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Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato (1° settembre 2024), 27.06.2024


Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato, che sarà celebrata domenica 1° settembre 2024, sul tema “Spera e agisci con il creato”:

Messaggio del Santo Padre

Spera e agisci con il creato

Cari fratelli e sorelle!

“Spera e agisci con il creato”: è il tema della Giornata di preghiera per la cura del creato, il prossimo 1° settembre. È riferito alla Lettera di San Paolo ai Romani 8,19-25: l’Apostolo sta chiarendo cosa significhi vivere secondo lo Spirito e si concentra sulla speranza certa della salvezza per mezzo della fede, che è vita nuova in Cristo.

1. Partiamo allora da una domanda semplice, ma che potrebbe non avere una risposta ovvia: quando siamo davvero credenti, com’è che abbiamo fede? Non è tanto perché “noi crediamo” in qualcosa di trascendente che la nostra ragione non riesce a capire, il mistero irraggiungibile di un Dio distante e lontano, invisibile e innominabile. Piuttosto, direbbe San Paolo, è perché in noi abita lo Spirito Santo. Sì, siamo credenti perché l’Amore stesso di Dio è stato «riversato nei nostri cuori» (Rm 5,5). Perciò lo Spirito è ora, realmente, «la caparra della nostra eredità» (Ef 1,14), come pro-vocazione a vivere sempre protesi verso i beni eterni, secondo la pienezza dell’umanità bella e buona di Gesù. Lo Spirito rende i credenti creativi, pro-attivi nella carità. Li immette in un grande cammino di libertà spirituale, non esente tuttavia dalla lotta tra la logica del mondo e la logica dello Spirito, che hanno frutti tra loro contrapposti (Gal 5,16-17). Lo sappiamo, il primo frutto dello Spirito, compendio di tutti gli altri, è l’amore. Condotti, dunque, dallo Spirito Santo, i credenti sono figli di Dio e possono rivolgersi a Lui chiamandolo «Abbà, Padre» (Rm 8,15), proprio come Gesù, nella libertà di chi non ricade più nella paura della morte, perché Gesù è risorto dai morti. Ecco la grande speranza: l’amore di Dio ha vinto, vince sempre e ancora vincerà. Il destino di gloria è già sicuro, nonostante la prospettiva della morte fisica, per l’uomo nuovo che vive nello Spirito. Questa speranza non delude, come ricorda anche la Bolla di indizione del prossimo Giubileo.[1]

2. L’esistenza del cristiano è vita di fede, operosa nella carità e traboccante di speranza, nell’attesa del ritorno del Signore nella sua gloria. Non fa problema il “ritardo” della parusia, della sua seconda venuta. La questione è un’altra: «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Sì, la fede è dono, frutto della presenza dello Spirito in noi, ma è anche compito, da eseguire in libertà, nell’obbedienza al comandamento dell’amore di Gesù. Ecco la beata speranza da testimoniare: dove? quando? come? Dentro i drammi della carne umana sofferente. Se pur si sogna, ora si deve sognare a occhi aperti, animati da visioni di amore, di fratellanza, di amicizia e di giustizia per tutti. La salvezza cristiana entra nello spessore del dolore del mondo, che non coglie solo gli umani, ma l’intero universo, la stessa natura, oikos dell’uomo, suo ambiente vitale; coglie la creazione come “paradiso terrestre”, la madre terra, che dovrebbe essere luogo di gioia e promessa di felicità per tutti. L’ottimismo cristiano si fonda su una speranza viva: sa che tutto tende alla gloria di Dio, alla consumazione finale nella sua pace, alla risurrezione corporea nella giustizia, “di gloria in gloria”. Nel tempo che passa, però, condividiamo dolore e sofferenza: la creazione intera geme (cfr Rm 8,19-22), i cristiani gemono (cfr vv. 23-25) e geme lo Spirito stesso (cfr vv. 26-27). Il gemere manifesta inquietudine e sofferenza, insieme ad anelito e desiderio. Il gemito esprime fiducia in Dio e affidamento alla sua compagnia affettuosa ed esigente, in vista della realizzazione del suo disegno, che è gioia, amore e pace nello Spirito Santo.

