vita Consacrata in Europa
Roma, 5-10 maggio 1997
*
A cura delle Congregazioni per l'Educazione Cattolica,
per le Chiese Orientali, per gli Istituti di Vita Consacrata
e le Società di Vita Apostolica
INTRODUZIONE Rendiamo grazie a Dio
1. Benedetto sia l'Onnipotente Dio che ha benedetto la terra d'Europa con ogni
benedizione spirituale, in Cristo e nel suo santo Spirito (cfr. Ef 1, 3).
Noi Gli rendiamo grazie per aver chiamato dagli inizi dell'era cristiana questo
continente a essere centro d'irradiazione della buona novella della fede, e a
manifestare nel mondo la Sua universale paternità. Gli rendiamo grazie perché ha
benedetto questo suolo con il sangue dei martiri e il dono di innumerevoli
vocazioni al sacerdozio, al diaconato, alla vita consacrata nelle sue varie
forme, dalla vita monastica agl'istituti secolari. Gli rendiamo grazie perché il
Suo santo Spirito non cessa ancor oggi di chiamare i figli di questa Chiesa a
farsi annunciatori del messaggio di salvezza in ogni parte del mondo, ed altri
ancora a testimoniare la verità del Vangelo che salva, nella vita matrimoniale e
professionale, nella cultura e nella politica, nell'arte e nello sport, nei
rapporti umani e di lavoro, ognuno secondo il dono e la missione ricevuti. Gli
rendiamo grazie perché Lui è la voce che chiama e dà il coraggio di rispondere,
è il pastore che guida e sostiene la fedeltà d'ogni giorno, è via, verità e vita
per tutti coloro che sono chiamati a realizzare in sé il progetto del Padre.
Il Congresso Europeo Vocazionale 2. Riuniti in Roma, dal 5 al 10
maggio 1997, per il Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita
Consacrata in Europa,(1) abbiamo posto nelle mani del Padrone della messe i
lavori del Congresso stesso, ma soprattutto l'ansia della Chiesa che è in
Europa, in questo tempo difficile e pure formidabile, assieme alla gratitudine
verso il Dio che è fonte d'ogni consolazione e autore d'ogni vocazione.
Riuniti in Roma abbiamo affidato a Maria, l'immagine riuscita della creatura
chiamata dal Creatore, coloro che Dio ancor oggi continua a chiamare. Ai santi
Pietro e Paolo e a tutti i santi e martiri di questa e d'ogni città e Chiesa
europea, del passato e del presente, affidiamo ora questo documento. Riesca esso
a esprimere e condividere quella ricchezza che ci è stata donata nei giorni
dell'assemblea romana, così come un tempo i martiri e i santi hanno reso
testimonianza dell'amore dell'Eterno. Il Congresso, in effetti, è stato
un evento di grazia: la condivisione fraterna, l'approfondimento dottrinale,
l'incontro dei vari carismi, lo scambio delle diverse esperienze e fatiche in
atto nelle Chiese dell'Est e dell'Ovest hanno arricchito tutti e ognuno. Hanno
confermato in ciascun partecipante la volontà di continuare a lavorare con
passione nel campo vocazionale, nonostante l'esiguità dei risultati in alcune
Chiese del vecchio continente. La forza della speranza
3. Dal Documento di lavoro del Congresso alle Proposizioni conclusive,
dal Discorso del S. Padre ai partecipanti al Messaggio per le comunità
ecclesiali, dagli interventi in aula alle discussioni nei gruppi di studio,
dagli scambi informali alle testimonianze, c'è stato come un filo rosso che ha
legato tra loro tutti gli atti e ogni momento di questo convegno: la speranza.
Una speranza più forte d'ogni timore e d'ogni dubbio, quella speranza che ha
sostenuto la fede dei nostri fratelli delle Chiese dell'Est in tempi in cui duro
e rischioso era credere e sperare, e che ora è premiata da una rinnovata
fioritura di vocazioni, com'è stato testimoniato al convegno. A questi
fratelli siamo profondamente grati, come a tutti quei credenti che continuano a
testimoniare che la « speranza è il segreto della vita cristiana. Essa è il
respiro assolutamente necessario sul fronte della missione della Chiesa e in
particolare della pastorale vocazionale (...). Occorre quindi rigenerarla nei
presbiteri, negli educatori, nelle famiglie cristiane, nelle famiglie religiose,
negli Istituti Secolari. Insomma in tutti coloro che devono servire la vita
accanto alle nuove generazioni ».(2) Scriviamo a voi, ragazzi,
adolescenti e giovani ... 4. Forti di questa speranza ci
rivolgiamo a voi, ragazzi, adolescenti e giovani, anzitutto, perché nella
scelta del vostro futuro accogliate il progetto che Dio ha su di voi: sarete
felici e pienamente realizzati solo disponendovi a realizzare il sogno del
Creatore sulla creatura. Quanto vorremmo che questo scritto fosse come una
lettera indirizzata a ciascuno di voi, in cui possiate sentire, con l'aiuto dei
vostri educatori, la premura della madre-Chiesa per ciascuno dei suoi figli,
quella premura tutta particolare che una madre ha per i più giovani dei suoi
figli. Una lettera in cui possiate riconoscere i vostri problemi, le domande che
abitano il vostro cuore giovane e le risposte che vengono da Colui che è l'amico
perennemente giovane delle anime vostre, l'unico che può dirvi la verità!
Sappiatelo, cari giovani, la Chiesa segue trepida i vostri passi e le vostre
scelte. E come sarebbe bello se questa lettera suscitasse in voi una qualche
risposta, per un dialogo da continuare con chi vi guida... ... a
voi, genitori ed educatori ... 5. Ricchi della medesima speranza
ci rivolgiamo a voi genitori, da Dio chiamati a collaborare con la sua
volontà di dare la vita, e a voieducatori, insegnanti, catechisti e
animatori, da Dio chiamati a collaborare in vario modo al suo disegno di formare
alla vita. Vorremmo dirvi quanto la Chiesa apprezzi la vostra vocazione, e
quanto s'affidi a essa per promuovere la vocazione dei vostri figli e una vera e
propria cultura vocazionale. Voi genitori siete anche i primi naturali
educatori vocazionali, mentre voi formatori non siete solo istruttori che
introducono alle scelte esistenziali: siete chiamati voi pure a generare la vita
nelle giovani esistenze che aprite al futuro. La vostra fedeltà alla chiamata di
Dio è mediazione preziosa e insostituibile perché i vostri figli e alunni
possano scoprire la loro personale vocazione, perché « abbiano la vita e
l'abbiano in abbondanza » (Gv 10, 10). ... a voi, pastori e
presbiteri, consacrati e consacrate ... 6. Sempre con la speranza
in cuore ci rivolgiamo a voi presbiteri e a voi consacrati e consacrate, nella
vita religiosa e negli istituti secolari. Voi che avete sentito una particolare
chiamata a seguire il Signore in una vita tutta dedicata a Lui, siete anche
particolarmente chiamati, tutti senz'alcuna eccezione, a testimoniare la
bellezza della sequela. Sappiamo quanto oggi sia difficile questo
annuncio e quanto sia facile la tentazione dello scoraggiamento quando la fatica
sembra inutile. « La pastorale vocazionale costituisce il ministero più
difficile e più delicato ».(3) Ma vorremmo anche ricordare che non c'è nulla di
più esaltante d'una testimonianza così appassionata della propria vocazione da
saperla rendere contagiosa. Nulla è più logico e coerente d'una vocazione che
genera altre vocazioni e vi rende a pieno titolo « padri » e « madri ». In
particolare vorremmo con questo scritto rivolgerci non solo a chi ha un incarico
esplicito nella promozione vocazionale, ma anche a chi di voi non è impegnato
direttamente in essa, o a chi ritiene di non aver alcun obbligo in tale
direzione. Vorremmo ricordare a costoro che solo una testimonianza corale
rende efficace l'animazione vocazionale, e che la cosiddetta crisi vocazionale è
prima di tutto legata alla latitanza di qualche testimone che rende debole il
messaggio. In una Chiesa tutta vocazionale, tutti sono animatori vocazionali.
Beati voi, allora, se saprete dire con la vostra vita che servire Dio è bello e
appagante, e svelare che in Lui, il Vivente, è nascosta l'identità d'ogni
vivente (cfr. Col 3, 3). ... a tutto il popolo di Dio che è
in Europa 7. Infine vorremmo essere « samaritani della speranza »
per quei fratelli e sorelle con cui condividiamo la fatica del cammino. Vorremmo
indirizzare a tutto il popolo di Dio, peregrinante in questa terra antica e
benedetta, nelle Chiese dell'Est e dell'Ovest, lo stesso messaggio di speranza.
Da qui un tempo si diffuse l'annuncio della buona novella, grazie al coraggio di
molti evangelizzatori che pagarono anche con il sangue la loro testimonianza.
Ancora oggi, noi vogliamo credere, lo Spirito del Padre chiama. Egli
invia per le strade del mondo i figli di questa terra generosa dalle radici
cristiane, ma bisognosa essa stessa di nuova evangelizzazione e di nuovi
evangelizzatori. Anche noi, allora, ci presentiamo al Signore, come gli Apostoli
un tempo, con la coscienza della nostra povertà e dei bisogni di questa Chiesa:
« Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla » (Lc
5, 5). Ma vogliamo soprattutto, « sulla sua parola », credere e sperare che,
come allora, il Signore può riempire anche oggi con una pesca miracolosa le
barche dei suoi apostoli e trasformare ogni credente in pescatore di uomini.
Dal Congresso alla vita 8. Scopo, allora, del presente documento
è quello di condividere con tutti voi l'evento di grazia che il Congresso è
stato. Senza pretendere di farne una sintesi accurata, né presumere di esporre
un trattato sistematico sulla vocazione, vorremmo fraternamente mettere a
disposizione della Chiesa tutta, che è in Europa e fuori d'Europa, nelle sue
varie denominazioni cristiane, i frutti più significativi del Congresso stesso.
Lo stile cercherà di esprimere il più possibile la volontà di farci capire da
tutti, poiché tutti indistintamente sono chiamati a realizzare la propria
vocazione e a promuovere quella di chi è loro prossimo. Sarà tale
soprattutto da coniugare tra loro riflessione teologica e prassi pastorale,
proposta teorica e indicazione pedagogica, per offrire un aiuto concreto e
pratico a quanti operano nell'animazione vocazionale. Non abbiamo alcuna
pretesa di dire tutto, non solo per non ripetere quanto altri documenti hanno
già ottimamente detto al riguardo,(4) ma per rimanere aperti al mistero, a quel
mistero che avvolge la vita e la chiamata d'ogni essere umano, a quel mistero
che è anche il cammino di discernimento vocazionale e che solo nel momento della
morte si compirà. O la pastorale vocazionale è mistagogica, e dunque parte e
riparte dal Mistero (di Dio) per ricondurre al mistero (dell'uomo), o non è.
Le parti del documento 9. Concretamente il presente testo segue
la logica che ha guidato i lavori del Congresso: dal concreto dell'esistenza
alla riflessione, per tornare ancora al concreto esistenziale. È con la realtà
d'ogni giorno che deve misurarsi la pastorale vocazionale, proprio perché è
pastorale in funzione e al servizio della vita. Di conseguenza partiremo con un
tentativo di rilevamento della situazione, per poi analizzare il tema della
vocazione dal punto di vista teologico, e dare dunque un fondamento, una
indispensabile struttura di riferimento a tutto il seguito del discorso.
A questo punto inizia la parte più applicativa: di tipo pastorale,
anzitutto, o di grandi strategie d'intervento, e poi di tipo più pedagogico.
Sarà utile per identificare almeno alcune piste orientative sul piano del metodo
e della prassi quotidiana. E forse proprio questo aspetto è il più carente e il
più atteso dagli operatori pastorali. PARTE PRIMA
LA SITUAZIONE VOCAZIONALE EUROPEA OGGI
« La messe è molta, ma gli operai sono pochi
» (Mt 9, 37)
Questa prima parte costituisce
uno sguardo sapienziale sull'Europa, nella consapevolezza della sua complessità
culturale, in cui sembra essere egemone un modello antropologico di « uomo senza
vocazione ». La nuova evangelizzazione deve riannunciare il senso forte della
vita come « vocazione », nel suo fondamentale appello alla santità, ricreando
una cultura favorevole alle diverse vocazioni ed atta a promuovere un vero salto
di qualità nella pastorale vocazionale. « Nuove vocazioni per
una nuova Europa » 10. Il tema del Congresso (« Nuove vocazioni
per una nuova Europa ») va direttamente al cuore del problema: oggi in un'Europa
nuova rispetto al passato c'è bisogno di vocazioni altrettanto « nuove ». È
necessario giustificare l'affermazione per capire il senso di questa novità, e
coglierne il rapporto con la pastorale « tradizionale » delle vocazioni al
sacerdozio e alla vita consacrata. Non ci accontenteremo allora di fotografare
la situazione e di enumerare dati, ma vedremo di cogliere in quale direzione
vada la novità e il bisogno di vocazioni che da essa scaturisce. Allo
stesso tempo leggeremo la situazione che s'è determinata al presente, a partire
dall'espressione di Gesù dinanzi alla missione che l'attendeva: « La messe è
molta, ma gli operai sono pochi » (Mt 9, 37). Queste parole continuano a
essere vere e costituiscono una preziosa chiave di lettura dell'attualità. In
qualche maniera ritroviamo in esse la giusta misura della nostra azione e la
giusta proporzione (o sproporzione) tra una messe che sarà sempre eccedente e le
nostre poche forze. Al riparo da ogni interpretazione pessimista dell'oggi, come
pure da ogni pretesa d'autosufficienza per il domani. Nuova Europa
11. Già il Documento di lavoro aveva offerto un quadro della situazione
europea, riguardo alla problematica vocazionale, fortemente segnato da elementi
di novità. Qui li riassumiamo appena, secondo l'analisi che ne ha fatto il
Congresso stesso, cercando di cogliere quelli più significativi, destinati a
condizionare nei tempi lunghi mentalità e sensibilità giovanili, e dunque anche
prassi pastorali e strategie vocazionali. a) Un'Europa diversificata e
complessa Anzitutto un dato appare ormai scontato: è praticamente
impossibile definire in modo univoco e statico la situazione europea, sul piano
della condizione giovanile e degli inevitabili riflessi vocazionali. Siamo di
fronte a una Europa diversificata, resa tale dalle diverse vicende
storico-politiche (vedi la differenza tra Est e Ovest), ma anche dalla pluralità
di tradizioni e culture (greco-latina, anglosassone e slava). Esse
tuttavia ne costituiscono anche la ricchezza e rendono significative, in
contesti diversi, esperienze e scelte. Così, se nei paesi del versante orientale
si avverte il problema di come gestire la ritrovata libertà, in quelli del
versante occidentale ci s'interroga su come vivere l'autentica libertà.
Tale eterogeneità è pure confermata dall'andamento delle vocazioni al sacerdozio
e alla vita consacrata, non solo per la differenza marcata tra la fioritura
vocazionale dell'Europa orientale e la crisi generale che pervade l'Occidente,
ma perché, all'interno di tale crisi, vi sono anche segni di ripresa
vocazionale, particolarmente in quelle Chiese, in cui il lavoro postconciliare
assiduo e costante ha tracciato un solco profondo ed efficace.(5) Se
dunque in Oriente è necessario avviare una vera pastorale organica al servizio
della promozione vocazionale, dall'animazione alla formazione, soprattutto,
delle vocazioni, in Occidente è indispensabile una diversa attenzione. Ci si
deve interrogare sulla reale consistenza teologica e sulla linearità applicativa
di certi progetti vocazionali, sul concetto di vocazione che ne è alla base e
sul tipo di vocazioni che ne derivano. Al Congresso è tornata insistente la
domanda: « Perché determinate teologie o prassi pastorali non producono
vocazioni, mentre altre le producono? ».(6) Un altro aspetto caratterizza
l'attualità socio-culturale europea: l'eccedenza di possibilità, di occasioni,
di sollecitazioni, a fronte della carenza di focalizzazione, di propositività,
di progettualità. È come un ulteriore contrasto che aumenta il grado di
complessità di questa stagione storica, con ricaduta negativa sul piano
vocazionale. Come la Roma antica, l'Europa moderna sembra simile a un
pantheon, a un grande « tempio » in cui tutte le « divinità » son presenti,
o in cui ogni « valore » ha il suo posto e la sua nicchia. « Valori »
diversi e contrastanti sono copresenti e coesistenti, senza una gerarchizzazione
precisa; codici di lettura e di valutazione, d'orientamento e di comportamento
del tutto dissimili tra loro. Risulta difficile, in tale contesto, avere
una concezione o una visione del mondo unitaria, e diventa dunque debole
anche la capacità progettuale della vita. Quando una cultura, infatti, non
definisce più le supreme possibilità di significato, o non riesce a creare
convergenza attorno ad alcuni valori come particolarmente capaci di dar senso
alla vita, ma pone tutto sullo stesso piano, cade ogni possibilità di scelta
progettuale e tutto diviene indifferente e piatto. b) I giovani e
l'Europa I giovani europei vivono in questa cultura pluralista e
ambivalente, « politeista » e neutra. Da un lato cercano appassionatamente
autenticità, affetto, rapporti personali, grandezza d'orizzonti, dall'altro sono
fondamentalmente soli, « feriti » dal benessere, delusi dalle ideologie, confusi
dal disorientamento etico. E ancora: « da più parti del mondo giovanile
si rileva una chiara simpatia per la vita intesa come valore assoluto, sacro...
»,(7) ma spesso e in molte parti d'Europa tale apertura nei confronti
dell'esistenza è smentita da politiche non rispettose del diritto alla vita
stessa, soprattutto, per i più deboli. Politiche che stanno rischiando di
rendere il « vecchio continente » sempre più vecchio. Se dunque, per un verso,
questi giovani sono un notevole capitale per l'Europa d'oggi, che su di loro
investe notevolmente per costruire il suo futuro, dall'altro non sempre le
aspettative giovanili sono coerentemente accolte dal mondo degli adulti o dei
responsabili della società civile. Due aspetti, comunque, ci sembrano
centrali per capire l'atteggiamento giovanile odierno: la rivendicazione
della soggettività e il desiderio di libertà. Sono due istanze degne
d'attenzione e tipicamente umane. Spesso tuttavia in una cultura debole e
complessa quale l'attuale, danno luogo — incontrandosi — a combinazioni che ne
deformano il senso: la soggettività diventa allora soggettivismo, mentre
la libertà degenera in arbitrio. In tale contesto merita
attenzione il rapporto che i giovani europei stabiliscono con la Chiesa. Rileva
con coraggio e realismo il Congresso in una delle sue Proposizioni conclusive: «
I giovani spesso non vedono nella Chiesa l'oggetto della loro ricerca ed il
luogo di risposta della loro domanda e attesa. Si rileva che non è Dio il
problema, ma la Chiesa. La Chiesa ha coscienza della difficoltà a comunicare con
i giovani, della carenza di veri progetti pastorali..., della debolezza
teologico-antropologica di certe catechesi. Da parte di tanti giovani perdura il
timore che un'esperienza nella Chiesa limiti la loro libertà »,(8) mentre da
parte di molti altri la Chiesa resta o sta diventando il più autorevole punto di
riferimento. c) « Uomo senza vocazione » Questo gioco di
contrasti si riflette inevitabilmente sul piano della progettazione del futuro,
che è visto — da parte dei giovani — in un'ottica conseguente, limitata alle
proprie vedute, in funzione d'interessi strettamente personali
(l'autorealizzazione). È una logica che riduce il futuro alla scelta
d'una professione, alla sistemazione economica, o all'appagamento
sentimentale-emotivo, entro orizzonti che di fatto riducono la voglia di libertà
e le possibilità del soggetto a progetti limitati, con l'illusione d'esser
liberi. Sono scelte senza alcun'apertura al mistero e al trascendente, e
fors'anche con scarsa responsabilità nei confronti della vita, propria e altrui,
della vita ricevuta in dono e da generare negli altri. È, in altre parole, una
sensibilità e mentalità che rischia di delineare una sorta di cultura
antivocazionale. Come dire che nell'Europa culturalmente complessa e priva di
precisi punti di riferimento, simile a un grande pantheon, il modello
antropologico prevalente sembra esser quello dell'« uomo senza vocazione ».
Eccone una possibile descrizione. « Una cultura pluralista e complessa tende a
generare dei giovani con un'identità incompiuta e debole con la conseguente
indecisione cronica di fronte alla scelta vocazionale. Molti giovani non hanno
neppure la « grammatica elementare » dell'esistenza, sono dei nomadi: circolano
senza fermarsi a livello geografico, affettivo, culturale, religioso, essi «
tentano »! In mezzo alla grande quantità e diversità delle informazioni, ma con
povertà di formazione, appaiono dispersi, con poche referenze e pochi referenti.
Per questo hanno paura del loro avvenire, hanno ansia davanti ad impegni
definitivi e si interrogano circa il loro essere. Se da una parte cercano
autonomia e indipendenza ad ogni costo, dall'altra, come rifugio, tendono a
essere molto dipendenti dall'ambiente socioculturale ed a cercare la
gratificazione immediata dei sensi: di ciò che « mi va », di ciò che « mi fa
sentire bene » in un mondo affettivo fatto su misura ».(9) Fa un'immensa
tristezza incontrare giovani, pur intelligenti e dotati, in cui sembra spenta la
voglia di vivere, di credere in qualcosa, di tendere verso obiettivi grandi, di
sperare in un mondo che può diventare migliore anche grazie ai loro sforzi. Sono
giovani che sembrano sentirsi superflui nel gioco o nel dramma della
vita, quasi dimissionari nei confronti d'essa, smarriti lungo sentieri
interrotti e appiattiti sui livelli minimi della tensione vitale. Senza
vocazione, ma anche senza futuro, o con un futuro che, tutt'al più, sarà una
fotocopia del presente. d) La vocazione dell'Europa
Eppure, quest'Europa dalle molte anime e dalla cultura così debole (ma che
tuttavia s'impone spesso con forza) mostra d'avere energie insospettate, è
quanto mai viva e chiamata a giocare un ruolo importante nel contesto mondiale.
Mai come in questo tempo il vecchio continente, nonostante mostri ancora le
ferite di recenti conflitti e di contrapposizioni anche violente al suo interno,
ha avvertito forte la chiamata all'unità. Una unità che si deve ancora
costruire, nonostante certi muri siano caduti, e che dovrà estendersi a tutta
l'Europa e a chi a essa chiede ospitalità e accoglienza. Unità che non potrà
essere solo politica o economica, ma anche e prima di tutto spirituale e morale.
Unità, ancora, che dovrà superare vecchi rancori e antiche diffidenze, e che
potrebbe ritrovare proprio nelle primitive radici cristiane un motivo di
convergenza e una garanzia d'intesa. Unità, in particolare, che toccherà
all'attuale generazione giovanile realizzare e render solida e completa,
dall'Ovest all'Est, dal Nord al Sud, difendendola da ogni tentazione contraria
d'isolamento e ripiegamento sui propri interessi, e proponendola al mondo intero
come esempio di serena convivenza nella diversità. Saranno questi giovani
capaci di assumere tale responsabilità? Se è vero che il giovane d'oggi
rischia d'essere disorientato e di ritrovarsi senza un preciso punto di
riferimento, la « nuova Europa » che sta nascendo potrebbe forse diventare un
traguardo e offrire un adeguato stimolo a giovani che, in realtà, « hanno
nostalgia di libertà e cercano la verità, la spiritualità, l'autenticità, la
propria originalità personale e la trasparenza, che insieme hanno desiderio di
amicizia e di reciprocità », che cercano « compagnia » e vogliono « costruire
una nuova società, fondata su valori quali la pace, la giustizia, il rispetto
per l'ambiente, l'attenzione alle diversità, la solidarietà, il volontariato e
la pari dignità della donna ».(10) In ultima analisi, le più recenti
ricerche descrivono i giovani europei come smarriti, ma non disperati;
impregnati di relativismo etico, ma anche desiderosi di vivere una « vita buona
»; coscienti del loro bisogno di salvezza, sia pur senza sapere dove cercarla.
Il loro più grave problema è probabilmente la società eticamente neutra nella
quale è capitato loro di vivere, ma le risorse in loro non si sono spente.
Specie in un tempo di transizione verso nuovi traguardi come il nostro. Ne fanno
fede i tanti giovani animati da sincera ricerca di spiritualità e
coraggiosamente impegnati nel sociale, fiduciosi in se stessi e negli altri e
distributori di speranza e di ottimismo. Noi crediamo che questi giovani,
nonostante le contraddizioni e il « peso » d'un certo ambiente culturale,
possano costruire questa nuova Europa. Nella vocazione della loro madre-terra
s'adombra anche la loro personale vocazione. Nuova evangelizzazione
12. Tutto questo apre nuove strade e chiede nuovo impulso allo stesso processo
di evangelizzazione della vecchia e nuova Europa. Da tempo la Chiesa e l'attuale
Pontefice vanno chiedendo un profondo rinnovamento dei contenuti e del metodo
dell'annuncio del vangelo, « per rendere la Chiesa del XX secolo sempre più
idonea ad annunciare il vangelo all'umanità del XX secolo ».(11) E, come ci ha
ricordato il Congresso, « non bisogna aver paura di essere in un periodo di
passaggio da una sponda all'altra ».(12) a) Il « semper » e il « novum
» Si tratta di coniugare il « semper » e il « novum » del vangelo,
per offrirlo alle nuove domande e condizioni dell'uomo e della donna d'oggi. È
dunque urgente riproporre il cuore o il centro del kerigma come « notizia
perennemente buona », ricca di vita e di senso per il giovane che vive in
Europa, come annuncio capace di rispondere alle sue aspettative e d'illuminare
la sua ricerca. Specie attorno a questi punti si concentrano la tensione
e la sfida. Di qui dipendono l'immagine d'uomo che si vuole realizzare e le
grandi decisioni della vita, del futuro della persona e dell'umanità: dal
significato della libertà, del rapporto tra soggettività e oggettività, del
mistero della vita e della morte, dell'amare e del soffrire, del lavoro e della
festa. Occorre chiarire la relazione tra prassi e verità, tra istante
storico personale e futuro definitivo universale o tra bene ricevuto e bene
donato, tra coscienza del dono e scelta di vita. Noi sappiamo che è proprio
attorno a questi punti che si concentra anche una certa crisi di significato, da
cui derivano poi una cultura antivocazionale e un'immagine d'uomo senza
vocazione. Dunque di qui deve partire o qui deve approdare il cammino
della nuova evangelizzazione, per evangelizzare la vita e il significato della
vita, l'esigenza di libertà e di soggettività, il senso del proprio essere al
mondo e del relazionarsi con gli altri. Di qui potrà emergere una
cultura vocazionale e un modello d'uomo aperto alla chiamata. Perché a un'Europa
che va ridisegnando in profondità il suo volto non venga a mancare la buona
novella della pasqua del Signore, nel cui sangue i popoli dispersi si sono
riuniti e i lontani sono diventati vicini, « abbattendo il muro di separazione
che era frammezzo, cioè l'inimicizia » (Ef 2, 14). Possiamo anzi dire che
la vocazione è il cuore stesso della nuova evangelizzazione alle soglie del
terzo millennio, è l'appello di Dio all'uomo per una nuova stagione di
verità e libertà, e per una rifondazione etica della cultura e della società
europea. b) Nuova santità In questo processo di
inculturazione della buona novella, la Parola di Dio si fa compagna di viaggio
dell'uomo e lo incrocia lungo le vie per rivelargli il progetto del Padre come
condizione della sua felicità. Ed è esattamente la Parola tratta dalla lettera
di Paolo ai cristiani della Chiesa di Efeso, che conduce anche noi oggi, popolo
di Dio in Europa, a scoprire quanto forse non è subito visibile a prima vista,
ma che pure è evento, è dono, è vita nuova: « Così dunque voi non siete più
stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio » (Ef
2, 19). Non è, evidentemente, parola nuova, ma è parola che ci fa
guardare in modo nuovo alla realtà della Chiesa del vecchio continente, che è
tutt'altro che « Chiesa vecchia ». Essa è comunità di credenti chiamati alla «
giovinezza della santità », alla vocazione universale alla santità,
sottolineata con forza dal Concilio (13) e ribadita in svariate circostanze dal
Magistero successivo. È tempo, ora, che quell'appello riprenda forza e
raggiunga ogni credente, perché ognuno sia « in grado di comprendere con tutti i
santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità » (Ef
3, 18) del mistero di grazia affidato alla propria vita. È tempo ormai
che quell'appello susciti nuovi disegni di santità, perché l'Europa ha bisogno
soprattutto di quella particolare santità che il momento presente esige,
originale quindi e in qualche modo senza precedenti. Occorrono persone,
capaci di « gettare ponti » per unire sempre più le Chiese e i popoli
d'Europa e per riconciliare gli animi. Occorrono « padri » e « madri »
aperti alla vita e al dono della vita; sposi e spose che testimonino e
celebrino la bellezza dell'amore umano benedetto da Dio; persone capaci di
dialogo e di « carità culturale », per la trasmissione del messaggio
cristiano mediante i linguaggi della nostra società; professionisti e persone
semplici capaci d'imprimere all'impegno nella vita civile e ai rapporti di
lavoro e d'amicizia la trasparenza della verità e l'intensità della carità
cristiana; donne che riscoprano nella fede cristiana la possibilità di
vivere in pieno il loro genio femminile; presbiteri dal cuore grande,
come quello del Buon Pastore; diaconi permanenti che annuncino la Parola
e la libertà del servizio per i più poveri; apostoli consacrati capaci
d'immergersi nel mondo e nella storia con cuore di contemplativo, e mistici
così familiari col mistero di Dio da saper celebrare l'esperienza del divino e
indicare Dio presente nel vivo dell'azione. L'Europa ha bisogno di nuovi
confessori della fede e della bellezza del credere, di testimoni che
siano credenti credibili, coraggiosi fino al sangue, di vergini
che non siano tali solo per se stessi, ma che sappiano indicare a tutti quella
verginità che è nel cuore d'ognuno e che rimanda immediatamente all'Eterno,
fonte d'ogni amore. La nostra terra è avida non solo di persone sante, ma
di comunità sante, così innamorate della Chiesa e del mondo da saper
presentare al mondo stesso una Chiesa libera, aperta, dinamica, presente nella
storia odierna d'Europa, vicina ai dolori della gente, accogliente verso tutti,
promotrice della giustizia, attenta ai poveri, non preoccupata della sua
minoranza numerica né di porre paletti di confine alla propria azione, non
spaventata dal clima di scristianizzazione sociale (reale ma forse non così
radicale e generale) né dalla scarsità (spesso solo apparente) dei risultati.
