05 - 01.10.2005 SOMMARIO ♦ PRIMA CONGREGAZIONE GENERALE (LUNEDÌ, 3 OTTOBRE 2005 - ANTEMERIDIANO) ♦ SECONDA CONGREGAZIONE GENERALE (LUNEDÌ, 3 OTTOBRE 2005 - POMERIDIANO) ♦ PRIMA CONGREGAZIONE GENERALE (LUNEDÌ, 3 OTTOBRE 2005 - ANTEMERIDIANO) Dopo la lettura breve dell’Ora Terza il Santo Padre Benedetto XVI ha tenuto la seguente riflessione: Cari fratelli, questo testo dell'Ora Terza di oggi implica cinque imperativi ed una promessa. Cerchiamo di capire un po' meglio che cosa l'Apostolo intende dirci con queste parole. Il primo imperativo è molto frequente nelle Lettere di San Paolo, anzi si potrebbe dire è quasi il «cantus firmus» del suo pensiero: «gaudete». In una vita così tormentata come era la sua, una vita piena di persecuzioni, di fame, di sofferenze di tutti i tipi, tuttavia una parola chiave rimane sempre presente: «gaudete». Nasce qui la domanda: è possibile quasi comandare la gioia? La gioia, vorremmo dire, viene o non viene, ma non può essere imposta come un dovere. E qui ci aiuta pensare al testo più conosciuto sulla gioia delle Lettere paoline, quello della «Domenica Gaudete», nel cuore della Liturgia dell'Avvento: «gaudete, iterum dico gaudete quia Dominus propest». Qui sentiamo il motivo del perché Paolo in tutte le sofferenze, in tutte le tribolazioni, poteva non solo dire agli altri «gaudete», lo poteva dire perché in lui stesso la gioia era presente: «gaudete, Dominus enim prope est». Se l'amato, l'amore, il più grande dono della mia vita, mi è vicino, se posso essere convinto che colui che mi ama è vicino a me, anche in situazioni di tribolazione, rimane nel fondo del cuore la gioia che è più grande di tutte le sofferenze. L'apostolo può dire «gaudete» perché il Signore è vicino ad ognuno di noi. E così questo imperativo in realtà è un invito ad accorgersi della presenza del Signore vicino a noi. È, una sensibilizzazione per la presenza del Signore. L'Apostolo intende farci attenti a questa - nascosta ma molto reale - presenza di Cristo vicino ad ognuno di noi. Per ognuno di noi sono vere le parole dell'Apocalisse: io busso alla tua porta, ascoltami, aprimi. È quindi anche un invito ad essere sensibili per questa presenza del Signore che bussa alla mia porta. Non essere sordi a Lui, perché le orecchie dei nostri cuori sono talmente piene di tanti rumori del mondo che non possiamo sentire questa silenziosa presenza che bussa alle nostre porte. Riflettiamo, nello stesso momento, se siamo realmente disponibili ad aprire le porte del nostro cuore; o forse questo cuore è pieno di tante altre cose che non c'è spazio per il Signore e per il momento non abbiamo tempo per il Signore. E così, insensibili, sordi alla sua presenza, pieni di altre cose, non sentiamo l'essenziale: Lui bussa alla porta, ci è vicino e così è vicina la vera gioia, che è più forte di tutte le tristezze del mondo, della nostra vita. Preghiamo, quindi, nel contesto di questo primo imperativo: Signore facci sensibili alla Tua presenza, aiutaci a sentire, a non essere sordi a Te, aiutaci ad avere un cuore libero, aperto a Te. Il secondo imperativo «perfecti estote», così come si legge nel testo latino, sembra coincidere con la parola riassuntiva del Sermone della Montagna: «perfecti estote sicut Pater vester caelestis perfectus est». Questa parola ci invita ad essere ciò che siamo: immagini di Dio, esseri creati in relazione al Signore, «specchio» nel quale si riflette la luce del Signore. Non vivere il cristianesimo secondo la lettera, non sentire la Sacra Scrittura secondo la lettera è spesso difficile, storicamente discutibile, ma andare oltre la lettera, la realtà presente, verso il Signore che ci parla e così all’unione con Dio. Ma se vediamo il testo greco troviamo un altro verbo, «catartizesthe», e questa parola vuole dire rifare, riparare uno strumento, restituirlo alla piena funzionalità. L'esempio più frequente per gli apostoli è rifare una rete per i pescatori che non è più nella giusta situazione, che ha tante lacune da non servire più, rifare la rete così che possa di nuovo essere rete per la pesca, ritornare alla sua perfezione di strumento per questo lavoro. Un altro esempio: uno strumento musicale a corde che ha una corda rotta, quindi la musica non può essere suonata come dovrebbe. Così in questo imperativo la nostra anima appare come una rete apostolica che tuttavia spesso non funziona bene, perché è lacerata dalle nostre proprie intenzioni; o come uno strumento musicale nel quale purtroppo qualche corda è rotta, e quindi la musica di Dio che dovrebbe suonare dal profondo della nostra anima non può echeggiare bene. Rifare questo strumento, conoscere le lacerazioni, le distruzioni, le negligenze, quanto è trascurato, e cercare che questo strumento sia perfetto, sia completo perché serva a ciò per cui è creato dal Signore. E così questo imperativo può essere anche un invito all'esame di coscienza regolare, per vedere come sta questo mio strumento, fino a quale punto è trascurato, non funziona più, per cercare di ritornare alla sua integrità. È anche un invito al Sacramento della Riconciliazione, nel quale Dio stesso rifà questo strumento e ci dà di nuovo la completezza, la perfezione, la funzionalità, affinché in quest'anima possa risuonare la lode di Dio. Poi «exortamini invicem». La correzione fraterna è un'opera di misericordia. Nessuno di noi vede bene se stesso, vede bene le sue mancanze. E così è un atto di amore, per essere di complemento l'uno all'altro, per aiutarsi a vederci meglio, a correggerci. Penso che proprio una delle funzioni della collegialità è quella di aiutarci, nel senso anche dell'imperativo precedente, di conoscere le lacune che noi stessi non vogliamo vedere - «ab occultis meis munda me» dice il Salmo - di aiutarci perché diventiamo aperti e possiamo vedere queste cose. Naturalmente, questa grande opera di misericordia, aiutarci gli uni con gli altri perché ciascuno possa realmente trovare la propria integrità, la propria funzionalità come strumento di Dio, esige molta umiltà e amore. Solo se viene da un cuore umile che non si pone al