3. Tutta la creazione è coinvolta in questo processo di una nuova nascita e, gemendo, attende la liberazione: si tratta di una crescita nascosta che matura, quasi “granello di senape che diventa albero grande” o “lievito nella pasta” (cfr Mt 13,31-33). Gli inizi sono minuscoli, ma i risultati attesi possono essere di una bellezza infinita. In quanto attesa di una nascita – la rivelazione dei figli di Dio – la speranza è la possibilità di rimanere saldi in mezzo alle avversità, di non scoraggiarsi nel tempo delle tribolazioni o davanti alla barbarie umana. La speranza cristiana non delude, ma anche non illude: se il gemito della creazione, dei cristiani e dello Spirito è anticipazione e attesa della salvezza già in azione, ora siamo immersi in tante sofferenze che San Paolo descrive come “tribolazione, angoscia, persecuzione, fame, nudità, pericolo, spada” (cfr Rm 8,35). Allora la speranza è una lettura alternativa della storia e delle vicende umane: non illusoria, ma realista, del realismo della fede che vede l’invisibile. Questa speranza è l’attesa paziente, come il non-vedere di Abramo. Mi piace ricordare quel grande visionario credente che fu Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese “di spirito profetico dotato”, secondo Dante Alighieri[2]: in un tempo di lotte sanguinose, di conflitti tra Papato e Impero, di Crociate, di eresie e di mondanizzazione della Chiesa, seppe indicare l’ideale di un nuovo spirito di convivenza tra gli uomini, improntata alla fraternità universale e alla pace cristiana, frutto di Vangelo vissuto. Questo spirito di amicizia sociale e di fratellanza universale ho proposto in Fratelli tutti. E questa armonia tra umani deve estendersi anche al creato, in un “antropocentrismo situato” (cfr Laudate Deum, 67), nella responsabilità per un’ecologia umana e integrale, via di salvezza della nostra casa comune e di noi che vi abitiamo.

4. Perché tanto male nel mondo? Perché tanta ingiustizia, tante guerre fratricide che fanno morire i bambini, distruggono le città, inquinano l’ambiente vitale dell’uomo, la madre terra, violentata e devastata? Riferendosi implicitamente al peccato di Adamo, San Paolo afferma: «Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,22). La lotta morale dei cristiani è connessa al “gemito” della creazione, perché essa «è stata sottoposta alla caducità» (v. 20). Tutto il cosmo ed ogni creatura gemono e anelano “impazientemente”, perché possa essere superata la condizione presente e ristabilita quella originaria: infatti la liberazione dell’uomo comporta anche quella di tutte le altre creature che, solidali con la condizione umana, sono state poste sotto il giogo della schiavitù. Come l’umanità, il creato – senza sua colpa – è schiavo, e si ritrova incapace di fare ciò per cui è progettato, cioè di avere un significato e uno scopo duraturi; è soggetto alla dissoluzione e alla morte, aggravate dagli abusi umani sulla natura. Ma, in senso contrario, la salvezza dell’uomo in Cristo è sicura speranza anche per il creato: infatti «anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Sicché, nella redenzione di Cristo è possibile contemplare in speranza il legame di solidarietà tra gli esseri uomini e tutte le altre creature.

5. Nell’attesa speranzosa e perseverante del ritorno glorioso di Gesù, lo Spirito Santo tiene vigile la comunità credente e la istruisce continuamente, la chiama a conversione negli stili di vita, per resistere al degrado umano dell’ambiente e manifestare quella critica sociale che è anzitutto testimonianza della possibilità di cambiare. Questa conversione consiste nel passare dall’arroganza di chi vuole dominare sugli altri e sulla natura – ridotta a oggetto da manipolare –, all’umiltà di chi si prende cura degli altri e del creato. «Un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso» (Laudate Deum, 73), perché il peccato di Adamo ha distrutto le relazioni fondamentali di cui l’uomo vive: quella con Dio, con sé stesso e gli altri esseri umani e quella con il cosmo. Tutte queste relazioni devono essere, sinergicamente, ristabilite, salvate, “rese giuste”. Nessuna può mancare. Se ne manca una, tutto fallisce.

6. Sperare e agire con il creato significa anzitutto unire le forze e, camminando insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, contribuire a «ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti. Il nostro potere, infatti, è aumentato freneticamente in pochi decenni. Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza» (Laudate Deum, 28). Un potere incontrollato genera mostri e si ritorce contro noi stessi. Perciò oggi è urgente porre limiti etici allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale, che con la sua capacità di calcolo e di simulazione potrebbe essere utilizzata per il dominio sull’uomo e sulla natura, piuttosto che messa servizio della pace e dello sviluppo integrale (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2024).

7. «Lo Spirito Santo ci accompagna nella vita»: l’hanno capito bene i bambini e le bambine riuniti in Piazza San Pietro per la loro prima Giornata Mondiale, che ha coinciso con la domenica della Santissima Trinità. Dio non è un’idea astratta di infinito, ma è Padre amorevole, Figlio amico e redentore di ogni uomo e Spirito Santo che guida i nostri passi sulla via della carità. L’obbedienza allo Spirito d’amore cambia radicalmente l’atteggiamento dell’uomo: da “predatore” a “coltivatore” del giardino. La terra è affidata all’uomo, ma resta di Dio (cfr Lv 25,23). Questo è l’antropocentrismo teologale della tradizione ebraico-cristiana. Pertanto, pretendere di possedere e dominare la natura, manipolandola a proprio piacimento, è una forma di idolatria. È l’uomo prometeico, ubriaco del proprio potere tecnocratico che con arroganza mette la terra in una condizione “dis-graziata”, cioè priva della grazia di Dio. Ora, se la grazia di Dio è Gesù, morto e risorto, è vero quanto ha affermato Benedetto XVI: «Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore» (Lett. enc. Spe salvi, 26), l’amore di Dio in Cristo, da cui niente e nessuno potrà mai separarci (cfr Rm 8,38-39). Continuamente attratta dal suo futuro, la creazione non è statica o chiusa in sé stessa. Oggi, anche grazie alle scoperte della fisica contemporanea, il legame tra materia e spirito si presenta in maniera sempre più affascinante alla nostra conoscenza.