Sarà questa la nuova santità capace di rievangelizzare l'Europa e di costruire
la nuova Europa! Nuove vocazioni 13. S'impone allora
un discorso nuovo sulla vocazione e sulle vocazioni, sulla cultura e sulla
pastorale vocazionale. Il Congresso ha inteso recepire una certa sensibilità,
ormai largamente diffusa riguardo a questi temi, proponendo però, al tempo
stesso, un « «sussulto» idoneo ad aprire stagioni nuove nelle nostre Chiese
».(14) a) Vocazione e vocazioni Come la santità è per
tutti i battezzati in Cristo, così esiste una vocazione specifica per ogni
vivente; e come la prima è radicata nel Battesimo, così la seconda è connessa al
semplice fatto d'esistere. La vocazione è il pensiero provvidente del Creatore
sulla singola creatura, è la sua idea-progetto, come un sogno che sta a cuore a
Dio perché gli sta a cuore la creatura. Dio-Padre lo vuole diverso e specifico
per ogni vivente. L'essere umano, infatti, è « chiamato » alla vita, e
come viene alla vita porta e ritrova in sé l'immagine di Colui che l'ha
chiamato. Vocazione è la proposta divina di realizzarsi secondo
quest'immagine, ed è unica-singola irripetibile proprio perché tale immagine è
inesauribile. Ogni creatura dice ed è chiamata a esprimere un aspetto
particolare del pensiero di Dio. Lì trova il suo nome e la sua identità; afferma
e mette al sicuro la sua libertà e originalità. Se dunque ogni essere
umano ha la propria vocazione fin dal momento della nascita, esistono nella
Chiesa e nel mondo varie vocazioni che, mentre su un piano teologico esprimono
la somiglianza divina impressa nell'uomo, a livello pastorale-ecclesiale
rispondono alle varie esigenze della nuova evangelizzazione, arricchendo la
dinamica e la comunione ecclesiale: « La Chiesa particolare è come un giardino
fiorito, con grande varietà di doni e carismi, movimenti e ministeri. Di qui
l'importanza della testimonianza della comunione tra loro, abbandonando ogni
spirito di «concorrenza» ».(15) Anzi, è stato detto esplicitamente al
Congresso, « c'è bisogno di apertura a nuovi carismi e ministeri, forse diversi
da quelli consueti. La valorizzazione ed il posto del laicato è un segno dei
tempi che è ancora in parte da scoprire. Esso si sta rivelando sempre più
fruttuoso ».(16) b) Cultura della vocazione Questi
elementi stanno progressivamente penetrando la coscienza dei credenti, ma non
ancora fino a creare una vera e propria cultura vocazionale,(17) capace di
varcare i confini della comunità credente. Per questo il S. Padre, nel
suo Discorso ai partecipanti al Congresso auspica che la costante e
paziente attenzione della comunità cristiana al mistero della divina chiamata
promuova una « nuova cultura vocazionale nei giovani e nelle famiglie
».(18) Essa è una componente della nuova evangelizzazione. È cultura
della vita e dell'apertura alla vita, del significato del vivere, ma anche del
morire. In particolare fa riferimento a valori forse un po' dimenticati
da certa mentalità emergente (« cultura di morte », secondo alcuni), come la
gratitudine, l'accoglienza del mistero, il senso dell'incompiutezza dell'uomo e
assieme della sua apertura al trascendente, la disponibilità a lasciarsi
chiamare da un altro (o da un Altro) e a farsi interpellare dalla vita, la
fiducia in sé e nel prossimo, la libertà di commuoversi di fronte al dono
ricevuto, di fronte all'affetto, alla comprensione, al perdono, scoprendo che
quello che si è ricevuto è sempre immeritato ed eccedente la propria misura, e
fonte di responsabilità verso la vita. Fa parte ancora di questa cultura
vocazionale la capacità di sognare e desiderare in grande, quello stupore che
consente d'apprezzare la bellezza e sceglierla per il suo valore intrinseco,
perché rende bella e vera la vita, quell'altruismo che non è solo solidarietà
d'emergenza, ma che nasce dalla scoperta della dignità di qualsiasi fratello.
Alla cultura della distrazione, che rischia di perder di vista e annullare
gl'interrogativi seri nel macero delle parole, va opposta una cultura capace di
ritrovare coraggio e gusto per le domande grandi, quelle relative al proprio
futuro: sono le domande grandi, infatti, che rendono grandi anche le risposte
piccole. Ma son poi le risposte piccole e quotidiane che provocano le grandi
decisioni, come quella della fede; o che creano cultura, come quella della
vocazione. In ogni caso la cultura vocazionale, in quanto complesso di
valori, deve passare sempre più dalla coscienza ecclesiale a quella civile,
dalla consapevolezza del singolo o della comunità credente alla convinzione
universale di non poter costruire alcun futuro, per l'Europa del duemila, su un
modello d'uomo senza vocazione. Continua infatti il Papa: « Il disagio che
attraversa il mondo giovanile rivela, anche nelle nuove generazioni, pressanti
domande sul significato dell'esistenza, a conferma del fatto che nulla e nessuno
può soffocare nell'uomo la domanda di senso e il desiderio di verità. Per
molti è questo il terreno sul quale si pone la ricerca vocazionale ».(19)
Proprio questa domanda e questo desiderio fanno nascere un'autentica cultura
della vocazione; e se domanda e desiderio sono nel cuore d'ogni uomo, anche di
chi li nega, allora questa cultura potrebbe diventare una sorta di terreno
comune ove la coscienza credente incontra la coscienza laica e con essa si
confronta. Ad essa donerà con generosità e trasparenza quella sapienza che ha
ricevuto dall'alto. Tale nuova cultura diverrà così vero e proprio
terreno di nuova evangelizzazione, ove potrebbe nascere un nuovo modello d'uomo
e potrebbero fiorire anche nuova santità e nuove vocazioni per l'Europa del
duemila. La penuria, infatti, delle vocazioni specifiche — le vocazioni al
plurale — è soprattutto assenza di coscienza vocazionale della vita — la
vocazione al singolare —, ovvero assenza di cultura della vocazione.
Questa cultura diventa oggi, probabilmente, il primo obiettivo della pastorale
vocazionale (20) o, forse, della pastorale in genere. Che pastorale è, infatti,
quella che non coltiva la libertà di sentirsi chiamati da Dio, né fa nascere
novità di vita? c) Pastorale delle vocazioni: il « salto di qualità »
C'è un altro elemento che lega tra loro la riflessione precongressuale con
l'analisi congressuale. È la consapevolezza che la pastorale delle vocazioni si
trova di fronte all'esigenza di un cambiamento radicale, di un « "sussulto"
idoneo », secondo il documento preparatorio,(21) o di « un salto di qualità »,
come il Papa ha raccomandato nel suo Messaggio a fine Congresso.(22)
Ancora una volta ci troviamo dinanzi a una convergenza evidente e da intendere
nel suo significato autentico, in questa analisi della situazione che stiamo
proponendo. Non si tratta solo d'un invito a reagire a una sensazione di
stanchezza o di sfiducia per i pochi risultati; né s'intende con queste parole
provocare a rinnovare semplicemente certi metodi o a recuperare energia ed
entusiasmo, ma si vuole indicare, in sostanza, che la pastorale vocazionale in
Europa è giunta a uno snodo storico, a un passaggio decisivo. C'è stata una
storia, con una preistoria e poi delle fasi che si sono lentamente succedute,
lungo questi anni, come stagioni naturali, e che ora devono necessariamente
procedere verso lo stato « adulto » e maturo della pastorale vocazionale.
Non si tratta dunque né di sottovalutare il senso di questo passaggio, né
d'incolpare alcuno per quello che non si sarebbe fatto nel passato; anzi, il
sentimento nostro e di tutta la Chiesa è di sincera riconoscenza verso quei
fratelli e sorelle che, in condizioni di notevole difficoltà, hanno con
generosità aiutato tanti ragazzie e giovani a cercare e a trovare la propria
vocazione. Ma si tratta, in ogni caso, di comprendere ancora una volta la
direzione che Dio, il Signore della storia, sta imprimendo alla nostra storia,
anche alla ricca storia delle vocazioni in Europa, oggi dinanzi a un crocevia
decisivo. – Se la pastorale delle vocazioni è nata come emergenza legata
a una situazione di crisi e indigenza vocazionale, oggi non può più pensarsi con
la stessa precarietà e motivata da una congiuntura negativa, ma — al contrario —
appare come espressione stabile e coerente della maternità della
Chiesa, aperta al piano inarrestabile di Dio, che sempre in essa genera vita;
– se un tempo la promozione vocazionale si riferiva solo o soprattutto ad alcune
vocazioni, ora si dovrebbe tendere sempre più verso la promozione di tutte
le vocazioni, poiché nella Chiesa del Signore o si cresce insieme o non cresce
nessuno; – se ai suoi inizi la pastorale vocazionale provvedeva a
circoscrivere il suo campo d'intervento ad alcune categorie di persone (« i
nostri », quelli più vicini agli ambienti di chiesa o coloro che sembravano
mostrare subito un certo interesse, i più buoni e meritevoli, quelli che avevano
già fatto un'opzione di fede, e così via), adesso s'avverte sempre più la
necessità d'estendere con coraggio a tutti, almeno in teoria, l'annuncio
e la proposta vocazionale, in nome di quel Dio che non fa preferenza di persone,
che sceglie peccatori in un popolo di peccatori, che fa di Amos, che non era
figlio di profeti ma solo raccoglitore di sicomori, un profeta, e chiama Levi e
va in casa di Zaccheo, ed è capace di far sorgere figli di Abramo anche dalle
pietre (cfr. Mt 3, 9); – se prima l'attività vocazionale nasceva
in buona parte dalla paura (dell'estinzione o di contare di meno) e dalla
pretesa di mantenere determinati livelli di presenze o di opere, ora la paura,
che è sempre pessima consigliera, cede il posto alla speranza
cristiana, che nasce dalla fede ed è proiettata verso la novità e il futuro
di Dio; – se una certa animazione vocazionale è, o era, perennemente
incerta e timida, da sembrar quasi in condizione d'inferiorità rispetto a una
cultura antivocazionale, oggi fa vera promozione vocazionale solo chi è animato
dalla certezza che in ogni persona, nessuno escluso, c'è un dono
originale di Dio che attende d'essere scoperto; – se l'obiettivo un tempo
sembrava essere il reclutamento, e il metodo la propaganda, spesso con esiti
forzosi sulla libertà dell'individuo o con episodi di « concorrenza », ora deve
essere sempre più chiaro che lo scopo è il servizio da dare alla persona,
perché sappia discernere il progetto di Dio sulla sua vita per l'edificazione
della Chiesa, e in esso riconosca e realizzi la sua propria verità; (23)
– se in epoca non proprio lontana c'era chi s'illudeva di risolvere la crisi
vocazionale con scelte discutibili, ad esempio « importando vocazioni » da
altrove (spesso sradicandole dal loro ambiente), oggi nessuno dovrebbe illudersi
di risolvere la crisi vocazionale aggirandola, poiché il Signore continua a
chiamare in ogni Chiesa e in ogni luogo; – e così, sulla stessa
linea, il « cireneo vocazionale », volonteroso e spesso solitario
improvvisatore, dovrebbe sempre più passare da un'animazione fatta d'iniziative
ed esperienze episodiche a un'educazione vocazionale che s'ispiri alla sapienza
d'un metodo collaudato d'accompagnamento, per poter dare un aiuto
appropriato a chi è in ricerca; – di conseguenza, lo stesso animatore
vocazionale dovrebbe diventare sempre più educatore alla fede e formatore di
vocazioni, e l'animazione vocazionale divenire sempre più azione corale,(24)
di tutta la comunità, religiosa o parrocchiale, di tutto l'istituto o di tutta
la diocesi, di ogni presbitero o consacratoa o credente, e per tutte le
vocazioni in ogni fase della vita; – è ora, infine, che si passi
decisamente dalla « patologia della stanchezza » (25) e della rassegnazione, che
si giustifica attribuendo all'attuale generazione giovanile la causa unica della
crisi vocazionale, al coraggio di porsi gl'interrogativi giusti, per capire gli
eventuali errori e inadempienze, per arrivare a un nuovo slancio creativo
fervido di testimonianza. d) Piccolo gregge e grande missione (26)
Sarà la coerenza con cui si procede in questa linea che aiuterà sempre più a
riscoprire la dignità della pastorale vocazionale e la sua naturale posizione di
centralità e sintesi nell'ambito pastorale. Anche qui veniamo da
esperienze e concezioni che hanno rischiato di emarginare, in qualche modo, nel
passato, la stessa pastorale delle vocazioni, considerandola come meno
importante. Essa talvolta presenta un volto non vincente della Chiesa attuale o
viene giudicata come un settore della pastorale meno teologicamente fondato
rispetto ad altri, prodotto recente d'una situazione critica e contingente.
La pastorale vocazionale vive forse ancora in una situazione d'inferiorità, che
da un lato può nuocere alla sua immagine e indirettamente all'efficacia della
sua azione, ma dall'altro può anche diventare un contesto favorevole per
individuare e sperimentare con creatività e libertà — libertà anche di sbagliare
— nuovi cammini pastorali. Soprattutto tale situazione può ricordare
quell'altra « inferiorità » o povertà di cui parlava Gesù osservando le folle
che lo seguivano: « La messe è molta, ma gli operai sono pochi » (Mt 9,
37). Di fronte alla messe del Regno di Dio, di fronte alla messe della nuova
Europa e della nuova evangelizzazione, gli « operai » sono e saranno sempre
pochi, « piccolo gregge e grande missione », perché risalti meglio che la
vocazione è iniziativa di Dio, dono del Padre, Figlio e Spirito Santo.
PARTE SECONDA
TEOLOGIA DELLA VOCAZIONE
« Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito... »
(1 Cor 12, 4)
Lo scopo fondamentale di questa
parte teologica è di far cogliere il senso della vita umana in rapporto a Dio
comunione trinitaria. Il mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
fonda l'esistenza piena dell'uomo, come chiamata all'amore nel dono di sé e
nella santità; come dono nella Chiesa per il mondo. Ogni antropologia sganciata
da Dio è illusoria. Si tratta ora di cogliere gli elementi
strutturali della vocazione cristiana, la sua architettura essenziale che,
evidentemente, non può che essere teologica. Questa realtà, già oggetto di molte
analisi anche del Magistero, è ricca d'una tradizione spirituale,
biblico-teologica, che ha formato non solo generazioni di chiamati, ma anche una
spiritualità della chiamata. La domanda di senso per la vita
14. Alla scuola della parola di Dio la comunità cristiana accoglie la risposta
più alta alla domanda di senso che insorge, più o meno chiaramente, nel cuore
dell'uomo. È una risposta che non viene dalla ragione umana, pur sempre
drammaticamente provocata dal problema dell'esistere e del suo destino, ma da
Dio. É Lui stesso a consegnare all'uomo la chiave di lettura per chiarire e
risolvere i grandi interrogativi che fanno dell'uomo un soggetto interrogante: «
Perché siamo al mondo? Che cos'è la vita? Quale l'approdo oltre il mistero della
morte? ». Non va però dimenticato che nella cultura della distrazione, in
cui si trovano imbarcati soprattutto i giovani di questo tempo, le domande
fondamentali corrono il rischio di essere soffocate, o di essere rimosse. Il
senso della vita, oggi, più che cercato viene imposto: o da ciò che si vive
nell'immediato o da ciò che gratifica i bisogni, soddisfatti i quali, la
coscienza diventa sempre più ottusa e gli interrogativi più veri restano
elusi.(27) È dunque compito della teologia pastorale e
dell'accompagnamento spirituale aiutare i giovani a interrogare la vita, per
giungere a formulare, nel dialogo decisivo con Dio, la stessa domanda di Maria
di Nazaret: « Come è possibile? » (Lc 1, 34). L'icona
trinitaria 15. In ascolto della Parola, non senza stupore,
scopriamo che la categoria biblico-teologica più comprensiva e più aderente per
esprimere il mistero della vita, alla luce di Cristo, è quella di « vocazione
».(28) « Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e
del Suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua
altissima vocazione ».(29) Per questo la figura biblica della comunità di
Corinto presenta i doni dello Spirito, nella Chiesa, in subordine al
riconoscimento di Gesù come il Signore. Davvero la cristologia sta a fondamento
di ogni antropologia ed ecclesiologia. Cristo è il progetto dell'uomo.
Solo dopo che il credente ha riconosciuto che Gesù è il Signore « sotto l'azione
dello Spirito Santo » (1 Cor 12, 3) può accogliere lo statuto della nuova
comunità dei credenti: « Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo
Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono
diversità di operazioni, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti » (1 Cor
12, 4-6). L'immagine paolina mette in chiara evidenza tre aspetti
fondamentali dei doni vocazionali nella Chiesa, strettamente connessi con la
loro origine dal grembo della comunione trinitaria e con riferimento specifico
alle singole Persone. Alla luce dello Spirito i doni sono espressione
della Sua infinita gratuità. Egli stesso è carisma (Atti 2, 38),
sorgente di ogni dono ed espressione dell'incontenibile creatività divina.
Alla luce di Cristo i doni vocazionali sono « ministeri », esprimono la
poliforme diversità del servizio che il Figlio ha vissuto sino al dono della
vita. Egli infatti « non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la
sua vita... » (Mt 20, 28). Gesù pertanto è il modello di ogni ministero.
Alla luce del Padre i doni sono « operazioni », perché da Lui, fonte
della vita, ogni essere sprigiona il proprio dinamismo creaturale. La
Chiesa dunque riflette, come icona, il mistero di Dio Padre, di Dio Figlio e di
Dio Spirito Santo; ed ogni vocazione reca in sé i tratti caratteristici delle
tre Persone della comunione trinitaria. Le Persone divine sono sorgente e
modello d'ogni chiamata. Anzi, la Trinità, in se stessa, è un misterioso
intreccio di chiamate e risposte. Solo lì, all'interno di quel dialogo
ininterrotto, ogni vivente ritrova non solo le sue radici, ma anche il suo
destino e il suo futuro, ciò che è chiamato a essere e a diventare, nella verità
e libertà, nella concretezza della sua storia. I doni, infatti, nello
statuto ecclesiologico della 1 Corinzi, hanno una destinazione storica e
concreta: « A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per
l'utilità comune » (1 Cor 12, 7). C'è un bene superiore che scavalca
regolarmente il dono personale: costruire nell'unità il Corpo di Cristo; rendere
epifanica la sua presenza nella storia « perché il mondo creda » (Gv 17,
21). Pertanto la comunità ecclesiale, da una parte, è afferrata dal
mistero di Dio, ne è icona visibile, e, dall'altra, è totalmente coinvolta con
la storia dell'uomo nel mondo, in stato di esodo, verso « i cieli nuovi ».
La Chiesa, ed ogni vocazione in essa, esprimono un identico dinamismo: essere
chiamati per una missione. Il Padre chiama alla vita
16. L'esistenza di ciascuno è frutto dell'amore creativo del Padre, del suo
desiderio efficace, della sua parola generativa. L'atto creatore del
Padre ha la dinamica di un appello, di una chiamata alla vita. L'uomo viene alla
vita perché amato, pensato e voluto da una Volontà buona che l'ha preferito alla
non esistenza, che l'ha amato ancor prima che fosse, conosciuto prima di
formarlo nel seno materno, consacrato prima che uscisse alla luce (cfr. Ger
1, 5; Is 49, 1.5; Gal 1, 15). La vocazione, allora, è ciò
che spiega alla radice il mistero della vita dell'uomo, ed è essa stessa un
mistero, di predilezione e gratuità assoluta. a) « ...a sua immagine »
Nella « chiamata creativa » l'uomo appare subito in tutta la pregnanza della sua
dignità quale soggetto chiamato alla relazione con Dio, a stare di fronte a Lui,
con gli altri, nel mondo, con un volto che riflette le stesse fattezze divine: «
Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza » (Gn 1, 26). Questa
triplice relazione appartiene al disegno originario, perché il Padre « in Lui, —
in Cristo — ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi ed
immacolati al suo cospetto nella carità » (Ef 1, 4). Riconoscere
il Padre significa che noi esistiamo alla maniera Sua, avendoci creati a Sua
immagine (Sap 2, 23). In questo, dunque, è contenuta la fondamentale
vocazione dell'uomo: la vocazione alla vita e a una vita subito concepita a
somiglianza di quella divina. Se il Padre è l'eterna sorgività, la totale
gratuità, la fonte perenne dell'esistenza e dell'amore, l'uomo è chiamato, nella
misura piccola e limitata del suo esistere, a essere come Lui; e dunque a « dare
la vita », a farsi carico della vita di un altro. L'atto creatore del
Padre, allora, è ciò che provoca la consapevolezza che la vita è una consegna
alla libertà dell'uomo, chiamato a dare una risposta personalissima e originale,
responsabile e colma di gratitudine. b) L'amore, senso pieno della
vita In questa prospettiva della chiamata alla vita una cosa è da
escludersi: che l'uomo possa considerare l'esistere come una cosa ovvia, dovuta,
casuale. Forse non risulta facile, nella cultura odierna, provare
stupore dinanzi al dono della vita.(30) Mentre è più facile percepire il
senso d'una vita donata, quella che ridonda a beneficio degli altri, ci vuole
invece una coscienza più matura, una qualche formazione spirituale, per
percepire che la vita di ciascuno, in ogni caso e prima di qualsiasi scelta, è
amore ricevuto, e che in tale amore è già nascosto un consequenziale progetto
vocazionale. Il semplice fatto di esserci dovrebbe anzitutto riempire
tutti di meraviglia e di gratitudine immensa verso Colui che in modo del tutto
gratuito ci ha tratti dal nulla pronunciando il nostro nome. E allora la
percezione che la vita è un dono non dovrebbe suscitare soltanto un
atteggiamento riconoscente, ma dovrebbe lentamente suggerire la prima grande
risposta alla domanda fondamentale di senso: la vita è il capolavoro dell'amore
creativo di Dio ed è in se stessa una chiamata ad amare. Dono ricevuto che tende
per natura sua a divenire bene donato. c) L'amore, vocazione d'ogni
uomo L'amore è il senso pieno della vita. Dio ha tanto amato l'uomo
da dargli la sua stessa vita e da renderlo capace di vivere e voler bene alla
maniera divina. In questo eccesso di amore, l'amore degli inizi, l'uomo trova la
sua radicale vocazione, che è « vocazione santa » (2 Tim 1, 9), e scopre
la propria inconfondibile identità, che lo rende subito simile a Dio, « a
immagine del Santo » che lo ha chiamato (1 Pt 1, 15). « Creandola a sua
immagine e continuamente conservandola nell'essere — commenta Giovanni Paolo II
— Dio inscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la
capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione. L'amore è pertanto la
fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano ».(31) d) Il
Padre educatore Grazie a quell'amore che l'ha creato nessuno può
sentirsi « superfluo », poiché è chiamato a rispondere secondo un progetto da
Dio pensato apposta per lui. E allora l'uomo sarà felice e pienamente
realizzato stando al suo posto, cogliendo la proposta educativa divina, con
tutto il timore e tremore che una simile pretesa suscita in un cuore di carne.
Dio creatore che dà la vita, è anche il Padre che « educa », tira fuori dal
nulla ciò che ancora non è per farlo essere; tira fuori dal cuore dell'uomo
quello che Lui vi ha posto dentro, perché sia pienamente se stesso e quello che
Lui lo ha chiamato a essere, alla maniera Sua. Di qui la nostalgia di
infinito che Dio ha messo nel mondo interiore di ciascuno. Come un sigillo
divino. e) La chiamata del Battesimo Questa vocazione alla
vita e alla vita divina viene celebrata nel Battesimo. In questo sacramento il
Padre si china con tenerezza premurosa sulla creatura, figlio o figlia
dell'amore di un uomo e d'una donna, per benedire il frutto di quell'amore e
renderlo pienamente figlio suo. Da quel momento la creatura è chiamata alla
santità dei figli di Dio. Niente e nessuno potrà mai cancellare questa
vocazione. Con la grazia del Battesimo, Dio Padre interviene per
manifestare che Lui, e solo Lui è l'autore del piano di salvezza, entro cui ogni
essere umano trova il suo personale ruolo. Il Suo atto è sempre precedente,
anteriore, non aspetta l'iniziativa dell'uomo, non dipende dai suoi meriti, né
si configura a partire dalle sue capacità o disposizioni. È il Padre che
conosce, designa, imprime un impulso, mette un sigillo, chiama ancora « prima
della creazione del mondo » (Ef 1, 4). E poi dà forza, cammina vicino,
sostiene la fatica, è Padre e Madre per sempre... La vita cristiana
acquista così il significato d'una esperienza responsoriale: diventa risposta
responsabile nel far crescere un rapporto filiale con il Padre e un rapporto
fraterno nella grande famiglia dei figli di Dio. Il cristiano è chiamato a
favorire, attraverso l'amore, quel processo di somiglianza con il Padre che si
chiama vita teologale. Pertanto la fedeltà al Battesimo spinge a porre
alla vita, e a se stessi, domande sempre più precise; soprattutto per disporsi a
vivere l'esistenza non solo in base alle attitudini umane, che pure sono doni di
Dio, ma in base alla Sua volontà; non secondo prospettive mondane, troppe volte
da piccolo cabotaggio, ma secondo i desideri e i progetti di Dio. La
fedeltà al Battesimo significa allora guardare in alto, da figli, per fare
discernimento della Sua volontà sulla propria vita e sul proprio futuro.