di sopra dell'altro, non si considera meglio dell'altro, ma solo umile strumento per aiutarsi reciprocamente. Solo se si sente questa profonda e vera umiltà, se si sente che queste parole vengono dall'amore comune, dall'affetto collegiale nel quale vogliamo insieme servire Dio, possiamo in questo senso aiutarci con un grande atto di amore. Anche qui il testo greco aggiunge qualche sfumatura, la parola greca è «paracaleisthe»; è la stessa radice dalla quale viene anche la parola «Paracletos, paraclesis», consolare. Non solo correggere, ma anche consolare, condividere le sofferenze dell'altro, aiutarlo nelle difficoltà. E anche questo mi sembra un grande atto di vero affetto collegiale. Nelle tante situazioni difficili che nascono oggi nella nostra pastorale, qualcuno si trova realmente un po' disperato, non vede come può andare avanti. In quel momento ha bisogno della consolazione, ha bisogno che qualcuno sia con lui nella sua solitudine interiore e compia l'opera dello Spirito Santo, del Consolatore: quella di dare coraggio, di portarci insieme, di appoggiarci insieme, aiutati dallo Spirito Santo stesso che è il grande Paraclito, il Consolatore, il nostro Avvocato che ci aiuta. Quindi è un invito a fare noi stessi «ad invicem» l'opera dello Spirito Santo Paraclito. «Idem sapite»: sentiamo dietro la parola latina la parola «sapor», «sapore»: Abbiate lo stesso sapore per le cose, abbiate la stessa visione fondamentale della realtà, con tutte le differenze che non solo sono legittime ma anche necessarie, ma abbiate «eundem sapore», abbiate la stessa sensibilità. Il testo greco dice «froneite», la stessa cosa. Cioè abbiate lo stesso pensiero sostanzialmente. Come potremmo avere in sostanza un pensiero comune che ci aiuti a guidare insieme la Santa Chiesa se non condividendo insieme la fede che non è inventata da nessuno di noi, ma è la fede della Chiesa, il fondamento comune che ci porta, sul quale stiamo e lavoriamo? Quindi è un invito ad inserirci sempre di nuovo in questo pensiero comune, in questa fede che ci precede. «Non respicias peccata nostra sed fidem Ecclesiae tuae»: è la fede della Chiesa che il Signore cerca in noi e che è anche il perdono dei peccati. Avere questa stessa fede comune. Possiamo, dobbiamo vivere questa fede, ognuno nella sua originalità, ma sempre sapendo che questa fede ci precede. E dobbiamo comunicare a tutti gli altri la fede comune. Questo elemento ci fa passare già all'ultimo imperativo, che ci dà la pace profonda tra di noi. E a questo punto possiamo pensare anche a «touto froneite», ad un altro testo della Lettera ai Filippesi, all'inizio del grande inno sul Signore, dove l'Apostolo ci dice: abbiate gli stessi sentimenti di Cristo, entrare nella «fronesis», nel «fronein», nel pensare di Cristo. Quindi possiamo avere la fede della Chiesa insieme, perché con questa fede entriamo nei pensieri, nei sentimenti del Signore. Pensare insieme con Cristo. Questo è l'ultimo affondo di questo avvertimento dell'Apostolo: pensare con il pensiero di Cristo. E possiamo farlo leggendo la Sacra Scrittura nella quale i pensieri di Cristo sono Parola, parlano con noi. In questo senso dovremmo esercitare la «Lectio Divina», sentire nelle Scritture il pensiero di Cristo, imparare a pensare con Cristo, a pensare il pensiero di Cristo e così avere i sentimenti di Cristo, essere capaci di dare agli altri anche il pensiero di Cristo, i sentimenti di Cristo. E così l'ultimo imperativo «pacem habete et eireneuete», è quasi il riassunto dei quattro imperativi precedenti, essendo così in unione con Dio che è la pace nostra, con Cristo che ci ha detto: «pacem dabo vobis». Siamo nella pace interiore, perché essere nel pensiero di Cristo unisce il nostro essere. Le difficoltà, i contrasti della nostra anima si uniscono, si è uniti all'originale, a quello di cui siamo immagine con il pensiero di Cristo. Così nasce la pace interiore e solo se siamo fondati su una profonda pace interiore possiamo essere persone della pace anche nel mondo, per gli altri. Qui la domanda, questa promessa è condizionata dagli imperativi? Cioè solo nella misura nella quale noi possiamo realizzare gli imperativi, questo Dio della pace è con noi? Come è la relazione tra imperativo e promessa? Io direi che è bilaterale, cioè la promessa precede gli imperativi e rende realizzabili gli imperativi e segue anche tale realizzazione degli imperativi. Cioè, prima di tutto quanto facciamo noi, il Dio dell'amore e della pace si è aperto a noi, è con noi. Nella Rivelazione cominciata nell'Antico Testamento Dio è venuto incontro a noi con il suo amore, con la sua pace. E finalmente nell'Incarnazione si è fatto Dio con noi, Emmanuele, è con noi questo Dio della pace che si è fatto carne con la nostra carne, sangue del nostro sangue. È uomo con noi e abbraccia tutto l'essere umano. E nella crocifissione e nella discesa alla morte, totalmente si è fatto uno con noi, ci precede con il suo amore, abbraccia prima di tutto il nostro agire. E questa è la nostra grande consolazione. Dio ci precede. Ha già fatto tutto. Ci ha dato pace e perdono e amore. È con noi. E solo perché è con noi, perché nel Battesimo abbiamo ricevuto la sua grazia, nella Cresima lo Spirito Santo, nel Sacramento dell'Ordine abbiamo ricevuto la sua missione, possiamo adesso fare noi, cooperare con questa sua presenza che ci precede. Tutto questo nostro agire del quale parlano i cinque imperativi è un cooperare, un collaborare con il Dio della pace che è con noi. Ma vale, dall'altra parte, nella misura nella quale noi realmente entriamo in questa presenza che ha donato, in questo dono già presente nel nostro essere. Cresce naturalmente la sua presenza, il suo essere con noi. E preghiamo il Signore che ci insegni a collaborare con la sua precedente grazia e di essere così realmente sempre con noi. Amen! [00020-01.03] [NNNNN] [Testo originale: italiano] ♦ SECONDA CONGREGAZIONE GENERALE (LUNEDÍ, 3 OTTOBRE 2005 - POMERIDIANO) ● INTERVENTI IN AULA (INIZIO) Alle ore 16.30 di oggi, alla presenza del Santo Padre a partire delle ore 17.55, con