8. La salvaguardia del creato è dunque una questione, oltre che etica, eminentemente teologica: riguarda, infatti, l’intreccio tra il mistero dell’uomo e quello di Dio. Questo intreccio si può dire “generativo”, in quanto risale all’atto d’amore con cui Dio crea l’essere umano in Cristo. Questo atto creatore di Dio dona e fonda l’agire libero dell’uomo e tutta la sua eticità: libero proprio nel suo essere creato nell’immagine di Dio che è Gesù Cristo, e per questo “rappresentante” della creazione in Cristo stesso. C’è una motivazione trascendente (teologico-etica) che impegna il cristiano a promuovere la giustizia e la pace nel mondo, anche attraverso la destinazione universale dei beni: si tratta della rivelazione dei figli di Dio che il creato attende, gemendo come nelle doglie di un parto. In gioco non c’è solo la vita terrena dell’uomo in questa storia, c’è soprattutto il suo destino nell’eternità, l’eschaton della nostra beatitudine, il Paradiso della nostra pace, in Cristo Signore del cosmo, il Crocifisso-Risorto per amore.

9. Sperare e agire con il creato significa allora vivere una fede incarnata, che sa entrare nella carne sofferente e speranzosa della gente, condividendo l’attesa della risurrezione corporea a cui i credenti sono predestinati in Cristo Signore. In Gesù, il Figlio eterno nella carne umana, siamo realmente figli del Padre. Mediante la fede e il battesimo inizia per il credente la vita secondo lo Spirito (cfr Rm 8,2), una vita santa, un’esistenza da figli del Padre, come Gesù (cfr Rm 8,14-17), poiché, per la potenza dello Spirito Santo, Cristo vive in noi (cfr Gal 2,20). Una vita che diventa canto d’amore per Dio, per l’umanità, con e per il creato, e che trova la sua pienezza nella santità.[3]

Roma, San Giovanni in Laterano, 27 giugno 2024

FRANCESCO

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[1] Spes non confundit, Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025 (9 maggio 2024).
[2] Divina Commedia, Paradiso, XII, 141.
[3] Lo ha espresso poeticamente il sacerdote rosminiano Clemente Rebora: «Mentre il creato ascende in Cristo al Padre, / nell’arcana sorte / tutto è doglia del parto: / quanto morir perché la vita nasca! / pur da una Madre sola, che è divina, / alla luce si vien felicemente: / vita che l’amore produce in pianto, / e, se anela, quaggiù è poesia; / ma santità soltanto compie il canto» (Curriculum vitae, “Poesia e santità”: Poesie, prose e traduzioni, Milano 2015, p. 297).

[01097-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Espérons et agissons avec la création

Chers frères et sœurs!

“Espère et agis avec la création” : c’est le thème de la Journée de Prière pour la Sauvegarde de la Création, le 1er septembre. Il fait référence à la lettre de saint Paul aux Romains 8, 19-25 : l’Apôtre explique ce que signifie vivre selon l’Esprit et se concentre sur l’espérance certaine du salut par la foi, qui est la vie nouvelle dans le Christ.

1. Partons d’une question simple, mais qui pourrait ne pas avoir de réponse évidente : quand sommes-nous vraiment croyants, en quoi consiste avoir la foi ? Pas tellement dans le fait que “nous croyons” en une réalité transcendante que notre raison ne peut pas comprendre, le mystère inaccessible d’un Dieu lointain et distant, invisible et innommable ; mais plutôt, dirait saint Paul, dans le fait que l’Esprit Saint habite en nous. Oui, nous sommes croyants parce que l’Amour même de Dieu a été « répandu dans nos cœurs » (Rm 5, 5). Par conséquent, l’Esprit est maintenant, véritablement, « une première avance sur notre héritage » (Ep 1, 14), comme une pro-vocation à vivre toujours tendus vers les biens éternels, selon la plénitude de l’humanité, belle et bonne, de Jésus. L’Esprit rend les croyants créatifs, proactifs dans la charité. Il les introduit dans un grand cheminement de liberté spirituelle, non exempt cependant de lutte entre la logique du monde et la logique de l’Esprit, qui portent des fruits opposés (cf. Ga 5, 16-17). Nous le savons, le premier fruit de l’Esprit, condensé de tous les autres, est l’amour. Ainsi, conduits par l’Esprit Saint, les croyants sont fils de Dieu et peuvent, comme Jésus, s’adresser à Lui en l’appelant « Abba, Père » (Rm 8, 15) dans la liberté de celui qui ne retombe plus dans la peur de la mort, parce que Jésus est ressuscité des morts. Voilà la grande espérance : l’amour de Dieu a vaincu, il vainc toujours et il vaincra encore. Pour l’homme nouveau qui vit dans l’Esprit, le destin de gloire est déjà certain, malgré la perspective de la mort physique. Cette espérance ne déçoit pas, comme le rappelle également la Bulle d’indiction du prochain Jubilé.[1]