Il Figlio chiama alla sequela 17. « Signore mostraci il Padre e
ci basta » (Gv 14, 8). È la domanda di Filippo a Gesù, la sera
vigilia della passione. È la struggente nostalgia di Dio, presente nel cuore di
ogni uomo: conoscere le proprie radici, conoscere Dio. L'uomo non è infinito, è
immerso nella finitezza, ma il suo desiderio gravita attorno all'infinito.
E la risposta di Gesù sorprende i discepoli: « Da tanto tempo sono con voi e tu
non mi hai conosciuto Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre » (Gv
14, 9). a) Mandato dal Padre per chiamare l'uomo Il Padre
ci ha creati nel Figlio, « che è irradiazione della sua gloria e impronta della
sua sostanza » (Ebr 1, 3), predestinandoci a essere conformi all'immagine
Sua (cfr. Rom 8, 29). Il Verbo è l'immagine perfetta del Padre. Questi è
Colui nel quale il Padre si è reso visibile, il Logos per mezzo del quale « ha
parlato a noi » (Ebr 1, 2). Tutto il suo essere è di « essere inviato »,
per rendere Dio, in quanto Padre, vicino agli uomini, per svelare il Suo volto e
il Suo nome agli uomini (Gv 17, 6). Se l'uomo è chiamato a essere
figlio di Dio, di conseguenza nessuno meglio del Verbo Incarnato può « parlare »
all'uomo di Dio e raffigurare l'immagine riuscita del figlio. Per questo il
Figlio di Dio, venendo su questa terra, ha chiamato a seguirLo, a essere come
Lui, a condividere la Sua vita, la Sua parola, la Sua pasqua di morte e
risurrezione; addirittura i Suoi sentimenti. Il Figlio, il mandato di
Dio s'è fatto uomo per chiamare l'uomo: il mandato dal Padre è il
chiamante degli uomini. Per questo non esiste un brano del vangelo, o
un incontro, o un dialogo, che non abbia un significato vocazionale, che non
esprima, direttamente o indirettamente, una chiamata da parte di Gesù. É come se
i Suoi appuntamenti umani, provocati dalle più diverse circostanze, fossero per
lui un'occasione per mettere comunque la persona di fronte alla domanda
strategica: « Che cosa fare della mia vita? », « Qual è la mia strada? ».
b) L'amore più grande: dare la vita A che cosa chiama Gesù? A
seguirLo per essere e agire come Lui. Più in particolare, a vivere la medesima
Sua relazione nei confronti del Padre e degli uomini: ad accogliere la vita come
dono dalle mani del Padre per « perdere » e riversare questo dono su coloro che
il Padre gli ha affidati.(32) C'è un tratto unificante nella identità di
Gesù che costituisce il senso pieno dell'amore: la missione. Essa esprime
l'oblatività, che raggiunge la sua epifania suprema sulla croce: « Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » (Gv 15,
13). Pertanto ogni discepolo è chiamato a ripetere e rivivere i
sentimenti del Figlio, che trovano una sintesi nell'amore, motivazione decisiva
di ogni chiamata. Ma soprattutto ogni discepolo è chiamato a rendere visibile la
missione di Gesù, è chiamato per la missione: « Come il Padre ha mandato
me, così anch'io mando voi » (Gv 20, 21). La struttura di ogni vocazione,
anzi la sua maturità, sta nel continuare Gesù nel mondo, per fare, come Lui,
della vita un dono. L'invio-missione è infatti la consegna della sera di Pasqua
(Gv 20, 21) ed è l'ultima parola prima di salire al Padre (Mt 28,
16-20). c) Gesù, il formatore Ogni chiamato è segno
di Gesù: in qualche modo il Suo cuore e le Sue mani continuano ad abbracciare i
piccoli, a sanare i malati, a riconciliare i peccatori e a lasciarsi inchiodare
in croce per amore di tutti. L'essere per gli altri, con il cuore di Cristo, è
il volto maturo di ogni vocazione. Per questo è il Signore Gesù il formatore
di coloro che chiama, l'unico che può plasmare in loro i Suoi stessi sentimenti.
Ogni discepolo, rispondendo alla Sua chiamata e lasciandosi da Lui formare,
esprime i tratti più veri della propria scelta. Per questo « il riconoscimento
di Lui come il Signore della vita e della storia comporta l'auto-riconoscimento
del discepolo (...) L'atto di fede coniuga necessariamente insieme il
riconoscimento cristologico con l'auto-riconoscimento antropologico ».(33)
Di qui la pedagogia dell'esperienza vocazionale cristiana evocata dalla Parola
di Dio: « Gesù ne costituì dodici che stessero con Lui e anche per mandarli a
predicare » (Mc 3, 14). La vita cristiana per essere vissuta in pienezza,
nella dimensione del dono e della missione, ha bisogno di motivazioni forti, e
soprattutto di comunione profonda con il Signore: nell'ascolto, nel dialogo,
nella preghiera, nella interiorizzazione dei sentimenti, nel lasciarsi ogni
giorno formare da Lui e soprattutto nel desiderio ardente di comunicare al mondo
la vita del Padre. d) L'Eucaristia: la consegna per la missione
In tutte le catechesi della comunità cristiana delle origini è palese la
centralità del mistero pasquale: annunciare Cristo morto e risorto. Nel mistero
del pane spezzato e del sangue versato per la vita del mondo la comunità
credente contempla l'epifania suprema dell'amore, la vita donata del Figlio di
Dio. Per questo nella celebrazione dell'Eucaristia, « culmine e fonte »
(34) della vita cristiana, viene celebrata la massima rivelazione della missione
di Gesù Cristo nel mondo; ma nel contempo si celebra anche l'identità della
comunità ecclesiale convocata per essere inviata, chiamata per la missione.
Nella comunità celebrante il mistero pasquale ogni cristiano prende parte ed
entra nello stile del dono di Gesù, diventando come Lui pane spezzato per
l'offerta al Padre e per la vita del mondo. L'Eucaristia diventa così
sorgente di ogni vocazione cristiana; in essa ogni credente è chiamato a
conformarsi al Cristo Risorto totalmente offerto e donato. Diventa icona di ogni
risposta vocazionale; come in Gesù, in ogni vita e in ogni vocazione, c'è una
difficile fedeltà da vivere sino alla misura della croce. Colui che vi
prende parte accoglie l'invito-chiamata di Gesù a « fare memoria » di Lui, nel
sacramento e nella vita, a vivere « ricordando » nella verità e libertà delle
scelte quotidiane il memoriale della croce, a riempire l'esistenza di
gratitudine e di gratuità, a spezzare il proprio corpo e versare il proprio
sangue. Come il Figlio. L'Eucaristia genera al fine la testimonianza,
prepara la missione: « Andate in pace ». Si passa dall'incontro con Cristo nel
segno del Pane, all'incontro con Cristo nel segno di ogni uomo. L'impegno del
credente non si esaurisce nell'entrare, ma nell'uscire dal tempio. La risposta
alla chiamata incontra la storia della missione. La fedeltà alla propria
vocazione attinge alle sorgenti dell'Eucaristia e si misura nella Eucaristia
della vita. Lo Spirito chiama alla testimonianza
18. Ogni credente, illuminato dall'intelligenza della fede, è chiamato a
conoscere e riconoscere Gesù come il Signore; e in Lui a riconoscere se stesso.
Ma ciò non è frutto solo di un desiderio umano o della buona volontà dell'uomo.
Anche dopo aver vissuto l'esperienza prolungata con il Signore, i discepoli
hanno sempre bisogno di Dio. Anzi, la vigilia della passione, essi provano un
certo turbamento (Gv 14, 1), paventano la solitudine; e Gesù li
incoraggia con una promessa inaudita: « Non vi lascerò orfani » (Gv 14,
18). I primi chiamati del vangelo non resteranno soli: Gesù assicura loro la
solerte compagnia dello Spirito. a) Consolatore e amico, guida e
memoria « Egli è il "Consolatore", lo Spirito di bontà, che il Padre
manderà nel nome del Figlio, dono del Signore risorto »,(35) « perché rimanga
con voi sempre » (Gv 14, 16). Lo Spirito diventa così l'amico di
ogni discepolo, la guida dallo sguardo geloso su Gesù e sui chiamati, per farne
dei testimoni contro-corrente dell'evento più sconvolgente del mondo: il Cristo
morto e risorto. Egli, infatti, è « memoria » di Gesù e della sua Parola: « Vi
insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto » (Gv 14,
26); anzi « vi guiderà alla verità tutta intera » (Gv 16, 13). La
permanente novità dello Spirito consiste nel guidare verso un'intelligenza
progressiva e profonda della verità, quella verità che non è nozione astratta,
ma il progetto di Dio nella vita di ogni discepolo. È la trasformazione della
Parola in vita e della vita secondo la Parola. b) Animatore e
accompagnatore vocazionale In tal modo lo Spirito diventa il grande
animatore di ogni vocazione, Colui che accompagna il cammino perché giunga alla
meta, l'iconografo interiore che plasma con fantasia infinita il volto di
ciascuno secondo Gesù. La Sua presenza è sempre accanto ad ogni uomo e
donna, per condurre tutti al discernimento della propria identità di credenti e
di chiamati, per plasmare e modellare tale identità esattamente secondo il
modello dell'amore divino. Questo « stampo divino » lo Spirito santificatore
cerca di riprodurre in ciascuno, quale paziente artefice delle anime nostre e «
consolatore perfetto ». Ma soprattutto lo Spirito abilita i chiamati alla
« testimonianza »: « Egli mi renderà testimonianza e anche voi mi renderete
testimonianza » (Gv 15, 26-27). Questo modo di essere di ogni chiamato
costituisce la parola convincente, il contenuto stesso della missione. La
testimonianza non consiste solo nel suggerire le parole dell'annuncio come nel
vangelo di Matteo (Mt 10, 20); bensì nel custodire Gesù nel cuore e
nell'annunciare Lui come vita del mondo. c) La santità, vocazione di
tutti E allora la domanda circa il salto di qualità da imprimere
alla pastorale vocazionale oggi diviene interrogativo che senza dubbio impegna
all'ascolto dello Spirito: perché è Lui l'annunciatore delle « cose future » (Gv
16, 13), è Lui a donare un'intelligenza spirituale nuova per capire la storia e
la vita a partire dalla Pasqua del Signore, nella cui vittoria c'è il futuro di
ogni uomo. Diventa così legittimo chiedersi: dove sta la chiamata dello
Spirito Santo per questi nostri anni? Dove dobbiamo correggere i cammini della
pastorale vocazionale? Ma la risposta verrà solo se accogliamo il grande
appello alla conversione, rivolto alla comunità ecclesiale e a ciascuno in essa,
come un vero itinerario di ascetica e di rinascita interiore, per ricuperare
ognuno alla fedeltà alla propria vocazione. C'è un primato della vita
nello Spirito, che sta alla base di ogni pastorale vocazionale. Ciò richiede
il superamento di un diffuso pragmatismo e di quell'esteriorismo sterile che
porta a dimenticare la vita teologale della fede, della speranza e della carità.
L'ascolto profondo dello Spirito è il nuovo respiro di ogni azione pastorale
della comunità ecclesiale. Il primato della vita spirituale è la premessa
per rispondere a quella nostalgia di santità che, come abbiamo già
ricordato, attraversa pure questo tempo della Chiesa d'Europa. La santità è la
vocazione universale di ogni uomo,(36) è la via maestra in cui convergono i
tanti sentieri delle vocazioni particolari. Pertanto il grande appuntamento
dello Spirito per questa curva di storia postconciliare è la santità dei
chiamati. d) Le vocazioni al servizio della vocazione della Chiesa
Ma il tendere efficacemente verso questa meta significa aderire all'azione
misteriosa dello Spirito in alcune precise direzioni, che preparano e
costituiscono il segreto di una vera vitalità della Chiesa del duemila.
Allo Spirito Santo si addice anzitutto l'eterno protagonismo della comunione
che si riflette nell'icona della comunità ecclesiale, visibile attraverso la
pluralità dei doni e dei ministeri.(37) È proprio nello Spirito, infatti,
che ogni cristiano scopre la sua assoluta originalità, l'unicità della sua
chiamata e, al tempo stesso, la sua naturale e incancellabile tendenza
all'unità. È nello Spirito che le vocazioni nella Chiesa sono tante e assieme
sono una stessa unica vocazione, all'unità dell'amore e della testimonianza. È
ancora l'azione dello Spirito che rende possibile la pluralità delle vocazioni
nell'unità della struttura ecclesiale: le vocazioni nella Chiesa sono
necessarie nella loro varietà per realizzare la vocazione della Chiesa, e la
vocazione della Chiesa — a sua volta — è quella di rendere possibili e
praticabili le vocazioni della e nella Chiesa. Tutte le diverse vocazioni
sono dunque protese verso la testimonianza dell'agape, verso l'annuncio di
Cristo unico salvatore del mondo. Proprio questa è l'originalità della
vocazione cristiana: far coincidere il compimento della persona con la
realizzazione della comunità; ciò vuol dire — ancora una volta — far prevalere
la logica dell'amore su quella degli interessi privati, la logica della
condivisione su quella dell'appropriazione narcisistica dei talenti (cfr. 1
Cor 12-14). La santità diventa pertanto la vera epifania dello
Spirito santo nella storia. Se ogni persona della Comunione Trinitaria ha il suo
volto, e se è vero che i volti del Padre e del Figlio sono abbastanza familiari
perché Gesù facendosi uomo come noi ha rivelato il volto del Padre, i santi
diventano la più parlante icona del mistero dello Spirito. Così pure ogni
credente fedele al vangelo, nella propria vocazione particolare e nella chiamata
universale alla santità, nasconde e rivela il volto dello Spirito Santo.
e) Il « sì » allo Spirito nella Cresima Il sacramento della
Cresima è il momento che esprime in modo più evidente e consapevole il dono e
l'incontro con lo Spirito Santo. Il cresimando di fronte a Dio e al Suo
gesto d'amore (« Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono »
(38), ma dinanzi anche alla propria coscienza e alla comunità cristiana risponde
« amen ». È importante recuperare a livello formativo e catechistico il senso
pregnante di questo « amen ».(39) Esso vuole anzitutto significare il «
sì » allo Spirito Santo, e con lui a Gesù. Ecco perché la celebrazione del
sacramento della Cresima prevede la rinnovazione delle promesse battesimali e
chiede al cresimando l'impegno a rinunciare al peccato e alle opere del maligno,
sempre al varco per sfigurare l'immagine cristiana; e soprattutto l'impegno a
vivere il vangelo di Gesù e in particolare il grande precetto dell'amore. Si
tratta di confermare e rinnovare la fedeltà vocazionale alla propria identità di
figli di Dio. L'« amen » è un « sì » anche alla Chiesa. Nella Cresima il
giovane dichiara di farsi carico della missione di Gesù continuata dalla
comunità. Impegnandosi in due direzioni, per dare concretezza al suo « amen »:
la testimonianza e la missione. Il cresimato sa che la fede è un talento
da trafficare; è un messaggio da trasmettere agli altri con la vita, con
la testimonianza coerente di tutto il suo essere; e con la parola, con il
coraggio missionario di diffondere la buona novella. Ed infine l'« amen »
esprime la docilità allo Spirito santo nel pensare e decidere il futuro secondo
il progetto di Dio. Non solo secondo le proprie aspirazioni e attitudini;
non solo negli spazi messi a disposizione dal mondo; ma soprattutto in sintonia
con il disegno, sempre inedito e imprevedibile, che Dio ha su ciascuno.
Dalla Trinità alla Chiesa nel mondo 19. Ogni vocazione cristiana
è « particolare » perché interpella la libertà di ogni uomo e genera una
risposta personalissima in una storia originale ed irripetibile. Per questo
ciascuno nella propria esperienza vocazionale trova una vicenda irriducibile a
schemi generali; la storia d'ogni uomo è una piccola storia, ma sempre parte,
inconfondibile e unica, d'una grande storia. Nel rapporto tra queste due storie,
tra il suo piccolo e quel grande che gli appartiene e lo supera, l'essere umano
gioca la sua libertà. a) Nella Chiesa e nel mondo, per la Chiesa e per
il mondo Ogni vocazione nasce in un luogo preciso, in un contesto
concreto e limitato, ma non torna su se stessa, non tende verso la privata
perfezione o l'autorealizzazione psicologica o spirituale del chiamato, bensì
fiorisce nella Chiesa, in quella Chiesa che cammina nel mondo verso il Regno
compiuto, verso la realizzazione d'una storia che è grande perché è di salvezza.
La stessa comunità ecclesiale ha una struttura profondamente vocazionale: essa è
chiamata per la missione; è segno di Cristo missionario del Padre. Come dice la
Lumen Gentium: « è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento
dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».(40)
Da una parte la Chiesa è segno che riflette il mistero di Dio; è icona che
rimanda alla comunione trinitaria nel segno della comunità visibile, e al
mistero di Cristo nel dinamismo della missione universale. Dall'altra la Chiesa
è immersa nel tempo degli uomini, vive nella storia in condizione di esodo, è in
missione al servizio del Regno per trasformare l'umanità nella comunità dei
figli di Dio. Pertanto l'attenzione alla storia chiede alla comunità
ecclesiale di porsi in ascolto delle attese degli uomini, di leggere quei segni
dei tempi che costituiscono codice e linguaggio dello Spirito Santo, di entrare
in dialogo critico e fecondo con il mondo contemporaneo, accogliendo con
benevolenza tradizioni e culture per rivelare in esse il disegno del Regno e
gettarvi il lievito dell'evangelo. Con la storia della Chiesa nel mondo
si intreccia, così, la piccola grande storia di ogni vocazione. Come è nata
nella Chiesa e nel mondo, così ogni chiamata è al servizio della Chiesa e del
mondo. b) La Chiesa, comunità e comunione di vocazioni
Nella Chiesa, comunità di doni per l'unica missione, si realizza quel passaggio
dalla condizione in cui si trova il credente inserito in Cristo attraverso il
Battesimo, alla sua vocazione « particolare » come risposta al dono specifico
dello Spirito. In tale comunità ogni vocazione è « particolare » e si specifica
in un progetto di vita; non esistono vocazioni generiche. E nella sua
particolarità ogni vocazione è « necessaria » e « relativa » insieme. «
Necessaria », perché Cristo vive e si rende visibile nel suo corpo che è la
Chiesa e nel discepolo che ne è parte essenziale. « Relativa », perché nessuna
vocazione esaurisce il segno testimoniale del mistero di Cristo, ma ne esprime
solo un aspetto. Soltanto l'insieme dei doni rende epifanico l'intero corpo del
Signore. Nell'edificio ogni pietra ha bisogno dell'altra (1 Pt 2, 5); nel
corpo ogni membro ha bisogno dell'altro per far crescere l'intero organismo e
giovare all'utilità comune (1 Cor 12, 7). Ciò richiede che la vita
di ciascuno venga progettata a partire da Dio che ne è la sorgente unica e tutto
provvede per il bene del tutto; esige che la vita venga riscoperta come
veramente significativa solo se aperta alla sequela di Gesù. Ma è anche
importante che vi sia una comunità ecclesiale che aiuti di fatto ogni chiamato a
scoprire la propria vocazione. Il clima di fede, di preghiera, di comunione
nell'amore, di maturità spirituale, di coraggio dell'annuncio, d'intensità della
vita sacramentale fa della comunità credente un terreno adatto non solo allo
sbocciare di vocazioni particolari, ma alla creazione d'una cultura vocazionale
e d'una disponibilità nei singoli a recepire la loro personale chiamata. Quando
un giovane percepisce la chiamata e decide nel suo cuore il santo viaggio per
realizzarla, lì, normalmente, c'è una comunità che ha creato le premesse per
questa disponibilità obbedienziale.(41) Come dire: la fedeltà
vocazionale d'una comunità credente è la prima e fondamentale condizione per il
fiorire della vocazione nei singoli credenti, specie nei più giovani.
c) Segno, ministero, missione Pertanto ogni vocazione, come
scelta stabile e definitiva di vita, si apre in una triplice dimensione: in
rapporto a Cristo ogni chiamata è « segno »; in rapporto alla Chiesa è «
ministero »; in rapporto al mondo è « missione » e testimonianza del
Regno. Se la Chiesa è « in Cristo come un sacramento », ogni vocazione
rivela la dinamica profonda della comunione trinitaria, l'azione del Padre, del
Figlio e dello Spirito, come evento che fa essere in Cristo creature
nuove e modellate su di Lui. Ogni vocazione, allora, è segno, è un
modo particolare di rivelare il volto del Signore Gesù. « L'amore di Cristo ci
spinge » (2 Cor 5, 14). Gesù diventa così movente e modello decisivo di
ogni risposta agli appelli di Dio. In rapporto alla Chiesa ogni vocazione
è ministero, radicato nella pura gratuità del dono. La chiamata di Dio è
un dono per la comunità, per l'utilità comune, nel dinamismo dei molti servizi
ministeriali. Ciò è possibile in docilità allo Spirito che fa essere la Chiesa
come « comunità dei volti » (42) e genera nel cuore del cristiano l'agape, non
solo come etica dell'amore, ma anche come struttura profonda della persona,
chiamata e abilitata a vivere in relazione con gli altri, nell'atteggiamento del
servizio, secondo la libertà dello Spirito. Ogni vocazione, infine, in
rapporto al mondo, è missione. È vita vissuta in pienezza perché vissuta
per gli altri, come quella di Gesù, e dunque generatrice di vita: « la vita
genera la vita ».(43) Di qui l'intrinseca partecipazione di ogni vocazione
all'apostolato e alla missione della Chiesa, germe del Regno. Vocazione e
missione costituiscono due facce dello stesso prisma. Definiscono il dono e il
contributo di ciascuno al progetto di Dio, a immagine e somiglianza di Gesù.
d) La Chiesa, madre di vocazioni La Chiesa è madre di vocazioni
perché le fa nascere al suo interno, con la potenza dello Spirito, le protegge,
le nutre e le sostiene. É madre, in particolare, perché esercita una preziosa
funzione mediatrice e pedagogica. « La Chiesa, chiamata da Dio,
costituita nel mondo come comunità di chiamati, è a sua volta strumento della
chiamata di Dio. La Chiesa è appello vivente, per volontà del Padre, per i
meriti del Signore Gesù, per la forza dello Spirito Santo (...). La comunità,
che prende coscienza di essere chiamata, allo stesso tempo prende coscienza che
deve continuamente chiamare ».(44) Attraverso e lungo questa chiamata, nelle sue
varie forme, scorre anche l'appello che viene da Dio. Questa funzione
mediatrice la Chiesa esercita quando aiuta e stimola ogni credente a prendere
coscienza del dono ricevuto e della responsabilità che il dono porta con sé.
La esercita, ancora, quando si fa interprete autorevole dell'appello esplicito
vocazionale e chiama essa stessa, presentando le necessità legate alla sua
missione e alle esigenze del popolo di Dio, e invitando a rispondere
generosamente. La esercita, ancora, quando chiede al Padre il dono dello
Spirito che suscita l'assenso nel cuore dei chiamati, e quando li accoglie e
riconosce in loro la chiamata stessa, dando esplicitamente e affidando con
fiducia e trepidazione assieme una missione concreta e sempre difficile tra gli
uomini. Potremmo, infine, aggiungere che la Chiesa manifesta la sua
maternità quando, oltre a chiamare e riconoscere l'idoneità dei chiamati,
provvede perché costoro abbiano una formazione adeguata, iniziale e permanente,
e perché siano di fatto accompagnati lungo la via d'una risposta sempre più
fedele e radicale. La maternità ecclesiale non può certo esaurirsi nel tempo
dell'appello iniziale. Né può dirsi madre quella comunità di credenti che
semplicemente « attende » demandando totalmente all'azione divina la
responsabilità della chiamata, quasi timorosa di rivolgere appelli; o che dà per
scontato che i ragazzi e i giovani, in particolare, sappiano recepire
immediatamente l'appello vocazionale; o che non offre cammini mirati per la
proposta e l'accoglienza della proposta. La crisi vocazionale dei
chiamati è anche crisi, oggi, dei chiamanti, a volte latitanti e poco
coraggiosi. Se non c'è nessuno che chiama, come potrebbe esserci chi risponde?
La dimensione ecumenica 20. L'Europa odierna, ha bisogno di nuovi
santi e di nuove vocazioni, di credenti capaci di « gettare ponti » per unire
sempre più le Chiese. È un tipico aspetto di novità, questo, un segno dei tempi
della pastorale vocazionale di fine millennio. In un continente segnato da una
profonda aspirazione unitaria, le Chiese devono dare per prime l'esempio d'una
fraternità più forte di qualsiasi divisione e pur sempre da costruire e
ricostruire. « La pastorale vocazionale oggi in Europa deve avere una dimensione
ecumenica. Tutte le vocazioni, presenti in ogni Chiesa d'Europa, sono impegnate
insieme ad assumere la grande sfida dell'evangelizzazione alle soglie del terzo
millennio, dando una testimonianza di comunione e di fede in Gesù Cristo, unico
salvatore del mondo ».(45) In tale spirito d'unità ecclesiale vanno
promossi e favoriti la condivisione dei beni che lo Spirito di Dio ha seminato
ovunque e l'aiuto reciproco tra le Chiese. Le Chiese Cattoliche
d'Oriente 21. Maggiore attenzione, da parte delle Chiese
dell'Europa occidentale, deve essere data ai cammini spirituali e formativi
delle Chiese Cattoliche Orientali; questo non può che esercitare un benefico
influsso sulla pastorale vocazionale di tutte le Chiese. Singolare
importanza ha la santa Liturgia in ordine alla formazione delle vocazioni per le
Chiese d'Oriente. Essa è il luogo dove si fa la proclamazione e l'adorazione del
Mistero della salvezza e dove nasce la comunione e si costruisce la fraternità
fra i credenti, sino a diventare la vera formatrice della vita cristiana, la
sintesi più completa dei suoi vari aspetti. Nella Liturgia la confessione
gioiosa di appartenere alla tradizione delle Chiese d'Oriente è unita alla piena
comunione con la Chiesa di Roma. Non si può essere suscitatori di
vocazioni al sacerdozio e alla vita monastica se non si ritorna alle fonti delle
proprie tradizioni originarie, in sintonia con i Santi Padri e con il loro
profondo senso della Chiesa. Questo processo di grande respiro richiede tempo,
pazienza, rispetto della sensibilità dei fedeli, ma anche determinazione.