la recita dell’Adsumus ha avuto luogo la Seconda Congregazione Generale, per l’inizio degli interventi dei Padri Sinodali in Aula sul tema sinodale. Presidente Delegato di turno S.Em.R. il Sig. Card. Francis ARINZE, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. A questa Congregazione Generale che si è conclusa alle ore 19.00 con la preghiera dell’Angelus Domini erano presenti 241 Padri. ● INTERVENTI IN AULA (INIZIO) Quindi, sono intervenuti i seguenti Padri: - S.Em.R. Card. José SARAIVA MARTINS, C.M.F., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi (CITTÀ DEL VATICANO) - S.E.R. Mons. Donald William WUERL, Vescovo di Pittsburgh (STATI UNITI D'AMERICA) - S.Em.R. Card. Stephen Fumio HAMAO, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti (CITTÀ DEL VATICANO) - S.E.R. Mons. Robert LE GALL, O.S.B., Vescovo di Mende (FRANCIA) - S.E.R. Mons. Philippe GUENELEY, Vescovo di Langres (FRANCIA) - S.E.R. Mons. John Patrick FOLEY, Arcivescovo titolare di Neapoli di Proconsolare, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali (CITTÀ DEL VATICANO) - S.B.R. Ignace Pierre VIII ABDEL-AHAD, Patriarca di Antiochia dei Siri, Capo del Sinodo della Chiesa Sira Cattolica (LIBANO) - Rev. P. Joseph William TOBIN, C.SS.R., Superiore Generale della Congregazione del Santissimo Redentore - S.E.R. Mons. Bruno FORTE, Arcivescovo di Chieti-Vasto (ITALIA) - S.E.R. Mons. Alberto GIRALDO JARAMILLO, P.S.S., Arcivescovo di Medellín (COLOMBIA) - S.E.R. Mons. Salvatore FISICHELLA, Vescovo titolare di Voghenza, Ausiliare di Roma, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense in Roma (ITALIA) - S.E.R. Mons. Tadeusz KONDRUSIEWICZ, Arcivescovo della Madre di Dio a Mosca (FEDERAZIONE RUSSA) - S.E.R. Mons. Cristián CARO CORDERO, Arcivescovo di Puerto Montt (CILE) - Rev. P. Josep Maria ABELLA BATLLE, C.M.F., Superiore Generale dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi: - S.Em.R. Card. José SARAIVA MARTINS, C.M.F., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi (CITTÀ DEL VATICANO) 1. Tra i vari aspetti del Mistero eucaristico, va sottolineato, innanzitutto, la sua essenziale dimensione pasquale, di cui parla, a varie riprese, l'IL. "Non si può disgiungere la morte di Cristo dalla sua risurrezione" (IL, 7). Questa appartiene, infatti, anch'essa, al sacrificio Redentore di Cristo (Rom 4, 24-25). Egli è morto per risorgere. Il Venerdì Santo non avrebbe alcun senso senza la Domenica di Risurrezione. Gesù non ha mai separato questi due eventi salvifici. Anzi, Egli ha affermato sempre, con estrema chiarezza, l'inscindibile legame tra di essi. Orbene, essendo l'Eucaristia la ri-attualizzazione, nel tempo e nella storia, del Sacrificio di Cristo, essa rende presente non soltanto la sua morte, ma anche la sua risurrezione (cf IL, 8), l'intero mistero pasquale. Lo sottolinea con forza l'Enciclica "Ecclesia de Eucharistia", quando afferma che il "Sacrificio eucaristico rende presente non solo il mistero della passione e della morte del Salvatore, ma anche il mistero della sua risurrezione, in cui il Sacrificio trova il suo coronamento" (EdE; 14). L'Eucaristia è, in altre parole, il memoriale della Pasqua di Cristo. 2. E proprio in quanto memoriale della Pasqua di Cristo, l'Eucaristia è "sorgente ed epifania di comunione" (MND, 19) sia nella sua dimensione verticale, in rapporto cioè a Cristo, sia nella sua dimensione orizzontale, cioè tra i suoi discepoli. L'Eucaristia è, prima di tutto, la sorgente della più profonda, sublime e radicale comunione con il Redentore. Alla richiesta dei discepoli di Emmaus di rimanere con loro, Gesù rispose con un dono molto più grande: cioè mediante il sacramento dell 'Eucaristia, trovò il modo di rimanere, non soltanto con loro, ma in loro. Ricevere l'eucaristia è entrare in comunione profonda con Gesù. "Rimanete in me ed io in voi" (Gv 15,4) (MND, 19). Ma l'intima e misteriosa comunione con Cristo realizzata nell'Eucaristia, non può essere né compresa né pienamente vissuta, al di fuori della "comunione ecclesiale". La prima porta necessariamente alla seconda. Questa scaturisce necessariamente da quella. La Chiesa, si legge nella MND, è il Corpo di Cristo; si cammina 'con Cristo' nella misura in cui si è in rapporto 'con il Corpo mistico' (MND, 20). L' "Ut unum sint” di Cristo si attua pienamente nell' Eucaristia. Le prime comunità cristiane costituivano un "cuore solo ed un'anima sola" in virtù della partecipazione al banchetto eucaristico, alla "fractio panis". L'Eucaristia, dunque, unendo vitalmente gli uomini a Cristo, li unisce anche tra di loro. Lo stesso Cristo diviene, nell'Eucaristia, vincolo vivente tra i membri del suo Corpo. L'Eucaristia abbatte tutte le barriere culturali e sociali, per fare di tutti coloro che lo ricevono una sola Comunità di fede, di speranza e di amore, per incamminarli verso quell'unità che trova il suo modello e la sua perfezione nell'unità della stessa SS. Trinità. Ma, oltre ad essere sorgente, l’Eucaristia è anche l'epifania o manifestazione della comunione dei fedeli con Cristo e tra loro (cf MND, l9 ss.). Mai come nella celebrazione dell'Eucaristia, la Chiesa è, ed appare, così perfettamente una, una koinonia, una comunione. La Chiesa è una perché una è l'Eucaristia. Il Concilio parla di "ecclesiologia di comunione": si tratta, ovviamente, di una ecclesiologia di comunione eucaristica, perché radicata nel sacramento dell'altare. In questo contesto, va sottolineata, inoltre, la valenza fortemente ecumenica dell' Eucaristia. Il vero ecumenismo, infatti, non consiste tanto nell'andare noi verso i nostri fratelli separati o nel venire loro verso di noi, bensì nell'andare, noi e loro, sotto la guida dello Spirito, verso Colui che ha voluto rimanere con noi sotto le specie eucaristiche. Fonte ed epifania della comunione ecclesiale, l'Eucaristia non può non essere altresì sorgente inesauribile di gioia: di quella gioia pasquale che scaturisce dal Signore Risorto presente nell’Eucaristia. I primi cristiani "nelle loro case spezzavano il pane prendendo cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio" (Att. 