2. L’existence du chrétien est une vie de foi qui opère dans la charité et déborde d’espérance dans l’attente du retour du Seigneur dans la gloire. Le “retard” de la parousie, de sa seconde venue, ne pose pas de problème. La question est autre : « Le Fils de l’homme, quand il viendra, trouvera-t-il la foi sur la terre ? » (Lc 18, 8). Oui, la foi est un don, le fruit de la présence de l’Esprit en nous, mais elle est aussi une mission à accomplir dans la liberté, dans l’obéissance au commandement d’amour de Jésus. Voici la bienheureuse espérance dont nous devons témoigner : où ? quand ? comment ? Dans les drames de la chair humaine souffrante. Si l’on rêve, il faut alors rêver les yeux ouverts, remplis de visions d’amour, de fraternité, d’amitié et de justice pour tous. Le salut chrétien pénètre dans les profondeurs de la douleur du monde qui ne saisit pas seulement les humains, mais l’univers entier, la nature même, l’oikos de l’homme, son milieu de vie ; il saisit la création en tant que “paradis terrestre”, la terre mère qui devrait être un lieu de joie et une promesse de bonheur pour tous. L’optimisme chrétien se fonde sur une vivante espérance : il sait que tout tend vers la gloire de Dieu, la consommation finale dans sa paix, la résurrection corporelle dans la justice, “de gloire en gloire”. Mais dans le temps qui passe, nous partageons la douleur et la souffrance : la création tout entière gémit (cf. Rm 8, 19-22), les chrétiens gémissent (cf. v. 23-25) et l'Esprit lui-même gémit (cf. v. 26-27). Le gémissement manifeste l’inquiétude et la souffrance, et aussi l’aspiration et le désir. Le gémissement exprime la confiance en Dieu et l’abandon en sa compagnie aimante et exigeante, en vue de la réalisation de son dessein qui est joie, amour et paix dans l’Esprit Saint.

3. Toute la création est impliquée dans ce processus d’une nouvelle naissance et, en gémissant, elle attend la libération. Il s’agit d’une croissance cachée qui mûrit, presque comme “une graine de moutarde qui devient un grand arbre” ou “du levain dans la pâte” (cf. Mt 13, 31-33). Les débuts sont minuscules, mais les résultats attendus peuvent être d’une beauté infinie. En tant qu’attente d’une naissance - la révélation des fils de Dieu – l’espérance rend possible le fait de rester ferme dans l’adversité, de ne pas se décourager dans les tribulations ou face à la barbarie humaine. L’espérance chrétienne ne déçoit pas, mais elle ne trompe pas non plus : le gémissement de la création, des chrétiens et de l’Esprit est anticipation et attente du salut déjà à l’œuvre, alors que nous sommes à présent plongés dans nombre de souffrances que saint Paul décrit comme “détresse, angoisse, persécution, faim, dénuement, danger, glaive” (cf. Rm 8, 35). L’espérance est donc une lecture alternative non pas illusoire mais réaliste de l’histoire et des événements humains, du réalisme de la foi qui voit l’invisible. Cette espérance est une attente patiente, comme chez Abraham qui ne voyait pas. J’aime rappeler ce grand croyant visionnaire que fut Joachim de Flore, l’Abbé calabrais “doté d’un esprit prophétique”, selon Dante Alighieri.[2] À une époque de luttes sanglantes, de conflit entre la Papauté et l’Empire, de Croisades, d’hérésies et de mondanisation de l’Église, il a su indiquer l’idéal d’un nouvel esprit de coexistence entre les hommes, marquée par la fraternité universelle et la paix chrétienne, fruits de l’Évangile vécu. J’ai proposé cet esprit d’amitié sociale et de fraternité universelle dans Fratelli tutti. Et cette harmonie entre les hommes doit aussi s’étendre à la création dans un “anthropocentrisme situé” (cf. Laudate Deum, n. 67), avec la responsabilité pour une écologie humaine et intégrale, chemin de salut de notre maison commune et de nous-mêmes qui l’habitons.