Per questo i Vescovi, i Superiori religiosi e gli Operatori pastorali delle
Chiese Cattoliche Orientali d'Europa sono sollecitati a sentire l'urgenza per
tutte le loro Chiese, ricuperando e custodendo integro il rispettivo patrimonio
liturgico, che contribuisce in modo insostituibile alla nascita e allo sviluppo
della teologia e della catechesi. Questo, sull'esempio del metodo mistagogico
dei Padri, apre all'esperienza della chiamata e della vita spirituale, e matura
un sicuro e forte spirito ecumenico.(46) Nelle esperienze ecclesiali
diversificate, e attraverso studi che presentano il patrimonio storico,
teologico, giuridico e spirituale delle proprie Chiese d'appartenenza, i giovani
orientali possono opportunamente trovare ambienti educativi adatti a maturare il
senso universale della loro dedizione a Cristo e alla Chiesa. È compito
dei Vescovi promuovere, accostare con simpatia e accompagnare con cura paterna i
giovani che singolarmente o in gruppo domandano di dedicarsi alla vita monastica
valorizzando il carisma delle comunità monastiche, ricche di formatori e di
guide spirituali. Il ministero ordinato e le vocazioni nella
reciprocità della comunione 22. « In molte Chiese particolari, la
pastorale vocazionale ha bisogno ancora di fare chiarezza attorno al rapporto
tra ministero ordinato, vocazione di speciale consacrazione e tutte le altre
vocazioni. La pastorale vocazionale unitaria si fonda sulla vocazionalità della
Chiesa e di ogni vita umana come chiamata e risposta. Ciò sta alla base
dell'impegno unitario di tutta la Chiesa per tutte le vocazioni e in particolare
per le vocazioni di speciale consacrazione ».(47) a) Il ministero
ordinato Entro questa sensibilità generale una particolare
attenzione pastorale sembra doversi dare oggi al ministero ordinato, che
rappresenta la prima modalità specifica di annuncio del vangelo. Esso
rappresenta « la garanzia permanente della presenza sacramentale di Cristo
Redentore nei diversi tempi e luoghi »,(48) ed esprime proprio la dipendenza
diretta della Chiesa da Cristo, che continua a inviare il suo Spirito perché
essa non resti chiusa in se stessa, nel suo cenacolo, ma cammini per le vie del
mondo ad annunciare la buona notizia. Questa modalità vocazionale si può
esprimere secondo tre gradi: episcopale (cui è legata la garanzia della
successione apostolica), presbiterale (che è la « ripresentazione
sacramentale di Cristo come pastore ») (49) e diaconale (segno
sacramentale di Cristo servo).(50) Ai vescovi è affidato il ministero della
chiamata nei riguardi di coloro che aspirano agli Ordini sacri, per divenire
loro cooperatori nell'ufficio apostolico. Il ministero ordinato fa essere
la Chiesa, soprattutto attraverso la celebrazione dell'Eucaristia, « culmen et
fons » (51) della vita cristiana e della comunità chiamata a fare memoria del
Risorto. Ogni altra vocazione nasce nella Chiesa e fa parte della sua vita.
Pertanto il ministero ordinato ha un servizio di comunione nella comunità e, in
forza di questo, ha l'inderogabile compito di promuovere ogni vocazione.
Di qui la traduzione pastorale: il ministero ordinato per tutte le vocazioni e
tutte le vocazioni per il ministero ordinato nella reciprocità della comunione.
Il vescovo, dunque, con il suo presbiterio, è chiamato a discernere e a
coltivare tutti i doni dello Spirito. Ma in modo particolare la cura del
seminario deve diventare preoccupazione di tutta la chiesa diocesana per
garantire la formazione dei futuri presbiteri e il costituirsi di comunità
eucaristiche come piena espressione della esperienza cristiana. b)
L'attenzione a tutte le vocazioni Il discernimento e la cura della
comunità cristiana va prestata a tutte le vocazioni, sia a quelle entrate nella
tradizione della Chiesa sia ai nuovi doni dello Spirito: la consacrazione
religiosa nella vita monastica e nella vita apostolica, la vocazione laicale, il
carisma degli istituti secolari, le società della vita apostolica, la vocazione
al matrimonio, le varie forme laicali di aggregazione-associazione collegate
agli istituti religiosi, le vocazioni missionarie, le nuove forme di vita
consacrata. Questi diversi doni dello Spirito sono presenti in vario
modo nelle Chiese d'Europa; ma tutte queste Chiese, in ogni caso, sono chiamate
a dare testimonianza di accoglienza e di cura di ogni vocazione. Una Chiesa è
viva quanto più ricca e varia in essa è l'espressione delle diverse vocazioni.
In un tempo, poi, come il nostro, bisognoso di profezia, è saggio favorire
quelle vocazioni che sono un segno particolare di « quel che saremo e non ci è
stato ancora rivelato » (1 Gv 3, 2), come le vocazioni di speciale
consacrazione; ma è pure saggio e indispensabile favorire l'aspetto
profetico tipico d'ogni vocazione cristiana, compresa quella laicale,
perché la Chiesa sia sempre più, di fronte al mondo, segno delle cose future, di
quel Regno che è « già adesso e non ancora ». Maria, madre e
modello di ogni vocazione 23. C'è una creatura in cui il dialogo
tra la libertà di Dio e la libertà dell'uomo avviene in modo perfetto, così che
le due libertà possano interagire realizzando in pieno il progetto vocazionale;
una creatura che ci è data perché in lei possiamo contemplare un perfetto
disegno vocazionale, quello che dovrebbe compiersi in ciascuno di noi. È
Maria, l'immagine riuscita del sogno di Dio sulla creatura! È infatti creatura,
come noi, piccolo frammento in cui Dio ha potuto riversare il tutto del suo
amore divino; speranza che ci è data, perché vedendo lei possiamo anche noi
accogliere la Parola, affinché si compia in noi. Maria è la donna in cui
la Trinità Santissima può manifestare pienamente la sua libertà elettiva.
Come dice S. Bernardo, commentando il messaggio dell'angelo Gabriele,
nell'annunciazione: « Questa non è una Vergine trovata all'ultimo momento, né
per caso, ma fu scelta prima dei secoli; l'Altissimo l'ha predestinata e se l'è
preparata ».(52) Gli fa eco S. Agostino: « Prima che il Verbo nascesse dalla
Vergine, Egli l'aveva già predestinata come sua madre ».(53) Maria è
l'immagine della scelta divina d'ogni creatura, scelta che è fin dall'eternità e
sovranamente libera, misteriosa e amante. Scelta che va regolarmente al di là di
ciò che la creatura può pensare di sé: che le chiede l'impossibile e le domanda
solo una cosa, il coraggio di fidarsi. Ma la vergine Maria è anche il
modello della libertà umana nella risposta a questa scelta. Ella è il
segno di ciò che Dio può fare quando trova una creatura libera d'accogliere la
Sua proposta. Libera di dire il suo « sì », libera di incamminarsi lungo il
pellegrinaggio della fede, che sarà anche il pellegrinaggio della sua vocazione
di donna chiamata a essere Madre del Salvatore e Madre della Chiesa. Quel lungo
viaggio si compirà ai piedi della croce, attraverso un « sì » ancor più
misterioso e doloroso che la renderà pienamente madre; e poi ancora nel
cenacolo, ove genera e continua ancor oggi a generare, con lo Spirito, la Chiesa
e ogni vocazione. Maria, infine, è l'immagine perfettamente realizzata
della donna, perfetta sintesi della genialità femminile e della fantasia
dello Spirito, che in lei trova e sceglie la sposa, vergine madre di Dio e
dell'uomo, figlia dell'Altissimo e madre di tutti viventi. In lei ogni donna
ritrova la sua vocazione, di vergine, di sposa, di madre! PARTE TERZA
PASTORALE DELLE VOCAZIONI
« ... Ciascuno li sentiva parlare la propria lingua » (At
2, 6)
Gli orientamenti concreti della pastorale
vocazionale non discendono soltanto da una corretta teologia della vocazione, ma
attraversano alcuni principi operativi, in cui la prospettiva vocazionale è
l'anima e criterio unificante di tutta la pastorale. Vengono poi
indicati gli itinerari di fede e i luoghi concreti in cui la proposta
vocazionale deve diventare impegno quotidiano di ogni pastore ed educatore.
L'analisi della situazione ci ha offerto, nella prima parte, il quadro della
realtà vocazionale europea attuale; la seconda parte ha invece proposto una
riflessione teologica sul significato e sul mistero della vocazione, a partire
dalla realtà della Trinità fino a coglierne il senso nella vita della Chiesa.
È proprio questo secondo aspetto che ora vorremmo approfondire, specie dal punto
di vista dell'applicazione pastorale. Nell'udienza concessa ai
partecipanti al Congresso, Giovanni Paolo II ha affermato: « Le mutate
condizioni storiche e culturali esigono che la pastorale delle vocazioni sia
percepita come uno degli obiettivi primari dell'intera Comunità cristiana
».(54) L'icona della Chiesa primitiva 24. Cambiano
le situazioni storiche, ma resta identico il punto di riferimento nella vita del
credente e della comunità credente, quel punto di riferimento che è
rappresentato dalla Parola di Dio, specie laddove racconta le vicende della
Chiesa delle origini. Tali vicende e il modo di viverle della primitiva
comunità, costituiscono per noi l'exemplum, il modello dell'essere
Chiesa. Anche per quanto concerne la pastorale vocazionale. Cogliamo solo alcuni
elementi essenziali e particolarmente esemplari, così come ce li propone il
libro degli Atti degli Apostoli, nel momento in cui la Chiesa degli inizi
era numericamente molto povera e debole. La pastorale vocazionale ha gli stessi
anni della Chiesa; nacque allora, assieme ad essa, in quella povertà
improvvisamente abitata dallo Spirito. Agli albori di questa storia
singolare, infatti, che è poi quella di tutti noi, c'è la promessa dello
Spirito Santo, fatta da Gesù prima di salire al Padre. « Non spetta a voi
conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma
avrete forza dallo Spirito santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a
Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della
terra » (At 1, 7-8). Gli Apostoli sono riuniti nel cenacolo, « assidui
e concordi nella preghiera ... con Maria, la madre di Gesù » (1, 14), e
subito provvedono a riempire il posto lasciato vuoto da Giuda con un altro
scelto tra coloro che sono stati fin dall'inizio con Gesù: perché « divenga
insieme con noi testimone della sua risurrezione » (1, 22). E la promessa
si compie: scende lo Spirito, con effetti fragorosi, e riempie la casa e la vita
di coloro che prima erano timidi e paurosi, come un rombo, un vento, un fuoco...
« E cominciarono a parlare in altre lingue..., e ciascuno li sentiva parlare
la propria lingua » (2, 4.6). E Pietro proclama il discorso nel quale
racconta la storia della salvezza, « in piedi ... e a voce alta » (2, 14), un
discorso che « trafigge il cuore » di chi l'ascolta e provoca la domanda
decisiva della vita: « che cosa dobbiamo fare? » (2, 37). A questo punto
gli Atti descrivono la vita della prima comunità, scandita da alcuni elementi
essenziali, come l'assiduità nell'ascolto dell'insegnamento degli Apostoli,
l'unione fraterna, la frazione del pane, la preghiera, la condivisione dei beni
materiali; ma insieme anche gli affetti e i beni dello Spirito (cfr. 2, 42-48).
Nel frattempo Pietro e gli Apostoli continuano a fare prodigi nel nome di Gesù e
ad annunciare il kerigma della salvezza, regolarmente rischiando la vita, ma
sempre sorretti dalla comunità, entro cui i credenti sono « un cuore solo e
un'anima sola » (4, 32). In essa, per altro, cominciano anche ad aumentare e a
diversificarsi le esigenze, e così vengono istituiti i diaconi per venire
incontro alle necessità anche materiali della comunità, specie dei più deboli
(cfr. 6, 1-7). La testimonianza, forte e coraggiosa, non può non
provocare il rifiuto delle autorità, e così ecco il primo martire,
Stefano, a sottolineare che la causa del vangelo prende tutto dell'uomo, anche
la vita (cfr. 6, 8-7, 70). Alla sentenza che condanna Stefano dà pure il suo
assenso Saulo, il persecutore dei cristiani, colui che, di lì a poco, sarà
scelto da Dio per annunciare ai pagani il mistero nascosto nei secoli e ora
rivelato. E la storia continua, sempre più come storia sacra: storia di
Dio che sceglie e chiama gli uomini alla salvezza, in modi anche imprevedibili,
e storia di uomini che si lasciano chiamare e scegliere da Dio. A noi
possono bastare queste note per cogliere nella comunità delle origini le tracce
fondamentali della pastorale d'una Chiesa tutta vocazionale: sul piano dei
metodi e dei contenuti, dei princìpi generali, degli itinerari da percorrere e
delle strategie specifiche per realizzarla. Aspetti teologici della
pastorale vocazionale 25. Ma quale teologia fonda, ispira e
motiva la pastorale vocazionale in quanto tale? La risposta è importante
nel nostro contesto, perché fa da elemento mediatore tra la teologia della
vocazione e una prassi pastorale con essa coerente, che nasca da quella teologia
e vi ritorni. Su questo interrogativo, in effetti, il Congresso ha espresso
l'esigenza di una ulteriore riflessione di studio, nell'intento di scoprire i
motivi che legano intrinsecamente persone e comunità all'azione vocazionale e
per evidenziare una migliore relazione tra teologia della vocazione, teologia
della pastorale vocazionale e prassi pedagogico-pastorale. « La pastorale
delle vocazioni nasce dal mistero della Chiesa e si pone al servizio di essa
».(55) Il fondamento teologico della pastorale delle vocazioni quindi « può
scaturire solo dalla lettura del mistero della Chiesa come mysterium
vocationis ».(56) Giovanni Paolo II ricorda chiaramente, al riguardo,
che la « dimensione vocazionale è connaturale ed essenziale alla pastorale
della Chiesa », cioè alla sua vita e alla sua missione.(57) La vocazione
definisce, dunque, in un certo senso, l'essere profondo della Chiesa, prima
ancora che il suo operare. Nello stesso nome, « Ecclesia », è indicata la sua
fisionomia vocazionale, poiché essa è veramente assemblea di chiamati.(58)
Giustamente, allora, l'Instrumentum laboris del Congresso nota che « la
pastorale unitaria si fonda sulla vocazionalità della Chiesa ».(59) Di
conseguenza, la pastorale delle vocazioni, per natura sua, è un'attività
ordinata all'annuncio di Cristo e all'evangelizzazione dei credenti in Cristo.
Ecco allora la risposta alla nostra domanda: proprio nella chiamata della
Chiesa a comunicare la fede è radicata la teologia della pastorale vocazionale.
Ciò riguarda la Chiesa universale, ma si attribuisce in modo speciale ad ogni
comunità cristiana,(60) specie nell'attuale momento storico del vecchio
continente. « Per questa sublime missione di far fiorire una nuova età di
evangelizzazione in Europa si richiedono oggi evangelizzatori particolarmente
preparati ».(61) In proposito conviene richiamare alcuni punti fermi,
indicati dall'attuale magistero pontificio, perché divengano punti di partenza
della prassi pastorale delle Chiese particolari. a) Una volta
evidenziata la dimensione vocazionale della Chiesa, si comprende come la
pastorale vocazionale non sia elemento accessorio o secondario, finalizzato
semplicemente al reclutamento di operatori pastorali, né momento isolato o
settoriale, determinato da una situazione ecclesiale d?emergenza, quanto
piuttosto un'attività legata all'essere della Chiesa e dunque anche
intimamente inserita nella pastorale generale di ogni Chiesa.(62)
b) Ogni vocazione cristiana viene da Dio, ma giunge alla Chiesa e passa
sempre attraverso la sua mediazione. La Chiesa (« ecclesia »), che per
nativa costituzione è vocazione, è al tempo stesso generatrice ed
educatrice di vocazioni.(63) Di conseguenza « la pastorale vocazionale ha
come soggetto attivo, come protagonista la comunità ecclesiale come tale, nelle
sue diverse espressioni: dalla Chiesa universale alla Chiesa particolare e,
analogamente da questa alla parrocchia e a tutte le componenti del popolo di Dio
».(64) c) Tutti i membri della Chiesa, nessuno escluso, hanno
la grazia e la responsabilità della cura delle vocazioni. È un dovere che
rientra nel dinamismo vitale della Chiesa e nel processo del suo sviluppo. Solo
sulla base di questa convinzione la pastorale vocazionale potrà manifestare il
suo volto veramente ecclesiale e sviluppare un'azione concorde, servendosi anche
di organismi specifici e di adeguati strumenti di comunione e
corresponsabilità.(65) d) La Chiesa particolare scopre la propria
dimensione esistenziale e terrena nella vocazione di tutti i suoi membri alla
comunione, alla testimonianza, alla missione, al servizio di Dio e dei
fratelli... Perciò essa rispetterà e promuoverà la varietà dei carismi e dei
ministeri, quindi delle diverse vocazioni, tutte manifestazioni dell'unico
Spirito. e) Cardine di tutta la pastorale vocazionale è la
preghiera comandata dal Salvatore (Mt 9, 38). Essa impegna non solo i
singoli ma anche le intere comunità ecclesiali.(66) « Dobbiamo rivolgere
insistente preghiera al Padrone della messe, perché invii operai alla sua
Chiesa, per far fronte alle urgenze della nuova evangelizzazione ».(67)
Ma l'autentica preghiera vocazionale, giova ricordare, merita questo nome e
diviene efficace solo quando crea coerenza di vita nell'orante stesso,
anzitutto, e s'associa, nel resto della comunità credente, con l'annunzio
esplicito e la catechesi adeguata, per favorire nei chiamati al sacerdozio e
alla vita consacrata, come a qualsiasi altra vocazione cristiana, quella
risposta libera, pronta e generosa, che rende operante la grazia della
vocazione.(68) Princìpi generali della pastorale vocazionale
26. Da più parti si avverte la necessità di dare alla pastorale una chiara
impronta vocazionale. Per raggiungere questo obiettivo programmatico vediamo di
delineare alcuni princìpi teorico-pratici, che deduciamo dalla teologia della
pastorale e, in particolare, dai « punti fermi » ad essa collegati. Concentriamo
questi princìpi attorno ad alcune affermazioni tematiche. a) La
pastorale vocazionale è la prospettiva originaria della pastorale generale
L'Instrumentum laboris del Congresso sulle vocazioni lo afferma in modo
esplicito: « Tutta la pastorale e in particolare, quella giovanile, è
nativamente vocazionale »; (69) in altre parole, dire vocazione significa dire
dimensione costitutiva ed essenziale della stessa pastorale ordinaria, perché la
pastorale è fin dagl'inizi, per natura sua, orientata al discernimento
vocazionale. È questo un servizio reso a ogni persona, affinché possa scoprire
il cammino per la realizzazione di un progetto di vita come Dio vuole, secondo
le necessità della Chiesa e del mondo d'oggi.(70) Così già si disse al
Congresso latino-americano sulle vocazioni del 1994. Ma la prospettiva va
allargata: vocazione non è solo il progetto esistenziale, ma lo sono tutte le
singole chiamate di Dio, evidentemente sempre correlate su un piano fondamentale
di vita, comunque disseminate lungo tutto l'arco dell'esistenza. L'autentica
pastorale rende il credente vigilante, attento alle moltissime chiamate del
Signore, pronto a captare la sua voce e a risponderGli. È proprio la
fedeltà a questo tipo di chiamate quotidiane che rende il giovane oggi capace di
riconoscere e accogliere « la chiamata » della sua vita, e l'adulto domani non
solo capace di esserle fedele, ma di scoprirne sempre più la freschezza e la
bellezza. Ogni vocazione, infatti, è « mattutina », è la risposta di ciascun
mattino a un appello nuovo ogni giorno. Per questo la pastorale sarà
pervasa di attenzione vocazionale, per destarla in ogni credente; partirà
dall'intento esplicito di porre il credente dinanzi alla proposta di Dio; si
adoprerà per provocare nel soggetto assunzione di responsabilità in ordine al
dono ricevuto o alla Parola di Dio ascoltata; di fatto cercherà di condurre il
credente a compromettersi di fronte a questo Dio.(71) b) La pastorale
vocazionale è la vocazione della pastorale oggi In tal senso si può
ben dire che si deve « vocazionalizzare » tutta la pastorale, o fare in
modo che ogni espressione della pastorale manifesti in modo chiaro e
inequivocabile un progetto o un dono di Dio fatto alla persona, e stimoli nella
stessa una volontà di risposta e di coinvolgimento personale. O la pastorale
cristiana conduce a questo confronto con Dio, con tutto ciò che esso implica in
termini di tensione, di lotta, a volte di fuga o di rifiuto, ma anche di pace e
gioia legate all'accoglienza del dono, o non merita questo nome. Oggi ciò
si manifesta in modo del tutto particolare, al punto di poter giungere ad
affermare che la pastorale vocazionale è la vocazione della pastorale: ne
costituisce forse l'obiettivo principale, come una sfida per la fede delle
Chiese d'Europa. La vocazione è il caso serio della pastorale odierna.
E allora, se la pastorale in genere è « chiamata » e attesa, oggi, a questa
sfida, essa dev'essere probabilmente più coraggiosa e franca, più esplicita
nell'andare al centro e al cuore del messaggio-proposta, più diretta alla
persona e non solo al gruppo, più fatta di coinvolgimento concreto e non di
vaghi richiami a una fede astratta e lontana dalla vita. Forse dovrà
anche essere una pastorale più pro-vocante che consolante; capace, in ogni caso,
di trasmettere il senso drammatico della vita dell'uomo, chiamato a far qualcosa
che nessuno potrà fare al posto suo. Nel brano che abbiamo citato questa
attenzione e tensione vocazionale è evidente: nella scelta di Mattia, nel
discorso coraggioso (« in piedi e a voce alta ») di Pietro alla folla, nel modo
in cui il messaggio cristiano è annunciato e recepito (« si sentirono trafiggere
il cuore »). Soprattutto appare chiaro nella sua capacità di cambiare la
vita di coloro che vi aderiscono, come risulta dalle conversioni e dal tipo di
vita della comunità degli Atti. c) La pastorale vocazionale è graduale
e convergente Abbiamo già implicitamente visto che nell'uomo, e
lungo la sua vita, esistono vari tipi di chiamata: alla vita, anzitutto, e poi
all'amore; alla responsabilità del dono, quindi alla fede; alla sequela di Gesù;
alla testimonianza peculiare della propria fede; a essere padre o madre, e a un
servizio particolare per la Chiesa o per la società. Fa animazione
vocazionale chi tiene presente, per prima cosa, quel ricco complesso di valori e
significati umani e cristiani da cui nasce il senso vocazionale della vita e
d'ogni vivente. Essi consentono di aprire la vita stessa a numerose possibilità
vocazionali, convergendo poi verso la definitiva scelta personale. In
altre parole è necessario, per una corretta pastorale vocazionale, rispettare
una certa gradualità, e partire dai valori fondamentali e universali (il bene
straordinario della vita) e dalle verità che sono tali per tutti (la vita è un
bene ricevuto che tende per natura sua a divenire bene donato), per passare poi
a una specificazione progressiva, sempre più personale e concreta, credente e
rivelata, della chiamata. Sul piano più propriamente pedagogico, prima è
importante formare al senso della vita e alla gratitudine per essa, poi,
trasmettere quel fondamentale atteggiamento di responsabilità nei
confronti dell'esistenza, e che chiede per natura sua una conseguente risposta
da parte di ciascuno nella linea della gratuità. Di qui si sale alla
trascendenza di Dio, Creatore e Padre. Solo a questo punto è possibile e
convincente una proposta forte e radicale (quale sempre dovrebbe essere la
vocazione cristiana), come quella di dedizione a Dio nella vita sacerdotale o
consacrata. d) La pastorale vocazionale è generica e specifica
La pastorale vocazionale, insomma, parte necessariamente da un'idea ampia di
vocazione (e di conseguente appello rivolto a tutti), per poi restringersi e
precisarsi secondo la chiamata d'ognuno. In tal senso la pastorale vocazionale è
prima generica e poi specifica, entro un ordine che non sembra ragionevole
invertire e che sconsiglia, in genere, la proposta immediata, senz'alcuna
catechesi progressiva, d'una vocazione particolare. D'altro canto, sempre
in forza di tale ordine, la pastorale vocazionale non si limita a sottolineare
in modo generico il significato dell'esistenza, ma spinge verso un
coinvolgimento personale in una scelta precisa. Non vi è stacco, e tanto meno
contrasto, tra un appello che sottolinea i valori comuni e fondanti
dell'esistenza e un appello a servire il Signore « secondo la misura della
grazia ricevuta ». L'animatore vocazionale, ogni educatore nella fede,
non deve temere di proporre scelte coraggiose e di donazione totale, anche se
difficili e non conformi alla mentalità del secolo. Pertanto, se ogni
educatore è animatore vocazionale, ogni animatore vocazionale è educatore,
ed educatore di ogni vocazione, rispettandone lo specifico carisma. Ogni
chiamata è legata all'altra, infatti, la suppone e la sollecita, mentre tutte
assieme rimandano alla stessa fonte e al medesimo obiettivo, che è la storia
della salvezza. Ma ognuna ha una sua modalità particolare. L'autentico
educatore vocazionale non solo indica le differenze tra una chiamata e l'altra,
rispettando le diverse tendenze nei singoli chiamati, ma lascia intravedere e
richiama quelle « supreme possibilità », di radicalità e dedizione, che sono
aperte alla vocazione d'ognuno e insite in essa. Educare in profondità ai
valori della vita, ad esempio, significa proporre (e imparare a proporre) un
cammino che naturalmente sfocia nella sequela di Cristo e che può
condurre alla scelta della sequela tipica dell'apostolo, del presbitero o del
religiosoa, del monaco che abbandona il mondo, come del laico consacrato nel
mondo. D'altro lato proporre tale sequela qualificata come obiettivo di
vita esige, per natura sua, un'attenzione e formazione previa ai valori
elementari della vita, della fede, della gratitudine, dell'imitazione di Cristo
richiesti a ogni cristiano. Ne risulta una strategia vocazionale
teologicamente meglio fondata e anche più efficace sul piano pedagogico. C'è chi
teme che l'allargamento dell'idea di vocazione possa nuocere alla specifica
promozione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata; in realtà è
esattamente il contrario. La gradualità nell'annuncio vocazionale,
infatti, consente di muoversi dall'oggettivo al soggettivo e dal generico allo
specifico, senza anticipare né bruciare le proposte, ma facendole convergere
tra loro e verso la proposta decisiva per la persona, da indicare al tempo
giusto e da calibrare con accortezza, secondo un ritmo che tenga conto del
destinatario in situazione. L'ordine armonico e progressivo rende molto
più provocante e accessibile la proposta decisiva alla persona. In concreto,
quanto più il giovane viene formato a passare con naturalezza dalla gratitudine
per il dono ricevuto della vita alla gratuità del bene donato, tanto più sarà
possibile proporgli il dono totale di sé a Dio come esito naturale e per taluni
inevitabile. e) La pastorale vocazionale è universale e permanente
Si tratta d'una duplice universalità: in riferimento alle persone cui è
diretta, e in riferimento all'età della vita in cui è fatta.