2,46-47). [00021-01.05] [IN001] [Testo originale: italiano] - S.E.R. Mons. Donald William WUERL, Vescovo di Pittsburgh (STATI UNITI D'AMERICA) Il nostro impegno catechetico si svolge, oggi, nel contesto di un mondo altamente secolarizzato. Una delle sfide maggiori che dobbiamo affrontare come seguaci di Cristo è la grande disparità tra ciò che vediamo nella fede come orizzonte della vita e ciò che questa cultura secolare vede come obiettivo e fine dell’esistenza. La nostra catechesi, specialmente sulle questioni della morale e della giustizia sociale, non deve allontanarsi dal centro della fede, ovvero la morte e la risurrezione di Cristo e la nostra partecipazione a questo evento salvifico attraverso l’Eucaristia. Qualunque piano pastorale o suggerimento emergerà per l’orientamento futuro del ministero pastorale della Chiesa dovrà includere l’accento sul mistero fondante della presenza e dell’azione permanente di Cristo nell’Eucaristia. [00024-01.05] [IN004] [Testo originale: inglese] - S.Em.R. Card. Stephen Fumio HAMAO, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti (CITTÀ DEL VATICANO) L’attuale panorama mondiale assistiamo a trasformazioni così grandi da suscitare l’impressione che stia per comparire una nuova umanità. Cadono le frontiere nazionali, popoli e razze si mescolano, si confrontano le culture, si creano organismi sovranazionali, si ricerca un diritto internazionale, si insegue l’unificazione sociale, politica e, soprattutto, economica, che va sotto il nome di “globalizzazione”. Si va così formando un unico mercato mondiale delle merci e delle idee. È un grande vantaggio, ovviamente, ma questo processo comporta anche dei rischi. La diversità è indubbiamente fonte di ricchezza, ma l’abbattimento delle frontiere spesso non coincide con la “globalizzazione della solidarietà”. Si emanano misure sempre più restrittive nei confronti dei migranti e dei rifugiati, si adottano procedure sempre più severe per impedire ai disagiati dei Paesi poveri del mondo la partecipazione al benessere dei Paesi ricchi; la diversità dello straniero è considerata spesso come una minaccia anziché un beneficio di mutuo arricchimento. La Chiesa Cattolica non è solo “sparsa nei cinque continenti” ma è pure in movimento fra di essi e il sacramento dell’Eucaristia le si offre come centro di unificazione, punto di convergenza, dimensione qualificata dell’accoglienza delle diversità nell’unità. Uomini e donne in movimento, con proprie modalità che si radicano nella cultura, nella tradizione, nel rito proprio, nell’uso della lingua vernacola, nella devozione popolare, trovano nella celebrazione dell’Eucaristia il punto fermo della loro vita, spesso frammentata e sconvolta: è Gesù Cristo incarnato, morto e risorto, “tutto intero... sostanzialmente presente nella realtà del suo Corpo e del suo Sangue”. Per questo, non basta dire che l’Eucaristia sta al centro della comunità cristiana, bisogna anche dire che la Chiesa sta al centro dell’Eucaristia! La storia della Salvezza, nella quale anche le migrazioni hanno un posto importante, ha al suo centro il sacrificio pasquale del Figlio di Dio e la sua risurrezione e, pertanto, l’Eucaristia vi occupa un posto centrale. Infine, l’Eucaristia tende al futuro escatologico, in quanto pregustazione del banchetto del Regno, al quale l’umanità intera è chiamata a partecipare. Essa ci proietta a vivere il “già” e il “non ancora” impegnandoci nel presente storico a un adeguato e autentico processo di inculturazione. L’Eucaristia celebrata con e dai fratelli e sorelle in mobilità è legame di fraternità e sorgente di accoglienza, fonte di opere buone in quanto conduce alla testimonianza dei valori evangelici nel mondo, nell’unità delle tre dimensioni della vita cristiana, cioè liturgia-martyria-diaconia, per una nuova evangelizzazione: nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione. Ecco che, allora, l’Eucaristia manifesta il significato dell’esistenza cristiana sulla terra come momento nel quale la Chiesa sperimenta il suo essere in cammino, “viandante”, “emigrante”, “pellegrina”. L’Eucaristia è, dunque, “l’alimento dei pellegrini”, il sacramento dell’esodo che continua, il sacramento pasquale, cioè del “passaggio”, fino a raggiungere “l’eredità eterna” del Regno di Dio nella comunione dei Santi. [00025-01.07] [Testo originale: italiano] - S.E.R. Mons. Robert LE GALL, O.S.B., Vescovo di Mende (FRANCIA) A più riprese l’Instrumentum laboris sottolinea come l’Eucaristia sia un dono e un mistero (nn. 12, 25, 34, 35, 48, 86) al quale dobbiamo accedere e verso il quale dobbiamo guidare con umiltà (n. 51) e in spirito d’adorazione (n. 65). In tal senso s’insiste, come Papa Giovanni Paolo II nella Tertio Millennio ineunte, sul “primato della grazia” (n. 31). In questo spirito, occorrerebbe mostrare meglio come nell’Eucaristia Dio è il Protagonista che suscita la nostra azione e la rende grande. Il n. 25 va in questa direzione, ma resta confuso. Sarebbe opportuno osservare più da vicino l’insegnamento della Sacrosantum Concilium al n. 7, che esprime con chiarezza la teologia della liturgia. La ricchezza del n. 7 della Sacrosanctum Concilium sta nel suo riprendere la definizione della liturgia proposta da Papa Pio XII nella Mediator Dei completandola: il culto orienta l’uomo verso Dio grazie all’Uomo-Dio che ci conduce al Padre; è questa la linea ascendente. Tuttavia, la linea discendente (cfr. Dies Domini, n. 43), per la quale Dio viene a noi attraverso l’Incarnazione redentrice, viene sempre prima: il Concilio la chiama “santificazione”, mentre la linea ascendente è giustamente detta culto integrale esercitato dall’intero Corpo mistico. Per la qualità delle nostre celebrazioni è molto importante che si percepisca chiaramente questa articolazione nell’Opus Dei - tale espressione è ripetuta spesso nei primi numeri della Sacrosanctum Conclium - tra l’opus Dei facientis e l’opus Ecclesiae, ovvero tra ciò che Dio fa per noi, con noi, e ciò che noi facciamo per lui, con lui. È questo il senso della dossologia della