4. Pourquoi tant de mal dans le monde ? Pourquoi tant d’injustices, tant de guerres fratricides qui font mourir des enfants, détruisent les villes, polluent le milieu de vie de l’homme, la terre mère violentée et dévastée ? Se référant implicitement au péché d’Adam, saint Paul dit : « Nous le savons bien, la création tout entière gémit, elle passe par les douleurs d’un enfantement qui dure encore » (Rm 8, 22). La lutte morale des chrétiens est liée au “gémissement” de la création, parce celle-ci « a été soumise au pouvoir du néant » (v. 20). Le cosmos tout entier et toutes les créatures gémissent et aspirent “impatiemment”, afin que la condition présente soit surmontée et que la condition originelle soit rétablie. La libération de l’homme implique aussi, en effet, celle de toutes les autres créatures qui, solidaires de la condition humaine, ont été placées sous le joug de l’esclavage. Comme l’humanité, la création - sans qu’il y ait de sa faute - est esclave et se trouve incapable de faire ce pour quoi elle est conçue, c’est-à-dire avoir un sens et un but durables. Elle est sujette à la dissolution et à la mort, aggravées par les abus de l’homme sur la nature. Mais, en sens contraire, le salut de l’homme dans le Christ est une espérance sûre pour la création « d’être, elle aussi, libérée de l’esclavage de la dégradation, pour connaître la liberté de la gloire donnée aux enfants de Dieu » (Rm 8, 21). Ainsi, dans la rédemption du Christ, il est possible de contempler, dans l’espérance, le lien de solidarité entre l’être humain et toutes les autres créatures.

5. Dans l’attente pleine d’espérance et persévérante du retour glorieux de Jésus, l’Esprit Saint garde la communauté croyante vigilante et l’instruit continuellement, Il l’appelle à la conversion des styles de vie, à résister à la dégradation de l’environnement par l’homme, et à manifester cette critique sociale qui est avant tout un témoignage de la possibilité de changer. Cette conversion consiste à passer de l’arrogance de ceux qui veulent dominer sur les autres et sur la nature - réduite à un objet à manipuler - à l’humilité de ceux qui prennent soin des autres et de la création. « Un être humain qui prétend prendre la place de Dieu devient le pire danger pour lui-même » (Laudate Deum, n. 73), car le péché d’Adam a détruit les relations fondamentales par lesquelles l’homme vit : celles avec Dieu, avec lui-même et avec les autres êtres humains, et aussi celles avec le cosmos. Toutes ces relations doivent être, de manière synergique, restaurées, sauvées, “rendues justes”. Aucune ne peut manquer. Si l’une d’entre elles manque, tout s’effondre.

6. Espérer et agir avec la création signifie avant tout unir les forces et, en cheminant avec tous les hommes et les femmes de bonne volonté, contribuer à « repenser la question du pouvoir humain, de sa signification et de ses limites. En effet, notre pouvoir s’est accru de manière effrénée en peu de décennies. Nous avons fait des progrès technologiques impressionnants et stupéfiants, et nous ne nous rendons pas compte que, dans le même temps, nous sommes devenus extrêmement dangereux, capables de mettre en danger la vie de beaucoup d’êtres ainsi que notre propre survie » (Laudate Deum, n. 28). Un pouvoir incontrôlé engendre des monstres et se retourne contre nous-mêmes. C’est pourquoi il est urgent aujourd’hui de poser des limites éthiques au développement de l’intelligence artificielle qui, avec sa capacité de calcul et de simulation, pourrait être utilisée à des fins de domination sur l’homme et sur la nature plutôt qu’au service de la paix et du développement intégral (Cf. Message pour la Journée Mondiale de la Paix 2024).

7. “L’Esprit Saint nous accompagne dans la vie”. C’est ce qu’ont bien compris les enfants réunis place Saint-Pierre pour leur première Journée Mondiale qui coïncidait avec le dimanche de la Sainte Trinité. Dieu n’est pas une idée abstraite de l’infini, mais il est Père aimant, Fils ami et rédempteur de tout homme, et Esprit Saint qui guide nos pas sur le chemin de la charité. L’obéissance à l’Esprit d’amour change radicalement l’attitude de l’homme : de “prédateur” il devient “cultivateur” du jardin. La terre est confiée à l’homme, mais reste à Dieu (cf. Lv 25, 23). C’est l’anthropocentrisme théologique de la tradition judéo-chrétienne. Par conséquent, prétendre posséder et dominer la nature, la manipuler à volonté, est une forme d’idolâtrie. C’est l’homme prométhéen, ivre de son pouvoir technocratiqu qui, avec arrogance, met la terre en état de “dis-grâce”, c’est-à-dire privée de la grâce de Dieu. Or, si la grâce de Dieu c’est Jésus, mort et ressuscité, alors ce que Benoît XVI a dit est vrai : « Ce n’est pas la science qui rachète l’homme. L’homme est racheté par l’amour » (Lett. enc. Spe Salvi, n. 26), l’amour de Dieu dans le Christ dont rien ni personne ne pourra jamais nous séparer (Cf. Rm 8, 38-39). Continuellement attirée par son avenir, la création n’est pas statique ni fermée sur elle-même. Aujourd’hui, grâce aussi aux découvertes de la physique contemporaine, le lien entre la matière et l’esprit fascine de plus en plus notre connaissance.