Anzitutto la pastorale vocazionale non conosce frontiere. Come già detto sopra,
essa non si rivolge solo ad alcune persone privilegiate o che già hanno fatto
un'opzione di fede, né unicamente a coloro da cui sembra lecito attendersi un
assenso positivo, ma è rivolta a tutti, proprio perché fondata sui valori
elementari dell'esistenza. Non è pastorale d'élite, ma di popolo; non è un
premio per i più meritevoli, ma grazia e dono di Dio per ogni persona, perché
ogni vivente è chiamato da Dio. Né va intesa come qualcosa che solo alcuni
potrebbero comprendere o ritenere interessante per la loro vita, perché ogni
essere umano è inevitabilmente desideroso di conoscersi e di conoscere il senso
della vita e il proprio posto nella storia. Inoltre, non è proposta che
venga fatta una sola volta nella vita (all'insegna del « prendere o lasciare »)
e che venga in pratica ritirata dopo un rifiuto da parte del destinatario. Essa
dev'essere invece come una continua sollecitazione, fatta in modi diversi e con
intelligenza propositiva, che non s'arrende dinanzi a un iniziale disinteresse,
che spesso è solo apparente o difensivo. Va anche corretta l'idea che la
pastorale vocazionale sia esclusivamente giovanile, poiché in ogni età della
vita risuona un invito del Signore a seguirLo, e solo in punto di morte una
vocazione può dirsi realizzata completamente. Anzi, la morte è la chiamata per
eccellenza, così come c'è una chiamata nella vecchiaia, nel passaggio da una
stagione all'altra della vita, nelle situazioni di crisi. C'è una
giovinezza dello spirito che permane nel tempo, nella misura in cui l'individuo
si sente continuamente chiamato e cerca e trova ad ogni ciclo vitale un compito
diverso da svolgere, un modo specifico di essere, di servire e di amare, una
novità di vita e di missione da svolgere.(72) In tal senso la pastorale
vocazionale è legata alla formazione permanente della persona, ed è essa
stessa permanente. « Tutta la vita e ogni vita è una risposta ».(73)
Negli Atti, Pietro e gli Apostoli non fanno assolutamente differenza di persone,
parlano a tutti, giovani e vecchi, ebrei e stranieri: Parti, Medi, Elamiti
stanno proprio a indicare la grande massa senza differenze né esclusioni cui
sono rivolti l'annuncio e la pro-vocazione, con l'arte di parlare a ognuno «
nella sua propria lingua », secondo le sue esigenze, problemi, attese, difese,
età o fase della vita. È il miracolo di Pentecoste e dunque dono
straordinario, dello Spirito. Ma lo Spirito è sempre con noi... f) La
pastorale vocazionale è personale e comunitaria Può sembrare una
contraddizione, ma in realtà questo principio dice la natura ambivalente, in
certo senso, della pastorale vocazionale, capace — quando è autentica — di
comporre le due polarità del soggetto e della comunità. Dal punto di vista
dell'animatore vocazionale è urgente oggi passare da una pastorale vocazionale
gestita da un singolo operatore a una pastorale concepita sempre più come azione
comunitaria, di tutta la comunità nelle sue diverse espressioni: gruppi,
movimenti, parrocchie, diocesi, istituti religiosi e secolari... La
Chiesa è sempre più chiamata a essere oggi tutta vocazionale: all'interno
di essa « ogni evangelizzatore deve prendere coscienza di diventare una
"lampada" vocazionale, capace di suscitare un'esperienza religiosa che porti i
bambini, gli adolescenti, i giovani e gli adulti al contatto personale con
Cristo, nel cui incontro si rivelano le vocazioni specifiche ».(74) Allo
stesso modo il destinatario della pastorale vocazionale è ancora tutta
la Chiesa. Se è tutta la comunità ecclesiale che chiama, è ancora tutta la
comunità ecclesiale che è chiamata, senz'alcuna eccezione. Polo emittente e polo
ricevente in qualche modo s'identificano, all'interno delle diverse
articolazioni ministeriali del tessuto ecclesiale. Ma il principio è importante;
è il riflesso di quella misteriosa identificazione tra chiamante e chiamato
all'interno della realtà trinitaria. In tal senso la pastorale
vocazionale è comunitaria. Ed è bello, sempre in tal senso, che siano
tutti gli Apostoli, il giorno di Pentecoste, a rivolgersi alla folla, e che poi
Pietro prenda la parola a nome dei dodici. Anche quando si tratta di scegliere
sia Mattia che Stefano e poi ancora Barnaba e Saulo, tutta la comunità prende
parte al discernimento con la preghiera, il digiuno, l'imposizione delle mani.
Al tempo stesso, però, è il singolo che deve farsi interprete della
proposta vocazionale, è il credente che, in forza della sua fede, deve in
qualche modo farsi carico della vocazione dell'altro. Non tocca, dunque,
solo ai presbiteri o ai consacratie il ministero dell'appello vocazionale, ma a
ogni credente, ai genitori, ai catechisti, agli educatori. Se è vero che
l'appello va rivolto a tutti, tuttavia è altrettanto vero che lo stesso appello
va personalizzato, indirizzato a una precisa persona, alla sua coscienza,
all'interno d'una relazione del tutto personale. C'è un momento nella
dinamica vocazionale in cui la proposta va da persona a persona, e ha bisogno di
tutto quel clima particolare che solo la relazione individuale può garantire. È
vero, allora, che Pietro e Stefano parlano alla folla; ma Saulo ha poi bisogno
di Anania per discernere ciò che Dio vuole da lui (9, 13-17), come poi l'eunuco
con Filippo (8, 26-39). g) La pastorale vocazionale è la prospettiva
unitario-sintetica della pastorale Come è il punto di partenza così
è anche il punto d'arrivo. In quanto tale, la pastorale vocazionale si pone come
la categoria unificante della pastorale in genere, come la destinazione naturale
d'ogni fatica, il punto d'approdo delle varie dimensioni, quasi una sorta di
elemento di verifica della pastorale autentica. Ripetiamo: se la
pastorale non arriva a « trafiggere il cuore » e a porre l'ascoltatore dinanzi
alla domanda strategica (« che cosa devo fare? »), non è pastorale cristiana, ma
ipotesi innocua di lavoro. Di conseguenza la pastorale vocazionale è e
dev'essere in rapporto con tutte le altre dimensioni, ad esempio con quella
familiare e culturale, liturgica e sacramentale, con la catechesi e il cammino
di fede nel catecumenato; coi vari gruppi d'animazione e formazione cristiana
(non solo coi ragazzi e giovani, ma anche coi genitori, coi fidanzati, con gli
ammalati e gli anziani...) e di movimenti (dal movimento per la vita alle varie
iniziative di solidarietà sociale).(75) Soprattutto la pastorale
vocazionale è la prospettiva unificante della pastorale giovanile. Non va
dimenticato che l'età evolutiva è fortemente progettuale ed un'autentica
pastorale giovanile non può eludere la dimensione vocazionale, bensì la deve
assumere, perché proporre Gesù Cristo significa proporre un preciso progetto di
vita. Di qui una feconda collaborazione pastorale, pur nella distinzione
dei due ambiti: sia perché la pastorale giovanile abbraccia altre problematiche
oltre quella vocazionale, sia perché la pastorale vocazionale non riguarda solo
il mondo giovanile, bensì ha un orizzonte più ampio e con problematiche
specifiche. Pensiamo, inoltre, quanto potrebbe esser importante una
pastorale vocazionale-familiare che educhi progressivamente i genitori a
essere i primi animatori-educatori vocazionali; o quanto sarebbe preziosa una
pastorale vocazionale tra i malati, che non inviti semplicemente gli
infermi a offrire le proprie sofferenze per le vocazioni sacerdotali, ma li
aiuti a vivere l'evento della malattia, con tutto il carico di mistero che essa
contiene, come vocazione personale, che il malato-credente ha il « dovere » di
vivere per e nella Chiesa e il « diritto » di essere aiutato a vivere dalla
Chiesa. Questo legame facilita il dinamismo pastorale perché di fatto gli
è connaturale: le vocazioni, come i carismi, si cercano tra loro, s'illuminano a
vicenda, sono complementari l'una all'altra. Diventano invece incomprensibili se
isolate; né fa pastorale di Chiesa chi rimane chiuso nel proprio settore
specialistico. Naturalmente il discorso vale in doppio senso: è la
pastorale in genere che deve confluire nell'animazione vocazionale per favorire
l'opzione vocazionale; ma è la pastorale vocazionale che deve a sua volta
restare aperta alle altre dimensioni, inserendosi e cercando sbocchi in quelle
direzioni. Essa è il punto terminale che sintetizza le varie provocazioni
pastorali e consente di metterle a frutto nella vicenda esistenziale del singolo
credente. In definitiva, la pastorale delle vocazioni chiede attenzione, ma in
cambio offre una dimensione destinata a rendere vera e autentica l'iniziativa
pastorale di ogni settore. La vocazione è il cuore pulsante della pastorale
unitaria! (76) Itinerari pastorali vocazionali
27. L'icona biblica attorno alla quale abbiamo articolato la nostra riflessione
ci consente di fare un passo avanti, procedendo dai princìpi teorici
all'identificazione di alcuni itinerari pastorali vocazionali. Essi sono
cammini comunitari di fede, corrispondenti a precise funzioni ecclesiali e a
dimensioni classiche dell'essere credente, lungo i quali matura la fede e si
rende sempre più manifesta o si conferma progressivamente la vocazione del
singolo, a servizio della comunità ecclesiale. La riflessione e la
tradizione della Chiesa indicano che normalmente il discernimento vocazionale
avviene lungo alcuni precisi cammini comunitari: la liturgia e la preghiera, la
comunione ecclesiale, il servizio della carità, l'esperienza dell'amore di Dio
ricevuto e offerto nella testimonianza. Grazie ad essi nella comunità descritta
dagli Atti « si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gesusalemme »
(At 6, 7). La pastorale dovrebbe anche oggi battere queste strade
per stimolare e accompagnare il cammino vocazionale dei credenti. Un'esperienza
personale e comunitaria, sistematica e impegnativa in queste direzioni, potrebbe
e dovrebbe aiutare il singolo credente a scoprire l'appello vocazionale.
E questo renderebbe la pastorale davvero vocazionale. a) La liturgia e
la preghiera La liturgia significa e indica ad un tempo
l'espressione, l'origine e l'alimento di ogni vocazione e ministero nella
Chiesa. Nelle celebrazioni liturgiche si fa memoria di quell'agire di Dio per
Cristo nello Spirito a cui rimandano tutte le dinamiche vitali del cristiano.
Nella liturgia, culminante con l'Eucarestia, si esprime la vocazione-missione
della Chiesa e di ogni credente in tutta la sua pienezza. Dalla liturgia
viene sempre un appello vocazionale per chi partecipa.(77) Ogni celebrazione è
un evento vocazionale . Nel mistero celebrato il credente non può non
riconoscere la propria personale vocazione, non può non udire la voce del Padre
che nel Figlio, per la potenza dello Spirito, lo chiama a donarsi a sua volta
per la salvezza del mondo. Anche la preghiera diventa via per il
discernimento vocazionale, non solo perché Gesù stesso ha invitato a pregare il
padrone della messe, ma perché è solo nell'ascolto di Dio che il credente può
giungere a scoprire il progetto che Dio stesso ha pensato: nel mistero
contemplato il credente scopre la propria identità, « nascosta con Cristo in Dio
» (Col 3, 3). E ancora, è solo la preghiera che può attivare
quegli atteggiamenti di fiducia e di abbandono che sono indispensabili per
pronunciare il proprio « sì » e superare paure e incertezze. Ogni vocazione
nasce dalla in-vocazione. Ma anche l'esperienza personale della
preghiera, come dialogo con Dio, appartiene a questa dimensione: anche se «
celebrata » nell'intimità della propria « cella » è relazione con quella
paternità da cui deriva ogni vocazione. Tale dimensione è quanto mai evidente
nell'esperienza della Chiesa delle origini, i cui membri erano assidui « nella
frazione del pane e nella preghiera » (At 2, 42). Ogni decisione, in tale
comunità, era preceduta dalla preghiera; ogni scelta, soprattutto per la
missione, avveniva in un contesto liturgico (At 6, 1-7; 13, 1-5).
È la logica orante che la comunità aveva imparato da Gesù quando, di fronte alle
« folle stanche e sfinite come gregge senza pastore, aveva detto: "La messe è
molta ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della messe perché
mandi operai nella sua messe" » (Mt 9, 36-38; Lc 10, 2). Le
comunità cristiane d'Europa hanno sviluppato in questi anni molteplici
iniziative di preghiera per le vocazioni, che hanno trovato ampia eco durante il
Congresso. La preghiera nelle comunità diocesane e parrocchiali, in molti casi
resa anche « incessante », giorno e notte, è una delle vie maggiormente percorse
per creare nuova sensibilità e nuova cultura vocazionale favorevole al
sacerdozio e alla vita consacrata. L'icona evangelica del « Padrone della
messe » conduce al cuore della pastorale delle vocazioni: la preghiera.
Preghiera che sa « guardare » con sapienza evangelica al mondo e ad ogni uomo
nella realtà dei suoi bisogni di vita e di salvezza. Preghiera che esprime la
carità e la « compassione » (Mt 9, 36) di Cristo verso l'umanità, che
anche oggi appare come « un gregge senza pastore » (Mt 9, 36). Preghiera
che esprime la fede nella voce potente del Padre, che solo può chiamare e
mandare a lavorare nella Sua vigna. Preghiera che esprime la speranza viva in
Dio, il quale non farà mai mancare alla Chiesa gli « operai » (Mt 9, 38)
necessari a portare a compimento la sua missione. Nel Congresso hanno
suscitato molto interesse le testimonianze sull'esperienza di lectio divina
in prospettiva vocazionale. In alcune diocesi sono molto diffuse le « scuole di
preghiera » o le « scuole della Parola ». Il principio al quale esse si ispirano
è quello, ormai classico, contenuto nella Dei Verbum: « Tutti i fedeli
acquisiscano la sublime scienza di Gesù Cristo con la frequente lettura della
Divina Scrittura, accompagnata dalla preghiera ».(78) Quando tale scienza
diviene sapienza che si nutre di frequentazione abituale, gli occhi e le
orecchie del credente si aprono nel riconoscere la Parola che chiama senza
sosta. Allora il cuore e la mente sono in grado di accoglierla e di viverla
senza paura. b) La comunione ecclesiale La prima funzione
vitale che sgorga dalla liturgia è la manifestazione della comunione che si vive
all'interno della Chiesa, come popolo riunito in Cristo attraverso la sua croce,
come comunità in cui ogni divisione è per sempre superata nello Spirito di Dio
che è Spirito di unità (Ef 2, 11-22;Gal 3, 26-28; Gv 17,
9-26). La Chiesa si propone come lo spazio umano di fraternità in cui
ogni credente può e deve fare esperienza di quella unione fra gli uomini e con
Dio che è dono dall'alto. Di questa dimensione ecclesiale sono splendido esempio
gli Atti degli Apostoli, dove è descritta una comunità di credenti profondamente
segnata dall'unione fraterna, dalla condivisione dei beni materiali e
spirituali, degli affetti e dei sentimenti (At 2, 42-48), al punto da
essere « un cuore solo ed un'anima sola » (At 4, 32). Se ogni
vocazione nella Chiesa, è un dono da vivere per gli altri, come servizio
di carità nella libertà, allora è anche un dono da vivere con gli altri.
Dunque lo si scopre solo vivendo in fraternità. La fraternità ecclesiale
non è solo virtù comportamentale, ma itinerario vocazionale. Solo vivendo la si
può scegliere come componente fondamentale di un progetto vocazionale, o solo
gustandola è possibile aprirsi a una vocazione che in ogni caso sarà sempre
vocazione alla fraternità.(79) Al contrario, non può avvertire alcuna attrazione
vocazionale chi non sperimenta alcuna fraternità e si chiude al rapporto con gli
altri o interpreta la vocazione solo come perfezione privata e personale.
La vocazione è relazione; è manifestazione dell'uomo che Dio ha creato aperto
alla relazione e anche nel caso di una vocazione all'intimità con Dio nella
vocazione claustrale, implica una capacità di apertura e di condivisione che si
può acquisire solo con l'esperienza d'una fraternità reale. « Il superamento di
una visione individualistica del ministero e della consacrazione, della vita
nelle singole comunità cristiane è un contributo storico decisivo ».(80)
La vocazione è dialogo, è sentirsi chiamati da un Altro e avere il coraggio di
risponderGli. Come può maturare questa capacità di dialogo in chi non ha
imparato, nella vita di tutti i giorni e nelle relazioni quotidiane, a lasciarsi
chiamare, a rispondere, a riconoscere l'io nel tu? Come può farsi chiamare dal
Padre chi non si preoccupa di rispondere al fratello? La condivisione con
il fratello e con la comunità dei credenti diventa allora via, lungo la quale si
impara a rendere partecipi gli altri dei progetti propri, per accogliere infine
su di sé il piano pensato da Dio. Che sarà sempre e comunque progetto di
fraternità. Un'esperienza di condivisione attorno alla Parola, segnalata
da alcune Chiese europee, è costituita dai centri di ascolto, gruppi cioè
di credenti che si incontrano periodicamente nelle loro case per riscoprire il
messaggio cristiano e comunicarsi le rispettive esperienze e i doni di
interpretazione della Parola stessa. Per i giovani questi centri ricevono
una connotazione vocazionale nell'ascolto della Parola che chiama, nella
catechesi e nella preghiera vissute in modo più personale e coinvolgente, più
libero e creativo. Il centro di ascolto diviene così stimolo alla
corresponsabilità ecclesiale, perché qui si possono scoprire i diversi modi di
servire la comunità e vi possono sovente maturare vocazioni specifiche.
Altra esperienza positiva di itinerario vocazionale nelle Chiese particolari e
nei vari Istituti di vita consacrata è la comunità di accoglienza, che
realizza l'invito di Gesù: « Venite e vedrete ». Dal Sommo Pontefice è definita
la « regola d'oro della pastorale vocazionale ».(81) In queste comunità o centri
di orientamento vocazionale, grazie a un'esperienza molto specifica e immediata,
i giovani possono fare un vero e graduale cammino di discernimento. Sono dunque
accompagnati perché al momento giusto siano in grado non solo d'identificare il
progetto di Dio su di loro, ma di decidere di sceglierlo come propria identità.
c) Il servizio della carità È una delle funzioni più tipiche
della comunità ecclesiale. Consiste nel vivere l'esperienza della libertà in
Cristo, in quel vertice supremo che è costituito dal servizio. « Chi vorrà
diventare grande tra voi si farà vostro servo » (Mt 20, 26), « chi vuol
essere il primo sia il servo di tutti » (Mc 9, 35). Nella Chiesa
primitiva questa lezione sembra sia stata molto presto appresa, dato che il
servizio appare come una delle componenti strutturali di essa, al punto che
vengono istituiti i diaconi proprio per « il servizio delle mense ».
Proprio perché il credente vive per grazia l'esperienza di libertà in Cristo,
egli è chiamato a essere testimone di libertà e agente di liberazione per gli
uomini. Di quella liberazione che si realizza non con la violenza e il dominio,
ma con il perdono e l'amore, con il dono di sé e il servizio, sull'esempio di
Cristo Servo. È il servizio della carità, le cui possibilità espressive sono
senza limite. È forse la via regia, in un itinerario vocazionale, per
discernere la propria vocazione, perché l'esperienza di servizio, specie dove è
ben preparata, guidata e penetrata nel suo significato più vero, è esperienza di
grande umanità, che porta a conoscere meglio se stessi e la dignità altrui
nonché la bellezza di dedicarsi agli altri. L'autentico servo nella
Chiesa è colui che ha imparato ad assaporare come un privilegio il lavare i
piedi ai fratelli più poveri, è colui che ha conquistato la libertà di perdere
il proprio tempo per le necessità altrui. L'esperienza del servizio è
un'esperienza di grande libertà in Cristo. Chi serve il fratello,
inevitabilmente incontra Dio ed entra in una particolare sintonia con Lui. Non
gli sarà difficile scoprire la Sua volontà su di sé e, soprattutto, sentirsi
attratto a compierla. E sarà in ogni caso una vocazione di servizio per la
Chiesa e per il mondo. Così è stato per moltissime vocazioni in questi
ultimi decenni. L'animazione vocazionale del post-Concilio è progressivamente
passata dalla « pastorale della propaganda » alla « pastorale del servizio », in
particolare per i più poveri e bisognosi. Molti giovani hanno davvero
ritrovato Dio e se stessi, lo scopo del vivere e la felicità vera, donando tempo
e attenzioni ai fratelli, fino a decidere di dedicare loro non un segmento della
vita, ma tutta l'esistenza. La vocazione cristiana è, infatti, esistenza per
gli altri. d) La testimonianza-annuncio del Vangelo Essa è
la proclamazione della vicinanza di Dio all'uomo lungo tutta la storia della
salvezza, specie in Cristo, e dunque anche delle viscere di misericordia del
Padre per l'uomo, perché abbia la vita in abbondanza. Tale annuncio è
all'origine del cammino di fede di ogni credente. La fede, infatti, è un dono
ricevuto da Dio e testimoniato dall'esempio della comunità credente e di tanti
fratelli e sorelle all'interno di essa, così come attraverso l'istruzione
catechistica sulle verità del vangelo. Ma la fede va trasmessa, e viene
il tempo in cui ogni testimonianza diventa dono attivo: il dono ricevuto diventa
dono donato attraverso la personale testimonianza e il personale annuncio.
La testimonianza della fede coinvolge tutto l'uomo e può essere fatta solo con
la totalità dell'esistenza e della propria umanità, con tutto il cuore, con
tutta la mente, con tutte le forze, fino al dono anche cruento della vita.
È interessante questo crescendo di significati del termine, un crescendo che in
fondo ritroviamo nel brano biblico che ci sta guidando: vedi la
testimonianza-catechesi di Pietro e degli Apostoli il giorno di Pentecoste e,
successivamente, la coraggiosa catechesi di Stefano culminante nel suo martirio
(At 6, 8; 7, 60) e degli Apostoli « lieti di essere stati oltraggiati per
amore del nome di Gesù » (At 5, 41). Ma più interessante ancora è
scoprire come questa testimonianza-annuncio evangelico possa divenire specifico
itinerario vocazionale. La coscienza grata d'aver ricevuto il dono della
fede, dovrebbe tradursi regolarmente in desiderio e volontà di trasmettere agli
altri quanto si è ricevuto, sia attraverso l'esempio della propria vita, sia
attraverso il ministero della catechesi. Questa, poi, « è destinata a illuminare
le molteplici situazioni della vita insegnando a ciascuno a vivere la propria
vocazione cristiana nel mondo ».(82) E se il catechista è anche prima di tutto
un testimone, tale dimensione vocazionale risalterà ancor più evidente.(83)
Il Congresso ha confermato l'importanza della catechesi in prospettiva
vocazionale e ha indicato nella celebrazione del sacramento della
Confermazione uno straordinario itinerario vocazionale per preadolescenti e
adolescenti. L'età della Cresima potrebbe essere proprio « l'età della vocazione
», stagione qualificata, sul piano teologico e pedagogico, per la scoperta, la
realizzazione e la testimonianza del dono ricevuto. L'azione catechistica
dovrebbe suscitare la capacità di riconoscere e di manifestare il dono dello
Spirito.(84) L'incontro diretto di credenti che vivono con fedeltà e
coraggio la loro vocazione, di testimoni credibili che offrono esperienze
concrete di vocazioni riuscite, può essere decisivo per aiutare i cresimandi a
scoprire e accogliere la chiamata di Dio. La vocazione, in ogni caso, è
sempre originata dalla coscienza di un dono, e da una coscienza così grata che
trova del tutto logico porre al servizio degli altri la propria esperienza, per
farsi carico della loro crescita nella fede. Chi vive con attenzione e
generosità la testimonianza della fede, non tarderà a cogliere il progetto di
Dio su di sé, per dedicare alla sua realizzazione tutte le energie.
Dagli itinerari pastorali alla chiamata personale 28. Potremmo
dire, in sintesi, che nelle dimensioni della liturgia, della comunione
ecclesiale, del servizio della carità e della testimonianza del vangelo si
condensa la condizione esistenziale d'ogni credente. Questa è la sua dignità e
la sua vocazione fondamentale, ma è anche la condizione perché ognuno possa
scoprire la sua peculiare identità. Ogni credente, dunque, deve vivere il
comune evento della liturgia, della comunione fraterna, del servizio caritativo
e dell'annuncio del vangelo, perché solo attraverso tale esperienza globale
potrà identificare il suo particolare modo di vivere queste stesse
dimensioni dell'essere cristiano. Di conseguenza, questi itinerari ecclesiali
vanno privilegiati, rappresentano un po' la strada-maestra della pastorale
vocazionale, grazie alla quale può svelarsi il mistero della vocazione di
ognuno. Sono peraltro itinerari classici, che appartengono alla vita
stessa d'ogni comunità che voglia dirsi cristiana e ne rivelano al tempo stesso
la solidità o precarietà. Proprio per questo non solo rappresentano una via
obbligata, ma soprattutto offrono garanzia all'autenticità della ricerca e del
discernimento. Queste quattro dimensioni e funzioni, infatti, da un lato
provocano un coinvolgimento globale del soggetto, dall'altro lo portano alle
soglie d'una esperienza molto personale, d'un confronto stringente, d'un appello
impossibile da ignorare, d'una decisione da prendere, che non si può tramandare
all'infinito. Per questo la pastorale vocazionale dovrà espressamente aiutare a
fare opera di rilevamento attraverso un'esperienza profondamente e globalmente
ecclesiale, che conduca ogni credente « alla scoperta e assunzione della propria
responsabilità nella Chiesa ».(85) Le vocazioni che non nascono da
quest'esperienza e da questo inserimento nell'azione comunitaria ecclesiale
rischiano di essere viziate alla radice e di dubbia autenticità.
Ovviamente tali dimensioni saranno tutte presenti, armonicamente coordinate per
un'esperienza che potrà esser decisiva solo se totalizzante. Spesso, in
effetti, vi sono giovani che privilegiano spontaneamente l'una o l'altra di
queste funzioni (o unicamente impegnati nel volontariato, o fin troppo attratti
dalla dimensione liturgica, o grandi teorici un po' idealisti). Sarà allora
importante che l'educatore vocazionale provochi nel senso d'un impegno che non
sia su misura dei gusti del giovane, ma sulla misura oggettiva
dell'esperienza di fede, la quale non può, per definizione, esser qualcosa
di addomesticabile. È solo il rispetto di questa misuraoggettiva che può
lasciar intravedere la propria misura soggettiva. L'oggettività, in
tal senso, precede la soggettività, e il giovane deve imparare a darle la
precedenza, se vuole davvero scoprire se stesso e quello che è chiamato a
essere. Ovvero, deve prima realizzare ciò che è richiesto a tutti se ci tiene a
essere se stesso. Non solo, ma ciò che è oggettivo, regolato sulla base
d'una norma e d'una tradizione e mirante a un obiettivo preciso che trascende la
soggettività, ha una notevole forza di attrazione e di trazione vocazionale.
Naturalmente l'esperienza oggettiva dovrà pure divenire soggettiva, o esser
riconosciuta dall'individuo come sua. Sempre tuttavia a partire da una fonte o
da una verità che non è il soggetto a determinare e che s'avvale della ricca
tradizione della fede cristiana. In definitiva « la pastorale vocazionale ha le
tappe fondamentali di un itinerario di fede ».(86) E anche questo sta a dire la
gradualità e poi la convergenza della pastorale vocazionale. Dagli
itinerari alle comunità cristiane a) La comunità parrocchiale
29. Il Congresso europeo si è proposto un obiettivo, tra gli altri: portare la
pastorale vocazionale nel vivo delle comunità cristiane parrocchiale, là dove la
gente vive e dove i giovani in particolare sono coinvolti più o meno
significativamente in un'esperienza di fede. Si tratta di far uscire la
pastorale vocazionale dalla cerchia degli addetti ai lavori per raggiungere i
solchi periferici della Chiesa particolare. Ma nel contempo è ormai
urgente superare la fase esperienzialistica, in atto in molte Chiese d'Europa,
per passare a veri cammini pastorali, innestati nel tessuto delle comunità
cristiane, valorizzando ciò che è già vocazionalmente eloquente.