Preghiera Eucaristica, momento centrale della Messa. Si tratta di una chiave di tutta la vita spirituale, dove il primato della grazia fa scaturire la parte migliore della nostra libertà. Se “rendiamo grazie” è perché riceviamo la grazia. [00026-01.04] [IN013] [Testo originale: francese] - S.E.R. Mons. Philippe GUENELEY, Vescovo di Langres (FRANCIA) Una delle principali preoccupazioni dei Pastori nelle comunità cristiane è l’iniziazione all’Eucaristia. Tale iniziazione riguarda i bambini che vengono preparati alla prima comunione, come pure i giovani e gli adulti ai quali viene proposto un percorso catecumenale adeguato alla loro età, che li conduce progressivamente alla celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, da cui l’Eucaristia. Ora, il legame tra il battesimo e l’Eucaristia non viene sufficientemente sottolineato e il permanere della pratica eucaristica è reso difficile l’indomani della prima partecipazione. Sarebbe auspicabile che il Sinodo insistesse sullo stretto legame tra il battesimo e l’Eucaristia, affinché essa appaia come culmine della vita battesimale. Con i bambini piccoli che sono stati battezzati nei primi anni d’età occorre una mistagogia affinché prendano coscienza che l’Eucaristia si radica nella loro condizione di battezzati e alimenta realmente la vita battesimale. Per i giovani e gli adulti, è opportuno che, nel periodo di iniziazione ai sacramenti, la preparazione non sia focalizzata unicamente sul battesimo e che l’iniziazione all’Eucaristia sia svolta congiuntamente a quella del Battesimo. È consigliabile proporre ai catecumeni di assistere alle celebrazioni eucaristiche prima di parteciparvi pienamente attraverso la comunione. Il contesto familiare e sociale è tale che esiste una certa ignoranza su che cosa è l’Eucaristia. Se la pratica eucaristica è debole, forse è perché il significato dell’Eucaristia non è stato scoperto. Occorre proporre delle celebrazioni che preparino all’Eucaristia. Bisogna attuare un’autentica pedagogia. Uno sforzo notevole, che dà buoni frutti, viene svolto nelle nostre diocesi nella preparazione al sacramento della cresima. Non è forse opportuno ispirarsi a ciò che viene fatto a favore della cresima per iniziare all’Eucaristia? [00027-01.04] [IN014] [Testo originale: francese] - S.E.R. Mons. John Patrick FOLEY, Arcivescovo titolare di Neapoli di Proconsolare, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali (CITTÀ DEL VATICANO) Esprimere la richiesta che i vescovi del mondo possano trarre profitto dalla possibilità di trasmettere televisivamente la liturgia e di porre grande attenzione al modo in cui queste liturgie televisive vengono celebrate. In molte diocesi, e in verità in molte nazioni, esiste ormai una tradizione di teletrasmettere la liturgia di domenica e nei giorni di precetto. In seguito alle visite che ho fatto in molti paesi e alla visione di videocassette posso testimoniare che la maggior parte di queste liturgie televisive vengono celebrate in modo rispettoso e che esprimono un’accurata preparazione. In ogni caso, di tanto in tanto si potranno vedere singoli celebranti che si discostano dalle norme liturgiche della Chiesa, e ciò può servire quantomeno a disorientare, se non, forse, a diseducare alcuni spettatori, dando l’impressione a taluni sacerdoti e alla gente che sia giustificato distanziarsi dalle norme liturgiche perché lo si è visto fare alla televisione. Le liturgie televisive dovrebbe essere considerate come normative per ciò che vi è da aspettarsi nelle celebrazioni locali dell’Eucaristia. Il rispetto da parte di chi celebra il rito e di chi vi prende parte, la fedeltà alle norme liturgiche della Chiesa, la qualità della musica e la partecipazione dei fedeli dovrebbero essere modelli di servizio liturgico, illuminanti per il fedele ed edificanti per coloro che non condividono la nostra fede ma che magari possono stare a guardare o essere in ascolto, anche per curiosità. Se assistere a una liturgia televisiva non soddisfa l’obbligo domenicale, tuttavia può e dovrebbe aiutare ad approfondire la vita spirituale di ciascuno. La teletrasmissione di una liturgia non è solamente un servizio per il malato e l’anziano che non possono assistere di persona alla Messa. Guardarla può costituire un’adeguata preparazione per la partecipazione personale alla liturgia della Domenica oppure può essere un momento in cui continuano il ringraziamento e la riflessione per il fedele che è tornato a casa dopo il rito. È interessante notare come il programma religioso regolarmente programmato in assoluto più seguito nel mondo è la trasmissione della Messa di Mezzanotte a Natale presieduta dal Santo Padre, che è vista in circa 75 nazioni. Un buon numero di persone, anche tra i Protestanti, hanno detto che questa trasmissione da Roma è diventata una tradizione natalizia per loro, e intere famiglie si radunano intorno al televisore per essere uniti in preghiera con il Santo Padre. Mentre alcuni paesi dell’Europa occidentale non trasmettono questa celebrazione preferendo le liturgie locali, dirigenti televisivi di un certo numero di Stati in America, Asia e Africa ci hanno detto quanto sono felici di ricevere questo programma dal Vaticano. Con la liberalizzazione dei mezzi di comunicazione sociale negli Stati Uniti, la Messa di Mezzanotte a Natale, dal Vaticano, resta l’unico, ripeto, l’unico programma religioso regolarmente trasmesso dalla principale rete televisiva. La copertura, a livello mondiale, da parte dei mezzi di comunicazione sociale delle celebrazioni liturgiche a Roma nello scorso aprile è stata, naturalmente, ancora maggiore rispetto a quella riservata alle trasmissioni di Natale, della Settimana Santa e di Pasqua, ma le opportunità che ci sono nei paesi e nelle città del mondo per trasmissioni televisive liturgiche a frequenza settimanale o almeno occasionale sono estremamente importanti per contribuire a soddisfare la fame spirituale di milioni di persone che desiderano identificarsi con Gesù, la via, la verità e la vita. Grazie! [00028-01.04] [IN016] [Testo originale: inglese] - S.B.R. Ignace Pierre VIII ABDEL-AHAD, Patriarca di Antiochia dei Siri, Capo del Sinodo della Chiesa Sira Cattolica (LIBANO) Alcune delle prime comunità sire d’Antiochia sono sorte dalle comunità giudeo-cristiane di Gerusalemme d’Antiochia e della Mesopotamia. Per questo, passando al cristianesimo i cristiani d’Antiochia non si sono allontanati dalle loro antiche tradizioni soprattutto delle feste ebraiche, come la Pasqua o Pesah, in lingua ebraica, o Feshjo, in aramaico. Nel Signore essi hanno individuato l’autentico Agnello pasquale e subito hanno stabilito, nelle loro meditazioni, dei parallelismi tra l’agnello pasquale d’Egitto e l’Agnello pasquale di Gerusalemme, che fu Gesù Cristo sulla croce, immolato già nel Cenacolo come anticipazione. Sant’Efrem ha sviluppato tale parallelismo scrivendo: “In Egitto fu versato il sangue dell’agnello per la liberazione del popolo e a Sion fu versato il sangue dell’Agnello della verità. Contemplando questi due agnelli constatiamo le loro somiglianze e le loro divergenze. L’agnello dell’Egitto fu come un mistero nell’ombra, mentre l’Agnello della verità è il suo compimento. L’Agnello pasquale, Gesù Cristo, con il suo sangue ha salvato il popolo dai suoi errori, come l’agnello d’Egitto, dove ne furono offerti a migliaia, ma uno solo ha salvato l’Egitto. Molti agnelli furono offerti, ma uno solo ha dissipato l’errore. In Egitto il simbolo, ma nella Chiesa la realtà. Il pane che il Signore mangiò con i discepoli a Pasqua, a Pesah, e che ha spezzato, ha sostituito il pane azzimo che diede la morte a quanti lo mangiarono. La Chiesa ci dona il Pane di Vita in sostituzione del pane azzimo donato in Egitto. Maria ci ha donato il Pane di Vita in sostituzione del pane di fatiche donato da Eva”. In questa spiritualità la Chiesa sira vive ogni domenica dell’anno il Mistero Pasquale, tranne nelle domeniche d’Avvento e della Quaresima. È verso l’Eucaristia che si volgono i fedeli per ottenere la purificazione dai peccati e il “conforto di Vita”. Pasqua, Pesho, ha il doppio significato di passaggio e gioia. L’Eucaristia, Pane di Vita, gioia Pasquale, fa la gioia dei credenti. Il Dio Onnipotente si abbassa ed è portato dai poveri esseri umani. Come dice l’anafora di San Giacomo, “È l’Uva di Vita che quanti l’hanno crocifisso hanno pigiato senza gustare e che i credenti hanno ricevuto senza staccarsene. È il Pane Celeste che non affama quanti lo mangiano ed è la Bevanda spirituale che non asseta chi la beve”. Prima di ricevere il Pane Celeste, la comunità dei fedeli prega il Signora di donarle labbra pure per ricevere il suo Corpo e di concederle di gioire del suo Sangue. Offrendo il Corpo e il Sangue di Cristo, il sacerdote dice a chi si comunica: “che la brace purificatrice del Corpo e del Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo serva per la remissione e il perdono dei tuoi peccati”. Così l’Eucaristia viene sempre vissuta come un Mistero pasquale nella Chiesa Sira d’Antiochia. [00030-01.05] [IN017] [Testo originale: francese] - Rev. P. Joseph William TOBIN, C.SS.R., Superiore Generale della Congregazione del Santissimo Redentore Il punto da cui desidero partire è la discussione del rapporto tra Eucaristia e Penitenza trattato al n. 23 dell’Instrumentum Laboris. L’Instrumentum Laboris fa spesso riferimento al rapporto tra Eucaristia e Penitenza, e spesso il rapporto tra i due sacramenti è presentato come motivo di preoccupazione. Come possiamo aiutare le persone a riacquistare affetto per il sacramento della Penitenza e apprezzare il dono dell’Eucaristia come somma motivazione per amare Dio che si è donato a noi? Individuerò quattro livelli del problema, ovvero la comprensione ecclesiale, sacramentale, morale e giuridica dell’Eucaristia e della Penitenza. Dobbiamo affrontare problemi molto gravi per quanto riguarda la tensione tra la celebrazione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Dovremmo partire dalla dimensione ecclesiale dei due sacramenti per poi proseguire con una presentazione sacramentale adeguata di entrambi. Alla luce di questi due aspetti fondamentali, possiamo passare alle questioni sociali e ai problemi giurisdizionali coinvolti. È questa una via migliore, e più fedele alla Scrittura e alla tradizione, della tendenza a iniziare con gli aspetti morali e disciplinari, che potrebbero provocare inutilmente delle divisioni nella Chiesa. Le realtà umane di entrambi i sacramenti sono importanti, ma non tanto fondamentali quanto il fatto che i sacramenti ricevono il loro significato più profondo dal Mistero Pasquale di Cristo, che è la chiave per comprendere la Presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia e la liberazione dai vincoli dei peccati gravi attraverso il sacramento della Penitenza. [00029-01.04] [IN019] [Testo originale: inglese]] - S.E.R. Mons. Bruno FORTE, Arcivescovo di Chieti-Vasto (ITALIA) Il capitolo II della Parte I dell’Instrumentum laboris è dedicato al tema “Eucaristia e comunione ecclesiale”: in particolare il n. 11 tratta del mistero eucaristico come “espressione di unità ecclesiale”. In altri passaggi si tocca il rapporto fra eucaristia e Chiesa: così al n. 14 si parla dell’unità eucaristica come manifestazione dell’unità ecclesiale o al n. 49 della celebrazione dell’eucaristia come “atto della Chiesa nella sua universalità, anteriore a qualsiasi distinzione particolare e locale”. Nonostante questi richiami, mi sembra che restino poco valorizzate le potenzialità dell’ecclesiologia eucaristica, di quel rapporto, cioè, fra l’Eucaristia e la Chiesa, che è stato concepito dalla grande Tradizione cristiana come costitutivo ed essenziale per l’essere e l’agire della Chiesa stessa. Ecco perché ritengo importante sollecitare e proporre un approfondimento in questa direzione: basti solo pensare che l’antichità cristiana designava con la stessa espressione “Corpus Cristi” il corpo storico, il corpo eucaristico e il corpo ecclesiale di Cristo, mostrando così le profonde connessioni del mistero dell’unità salvifica in tutti i suoi aspetti. Si può affermare che per