8. La sauvegarde de la création n’est donc pas seulement une question éthique mais aussi éminemment théologique. Elle concerne en effet l’imbrication du mystère de l’homme et du mystère de Dieu. Cette imbrication peut être dite “générative” car elle remonte à l’acte d’amour par lequel Dieu crée l’être humain dans le Christ. Cet acte créateur de Dieu confère et fonde l’action libre de l’homme et toute son éthique : libre précisément dans son être créé à l’image de Dieu qui est Jésus Christ et, pour cette raison, “représentant” de la création dans le Christ lui-même. Il existe une motivation transcendante (théologico-éthique) qui engage le chrétien à promouvoir la justice et la paix dans le monde, y compris à travers la destination universelle des biens. Il s’agit de la révélation des fils de Dieu que la création attend, en gémissant comme dans les douleurs d’un enfantement. L’enjeu n’est pas seulement la vie terrestre de l’homme dans l’histoire mais surtout son destin dans l’éternité, l’eschaton de notre bonheur, le Paradis de notre paix, dans le Christ Seigneur du cosmos, le Crucifié-Ressuscité par amour.

9. Espérer et agir avec la création signifie alors vivre une foi incarnée qui sait entrer dans la chair souffrante et pleine d’espérance des personnes, en partageant l’attente de la résurrection des corps à laquelle les croyants sont prédestinés dans le Christ Seigneur. En Jésus, le Fils éternel dans la chair humaine, nous sommes réellement fils du Père. Par la foi et le baptême, commence pour le croyant la vie selon l’Esprit (Cf. Rm 8, 2), une vie sainte, une existence de fils du Père, comme Jésus (Cf. Rm 8, 14-17), puisque, par la puissance de l’Esprit Saint, le Christ vit en nous (Cf. Ga 2, 20). Une vie qui devient chant d’amour pour Dieu, pour l’humanité, avec et pour la création, et qui trouve sa plénitude dans la sainteté.[3]

Rome, Saint-Jean-de-Latran, le 27 juin 2024

FRANÇOIS

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[1] Spes non confundit, Bulle d’indiction du Jubilé Ordinaire de l’Année 2025 (9 mai 2024).
[2] Divine Comédie, Paradis, XII, 141.
[3] Le prêtre rosminien Clemente Rebora l’a exprimé poétiquement : « Tandis que la création monte dans le Christ vers le Père, / dans l’arcane du destin / tout est douleur de l’enfantement : / que de morts pour que naisse la vie ! / Pourtant, d’une seule Mère, qui est divine, / on arrive heureusement à la lumière : / la vie que l’amour produit dans les larmes, / et, si elle aspire, ici-bas c’est la poésie ; / mais la sainteté seule accomplit le chant » (Curriculum vitae, “Poesia e santità”: Poesie, prose e traduzioni, Milano 2015, p. 297).

[01097-FR.01] [Texte original: Italien]

 

Traduzione in lingua inglese

Hope and Act with Creation

Dear Brothers and Sisters!

“Hope and Act with Creation” is the theme of the World Day of Prayer for the Care of Creation, to be held on 1 September 2024. The theme is drawn from Saint Paul’s Letter to the Romans (8:19-25), where the Apostle explains what it means for us to live according to the Spirit and focuses on the sure hope of salvation that is born of faith, namely, newness of life in Christ.

1. Let us begin with a question, one perhaps without an immediately obvious answer. If we are truly believers, how did we come to have faith? It is not simply because we believe in something transcendent, beyond the power of reason, the unattainable mystery of a distant and remote God, invisible and unnameable. Rather, as Saint Paul tells us, it is because the Holy Spirit dwells within us. We are believers because the very love of God “has been poured into our hearts” (Rom 5:5) and the Spirit is now truly “the pledge of our inheritance” (Eph 1:14), constantly prompting us to strive for eternal goods, according to the fullness of Jesus’ authentic humanity. The Spirit enables believers to be creative and pro-active in charity. He sends us forth on a great journey of spiritual freedom, yet one that does not eliminate the tension between the Spirit’s way of thinking and that of the world, whose fruits are opposed to each other (cf. Gal 5:16-17). We know that the first fruit of the Spirit, which sums up all the others, is love. Led by the Holy Spirit, believers are children of God and can turn to him with the words “Abba, Father” (Rom 8:15), just as Jesus did. Moreover, they can do so with the freedom of those who no longer fall back into the fear of death, for Jesus has risen from the dead. This is our great hope: God’s love has triumphed and continues to triumph over everything. Indeed, even in the face of physical death, future glory is already assured for those who live the new life of the Spirit. Nor does this hope disappoint, as was affirmed in the recent Bull of Indiction of the forthcoming Jubilee.[1]