Particolare attenzione va all'anno liturgico, che è una scuola permanente di
fede, in cui ogni credente, aiutato dallo Spirito Santo, è chiamato a crescere
secondo Gesù. Dall'Avvento, tempo della speranza, alla Pentecoste e al Tempo
Ordinario, il cammino ciclicamente ricorrente dell'anno liturgico celebra e
prospetta un modello di uomo chiamato a misurarsi sul mistero di Gesù, il «
primogenito tra molti fratelli » (Rom 8, 29). L'antropologia che
l'anno liturgico porta ad esplorare è un disegno autenticamente vocazionale, che
sollecita ogni cristiano a rispondere sempre di più alla chiamata, per una
precisa e personale missione nella storia. Di qui l'attenzione agli itinerari
quotidiani in cui ogni comunità cristiana è coinvolta. La sapienza pastorale
chiede in modo particolare ai pastori, guide delle comunità cristiane, una cura
puntuale e un attento discernimento per far parlare i segni liturgici, i vissuti
dell'esperienza di fede; perché è dalla presenza di Cristo, nei tempi ordinari
dell'uomo, che vengono gli appelli vocazionali dello Spirito. Non va
dimenticato che il pastore, soprattutto il presbitero responsabile di una
comunità cristiana, è il « coltivatore diretto » di tutte le vocazioni.
In verità non dovunque si riconosce la piena titolarità vocazionale della
comunità parrocchiale; mentre sono proprio « i Consigli Pastorali diocesani e
parrocchiali, in rapporto con i centri vocazionali nazionali, ... gli organi
competenti in tutte le comunità e in tutti i settori della pastorale ordinaria
».(87) È dunque da incoraggiare l'iniziativa di quelle parrocchie che
hanno costituito al loro interno gruppi di responsabili dell'animazione
vocazionale e delle varie attività per risolvere « un problema che si colloca
nel cuore stesso della chiesa » (88) (gruppi di preghiera, giornate e settimane
vocazionali, catechesi e testimonianze e quant'altro può contribuire a tenere
alta l'attenzione vocazionale) (89) b) I « luoghi-segno » della
vita-vocazione In questo delicato ed urgente passaggio, da una
pastorale vocazionale delle esperienze ad una pastorale vocazionale dei cammini,
è necessario far parlare non solo gli appelli vocazionali provenienti dagli
itinerari che attraversano la vita feriale della comunità cristiana, ma è
sapiente rendere significativi i luoghi-segno della vita come vocazione e i
luoghi pedagogici della fede. Una Chiesa è viva se, con i doni dello
Spirito, sa percepire e valorizzare tali luoghi. I luoghi-segno
della vocazionalità dell'esistenza in una Chiesa particolare sono le comunità
monastiche, testimoni del volto orante della comunità ecclesiale, le comunità
religiose apostoliche e le fraternità degli istituti secolari. In un
contesto culturale fortemente curvo sulle cose penultime e immediate,
attraversato dal vento gelido dell'individualismo, le comunità oranti ed
apostoliche aprono a dimensioni vere di vita autenticamente cristiana,
soprattutto per le ultime generazioni chiaramente più attente ai segni che alle
parole. Segno particolare della vocazionalità della vita è la comunità
del seminario diocesano o interdiocesano. Esso vive una singolare vicenda
all'interno delle nostre Chiese. Da una parte è un segno forte, perché
costituisce una promessa di futuro. I giovani che vi approdano, figli di questa
generazione, saranno i preti del domani. Non solo, ma il seminario sta a
richiamare concretamente la vocazionalità della vita e l'urgenza del ministero
ordinato per l'esistenza della comunità cristiana. Dall'altra il
seminario è un segno debole, perché chiede una costante attenzione della
Chiesa particolare, sollecita una seria pastorale vocazionale per ripartire ogni
anno con nuovi candidati. Ed anche la solidarietà economica può essere una
sollecitazione pedagogica per educare il popolo di Dio alla preghiera per tutte
le vocazioni. c) I luoghi pedagogici della fede Oltre
ai luoghi-segno sono preziosi i luoghi pedagogici della pastorale
vocazionale, costituiti dai gruppi, dai movimenti, dalle associazioni e dalla
stessa scuola. Al di là della diversa configurazione sociologica di tali
forme di aggregazione, soprattutto a livello giovanile, è da apprezzare la loro
valenza pedagogica, come luoghi in cui le persone possono essere sapientemente
aiutate a raggiungere una vera maturità di fede. Ciò può essere
efficacemente perseguito se non vengono disattese tre dimensioni dell'esperienza
cristiana: la vocazione di ciascuno, la comunione della Chiesa e la missione con
la Chiesa. d) Figure di formatori e di formatrici Un'altra
attenzione pedagogica, pastorale viene proposta con particolare insistenza in
questo preciso momento storico: la formazione di precise figure educative.
È infatti risaputa, un po' ovunque, la debolezza e la problematicità dei luoghi
pedagogici della fede, messi a dura prova dalla cultura dell'individualismo,
dell'aggregazionismo spontaneo, o dalla crisi delle istituzioni. D'altra
parte emerge soprattutto nei giovani il bisogno di confronto, di dialogo, di
punti di riferimento. I segnali al riguardo sono molti. C'è insomma urgenza di
maestri di vita spirituale, di figure significative, capaci di evocare il
mistero di Dio e disposti all'ascolto per aiutare le persone ad entrare in un
serio dialogo con il Signore. Le personalità spirituali forti non sono
soltanto alcune persone particolarmente dotate di carisma, ma sono il risultato
di una formazione particolarmente attenta al primato assoluto dello Spirito.
Nella cura delle figure educative delle nostre comunità, due attenzioni vanno
sapientemente tenute presenti: da una parte si tratta di rendere esplicita e
vigile la coscienza educativa vocazionale in tutte quelle persone che sono già
chiamate ad operare nella comunità accanto ai ragazzi e ai giovani (sacerdoti,
religiosei e laici); dall'altra va accuratamente incoraggiata e formata la
ministerialità educativa della donna, perché sia soprattutto accanto alle
giovani una figura di riferimento e una guida sapiente. Di fatto la donna è
ampiamente presente nelle comunità cristiane e sono risapute le capacità
intuitiva del « genio femminile » e la grande esperienza della donna in campo
educativo (famiglia, scuola, gruppi, comunità). L'apporto della donna è
da ritenersi assai prezioso, per non dire decisivo, soprattutto nell'ambito del
mondo giovanile femminile, non riducibile a quello maschile, perché bisognoso di
una riflessione più attenta e specifica, soprattutto sul versante vocazionale.
Forse anche questo fa parte di quella svolta che caratterizza la pastorale
vocazionale. Mentre in passato anche le vocazioni femminili scaturivano da
figure significative di padri spirituali, autentiche guide di persone e di
comunità, oggi le vocazioni al « femminile » hanno bisogno di riferimento a
figure femminili, personali e comunitarie, capaci di dare concretezza alla
proposta di modelli oltre che di valori. e) Gli organismi della
pastorale vocazionale La pastorale vocazionale per proporsi come
prospettiva unitaria e sintetica della pastorale in genere, deve esprimere per
prima al suo interno, la sintesi e la comunione dei carismi e dei ministeri.
Già da tempo nella Chiesa si è avvertita la necessità di questo coordinamento
(90) che, grazie a Dio, ha già dato notevoli frutti: Organismi parrocchiali,
Centri vocazionali diocesani e nazionali già da diversi anni funzionano con
grande vantaggio. Non è però dovunque così. Il Congresso ora celebrato
ha lamentato in certi casi l'assenza, o la scarsa incidenza di queste strutture
in alcune nazioni europee,(91) e fa voti perché quanto prima vengano
regolarmente istituite o adeguatamente potenziate. Ancora da più parti
si osserva che, mentre i Centri nazionali sembrano garantire un notevole apporto
di stimoli costruttivi per la pastorale vocazionale d'insieme, i Centri
diocesani non paiono animati ovunque dalla stessa volontà di lavorare e
collaborare davvero per le vocazioni di tutti. C'è un certo progetto generale di
pastorale unitaria che ancora stenta a divenire prassi di Chiesa locale, e
sembra in qualche modo incepparsi quando dalle proposte generali si passa alla
traduzione capillare nella realtà diocesana o parrocchiale. Qui infatti non sono
ancora del tutto sparite prospettive e prassi particolaristiche e meno
ecclesiali.(92) Per quanto riguarda i Centri diocesani e nazionali, più
che ribadire qui quanto già in maniera esemplare sottolineano vari documenti
circa la loro funzione, sembra necessario ricordare che non si tratta
semplicemente d'una questione d'organizzazione pratica, quanto di coerenza con
uno spirito nuovo che deve permeare la pastorale vocazionale nella Chiesa e in
particolare nelle Chiese d'Europa. La crisi vocazionale è anche crisi di
comunione nel favorire e far crescere le vocazioni. Non possono nascere
vocazioni laddove non si vive uno spirito autenticamente ecclesiale.
Oltre a raccomandare una ripresa d'impegno in tale campo e un più stretto
collegamento tra Centro nazionale, Centri diocesani e organismi parrocchiali, il
Congresso e questo Documento auspicano che tali organismi prendano maggiormente
a cuore due questioni: la promozione d'una autentica cultura vocazionale nella
società civile ed ecclesiale, prima sottolineata, e la formazione degli
educatori-formatori vocazionali, vero e proprio elemento centrale e strategico
dell'attuale pastorale vocazionale.(93) Il Congresso, inoltre, chiede
che si prenda in seria considerazione per l'Europa la costituzione di un
organismo o Centro unitario di pastorale vocazionale sovranazionale, come segno
ed espressione concreta di comunione e condivisione, di coordinamento e scambio
di esperienze e persone tra le singole Chiese nazionali,(94) salvaguardando le
peculiarità di ciascuna. PARTE QUARTA
PEDAGOGIA DELLE VOCAZIONI
« Non ci ardeva forse il cuore nel petto?... » (Lc
24, 32)
Questa parte pedagogica viene colta
all'interno del vangelo, sull'esempio di quello straordinario
animatore-educatore vocazionale che è Gesù, e in vista di un'animazione
vocazionale scandita da precisi atteggiamenti pedagogici evangelici: seminare,
accompagnare, educare, formare, discernere. Siamo all'ultima
sezione, quella che, nella logica del documento, dovrebbe rappresentare la parte
metodologico-applicativa. Si è infatti partiti dall'analisi della situazione
concreta, per poi definire gli elementi teologici portanti del tema della
vocazione, e quindi si è cercato di tornare alla vita concreta delle nostre
comunità credenti per delineare il senso e la direzione della pastorale delle
vocazioni. Resta ora da vedere la dimensione pedagogica della pastorale
vocazionale. Crisi vocazionale e crisi educativa 30.
Molte volte, nelle nostre Chiese, sono chiari gli obiettivi e le strategie di
fondo, ma restano un po' indefiniti i passi da fare, per suscitare nei nostri
giovani la disponibilità vocazionale; e questo perché oggi risulta debole un
certo impianto educativo, dentro e fuori della Chiesa, quell'impianto che
dovrebbe poi offrire, assieme alla precisione dell'obiettivo da raggiungere,
anche i percorsi pedagogici che vi conducono. Lo dice ancora con il solito
realismo l'Instrumentum laboris: « Stiamo verificando... la debolezza di
tanti luoghi pedagogici (gruppo, comunità, oratori, scuola e soprattutto
famiglia) ».(95) La crisi vocazionale è certamente anche crisi di proposta
pedagogica e di cammino educativo. Si cercherà di indicare allora, sempre
a partire dalla Parola di Dio, proprio questa convergenza tra fine e metodo,
nella convinzione che una buona teologia normalmente si lascia tradurre nella
pratica, diviene pedagogia, fa intravedere dei percorsi, col desiderio sincero
di offrire ai vari operatori pastorali un aiuto, uno strumento utile a tutti.
Il vangelo della vocazione 31. Ogni incontro o dialogo nel
vangelo ha un significato vocazionale: quando Gesù cammina per le strade della
Galilea è sempre inviato dal Padre per chiamare l'uomo a salvezza e svelargli il
progetto del Padre stesso. La buona notizia, l'evangelo, è proprio questa: il
Padre ha chiamato l'uomo attraverso il Figlio nello Spirito, l'ha chiamato non
solo alla vita, ma alla redenzione, e non solo a una redenzione da altri
meritata, ma a una redenzione che lo coinvolge in prima persona, rendendolo
responsabile della salvezza di altri. In questa salvezza attiva e
passiva, ricevuta e condivisa, è racchiuso il senso d'ogni vocazione; è
racchiuso il senso stesso della Chiesa, come comunità di credenti, santi e
peccatori, tutti « chiamati » a partecipare dello stesso dono e responsabilità.
È il vangelo della vocazione. La pedagogia della vocazione
32. All'interno di questo vangelo cerchiamo una pedagogia corrispondente, che è
poi quella di Gesù, autentica pedagogia della vocazione. È la pedagogia
che ogni animatore vocazionale o ogni evangelizzatore dovrebbe saper mettere in
atto, per condurre il giovane a riconoscere il Signore che lo chiama e a
risponderGli. Se punto di riferimento della pedagogia vocazionale è il
mistero di Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, vi sono molti aspetti e
significative dimensioni nel suo agire « vocazionale ». Anzitutto Gesù ci
è presentato nei vangeli molto più come formatore che come animatore,
proprio perché opera sempre in strettissima unione col Padre, che sparge il
seme della Parola ed educa (traendo dal nulla), e con lo Spirito che
accompagna nel cammino di santificazione. Tali aspetti aprono
prospettive importanti a chi lavora nella pastorale delle vocazioni ed è
chiamato, perciò stesso, a esser non solo animatore vocazionale, ma ancor prima
seminatore del buon seme della vocazione, e poi accompagnatore nel
cammino che conduce il cuore ad « ardere », educatore alla fede e
all'ascolto del Dio che chiama, formatore degli atteggiamenti umani e
cristiani di risposta all'appello di Dio; (96) ed è chiamato infine a
discernere la presenza del dono che viene dall'alto. Sono le cinque
caratteristiche centrali del ministero vocazionale o le cinque dimensioni
del mistero della chiamata che da Dio giunge all'uomo attraverso la
mediazione d'un fratellosorella o d'una comunità. Seminare
33. « Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme
cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra parte cadde
in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il
terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo
radici si seccò. Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la
soffocarono. Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il
cento, dove il sessanta, dove il trenta » (Mt 13, 3-8). Questo
brano indica, in qualche modo, il primo passo d'un cammino pedagogico, il primo
atteggiamento da parte di colui che si pone come mediatore tra il Dio che chiama
e l'uomo che è chiamato, e che s'ispira necessariamente all'agire di Dio. È
Dio-Padre il seminatore; Chiesa e mondo sono i luoghi ove continua a spargere
abbondantemente il suo seme, con libertà assoluta e senza esclusioni di sorta,
una libertà che rispetta quella del terreno ove il seme cade. a) Due
libertà in dialogo La parabola del seminatore mostra che la
vocazione cristiana è un dialogo fra Dio e la persona umana. L'interlocutore
principale è Dio, che chiama chi vuole, quando vuole e come vuole « secondo il
suo proposito e la sua grazia » (2 Tim 1, 9); che chiama tutti alla
salvezza, senza farsi limitare dalle disposizioni del ricevente. Ma la libertà
di Dio s'incontra con la libertà dell'uomo, in un dialogo misterioso e
affascinante, fatto di parole e di silenzi, di messaggi e azioni, di sguardi e
gesti, una libertà che è perfetta, quella di Dio, e l'altra imperfetta, quella
umana. La vocazione è dunque totalmente attività di Dio, ma anche realmente
attività dell'uomo: lavoro e penetrazione di Dio nel cuore della libertà umana,
ma anche fatica e lotta dell'uomo per esser libero d'accogliere il dono.
Chi si pone accanto a un fratello nel cammino di discernimento vocazionale entra
nel mistero della libertà, e sa che potrà dare un aiuto solo se rispetta tale
mistero. Anche quando ciò dovesse significare, almeno apparentemente un minor
risultato. Come per il seminatore del vangelo. b) Il coraggio di
seminare ovunque Proprio il rispetto d'entrambe le libertà significa
anzitutto il coraggio di seminare il buon seme del vangelo, della Pasqua del
Signore, della fede e infine della sequela. Questa è la condizione previa; non
si fa nessuna pastorale vocazionale se non c'è questo coraggio. Non solo, ma
bisogna seminare dovunque, nel cuore di chiunque, senz'alcuna preferenza
o eccezione. Se ogni essere umano è creatura di Dio, è anche portatore d'un
dono, d'una vocazione particolare che attende d'essere riconosciuta.
Spesso ci si lamenta nella Chiesa della scarsità di risposte vocazionali e non
ci si accorge che altrettanto spesso la proposta è fatta entro un cerchio
ristretto di persone, e magari subito ritirata dopo un primo diniego. Giova qui
ricordare il richiamo di Paolo VI: « Che nessuno, per colpa nostra, ignori ciò
che deve sapere, per orientare, in senso diverso e migliore, la propria vita
».(97) Eppure quanti giovani non si sono mai sentiti rivolgere alcuna proposta
cristiana circa la loro vita e il futuro! È singolare osservare il
seminatore della parabola nel gesto ampio della mano che semina « ovunque »; è
commovente riconoscere in tale icona il cuore di Dio-Padre. È l'immagine di Dio
che semina nel cuore d'ogni vivente un piano di salvezza; o se vogliamo,
è l'immagine dello « spreco » della generosità divina, che s'effonde su tutti
perché tutti vuol salvare e chiamare a Sé. È quella stessa immagine del
Padre che torna evidente nell'agire di Gesù, il quale chiama a Sé i peccatori,
sceglie di costruire la sua Chiesa con gente apparentemente inadatta per questa
missione, non conosce barriere e non fa preferenze di persone. È
specchiandosi in quest'immagine che l'operatore vocazionale, a sua volta,
annuncia, propone, scuote, con l'identica generosità; ed è proprio la certezza
del seme deposto dal Padre nel cuore d'ogni creatura, che gli dà la forza
d'andare ovunque e di seminare comunque il buon seme vocazionale, di non restare
dentro gli spazi soliti e d'affrontare ambienti nuovi, per tentare approcci
insoliti e rivolgersi a ogni persona. c) La semina al tempo giusto
Fa parte della saggezza del seminatore spargere il buon seme della vocazione al
momento propizio. Che non significa affatto affrettare i tempi della scelta o
pretendere che un preadolescente abbia la maturità decisionale d'un giovane, ma
capire e rispettare il senso vocazionale della vita umana. Ogni
stagione dell'esistenza ha un significato vocazionale, a cominciare dal
momento in cui il ragazzoa si apre alla vita e ha bisogno di coglierne il senso,
e prova a interrogarsi sul suo ruolo in essa. Il lasciar cadere tale domanda al
momento giusto potrebbe pregiudicare il germogliare del seme: « l'esperienza
pastorale mostra che la prima manifestazione della vocazione nasce, nella
maggior parte dei casi, nell'infanzia e nell'adolescenza. Per questo sembra
importante recuperare o proporre formule che possano suscitare, sostenere e
accompagnare questa prima manifestazione vocazionale ».(98) Senza tuttavia
limitarsi a essa. Ogni persona ha i suoi ritmi e i suoi tempi di maturazione.
L'importante è che accanto a sé abbia un buon seminatore. d) Il più
piccolo di tutti i semi Non è certo operazione semplice, oggi,
quella del « seminatore vocazionale ». Per i motivi che sappiamo: non esiste,
propriamente parlando, una cultura vocazionale; il modello antropologico
prevalente sembra essere quello dell'« uomo senza vocazione »; il contesto
sociale è eticamente neutro e privo di speranza e di modelli progettuali. Tutti
elementi sembrano concorrere a indebolire la proposta vocazionale e ci
consentono, forse, di applicare ad essa quanto Gesù dice, a proposito del regno
di Dio (cfr. Mt 13, 31ss.): il seme della vocazione è come un granellino
di senapa che, quando viene seminato, o quando viene proposto o indicato come
presente, è il più piccolo di tutti i semi; non suscita molto spesso alcun
immediato consenso; anzi è negato e smentito, è come soffocato da altre attese e
progetti, non preso sul serio; oppure viene visto con sospetto e diffidenza,
quasi fosse un seme d'infelicità. Ed allora il giovane, rifiuta, si
dichiara non interessato, ha già ipotecato il suo futuro (o altri l'hanno già
fatto per lui); o forse gli piacerebbe e l'interessa, ma non è così sicuro, e
poi è troppo difficile e gli fa paura... Nulla di strano e assurdo in
questa reazione timorosa e negativa; in fondo l'aveva già detto il Signore. Il
seme della vocazione è il più piccolo di tutti i semi, è debole e non s'impone,
proprio perché è espressione della libertà di Dio che intende rispettare fino in
fondo la libertà dell'uomo. E allora è necessaria anche la libertà di chi
guida il cammino dell'uomo: una libertà del cuore che consenta di continuare a
non tirarsi indietro di fronte all'iniziale rifiuto o disinteresse. Gesù
dice, sempre nella breve parabola del grano di senapa, che « una volta
cresciuto, è più grande degli altri legumi » (Mt 13, 32); dunque è un
seme che possiede una sua forza, anche se non è subito evidente e dirompente e,
anzi, ha bisogno di molta cura per maturare. C'è una sorta di segreto elementare
che fa parte della sapienza contadina: per garantire un qualsiasi raccolto nella
stagione giusta, bisogna curare tutto, proprio tutto, dal terreno al seme; porre
attenzione a tutto, da ciò che lo fa crescere a quanto ne ostacola la crescita.
Anche contro le imponderabili intemperie delle stagioni. In campo vocazionale
succede qualcosa di simile. La semina è solo il primo passo, ma deve essere
seguito da altre ben precise attenzioni perché le due libertà entrino nel
mistero del dialogo vocazionale. Accompagnare 34. «
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio
distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di
tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù
in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di
riconoscerlo » (Lc 24, 13-16). Scegliamo, per descrivere le
articolazioni pedagogiche dell'accompagnare, educare e formare, l'episodio dei
due discepoli di Emmaus. È un brano significativo, perché, oltre alla sapienza
del contenuto e del metodo pedagogico seguito da Gesù, ci sembra di vedere nei
due discepoli l'immagine di tanti giovani d'oggi, un po' tristi e sfiduciati,
che sembrano avere smarrito il gusto di cercare la loro vocazione. Il
primo passo, o la prima attenzione in questo cammino, è il porsi accanto:
il seminatore, o colui che ha risvegliato nel giovane la coscienza del seme
seminato nel terreno del suo cuore, diventa ora accompagnatore.
Nella parte teologica della presente riflessione, è stato indicato come tipico
dello Spirito il ministero dell'accompagnamento; è infatti lo Spirito del Padre
e del Figlio che rimane accanto all'uomo per ricordargli la Parola del Maestro;
è ancora lo Spirito, che dimora nell'uomo per suscitare in lui la coscienza
d'esser figlio del Padre. È dunque lo Spirito il modello cui deve ispirarsi quel
fratello o sorella maggiore che accompagna un fratello o una sorella minore in
ricerca. a) Itinerario vocazionale Definito l'itinerario
vocazionale pastorale, ci domandiamo ora: che cos'è un itinerario vocazionale
sul piano pedagogico? L'itinerario pedagogico vocazionale è un
viaggio mirato verso la maturità della fede, come un pellegrinaggio verso
lo stato adulto dell'essere credente, chiamato a decidere di sé e della
propria vita in libertà e responsabilità, secondo la verità del
misterioso progetto pensato da Dio per lui. Tale viaggio procede per
tappe in compagnia d'un fratello o sorella maggiore nella fede e nel
discepolato, che conosce la strada, la voce e i passi di Dio, che aiuta a
riconoscere il Signore che chiama e a discernere la via lungo la quale andare
verso Lui e risponderGli. Un itinerario vocazionale, allora, è anzitutto
cammino con Lui, il Signore della vita, quel « Gesù in persona », come annota
con precisione Luca, che s'accosta al cammino dell'uomo, fa lo stesso percorso
ed entra nella sua storia. Ma gli occhi di carne spesso non lo sanno riconoscere
e allora l'andare umano resta solitario e il discorrere inutile, mentre il
cercare rischia di perpetuarsi, in un interminabile e a volte narcisistico « far
esperienze », anche vocazionali, senz'alcun esito decisionale. È forse il primo
compito dell'accompagnatore vocazionale, quello d'indicare la presenza d'un
Altro, o di confessare la natura relativa della propria vicinanza o
del proprio accompagnamento, per essere mediazione di tale presenza, o
itinerario verso la scoperta del Dio che chiama e si fa vicino a ogni uomo.
Come i due di Emmaus, o come Samuele nella notte, sovente i nostri giovani non
hanno occhi per vedere o orecchi per udire Colui che cammina accanto a ciascuno
e, con insistenza e delicatezza insieme, pronuncia il loro nome. Il fratello che
accompagna è segno di quella insistenza e delicatezza; suo compito è quello
d'aiutare a riconoscere la provenienza della voce misteriosa; non parla di sé,
ma annuncia un Altro che pure è già presente; come Giovanni Battista. Il
ministero dell'accompagnamento vocazionale è ministero umile, di quell'umiltà
serena e intelligente che nasce dalla libertà nello Spirito, e si esprime « con
il coraggio dell'ascolto, dell'amore e del dialogo ». Grazie a questa libertà
risuona con maggiore chiarezza e forza incisiva la voce di Colui che chiama. E
il giovane si trova di fronte a Dio, scopre con sorpresa che è l'Eterno che
cammina nel tempo accanto a lui, e lo chiama a una scelta per sempre! b)
I pozzi d'acqua viva « Gesù, stanco del viaggio, sedeva presso il
pozzo... » (Gv 4, 6): è l'avvio di quello che potremmo considerare un inedito
colloquio vocazionale: l'incontro di Gesù con la Samaritana. La donna, infatti,
attraverso quest'incontro, compie un itinerario verso la scoperta di se stessa e
del Messia, addirittura divenendo in qualche modo sua annunciatrice.
Anche da questo brano traspare la sovrana libertà di Gesù nel cercare ovunque
e in chiunque i suoi messaggeri; ma è pure singolare l'attenzione, da parte
di Colui che è la via dell'uomo verso il Padre, d'incrociare la creatura lungo
le sue vie, o d'aspettarla ove più evidente e intensa è la sua attesa. È quanto
si può dedurre dall'immagine simbolica del « pozzo ». I pozzi, nell'antica
società giudaica, erano fonte di vita, condizione basilare di sopravvivenza per
un popolo sempre alle prese con la penuria d'acqua; ed è proprio attorno a
questo simbolo, l'acqua per e della vita, che Gesù costruisce con
finissima pedagogia il suo approccio con la donna. Accompagnare un
giovane vuol dire saper identificare « i pozzi » di oggi: tutti quei luoghi e
momenti, quelle provocazioni e attese, ove prima o poi tutti i giovani devono
passare con le loro anfore vuote, con i loro interrogativi inespressi, con la
loro sufficienza ostentata e spesso solo apparente, con la loro voglia profonda
e incancellabile di autenticità e di futuro. La pastorale vocazionale non
può essere « attendista » ma azione di chi cerca e non si dà per vinta finché
non abbia trovato, e si fa trovare al posto o al pozzo giusto, laddove il
giovane dà l'appuntamento alla vita e al futuro. L'accompagnatore
vocazionale deve essere « intelligente », da questo punto di vista, uno che non
impone necessariamente le sue domande, ma parte da quelle del giovane stesso, di
qualsiasi tipo; o è capace — se necessario — di « suscitare e scoprire la
domanda vocazionale che abita il cuore di ogni giovane, ma che aspetta di essere
scavata da veri formatori vocazionali ».(99) c) Condivisione e
con-vocazione Fare accompagnamento vocazionale significa
anzitutto condividere: il pane della fede, dell'esperienza di Dio, della
fatica della ricerca, fino a condividere anche la vocazione: non per imporla,
evidentemente, ma per confessare la bellezza d'una vita che si realizza secondo
il progetto di Dio. Il registro comunicativo tipico dell'accompagnamento
vocazionale non è quello didattico o esortativo, e neppure quello amicale, da un
lato, o del direttore spirituale, dall'altro (inteso come chi imprime subito una
direzione precisa alla vita d'un altro), ma è il registro della confessio
fidei. Chi fa accompagnamento vocazionale testimonia la
propria scelta o, meglio, il proprio essere stato scelto da Dio, racconta — non
necessariamente a parole — il suo cammino vocazionale e la scoperta continua
della propria identità nel carisma vocazionale, e dunque racconta anche o lascia
capire la fatica, la novità, il rischio, la sorpresa, la bellezza. Ne
viene una catechesi vocazionale da persona a persona, da cuore a cuore, ricca
d'umanità e originalità, di passione e forza convincente, un'animazione
vocazionale sapienziale ed esperienziale. Un po' come l'esperienza dei primi
discepoli di Gesù, che « andarono e videro dove abitava, e quel giorno si
fermarono presso di lui » (Gv 1, 39); e fu esperienza profondamente
toccante se Giovanni, dopo molti anni, ricorda ancora che « erano circa la
quattro del pomeriggio ». Si fa animazione vocazionale solo per
contagio, per contatto diretto, perché il cuore è pieno e l'esperienza della
bellezza continua ad avvincere. « I giovani sono molto interessati alla
testimonianza di vita delle persone che sono già in un cammino spirituale.