la coscienza della Chiesa indivisa del primo millennio l’unità dell’eucaristia nella molteplicità delle celebrazioni rappresenta efficacemente l’unità della “Catholica” nella molteplicità delle comunità locali celebranti sotto la presidenza dei loro Vescovi: la “pericoresi ecclesiologica” - immagine e somiglianza di quella delle divine Persone - è partecipata alla Chiesa mediante il dono dell’eucaristia. Via privilegiata per esprimere e realizzare questa “pericoresi” ecclesiologica sono stati nella grande tradizione cattolica i sinodi e i concili, che nella Chiesa antica avevano sempre un rapporto esplicito e costitutivo con l’eucaristia. Ci si chiede come nel Sinodo dei Vescovi questa “sinodalità” o “collegialità” dei Vescovi “cum Petro et sub Petro”, fondata ed espressa nella “communio” eucaristica delle Chiese nell’unica Chiesa, possa essere espressa e realizzata al meglio. Spetta, peraltro, al Vescovo della Chiesa che presiede nell’amore, il Papa, indicare o stabilire altre forme possibili che favoriscano l’esercizio della collegialità episcopale nella luce della “communio” generata ed espressa dalla sinassi eucaristica. [00032-01.04] [IN022] [Testo originale: italiano] - S.E.R. Mons. Alberto GIRALDO JARAMILLO, P.S.S., Arcivescovo di Medellín (COLOMBIA) La famiglia è sempre stata una preoccupazione fondamentale nella vita e nel Magistero di Giovanni Paolo II. Guidati dal suo insegnamento, riflettiamo su tre punti. 1. Cristo invitato dalla famiglia Come a Cana, Cristo si fa presente. Sarà il garante dell’impegno degli sposi, il compagno di tutta la vita della famiglia. Sarà il Pane vivo che assicura la vita: gli sposi lo avranno come compagno di cammino come i discepoli di Emmaus. 2. L’Eucaristia e il matrimonio Quando si celebra il sacramento del matrimonio, nella Santa Messa “serva ad additare, come paradigma dell’amore cristiano, l’amore di Gesù Cristo che nell’Eucaristia ama la Chiesa come sua sposa sino a dare la vita per essa” (Instrumentum laboris 19). 3. Due momenti privilegiati - La prima comunione dei figli. In modo tale che si edifichi un’esperienza di Eucaristia sin dai primi anni. - La Santa Messa domenicale. Che sarà per la famiglia: luce, alimento dell’unità familiare, forza di invio missionario dentro e fuori della famiglia. La famiglia è “Chiesa domestica”. L’Eucaristia edifica la famiglia, la famiglia fa l’Eucaristia. [00033-01.05] [IN024] [Testo originale: spagnolo] - S.E.R. Mons. Salvatore FISICHELLA, Vescovo titolare di Voghenza, Ausiliare di Roma, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense in Roma (ITALIA) Si interviene in riferimento ai nn. 3-10 dell’Instrumentum laboris dove, ripetutamente, emerge il problema del contesto contemporaneo all’interno del quale si pone la celebrazione e la comprensione del mistero eucaristico. La prima nota con la quale conviene confrontarsi è il profondo “cambiamento culturale” in atto. È importante ribadire che “l’eucaristia è fonte di cultura e spazio all’interno del quale si ritrovano i comportamenti personali e sociali che manifestano lo stile di vita del credente”. La grande sfida che attende i cristiani nei prossimi decenni è quella di un rinnovato stile di vita che rimetta al centro della loro esistenza il mistero eucaristico. Perché questo avvenga è importante recuperare alcuni elementi che sono propri dell’eucaristia: 1. L’educazione alla “bellezza” che si articola su diversi piani: da parte del celebrante, perché comprenda il valore dell’azione liturgica, dei segni che la compongono e il linguaggio evocativo che posseggono; da parte di quanti hanno la cura della costruzione della chiese, perché non cedano a ideologie che tendono a oscurare la loro presenza nel territorio o a creare uno spazio ibrido che vanifica la percezione del sacro. È determinante recuperare un linguaggio che per sua stessa natura faccia comprendere il valore del luogo dove si celebra l’eucaristia e il suo senso profondo. 2. In un periodo come il nostro, carico di una cultura che impone l’acquisizione di ogni cosa solo in forza del desiderio del possesso o, viceversa, che pretende il diritto solo per il fatto di vedere attuato un desiderio, l’eucaristia esprime come porsi dinanzi all’essenziale della vita attraverso un comportamento che si fa forte della “gratuità”. Senza questa riscoperta difficilmente si potrà pensare di raggiungere nel futuro obiettivi che qualifichino l’esistenza personale e creino progresso per l’intera storia dell’umanità. 3. L’eucaristia può essere fonte di cultura che ripropone il “senso del sacrificio come offerta di libertà”. Inutile nascondersi che ai nostri giorni la libertà è ancora minacciata dall’inganno che essa si attui solo per la volontà di fare ciò che si vuole. L’eucaristia diventa una vera sfida sul piano dell’attuazione della libertà. Essa, infatti, dice che la libertà si realizza là dove vi è rinuncia a decidere di sé per far posto all’altro nell’amore. 4. L’eucaristia, infine, può educare a una cultura che porti a comprendere sempre meglio “la partecipazione dei credenti per la costruzione del mondo”. Fino alla venuta del Signore siamo chiamati a rendere partecipi tutti del mistero che celebriamo. Esso richiede la capacità di trasformare il mondo in modo tale che ognuno possa esprimere al meglio se stesso. Ciò richiede la possibilità di sapere andare incontro all’altro, condividendo il suo cammino di ricerca della verità e diventando per ciascuno compagno di strada; nel rispetto dei tempi di ognuno, comunque, il credente sa indicare la strada per trovare la risposta definitiva alla domanda di senso. [00034-01.04] [IN027] [Testo originale: italiano] - S.E.R. Mons. Tadeusz KONDRUSIEWICZ, Arcivescovo della Madre di Dio a Mosca (FEDERAZIONE RUSSA) La riforma liturgica ha permesso ad una partecipazione più cosciente, attiva e feconda dei fedeli all’Eucaristia. Però, con aspetti positivi essa ne ha portati anche quelli negativi. L’insufficiente disciplina e coscienza liturgica nella celebrazione dell’Eucaristia influisce negativamente anche sui rapporti ecumenici. La