2. The life of a Christian, then, is one of faith, active in charity and abounding in hope, as we await the Lord’s return in glory. We are not troubled by the “delay” of the Parousia, Christ’s second coming; for us the important question is whether, “when the Son of man comes, he will find faith on earth” (Lk 18:8). Faith is a gift, the fruit of the Spirit’s presence in us, but it is also a task to be undertaken freely, in obedience to Jesus’ commandment of love. Such is the blessed hope to which we must bear witness. Yet where, when, and how are we to bear that witness? Surely by caring for the flesh of suffering humanity. As people who dare to dream, we must dream with our eyes wide open, impelled by a desire for love, fraternity, friendship and justice for all. Christian salvation enters into the depths of the world’s suffering, which embraces not only humanity but also the entire universe, nature itself, and the oikos, the home and living environment of humanity. Salvation embraces creation as an “earthly paradise,” mother earth, which is meant to be a place of joy and a promise of happiness for all. Our Christian optimism is founded on a living hope: it realizes that everything is ordered to the glory of God, to final consummation in his peace and to bodily resurrection in righteousness, as we pass “from glory to glory.” Nonetheless, in the passage of time we are not exempt from pain and suffering: the whole creation groans (cf. Rom 8:19-22), we Christians groan (cf. vv. 23-25) and the Spirit himself groans (cf. vv. 26-27). This groaning expresses apprehension and suffering, together with longing and desire. It gives voice to our trust in God and our reliance on his loving yet demanding presence in our midst, as we look forward to the fulfilment of his plan, which is joy, love and peace in the Holy Spirit.

3. The whole of creation is caught up in this process of new birth and, in groaning, looks forward to its liberation. This entails an unseen and imperceptible process of growth, like that of “a mustard seed that becomes a great tree” or “leaven in the dough” (cf. Mt 13:31-33). The beginnings are tiny, but the expected results can prove to be infinite in their beauty. Similar to the anticipation of a birth – the revelation of the children of God – hope can be seen as the possibility of remaining steadfast amid adversity, of not losing heart in times of tribulation or in the face of human evil. Christian hope does not disappoint, nor does it deceive. The groaning of creation, of Christians and of the Spirit is the anticipation and expectation of a salvation already at work; all the same, we continue to find ourselves enduring what Saint Paul describes as “tribulation, distress, persecution, famine, nakedness, peril, sword” (Rom 8:35). Hope, then, is an alternative reading of history and human affairs. It is not illusory, but realistic, with the realism of a faith that sees what is unseen. This hope is patient expectation, like that of Abraham. I think of that great visionary believer, Joachim of Fiore, the Calabrian abbot who, in the words of Dante Alighieri, “was endowed with a spirit of prophecy”.[2] At a time of violent conflicts between the Papacy and the Empire, the Crusades, the outbreak of heresies and growing worldliness in the Church, Joachim was able to propose the ideal of a new spirit of coexistence among people, based on universal fraternity and Christian peace, the fruit of a life lived in the spirit of the Gospel. I spoke of this spirit of social friendship and universal fraternity in Fratelli Tutti, but this harmony among men and women should also be extended to creation, in a “situated anthropocentrism” (Laudate Deum, 67) and in a sense of responsibility for a humane and integral ecology, the path to salvation for our common home and for us who inhabit it.

4. Why is there so much evil in the world? Why so much injustice, so many fratricidal wars that kill children, destroy cities, pollute the environment and leave mother earth violated and devastated? Implicitly evoking the sin of Adam, Saint Paul states: “We know that the whole creation has been groaning in labour pains until now” (Rom 8:22). The moral struggles of Christians are linked to the “groaning” of creation, ever since the latter “was subjected to futility” (v. 20). The entire universe and every creature therein groans and yearns “impatiently” for its present condition to be overcome and its original state to be restored. Our liberation thus includes that of all other creatures who, in solidarity with the human condition, were placed under the yoke of slavery. Creation itself, like humanity, was enslaved, albeit through no fault of its own, and finds itself unable to fulfil the lasting meaning and purpose for which it was designed. It is subject to dissolution and death, aggravated by the human abuse of nature. At the same time, the salvation of humanity in Christ is a sure hope also for creation, for, “the creation itself will be set free from its bondage to decay and obtain the glorious liberty of the children of God” (Rom 8:21). Consequently, thanks to Christ’s redemption, it is possible to contemplate in hope the bond of solidarity between human beings and all other creatures.