Sacerdoti e religiosie devono avere il coraggio di offrire segni concreti nel
loro cammino spirituale. Per questo è importante spendere tempo coi giovani,
camminare al loro livello, laddove essi si trovano, ascoltarli e rispondere alle
questioni che sorgono nell'incontro ». (100) Proprio per questo
l'accompagnatore vocazionale è anche un entusiasta della sua vocazione e della
possibilità di trasmetterla ad altri; è testimone non solo convinto, ma
contento, e dunque convincente e credibile. Solo così il messaggio
raggiunge la totalità spirituale della persona, cuore-mente-volontà, proponendo
qualcosa che è vero-bello-buono. È il senso della con-vocazione:
nessuno può passare accanto all'annunciatore d'una così « buona notizia » e non
sentirsi toccato, « totalmente » chiamato, a ogni livello della sua personalità,
e continuamente chiamato, da Dio, certamente; ma anche da tante persone, ideali,
situazioni inedite, provocazioni varie, mediazioni umane della chiamata divina.
Allora il segnale vocazionale può esser meglio percepito. Educare
35. « Ed egli disse loro: "Che sono questi discorsi che state facendo fra voi
durante il cammino?". Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome
Cleopa, gli disse: "Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò
che vi è accaduto in questi giorni?". Domandò: "Che cosa?". Gli risposero:
"Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in
parole, davanti a Dio e a tutto il popolo...". Ed egli disse loro: "Sciocchi e
tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo
sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". E cominciando da
Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva
a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se
dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: "Resta con noi perché si fa
sera e il giorno già volge al declino". Egli entrò per rimanere con loro » (Lc
24, 17-29). Dopo la semina, lungo il cammino d'accompagnamento, si tratta
di educare il giovane. Educare nel senso etimologico del verbo, come un
tirar fuori (e-ducere) da lui la sua verità, quel che ha in cuore, anche
ciò che non sa e non conosce di sé: debolezze e aspirazioni, per favorire la
libertà della risposta vocazionale. a) Educare alla conoscenza di sé
Gesù s'accosta ai due e domanda loro di che cosa stiano parlando. Lui lo sa, ma
vuole che entrambi si manifestino a se stessi e, verbalizzando la loro tristezza
e le speranze deluse, li aiuta a prendere coscienza del loro problema e del
motivo reale del loro turbamento. Così i due sono praticamente costretti a
rileggere la recente storia, facendo trasparire il motivo vero della loro
tristezza. « Noi speravamo... »; ma la storia pare esser andata in senso
diverso rispetto alle loro attese. In realtà, anzi, essi hanno fatto tutte le
esperienze significative a contatto con Gesù, « potente in opere e in parole »;
ma è come se questo cammino di fede si fosse improvvisamente interrotto dinanzi
a un evento incomprensibile quale la passione e morte di Colui che avrebbe
dovuto liberare Israele. « Noi speravamo, ma... »: come non riconoscere
in questa storia incompiuta la vicenda di tanti giovani che sembrano interessati
al discorso vocazionale, si lasciano provocare e mostrano una buona
predisposizione, ma poi s'arrestano di fronte alla scelta da fare? Gesù in
qualche modo costringe i due ad ammettere il divario tra le loro speranze e il
piano di Dio come si è concretizzato in Gesù; tra il loro modo d'intendere il
Messia e la sua morte di croce, tra le loro aspettative così umane e interessate
e il senso d'una salvezza che viene dall'alto. Allo stesso modo è
importante e decisivo aiutare i giovani a far emergere l'equivoco di fondo:
quell'interpretazione della vita troppo terrena e centrata attorno all'io che
rende difficile o addirittura impossibile la scelta vocazionale, o fa sentire
eccessive le esigenze della chiamata, come se il progetto di Dio fosse nemico
del bisogno di felicità dell'uomo. Quanti giovani non hanno accolto
l'appello vocazionale non perché ingenerosi e indifferenti, ma semplicemente
perché non aiutati a conoscersi, a scoprire la radice ambivalente e pagana di
certi schemi mentali e affettivi; e perché non aiutati a liberarsi delle
loro paure e difese, consce e inconsce nei confronti della vocazione stessa.
Quanti aborti vocazionali a causa di questo vuoto educativo. Educare
significa anzitutto far emergere la realtà dell'io, così com'è, se si vuole poi
portarlo a essere come deve essere: la sincerità è un passo fondamentale per
giungere alla verità, ma è necessario in ogni caso un aiuto esterno per vedere
bene l'interno. L'educatore vocazionale, allora, deve conoscere i sotterranei
del cuore umano, per accompagnare il giovane nella costruzione dell'io vero.
b) Educare al mistero E qui nasce il paradosso. Quando il giovane
è condotto alle sorgenti di sé, e può vedere in faccia anche le sue debolezze e
i suoi timori, ha la sensazione di capire meglio il motivo di certi suoi
atteggiamenti e reazioni e, al tempo stesso, coglie sempre più la realtà del
mistero come chiave di lettura della vita e della sua persona. È
indispensabile che il giovane accetti di non sapere, di non potersi
conoscere fino in fondo. La vita non è interamente nelle sue mani, perché
la vita è mistero e, d'altra parte, il mistero è vita; ovvero, il
mistero è quella parte dell'io che ancora non è stata scoperta, ancora non
vissuta e che attende d'esser decifrata e realizzata; mistero è quella realtà
personale che ancora deve crescere, ricca di vita e di possibilità esistenziali
ancora intatte, è la parte germinativa dell'io. E allora accettare il
mistero è segno d'intelligenza, di libertà interiore, di voglia di futuro e di
novità, di rifiuto d'una concezione ripetitiva e passiva, noiosa e banale della
vita. Ecco perché abbiamo detto all'inizio che la pastorale vocazionale
dev'esser mistagogica, e dunque partire e ripartire dal Mistero di Dio per
ricondurre al mistero dell'uomo. La perdita del senso del mistero è una
delle maggiori cause della crisi vocazionale. Al tempo stesso la
categoria del mistero diventa categoria propedeutica alla fede. È possibile, e
per certi versi naturale, che a questo punto il giovane si senta nascere dentro
come un bisogno di rivelazione, il desiderio, cioè, che l'Autore stesso
della vita gliene sveli il senso e il posto che in essa ha da occupare. Chi
altri, al di fuori del Padre, può compiere tale svelamento? D'altronde
non è importante che il giovane scopra subito (o che la guida intuisca
immediatamente) la strada che ha da seguire: ciò che conta è che scopra e decida
in ogni caso di collocare fuori di sé, in Dio Padre, la ricerca del
fondamento della sua esistenza. Un autentico cammino vocazionale porta sempre e
comunque alla scoperta della paternità e maternità di Dio! c) Educare
a leggere la vita Nel vangelo Gesù invita i due di Emmaus in qualche
modo a ritornare alla vita, a quegli eventi che avevano causato la loro
tristezza attraverso un sapiente metodo di lettura: capace non solo di
ricomporre tra loro gli eventi attorno a un significato centrale, ma di
decifrare, nel tessuto misterioso dell'esistenza umana, il filo rosso d'un
progetto divino. È il metodo che potrebbe essere chiamato genetico-storico, che
fa cercare e trovare nella propria biografia i passi e le tracce del passaggio
di Dio, e dunque anche la sua voce che chiama. Tale metodo – è assieme
deduttivo e induttivo, o storico-biblico: parte infatti dalla verità
rivelata e assieme dalla realtà storica, e favorisce così il dialogo
ininterrotto tra vissuto soggettivo (i fatti citati dai due discepoli) e
riferimento alla Parola (« E cominciando da Mosè e da tutti profeti spiegò loro
in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui », Lc 24, 27); –
indica nella normatività della Parola e nella centralità del mistero
pasquale del Cristo morto e risorto un preciso punto d'interpretazione agli
eventi esistenziali, senza rifiutare alcun avvenimento, specie quelli più
difficili e dolorosi (« Non bisognava che il Cristo sopportasse queste
sofferenze per entrare nella sua gloria? », Lc 24, 26). La lettura
della vita diventa così operazione altamente spirituale, non solo psicologica,
perché conduce a riconoscere in essa la presenza luminosa e misteriosa di Dio e
della sua Parola. (101) E, all'interno di questo mistero, consente piano piano
di scorgere il seme della vocazione, che lo stesso Padre-seminatore ha deposto
nei solchi della vita. Quel seme, pur piccolo, ora comincia a esser visibile e a
crescere. d) Educare a in-vocare Se la lettura della
vita è operazione spirituale, essa porta necessariamente la persona non solo a
riconoscere il suo bisogno di rivelazione, ma a celebrarlo, con la preghiera
di invocazione. Educare vuol dire e-vocare la verità dell'io. Tale
evocazione nasce esattamente dall'in-vocazione orante, da una preghiera che è
più preghiera di fiducia che di domanda, preghiera come sorpresa e gratitudine;
ma anche come lotta e tensione, come « scavo » sofferto delle proprie ambizioni
per accogliere attese, domande, desideri dell'Altro: del Padre che nel Figlio
può dire a colui che cerca la via da seguire. Ma allora la preghiera
diventa il luogo del discernimento vocazionale, dell'educazione all'ascolto
del Dio che chiama, perché qualsiasi vocazione ha origine negli spazi d'una
preghiera invocante, paziente e fiduciosa; sorretta non dalla pretesa d'una
risposta immediata, ma dalla certezza o dalla speranza che l' invocazione non
può non esser accolta, e farà scoprire a suo tempo, a colui che invoca, la sua
vocazione. Nell'episodio di Emmaus tutto questo è rivelato con
un'espressione essenziale, forse la più bella preghiera mai pregata da cuore
umano: « Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino » (Lc
24, 29). È la supplica di chi sa che senza il Signore si fa subito notte nella
vita, senza la Sua parola c'è l'oscurità dell'incomprensione o della confusione
d'identità; la vita appare senza senso e senza vocazione. È l'invocazione di chi
ancora non ha scoperto, forse, la sua strada, ma intuisce che stando con Lui
ritrova se stesso, perché Lui solo ha « parole di vita eterna » (Gv 6,
67-68). Questo tipo di preghiera in-vocante non s'apprende
spontaneamente, ma ha bisogno d'un lungo apprendistato; e non s'impara da soli,
ma con l'aiuto di chi ha imparato ad ascoltare i silenzi di Dio. Né chiunque può
insegnare tale preghiera, ma solo chi è fedele alla sua vocazione. E
allora, se la preghiera è la via naturale della ricerca vocazionale, oggi come
ieri o più di ieri, sono necessari educatori vocazionali che preghino, che
insegnino a pregare, che educhino alla in-vocazione. Formare
36. « Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo
spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma
lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva
forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci
spiegava le Scritture?» » (Lc 24, 30-32). La formazione è in
qualche modo il momento culminante del processo pedagogico, perché è il momento
in cui al giovane viene proposta una forma, un modo di essere, nel quale
egli stesso riconosce la sua identità, la sua vocazione, la sua norma.
È il Figlio, Colui che è l'impronta del Padre, il formatore degli uomini, poiché
rappresenta l'immagine secondo la quale il Padre ha creato gli uomini. Per
questo Egli invita coloro che chiama ad avere i suoi stessi sentimenti e a
condividere la sua vita, ad avere la sua « forma ». È Lui, al tempo stesso, a
essere il formatore e la forma. Il formatore vocazionale è tale in quanto
mediatore di quest'azione divina, e si pone accanto al giovane per aiutarlo a «
riconoscere » in essa la sua chiamata, e a farsi formare da essa. a)
Riconoscimento di Gesù Il momento decisivo dell'episodio di Emmaus è
senz'altro quello in cui Gesù prende il pane, lo spezza e lo dà a ciascuno di
loro: « Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero ». C'è qui una serie
di « riconoscimenti » collegati tra loro. Anzitutto i due riconoscono
Gesù, scoprono la vera identità del viandante che s'è unito a loro,
esattamente perché quel gesto lo poteva fare solo Lui, come ben sapevano i due.
In prospettiva vocazionale ciò sta a dire l'importanza di porre in atto gesti
forti, segnali inequivocabili, proposte alte, progetti di sequela totale. (102)
Il giovane ha bisogno d'essere stimolato da ideali grandi, in vista di qualcosa
che lo supera ed è al di sopra delle sue capacità, per cui vale la pena di dare
la propria vita. Lo ricorda, anche l'analisi psicologica: chiedere a un giovane
qualcosa che è al di sotto delle sue possibilità, significa offendere la sua
dignità e impedire la sua piena realizzazione; detto in positivo, al giovane va
proposto il massimo di quel che può dare perché diventi e sia se stesso.
E se Gesù viene riconosciuto « allo spezzare del pane », la dimensione
eucaristica dovrebbe sottendere ogni cammino vocazionale: come « luogo » tipico
della sollecitazione vocazionale, come mistero che dice il senso generale
dell'esistenza umana, come obiettivo finale di qualsiasi pastorale vocazionale
che voglia essere cristiana. b) Riconoscimento della verità della vita
Ma a questo punto, in un autentico processo di formazione alla scelta
vocazionale, scatta un secondo « riconoscimento »: il riconoscimento-scoperta,
dentro il segno eucaristico, del significato della vita. Se l'Eucaristia è
sacrificio di Cristo che salva l'umanità e se tale sacrificio è corpo spezzato e
sangue versato per la salvezza dell'umanità, anche la vita del credente è
chiamata a modellarsi sulla stessa correlazione di significati: anche la vita
è bene ricevuto che tende, per natura sua, a divenire bene donato, come la
vita del Verbo. È la verità della vita, d'ogni vita. Le conseguenze sul
piano vocazionale sono evidenti. Se c'è un dono all'inizio dell'esistenza
dell'uomo, che lo costituisce nell'essere, allora la vita ha la strada segnata:
se è dono sarà pienamente se stesso solo se si realizza nella prospettiva del
donarsi; sarà felice a condizione di rispettare questa sua natura. Potrà fare la
scelta che vuole, ma sempre nella logica del dono, altrimenti diventerà un
essere in contraddizione con se stesso, una realtà « mostruosa »; sarà libero di
decidere l'orientamento specifico, ma non sarà libero di pensarsi al di fuori
della logica del dono. Tutta la pastorale vocazionale è costruita su
questa catechesi elementare del significato della vita. Se passa questa verità
antropologica allora si può fare qualsiasi proposta vocazionale. Allora anche la
vocazione al ministero ordinato o alla consacrazione religiosa o secolare, con
tutto il suo carico di mistero e mortificazione, diventa la piena realizzazione
dell'umano e del dono che ogni uomo ha ed è nel più profondo di
sé. c) La vocazione come riconoscenza Ma se è nel gesto
eucaristico che i due di Emmaus « riconoscono » il Signore e ogni credente il
senso della vita, allora la vocazione nasce dalla « riconoscenza ». Nasce sul
terreno fecondo della gratitudine, poiché la vocazione è risposta, non
iniziativa del singolo: è essere scelti, non scegliere. Proprio a
questo atteggiamento interiore di gratitudine dovrebbe portare la lettura di
tutta la vita passata. La scoperta d'aver ricevuto in modo immeritato ed
eccedente, dovrebbe « costringere » psicologicamente il giovane a concepire
l'offerta di sé, nell'opzione vocazionale, come una conseguenza inevitabile,
come un atto certamente libero, perché determinato dall'amore; ma in
certo senso anche dovuto, poiché di fronte all'amore ricevuto da Dio egli
sente di non poter fare a meno di donarsi. È bello e del tutto logico che sia
così; di per sé non è cosa straordinaria. La pastorale vocazionale è
diretta a formare a questa logica della riconoscenza gratitudine;, molto
più sana e convincente, sul piano umano, e più teologicamente fondata della
cosiddetta « logica dell'eroe », di colui che non ha abbastanza maturato la
consapevolezza d'aver ricevuto e si sente lui stesso autore del dono e della
scelta. Tale logica ha pochissima presa sulla sensibilità giovanile odierna,
poiché sovverte la verità della vita come bene ricevuto che tende
naturalmente a divenire bene donato. È la sapienza evangelica del «
gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10, 8) (103)
rivolta da Gesù ai discepoli-annunciatori della sua parola, che dice la verità
d'ogni essere umano: nessuno potrebbe non riconoscersi in essa. Da
questa verità deriva quella forma che poi la vita è chiamata ad
assumere, o è da questa figura unica della fede che nascono poi le diverse
raffigurazioni vocazionali della fede stessa. Allora diventa
possibile anche chiedere scelte altrettanto forti e radicali, come una chiamata
di speciale consacrazione, al sacerdozio e alla vita consacrata. Per questo la
proposta di Dio, per difficile e singolare che possa sembrare (e lo è in
realtà), diventa anche una promozione impensata delle autentiche aspirazioni
umane e garantisce il massimo della felicità. La felicità, colma di gratitudine
che Maria canta nel « Magnificat ». d) Riconoscimento di Gesù e
autoriconoscimento del discepolo Gli occhi dei discepoli di Emmaus
si aprono dinanzi al gesto eucaristico di Gesù. È di fronte a questo
gesto che Cleopa e il compagno percepiscono anche il senso del loro cammino,
come un viaggio non solo verso il riconoscimento di Gesù, ma anche verso il
proprio riconoscimento: « Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre
conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture? » (Lc
24, 32). Non c'è semplicemente una certa commozione nei due pellegrini
che ascoltano la spiegazione del Maestro, ma la sensazione che la Sua vita, la
Sua Eucaristia, la Sua Pasqua, il Suo mistero saranno sempre più la loro stessa
vita, eucaristia, pasqua, mistero. Nel cuore che arde c'è la scoperta
della vocazione e la storia d'ogni vocazione. Sempre legata a una esperienza di
Dio, in cui la persona scopre anche se stessa e la propria identità.
Formare alla scelta vocazionale vuol dire mostrare sempre più il legame tra
esperienza di Dio e scoperta dell'io, tra teofania e autoidentità. È molto vero
quanto afferma l'Instrumentum laboris: « Il riconoscimento di Lui come
Signore della vita e della storia comporta l'autoriconoscimento del discepolo ».
(104) E quando l'atto di fede riesce a coniugare il « riconoscimento
cristologico » con « l'autoriconoscimento antropologico » il seme della
vocazione è già maturo, anzi, sta fiorendo. Discernere
37. « E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono
riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il
Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era
accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane » (Lc
24, 33-35). Affinché il cammino di Emmaus divenga itinerario vocazionale
ci vuole un passaggio conclusivo dopo la serie di « riconoscimenti » e «
autoriconoscimenti »: la scelta effettiva da parte del giovane, cui
corrisponde, da parte di colui che lo ha accompagnato lungo il cammino
vocazionale, il processo di discernimento. Un discernimento che certo non
finirà nel tempo dell'orientamento vocazionale, ma dovrà poi continuare fino
alla maturazione d'una decisione definitiva, « per tutta la vita ». (105)
a) La scelta effettiva del chiamato
– Capacità decisionale Nell'episodio evangelico che ha
tracciato la strada della nostra riflessione la scelta è ben espressa al
versetto 33: « E partirono senz'indugio... ». L'annotazione temporale («
senz'indugio ») dice con efficacia la determinazione dei due, provocata dalla
parola e dalla persona di Gesù, dall'incontro con Lui, e messa coraggiosamente
in atto da una scelta che sa di rottura con ciò che erano o facevano prima, e
indica novità di vita. È proprio questa decisione che sovente viene a
mancare nei giovani d'oggi. Per tale motivo, al fine di « aiutare i
giovani a superare l'indecisione di fronte agli impegni definitivi, sembra utile
prepararli progressivamente ad assumere responsabilità personali, (...),
affidare compiti adeguati alle capacità e alla loro età, (...) favorire
un'educazione progressiva alle piccole scelte quotidiane di fronte ai valori
(gratuità, costanza, sobrietà, onestà...) ». (106) D'altro canto, va
ricordato che molto spesso queste e altre paure e indecisioni segnalano la
debolezza non solo dell'impianto psicologico della persona, ma anche
dell'esperienza spirituale e, in particolare, dell'esperienza della vocazione
come scelta che viene da Dio. Quando è povera questa certezza il
soggetto si affida inevitabilmente a se stesso e alle proprie risorse; e quando
ne constata la precarietà non è strano che si lasci sopraffare dalla paura di
fare una scelta definitiva. L'incapacità decisionale non è
necessariamente caratteristica della generazione giovanile attuale: non
raramente è conseguenza d'un accompagnamento vocazionale che non ha sottolineato
abbastanza il primato di Dio nella scelta, o che non ha formato a lasciarsi
scegliere da Lui. (107)
– « Ritorno a casa » La scelta vocazionale indica novità
di vita, ma in realtà è anche segno d'un recupero della propria identità, quasi
un « ritorno a casa », alle radici dell'io. Nel brano di Emmaus è simboleggiato
dall'espressione: « ...e fecero ritorno a Gerusalemme ». È molto
importante, nella formazione alla scelta vocazionale, ribadire l'idea che essa
rappresenta la condizione per essere se stessi e realizzarsi secondo quell'unico
progetto che può dare felicità. Troppi giovani pensano ancora il contrario circa
la vocazione cristiana, la guardano con diffidenza e temono che essa non possa
renderli felici; ma finiscono poi per esser infelici come il giovane triste del
vangelo (cfr. Mc 10, 22). Quante volte anche gli atteggiamenti degli
adulti, genitori compresi, hanno contribuito a creare un'immagine negativa della
vocazione, in particolare al sacerdozio e alla vita consacrata, creando anche
ostacoli per la sua realizzazione e scoraggiando chi vi si sentiva chiamato!
(108) Non si risolve, peraltro, questo problema con una banale propaganda
contraria, che enfatizzerebbe gli aspetti positivi e gratificanti della
vocazione stessa, ma soprattutto sottolineando l'idea, che la vocazione è il
pensiero di Dio sulla creatura, è il nome da Lui dato alla persona.
Scoprire e rispondere alla vocazione da credenti vuol dire trovare quella pietra
su cui è scritto il proprio nome (cfr. Ap 2, 17-18), o tornare alle
sorgenti dell'io.
– Testimonianza personale A Gerusalemme i due « trovarono
riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: "Davvero il
Signore è risorto ed è apparso a Simone". Essi poi riferirono ciò che era
accaduto lungo la via e come Lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane » (Lc
24, 33-35). L'elemento più significativo di questo brano, in relazione
alla scelta vocazionale, è la testimonianza dei due, una testimonianza
particolare, perché avviene in un contesto comunitario e ha un preciso senso
vocazionale. Quando infatti i due arrivano, l'assemblea sta proclamando
la sua fede con una formula (« Davvero il Signore è risorto ed è apparso a
Simone »), che sappiamo essere tra le testimonianze più antiche della fede
oggettiva. Cleopa e il compagno aggiungono, in qualche modo, la loro esperienza
soggettiva, che conferma quanto la comunità stava proclamando, e conferma anche
il loro personale cammino credente e vocazionale. È come se quella
testimonianza fosse il primo frutto della vocazione scoperta e ritrovata, che
viene messa subito, com'è nella natura della vocazione cristiana, a servizio
della comunità ecclesiale. Ritorna pertanto quanto già detto circa il
rapporto tra itinerari ecclesiali oggettivi e itinerario personale soggettivo,
in un rapporto di sinergia e complementarità: la testimonianza del singolo aiuta
e fa crescere la fede della Chiesa, la fede e la testimonianza della Chiesa
suscita e incoraggia la scelta vocazionale del singolo. b) Il
discernimento da parte della guida Nell'Esortazione Apostolica
postsinodale Pastores dabo vobis Giovanni Paolo II afferma: « La conoscenza
della natura e della missione del sacerdozio ministeriale è il presupposto
irrinunciabile, e nello stesso tempo la guida più sicura e lo stimolo più
incisivo, per sviluppare nella Chiesa l'azione pastorale di promozione e di
discernimento delle vocazioni sacerdotali e di formazione dei chiamati al
ministero ordinato ». (109) Lo stesso si potrebbe dire, per analogia,
quando si tratta del discernimento di qualsiasi vocazione alla vita consacrata.
Presupposto irrinunciabile per discernere tali vocazioni è, prima di tutto, aver
presente la natura e la missione di quello stato di vita nella Chiesa. (110)
Tale presupposto deriva direttamente dalla certezza che è Dio che chiama, e
dunque dalla ricerca di quei segnali che indicano la chiamata divina.
Vengono ora indicati alcuni criteri di discernimento, distinguibili in quattro
aree.
– L'apertura al mistero Se la chiusura al mistero,
caratteristica di certa mentalità moderna, inibisce qualsiasi disponibilità
vocazionale, il suo contrario, ovvero l'apertura al mistero, è non solo
condizione positiva per la scoperta della propria vocazione, ma indice che
segnala una sana opzione vocazionale. a) L'autentica certezza
soggettiva vocazionale è quella che fa spazio al mistero e alla
sensazione che la propria decisione, pure ferma, dovrà restare aperta a una
continua indagine del mistero stesso. La certezza non autentica è,
invece, non solo quella debole e incapace di dar luogo a una decisione, ma anche
il suo contrario, e cioè la pretesa d'aver già capito tutto, d'aver esaurito le
profondità del mistero personale, pretesa che non può che creare irrigidimenti e
una certezza che molte volte è smentita dal seguito della vita. b)
L'atteggiamento tipicamente vocazionale è espressione della virtù della
prudenza, più che di ostentata capacità personale. Proprio per questo la
sicurezza di questa lettura del proprio futuro è quella della speranza e
dell'affidamento che nasce dalla fiducia riposta in un Altro, di cui ci si
può fidare; non è dedotta dalla garanzia delle proprie capacità percepite come
rispondenti alle esigenze del ruolo scelto. c) È ancora buon
indice vocazionale le capacità diaccogliere e integrare quelle polarità
contrapposte che costituiscono la dialettica naturale dell'io e della vita
umana. Ad esempio, possiede tale capacità un giovane che è sufficientemente
consapevole dei suoi aspetti sia positivi che negativi, dei suoi ideali e delle
sue contraddizioni, della parte sana e della parte meno sana del suo stesso
progetto vocazionale, e che non presuma né disperi di fronte al negativo di sé.
d) Ha buona familiarità con il mistero della vita come luogo in cui
percepire una presenza e un appello il giovane che scopre i segni della sua
chiamata da parte di Dio non solo in eventi straordinari, ma nella sua storia;
negli eventi che ha imparato a leggere da credente, nelle sue domande, ansie e
aspirazioni. e) Rientra in questa categoria dell'apertura al
mistero un'altra fondamentale caratteristica dell'autentico chiamato: quella
della gratitudine. La vocazione nasce nel terreno fecondo della
gratitudine; e va interpretata con slancio di generosità e radicalità, proprio
perché nasce dalla consapevolezza dell'amore ricevuto.