violazione delle norme liturgiche offusca la fede e la dottrina della Chiesa sull’Eucaristia, e porta al tradimento della regola “Lex orandi - Lex credendi”. L’Eucaristia si trova nel cuore della fede cristiana, che soffre soprattutto per lo stravolgimento dell’Eucaristia. Il Papa Benedetto XVI richiama alla devozione eucaristica e all’espressione coraggiosa e chiara della fede nella presenza reale del Signore, soprattutto nella sua solennità e correttezza. Perciò è necessario accettare il fatto che la Liturgia ha un carattere “stabilito dall’alto e non libertario”, che per sua essenza essa è “incorruttibile”, che “i segni visibili adoperati nella Liturgia per evidenziare le realtà divine sono stati scelti da Cristo o dalla Chiesa”. Corrotta vita liturgica chiede di approvazione di un nuovo documento dottrinale con accento sull’osservazione delle norme liturgiche. Cristo non deve soffrire a causa degli abusi nella celebrazione dell’Eucaristia, che deve sempre essere accolta e vissuta dai fedeli come “sacrum”, come rinnovazione misteriosa del Sacrificio di Cristo, come Sua energia salvifica che trasforma l’uomo e il mondo, come rafforzamento della fede e fonte di moralità. [00036-01.02] [IN030] [Testo originale: italiano] - S.E.R. Mons. Cristián CARO CORDERO, Arcivescovo di Puerto Montt (CILE) Il mio intervento riguarda due punti. Primo, la relazione tra Eucaristia e Penitenza; secondo, tra Eucaristia e Pastorale Vocazionale. 1. La relazione tra Eucaristia e Sacramento della Penitenza è trattata nell’Instrumentum Laboris ai nn. 22-24 e anche quando si parla di Eucaristia, fonte della morale cristiana ai nn. 72-74. L’”Anno della Eucaristia” ha portato in Cile palesi frutti spirituali e pastorali nella vita della Chiesa, frutti che, in un modo o nell’altro, si ripercuotono sulla vita della società. È stato provvidenziale che quest’anno coincidesse con la canonizzazione di P. Alberto Hurtado, che fu uomo eucaristico e sociale. La mia proposta è che, vista la stretta relazione teologica, spirituale e pastorale tra Eucaristia e Sacramento della Penitenza, e tenendo conto delle ombre nel campo di quest’ultimo sacramento, si dedichi un anno al Sacramento della Penitenza, fissando come punti fondamentali: a) Il significato del Dio vivo e vero, e la sua eclisse nella cultura moderna b) La necessità di salvezza e l’annuncio di Gesù Cristo, l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo c) Il senso del peccato che è diminuito o scomparso a causa della dimenticanza di Dio e del relativismo morale d) La conversione e la virtù della penitenza e) La direzione e l’accompagnamento spirituale f) La celebrazione del Sacramento della Penitenza come incontro del peccatore che si converte delle sue miserie e di Dio che, nella sua misericordia in Cristo, lo accoglie e lo perdona g) Le condizioni per ricevere la S. Comunione h) La vita nuova in Cristo, quali suoi discepoli e membri della Chiesa 2. Con riferimento al rapporto tra Eucaristia e Pastorale Vocazionale, propongo che nell’”Anno della Penitenza” i sacerdoti vengano stimolati e formati in modo da occuparsi della direzione spirituale dei giovani e da dedicare tempo al Sacramento della Riconciliazione che, insieme con l’Eucaristia, è fondamentale nella direzione spirituale. [00037-01.06] [IN031] [Testo originale: spagnolo] - Rev. P. Josep Maria ABELLA BATLLE, C.M.F., Superiore Generale dei Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria Il numero 25 dell’ Instrumentum Laboris constata la necessità che la celebrazione dell’Eucaristia arrivi a “formare persone e comunità eucaristiche che amano e servono, come Gesù nell’Eucaristia”. In fondo, stiamo dicendo che quanti si riuniscono per celebrare la Pasqua del Signore sono, in mezzo alla società, memoria e segno vivo del Signore che dà la vita. Tuttavia spesso questo non succede. Durante la celebrazione si è vissuto un bel momento, ma la vita continua il suo cammino, mossa da altre preoccupazioni, incapace di rispondere alle esigenze che scaturiscono dall’Eucaristia che abbiamo celebrato. La celebrazione non diventa spiritualità nella vita dei fedeli e nemmeno si converte in dinamismo missionario. Osserviamo una certa dicotomia tra la vita e l’Eucaristia. Il Sinodo dovrebbe analizzare le cause di questa situazione per poter offrire risposte pastorali adeguate. Di seguito, alcuni apprezzamenti in questo senso. 1. In un ambiente culturale di una certa superficialità, come quello che frequentemente osserviamo, l’Eucaristia può diventare uno in più dei tanti avvenimenti che capitano senza lasciare un segno importante nelle persone. Senza una vita vissuta con intensità e profondità non è possibile vivere l’Eucaristia nel suo significato profondo. La pastorale eucaristica deve tener ben presente questa dimensione antropologico-culturale. 2. Si avverte la necessità di un legame più esplicito tra la celebrazione dell’Eucaristia e la vita concreta delle persone che vi partecipano. In effetti lo esige il numero 71 dell’ Instrumentum Laboris. Secondo questo paragrafo, è necessario mettere maggiormente in risalto nella catechesi eucaristica e nella celebrazione stessa, gli elementi specifici che aiutino a trovare questo legame. Su questo punto, ci illumina l’esperienza delle comunità ecclesiali di base e altre simili iniziative. 3. Un terzo aspetto riguarda il linguaggio, i segni, la stessa struttura della celebrazione e il modo di officiarla. Talvolta abbiamo l’impressione che abbiamo dato più risalto alla dimensione culturale, a discapito del “Memoriale e mensa comune”. Va così perduta in parte la forza provocatrice insita nel memoriale della Pasqua di Cristo e l’esigenza di fraternità che emerge dal partecipare insieme alla mensa del Signore. Dovremmo, in ogni contesto culturale, cercare di mettere in rilievo queste dimensioni così fondamentali affinché il dinamismo dell’Eucaristia trasformi la vita dei fedeli e rappresenti un fermento di cambiamento nella storia concreta dei popoli. [00038-01.04] [IN032] [Testo originale: spagnolo] Quindi sono seguiti gli interventi liberi. |