– L'identità nella vocazione Il secondo ordine di criteri
ruota attorno al concetto di « identità ». L'opzione vocazionale infatti indica
e implica proprio la definizione della propria identità; è scelta e
realizzazione dell'io ideale, più che dell'io attuale, e dovrebbe portare la
persona ad aver un senso sostanzialmente positivo e stabile del proprio io.
a) Prima condizione è che la persona mostri d'esser in grado di staccarsi
dalla logica dell'identificazione ai livelli corporale (= il corpo come
fonte di identità positiva) e psichico (= le proprie doti come unica e
preminente garanzia di autostima), e scopra invece la propria positività
radicale legata stabilmente all'essere, ricevuto in dono da Dio (è il livello
ontologico), non alla precarietà dell'avere o dell'apparire. La vocazione
cristiana è ciò che porta a compimento tale positività realizzando al massimo
grado le possibilità del soggetto, ma secondo un progetto che regolarmente lo
supera, perché pensato da Dio. b) « Vocazione » vuol dire
fondamentalmente « chiamata »: c'è dunque un soggetto esterno, un appello
oggettivo, e una disponibilità interiore a lasciarsi chiamare e a
riconoscersi in un modello che non è stato il chiamato a creare. c)
Circa la motivazione o la modalità della scelta vocazionale il criterio
fondamentale è quello della totalità (o legge della totalità); e cioè che
la decisione sia espressione d'un coinvolgimento totale delle funzioni psichiche
(cuore-mente-volontà), e sia decisione assieme mentale-etica-emotiva.
d) Più in particolare, c'è maturità vocazionale quando la vocazione è
vissuta e interpretata come un dono, ma anche come appello esigente: da vivere
per gli altri, non solo per la propria perfezione, e con gli altri, nella Chiesa
madre di tutte le vocazioni, in una specifica « sequela Christi ».
– Un progetto vocazionale ricco di memoria credente La
terza area su cui andrebbe concentrata l'attenzione di chi discerne una
vocazione è quella relativa alla qualità del rapporto tra passato e presente,
tra memoria e progetto. a) Anzitutto è importante che il giovane
sia sostanzialmente riconciliato col suo passato: con l'inevitabile
negativo, d'ogni genere, che è parte di esso, e pure col suo positivo, che
dovrebbe esser in grado di riconoscere con gratitudine; riconciliato pure con le
figure significative del suo passato, con le loro ricchezze e debolezze.
b) Va allora considerato con attenzione il tipo di memoria che il
giovane ha della propria storia, quale interpretazione dà della propria vita: in
chiave di grazie o di lamento? Si sente consciamente o inconsciamente in
credito, e quindi ancora in attesa di ricevere, o aperto a dare? c)
Particolarmente significativo è l'atteggiamento del giovane di fronte ai traumi
nella vita passata, più o meno gravi. Progettare di consacrarsi a Dio vuol dire
in ogni caso riappropriarsi della vita che si vuol donare, in tutti i
suoi aspetti; tendere a integrare queste componenti meno positive,
riconoscendole con realismo e assumendo un atteggiamento responsabile, e non
semplicemente autocommiserativo, dinanzi a esse. Giovane « responsabile » è
colui che si impegna ad assumere un atteggiamento attivo e creativo nei
confronti dell'evento negativo, o cerca di sfruttare in modo intelligente
l'esperienza personale negativa. Bisogna prestare molta attenzione alle
vocazioni che nascono da sofferenze, delusioni o incidenti vari non ancora ben
integrati. In tal caso è necessario un più attento discernimento, anche facendo
ricorso a visite specialistiche per non caricare pesi impossibili su spalle
deboli.
– La docibilitas vocazionale L'ultima fase
dell'itinerario vocazionale è quella della decisione. In riferimento a tale fase
i criteri di maturità vocazionale sembrano esser questi: a) il
requisito fondamentale è il grado di docibilitas della persona, ovvero la
libertà interiore di lasciarsi guidare da un fratello o sorella maggiore; in
particolare nelle fasi strategiche della rielaborazione e riappropriazione del
proprio passato, specie quello più problematico, e la conseguente libertà di
imparare e di saper cambiare. b) Il requisito della docibilitas è
in fondo il requisito dell'esser giovane, non tanto come qualità
anagrafica, quanto come atteggiamento globale esistenziale. È importante che chi
chiede di entrare in seminario o nella vita consacrata sia veramente « giovane
», con le virtù e vulnerabilità tipiche di questa stagione della vita, con la
voglia di fare e il desiderio di dare il massimo di sé, capace di socializzare e
di apprezzare la bellezza della vita, cosciente dei propri difetti e delle
proprie potenzialità, consapevole del dono d'essere stato scelto. c)
Un'area particolarmente degna d'attenzione, oggi più di ieri, è quella
affettivo-sessuale. (111) È importante che il giovane mostri di poter
acquisire quelle due certezze che rendono la persona libera affettivamente,
ovvero la certezza che viene dall'esperienza diesser già stato amato e la
certezza, sempre esperienziale, disaper amare. In concreto il giovane
dovrebbe mostrare quell'equilibrio umano che gli consente di saper stare in
piedi da solo, dovrebbe possedere quella sicurezza e autonomia che gli
facilitano il rapporto sociale e l'amicizia cordiale, e quel senso di
responsabilità che gli consente di vivere da adulto lo stesso rapporto sociale,
libero di dare e ricevere. d) Per quanto riguarda le
inconsistenze, sempre nell'area affettivo-sessuale, un oculato discernimento
dovrebbe tener conto della centralità di quest'area nell'evoluzione generale del
giovane e nella cultura attuale. Non è così strano o raro che il giovane mostri
delle specifiche debolezze in questo settore. A quali condizioni si può
prudentemente accogliere la richiesta vocazionale di giovani con questo tipo di
problemi? La condizione è che vi siano assieme questi tre requisiti:
1° che il giovane sia cosciente della radice del suo problema, che molto
spesso non è sessuale all'origine. 2° La seconda condizione è che il
giovane senta la sua debolezza come un corpo estraneo alla propria personalità,
qualcosa che non vorrebbe e che stride con il suo ideale, e contro cui lotta con
tutto se stesso. 3° Infine è importante verificare se il soggetto sia in
grado di controllare queste debolezze, in vista di un superamento, sia
perché di fatto ci cade sempre meno, sia perché tali inclinazioni disturbano
sempre meno la sua vita (anche psichica) e gli consentono di svolgere i suoi
doveri normali senza creargli tensione eccessiva né occupare indebitamente la
sua attenzione. (112) Questi tre criteri devono esser tutti presenti per
consentire un discernimento positivo. e) La maturità vocazionale,
infine, è decisa da un elemento essenziale che dà veramente senso al tutto: l'atto
di fede. L'autentica opzione vocazionale è a tutti gli effetti espressione
dell'adesione credente, e tanto più è genuina quanto più è parte ed epilogo d'un
cammino di formazione alla maturità della fede. L'atto di fede, all'interno
d'una logica che fa spazio al mistero, è proprio quel punto centrale che
consente di tenere insieme le polarità a volte contrapposte della vita,
perennemente tesa tra la certezza della chiamata e la coscienza della propria
inettitudine, tra la sensazione del perdersi e del trovarsi, tra la grandezza
delle aspirazioni e la pesantezza dei propri limiti, tra la grazia e la natura,
tra Dio che chiama e l'uomo che risponde. Il giovane autenticamente chiamato
dovrebbe mostrare la saldezza dell'atto credente proprio mantenendo assieme
queste polarità.
CONCLUSIONE
Verso il Giubileo
38. Questo documento è indirizzato alle Chiese d'Europa nel momento in cui il
popolo di Dio si sta preparando a celebrare un tempo di grazia e di
misericordia, di conversione e rinnovamento nel Giubileo dell'anno duemila.
Anche il Congresso vocazionale, è parte di questo cammino di preparazione e in
qualche modo contribuisce a orientarlo. In due direzioni. La prima è un
invito alla conversione. La crisi vocazionale che abbiamo vissuto e
stiamo tuttora vivendo non può non farci riflettere anche sulle nostre
responsabilità, in quanto credenti e chiamati a diffondere il dono della fede e
a favorire in ogni fratello la disponibilità alla chiamata. Tutti, in
modi diversi, dobbiamo ammettere di non aver risposto pienamente a questa
chiamata, d'aver reso la Chiesa, la chiesa delle nostre famiglie e degli
ambienti di lavoro, delle nostre parrocchie e diocesi, delle nostre
congregazioni religiose e istituti secolari, meno fedele al compito di mediare
la voce del Padre che chiama a seguire il Figlio nello Spirito. Usciremo dalla
crisi vocazionale solo se questo processo di conversione sarà sincero e darà
frutti di novità di vita. La seconda direzione che questo documento
vorrebbe contribuire a imprimere al pellegrinaggio della Chiesa verso il
Giubileo è un invito alla speranza. Invito che emerge da tutto il
Congresso e che vorremmo ora ribadire con tutta la forza della nostra fede.
Forse non esiste settore nella vita della Chiesa che abbia bisogno d'aprirsi
alla speranza come la pastorale vocazionale, specie laddove più pungente si fa
sentire la crisi. Per questo noi riaffermiamo, al termine di questa
riflessione, la nostra certezza che il Signore della messe non farà mancare alla
Chiesa operai per la sua messe. Anzi, se la speranza è fondata non sulle nostre
previsioni e sui nostri calcoli, che spesso la storia passata ha provveduto a
smentire, ma « sulla Tua parola », allora possiamo e vogliamo credere in una
rinnovata fioritura vocazionale per le Chiese d'Europa. Questo documento
vuol essere come un inno all'ottimismo della fede colma di speranza, per
risvegliarlo nei ragazzi, adolescenti e giovani, nei genitori e negli educatori,
nei pastori e nei presbiteri, nei consacrati e consacrate, in tutti coloro che
servono la vita accanto alle nuove generazioni, in tutto il popolo di Dio che è
in Europa. Preghiamo il Padrone della messe 39. Il
nostro documento, che si è aperto con il rendimento di grazie al Signore Dio,
non può chiudersi senza una preghiera alla Trinità santissima, fonte e destino
d'ogni vocazione. « Dio Padre, sorgente dell'amore, che da tutta
l'eternità chiami alla vita e la doni in abbondanza, volgi il tuo sguardo su
questa terra d'Europa. Chiamala ancora, come l'hai chiamata un tempo; ma fa
soprattutto che sia consapevole della Tua chiamata, delle sue radici cristiane,
della responsabilità che ne deriva. Rendila cosciente della sua vocazione a
promuovere una cultura della vita, al rispetto per l'esistenza d'ogni uomo in
tutte le sue forme e in ogni istante d'essa, all'unità tra i popoli,
all'accoglienza dello straniero, alla promozione di forme civili e democratiche
di vita sociale, perché sia sempre più un'Europa unita nella pace e nella
fraternità. Verbo eterno, che da tutta l'eternità accogli l'amore
del Padre e rispondi alla Sua chiamata, apri il cuore e la mente dei giovani di
questa terra perché imparino a lasciarsi amare da Chi li ha pensati a immagine
del Figlio suo e, lasciandosi amare, abbiano il coraggio di realizzare questa
immagine, che è la Tua. Rendili forti e generosi, capaci di rischiare sulla Tua
parola, liberi di volare alto, affascinati dalla bellezza della Tua sequela.
Suscita tra loro gli annunciatori del tuo vangelo: presbiteri, diaconi,
consacrati e consacrate, religiosi e laici, missionari e missionarie, monaci e
monache, che con la loro vita sappiano a loro volta chiamare e proporre la
sequela del Cristo Salvatore. Spirito santo, amore sempre giovane
di Dio, voce dell'Eterno che non cessa di risuonare e chiamare, libera il
vecchio continente da ogni spirito di sufficienza, dalla cultura dell'« uomo
senza vocazione », da quella paura che impedisce di rischiare e rende la vita
piatta e senza gusto, da quel minimalismo che crea assuefazione alla mediocrità
e uccide qualsiasi slancio interiore e l'autentico spirito giovanile nella
Chiesa. Fa riscoprire ai nostri giovani il senso pieno della sequela come
chiamata a esser pienamente se stessi, pienamente e per sempre giovani, ognuno
secondo un progetto pensato apposta per lui, unico-singolo-irripetibile. In
un'Europa che rischia di divenire sempre più vecchia fa il dono di nuove
vocazioni che sappiano testimoniare la « giovinezza » di Dio e della Chiesa,
universale e locale, dall'Est all'Ovest, e sappiano promuovere progetti di nuova
santità, per la nascita d'una nuova Europa. Vergine Santa, giovane
figlia d'Israele, che il Padre ha scelto come sposa dello Spirito per generare
il Figlio in terra, genera nei giovani d'Europa lo stesso tuo coraggio
ardimentoso; quel coraggio che un giorno ti rese libera di credere a un progetto
più grande di te, libera di sperare che Dio lo avrebbe realizzato. A te che sei
la madre dell'Eterno Sacerdote affidiamo i giovani chiamati al presbiterato;
a te che sei la prima consacrata del Padre affidiamo quei giovani e quelle
giovani che scelgono d'appartenere totalmente al Signore, unico tesoro e bene
sommamente amato, nella vita religiosa e consacrata; a te che hai vissuto
come nessuna creatura la solitudine dell'intimità più piena con il Signore Gesù
affidiamo chi lascia il mondo per dedicare tutta la vita alla preghiera nellavita
monastica; a te che hai generato e assistito con materno amore la Chiesa
nascente affidiamo tutte le vocazioni di questa Chiesa, perché annuncino,
oggi come allora, a tutte le genti che Gesù Cristo, è il Signore, nello Spirito
santo, a gloria di Dio Padre! Amen ». Roma, 8 dicembre 1997,
Immacolata Concezione della B. V. Maria.
Pio Card. Laghi Presidente
e
José Saraiva Martins Arcivescovo tit. di Tuburnica
Vice Presidente
(1) Al Congresso hanno partecipato 253 delegati provenienti da
37 nazioni europee e rappresentanti delle varie categorie vocazionali (laici,
consacratie, sacerdoti, vescovi), con la presenza pure di alcuni esponenti delle
Chiese sorelle (Protestanti, Ortodossi e Anglicani). (2) Pontificia Opera
per le Vocazioni Ecclesiastiche, La pastorale delle vocazioni nelle Chiese
particolari d'Europa. Documento di lavoro del Congresso sulle vocazioni al
Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa, Roma 1996, n. 88. D'ora in poi
questo testo verrà citato come IL (Instrumentum Laboris). (3) Ibidem,
15. (4) Vedi, tra gli altri, Sviluppi della cura pastorale delle
vocazioni nelle Chiese particolari, esperienze del passato e programmi per
l'avvenire. Documento conclusivo del II Congresso internazionale di Vescovi
e altri responsabili delle vocazioni ecclesiastiche (a cura delle Congregazioni
per le Chiese Orientali, per i Religiosi e gli Istituti Secolari, per
l'Evangelizzazione dei Popoli, per l'Educazione Cattolica), Roma, 10-16 maggio
1981; Pontificia Opera per le Vocazioni Ecclesiastiche, Sviluppi della
pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari (a cura delle
Congregazioni per l'Educazione Cattolica e per gli Istituti di Vita Consacrata e
le Società di Vita Apostolica), Roma 1992; Dichiarazione finale del I
Congresso Continentale latino-americano sulle Vocazioni, Itaici 1994
(pubblicata in Seminarium; 34 [1994] (5) Cfr. IL, 18.
(6) Cfr. Proposizioni conclusive del Cogresso europeo sulle Vocazioni al
Sacerdozio e alla Vita Consacrata, 8. D'ora in poi questo testo verrà citato
come Proposizioni. (7) IL, 32. (8) Proposizioni, 7.
(9) Proposizioni, 3. (10) Proposizioni, 4. (11)
Paolo VI,
Evangelii nuntiandi, 2. Vedi anche, sull'argomento, di Giovanni
Paolo II,
Christifideles laici, 33-34, e
Redemptoris missio,
33-34. (12) Proposizioni, 19. (13)
Lumen gentium,
32; 39-42 (cap. V). (14) IL, 6. (15) Proposizioni, 16.
(16) Proposizioni, 19. (17) La « cultura vocazionale » fu il tema
del
Messaggio Pontificio per la XXX Giornata mondiale di preghiera per le
vocazioni, celebrata il 2 V 1993 (cfr. « L'Osservatore Romano », 18 XII 1992;
cfr. anche Congregazione per l'Educazione Cattolica, P.O.V.E., Messaggi
Pontifici per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, Roma 1994,
pp. 241-245). (18) Giovanni Paolo II,
Discorso ai partecipanti al
Congresso sulle vocazioni in Europa, in « L'Osservatore Romano », 11 V 1997,
4. (19)
Ibidem. (20) Cfr. Proposizioni, 12.
(21) IL, 6. (22)
Discorso del S. Padre, in « L'Osservatore
Romano », 11 maggio 1997, n. 107. (23) Cfr. Proposizioni, 20.
(24) Cfr. Giovanni Paolo II,
Vita consecrata, 64. (25) IL,
85. (26) Un'espressione analoga è già stata usata nel Documento
conclusivo del II Congresso internazionale di Vescovi e altri responsabili delle
vocazioni ecclesiastiche, cfr. Sviluppi, 3. D'ora in poi lo citeremo con
la sigla DC (documento conclusivo). (27) Proposizioni, 3.
(28) Paolo VI,
Populorum progressio, 15. (29)
Gaudium et spes,
22. (30) A tal proposito così s'è espressa una tesi finale del Congresso:
« Nel contesto europeo è importante fare emergere il primo momento vocazionale,
quello della nascita. L'accoglienza della vita mostra che si crede in quel Dio
che "vede" e "chiama" fin dal seno materno » (Proposizioni, 34). (31)
Giovanni Paolo II,
Familiaris consortio, 11. (32) Per questo, come
ricorda una tesi del Congresso, « solo nel contatto vivo con Gesù Cristo
Salvatore i giovani possono sviluppare la capacità di comunione, maturare la
propria personalità e decidersi per Lui » (Proposizioni, 13). (33) IL,
55. (34)
Sacrosanctum Concilium, 10. (35) Cfr.
Veritatis splendor,
23-24. (36) Cfr.
Lumen gentium, cap. V. (37) Cfr.
Proposizioni, 16. (38) Rito della Cresima. (39) Cfr.
Proposizioni, 35. (40)
Lumen gentium, 1. (41) Cfr.
Proposizioni, 21. (42) II Epiclesi. (43) DC, 18.
(44) DC, 13. (45) Proposizioni, 28. (46) Questo fa
parte dell'insegnamento insistentemente richiamato da Giovanni Paolo II nelle
Lettere Encicliche
Slavorum Apostoli (1985) e
Ut unum sint (1995)
come nell'Esortazione Apostolica
Orientale lumen (1995). (47)
IL, 58. (48) Giovanni Paolo II,
Christifideles laici, 55.
(49) Giovanni Paolo II,
Pastores dabo vobis, 15. (50) « Nella
pastorale specifica delle vocazioni sia dato un posto alla vocazione al
diaconato permanente. I diaconi permanenti sono già una presenza preziosa in
diverse parrocchie e sarebbe riduttivo se essi non venissero inclusi come nuove
vocazioni della nuova Europa » (Proposizioni, 18). (51)
Sacrosanctum Concilium,
10. (52) « In laudibus Virginis Matris »,
Homilia II, 4: Sancti Bernardi opera, IV, Romae, Editiones Cistercenses,
1966, p. 23. (53) « In Iohannis Evangelium », Tractatus VIII, 9: CCL 36,
p. 87. (54)
Discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti al
Congresso sul tema: « Nuove vocazioni per una nuova Europa », in « L'Osservatore
Romano », 11 maggio 1997, n. 107. (55) DC, 5. (56)
L'espressione è nell'Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II
Pastores dabo vobis, n. 34. Nel medesimo documento sono ben delineati i motivi
fondanti che legano intrinsecamente la pastorale vocazionale alla Chiesa.
(57) Ibidem. (58) Ibidem. (59) IL, 58.
(60) L'espressione « comunità cristiana » è, di per sé, espressione
generica che sta a indicare una Chiesa particolare o locale, come pure una
parrocchia. È equivalente a un gruppo di cristiani viventi in un luogo e
rappresenta la Chiesa in maniera attuale, quando si raduna per pregare e
servire, per rendere testimonianza dell'amore e della presenza di Cristo in
mezzo a loro. L'espressione « comunità ecclesiale » ha un significato,
invece, più mirato, poiché evidenzia la presenza degli elementi che
costituiscono la Chiesa, a partire dalla centralità del mistero eucaristico; in
modo proprio si applica alla diocesi e alle parrocchie che sono comunità
ecclesiali eucaristiche grazie alla presenza del ministero ordinato; le altre lo
sono per estensione di significato. Cfr. in proposito DC, 13-16.
(61) Giovanni Paolo II,
Discorso al VI Simposio delle Conferenze Episcopali
Europee, 11.10.1985. (62)
Pastores dabo vobis, 34. (63)
Ibidem, 35. (64)
Ibidem, 41. (65) Cfr.
Ibidem,
41. (66)
Ibidem, 38. (67)
Vita consecrata, 64.
(68)
Ibidem. (69) IL, 59. (70) Cfr.
Dichiarazione, 26. (71) Cfr. Proposizioni, 25. (72)
Cfr.
Vita consecrata, 70. (73) Proposizioni, 4. (74)
Proposizioni, 13. (75) Cfr. Proposizioni, 10. (76) Cfr.
Proposizioni, 10. (77) « La liturgia risulta per se stessa un
appello. Essa è il luogo privilegiato dove tutto il popolo di Dio si ritrova in
modo visibile e si realizza il mistero della fede » (Proposizioni, 13).
(78)
Dei Verbum, 25. (79) « Il primo luogo di testimonianza è la
vita di una Chiesa che si riscopre « comunione » e dove le parrocchie e le
realtà associative sono vissute come comunione di comunità » (Proposizioni,
14). (80) Proposizioni, 21. (81)
Vita consecrata,
64. (82) Cfr.
Lumen gentium 12; 35; 40-42. (83) Cfr.
Catechesi tradendae, 186. (84) Proposizioni, 35, ove si
ricorda ancora una volta ai Vescovi la grande opportunità loro offerta dalla
celebrazione della Cresima di « chiamare » i giovani che ricevono tale
sacramento. (85) Proposizioni, 10. (86) Proposizioni,
11. (87) Proposizioni, 10. (88)
Pastores dabo vobis,
41. (89) Cfr. le sagge indicazioni sull'argomento nel Documento
Conclusivo del II Congresso Internazionale del 1981, DC, 40. (90)
Cfr.
Optatam totius, 2; DC, 57-59; cfr. anche Sviluppi della
pastorale, 89-91. (91) Cfr. Proposizioni, 10. (92) «
Alle volte — s'è osservato al Congresso — si rileva una certa fatica nel
rapporto tra Chiesa locale e vita religiosa. È importante uscire da una lettura
funzionale della vita religiosa stessa, anche se già si intravvedono segnali di
nuovi orientamenti dopo il Sinodo sulla vita consacrata. Lo stesso vale per gli
Istituti Secolari » (Proposizioni, 16). (93) « In una situazione
religiosa e culturale che sta cambiando rapidamente, diventa indispensabile il
formare gli animatori di base: catechisti, parroci, diaconi, consacrati,
vescovi... e curare la loro formazione permanente » (Proposizioni, 17).
(94) Cfr. Proposizioni, 29, ove, parlando di questo Centro vocazionale
europeo, s'esprime il desiderio che esso, come gesto di carità e di scambio di
doni, « provveda anche ad una "banca" di persone qualificate per collaborare
alla formazione dei formatori ». Circa la costituzione di tale organismo, vi è
una sollecitazione in tal senso anche nell'Instrumentum laboris, 83 e
90h. Un'esperienza positiva già in atto esiste da diversi anni nell'America
Latina. In Bogotà (Colombia), presso la sede del Consejo Episcopal Latino
Americano (CELAM), opera in forma stabile il « Departimento de Vocaciones y
Ministerios » (DEVYM). Questo organismo è stato anche il punto di
riferimento per la preparazione e la celebrazione del Primo Congresso
Continentale, svoltosi per l'America Latina a Itaici (São Paulo del Brasile) dal
23 al 27 maggio 1994. (95) IL, 86. (96) Cfr.
Proposizioni, 9. (97) Paolo VI, Guardate a Cristo e alla Chiesa,
Messaggio per la XV Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni (16 IV 1978),
in Insegnamenti di Paolo VI, XVI, 1978, pp. 256-260 (cfr. anche
Congregazione per l'Educazione Cattolica, P.O.V.E., Messaggi Pontifici,
127). (98) Proposizioni, 15. (99) Proposizioni, 9.
(100) Proposizioni, 22. E ancora: « il sorgere dell'interesse per il
vangelo e per una vita dedicata radicalmente ad esso nella consacrazione,
dipende in grande misura dalla testimonianza personale di sacerdoti e religiosei
felici della loro condizione. La maggioranza dei candidati alla vita consacrata
ed al sacerdozio dice di attribuire la propria vocazione ad un incontro avuto
con un sacerdote o consacratoa » (ibidem, 11). (101)
Proposizioni, 12. (102) Così la Proposizione 23: « È
importante sottolineare che i giovani sono aperti alle sfide ed alle proposte
forti (che siano "superiori alla media", che cioè abbiano qualcosa "in più"!) ».
(103) Che ritorna sotto forma di provocazione nelle parole di Paolo nei
confronti dei Corinzi: « Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? » (1
Cor 4, 7). (104) IL, 55. (105) Proposizioni, 27.
(106) Proposizioni, 25. (107) Cfr. Proposizioni, 25. (108)
Cfr. Proposizioni, 14. (109)
Pastores dabo vobis, 11.
(110) Cfr. Jurado, Il discernimento, 262. Cfr. anche L. R. Moran, «
Orientaciones doctrinales para una pastoral eclesial de las vocaciones », in
Seminarium, 4 (1991), 697-725. (111) Parliamo qui d'una maturità
affettivo-sessuale di base, come condizione previa per l'ammissione ai voti
religiosi e al ministero ordinato, secondo le due vie delle Chiese cattoliche
d'Europa, al ministero celibe (Chiesa occidentale) e al ministero uxorato
(Chiese orientali). È importante che dalla pastorale vocazionale alla formazione
vera e propria i programmi pedagogici siano coerenti e mirati, perché la
preparazione al ministero ordinato sia adeguata in un caso come nell'altro,
specie sul piano della solidità affettiva, e l'esercizio del ministero stesso
possa così raggiungere l'obiettivo dell'annuncio dell'amore di Dio come origine
e termine dell'amore umano. (112) Vedi in tal senso la raccomandazione
del Potissimum Institutioni a scartare, circa l'omosessualità, non quelli
che hanno tali tendenze, ma « quelli che non giungeranno a padroneggiare tali
tendenze » (39), anche se quel « padroneggiare » va inteso — riteniamo — in
senso pieno, non solo come sforzo volitivo, ma come libertà progressiva nei
confronti delle tendenze stesse, nel cuore e nella mente, nella volontà e nei
desideri.
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