5. In our hopeful and persevering expectation of the glorious return of Jesus, the Holy Spirit keeps us, the community of believers, vigilant; he continually guides us and calls us to conversion, to a change in lifestyle in order to resist the degradation of our environment and to engagement in that social critique which is above all a witness to the real possibility of change. This conversion entails leaving behind the arrogance of those who want to exercise dominion over others and nature itself, reducing the latter to an object to be manipulated, and instead embracing the humility of those who care for others and for all of creation. “When human beings claim to take God’s place, they become their own worst enemies” (Laudate Deum, 73), for Adam’s sin has tainted our fundamental relationships, namely with God, with ourselves, with one another and with the universe. All these relationships need to be integrally restored, saved and “put right”. None of them can be overlooked, for if even one is lacking, everything else fails.

6. To hope and act with creation, then, means above all to join forces and to walk together with all men and women of good will. In this way, we can help to rethink, “among other things, the question of human power, its meaning and its limits. Our power has frenetically increased in a few decades. We have made impressive and awesome technological advances, yet we have not realized that at the same time we have turned into highly dangerous beings, capable of threatening the lives of many beings and our own survival” (Laudate Deum, 28). Unchecked power creates monsters and then turns against us. Today, then, there is an urgent need to set ethical limits on the development of artificial intelligence, since its capacity for calculation and simulation could be used for domination over humanity and nature, instead of being harnessed for the service of peace and integral development (cf. Message for the World Day of Peace 2024).

7. “The Holy Spirit accompanies us at every moment of our lives”. This was clearly understood by the boys and girls assembled in Saint Peter’s Square for the first World Day of Children, which was held on Trinity Sunday. God is not an abstract notion of infinity, but the loving Father, the Son who is the friend and redeemer of every person, and the Holy Spirit who guides our steps on the path of charity. Obedience to the Spirit of love radically changes the way we think: from “predators”, we become “tillers” of the garden. The earth is entrusted to our care, yet continues to belong to God (cf. Lev 25:23). This is the “theological anthropocentrism” that marks the Judeo-Christian tradition. To claim the right to possess and dominate nature, manipulating it at will, thus represents a form of idolatry, a Promethean version of man who, intoxicated by his technocratic power, arrogantly places the earth in a “dis-graced” condition, deprived of God’s grace. Indeed, if the grace of God is Jesus, who died and rose again, then the words of Benedict XVI certainly ring true: “It is not science that redeems man: man is redeemed by love” (Spe Salvi, 26), the love of God in Christ, from which nothing and no one can ever separate us (cf. Rom 8:38-39). Creation, then, is not static or closed in on itself, but is continuously drawn towards its future. Today, thanks to the discoveries of contemporary physics, the link between matter and spirit presents itself in an ever more intriguing way to our understanding.

8. The protection of creation, then, is not only an ethical issue, but one that is eminently theological, for it is the point where the mystery of man and the mystery of God intersect. This intersection can be called “creative”, since it originates in the act of love by which God created human beings in Christ. That creative act of God enables and grounds the freedom and morality of all human activity. We are free precisely because we were created in the image of God who is Jesus Christ, and, as a result, are “representatives” of creation in Christ himself. A transcendent (theological-ethical) motivation commits Christians to promoting justice and peace in the world, not least through the universal destination of goods. It is a matter of the revelation of the children of God that creation awaits, groaning as in the pangs of childbirth. At stake is not only our earthly life in history, but also, and above all, our future in eternity, the eschaton of our blessedness, the paradise of our peace, in Christ, the Lord of the cosmos, crucified and risen out of love.

9. To hope and act with creation, then, means to live an incarnational faith, one that can enter into the suffering and hope-filled “flesh” of others, by sharing in the expectation of the bodily resurrection to which believers are predestined in Christ the Lord. In Jesus, the eternal Son who took on human flesh, we are truly children of the Father. Through faith and baptism, our life in the Spirit begins (cf. Rom 8:2), a holy life, lived as children of the Father, like Jesus (cf. Rom 8:14-17), since by the power of the Holy Spirit, Christ lives in us (cf. Gal 2:20). In this way, our lives can become a song of love for God, for humanity, with and for creation, and find their fullness in holiness.[3]

Rome, Saint John Lateran, 27 June 2024

FRANCIS

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[1] Cf. Bull of Indiction of the Ordinary Jubilee of the Year 2025 Spes Non Confundit (9 May 2024).
[2] The Divine Comedy, Paradiso, Canto XII, 141.
[3] The Rosminian priest Clemente Rebora expressed this poetically: “As creation ascends in Christ to the Father, all in a mysterious way become the travail of birth. How much dying is required if life is to be born! Yet from one Mother alone, who is divine, we come happily into the light. We are born to a life that love brings forth in tears. Its yearning, here below, is poetry; but holiness alone can finish the song” (Curriculum vitae, “Poesia e santità”: Poesie, prose e traduzioni, Milan 2015, p. 297).

[01097-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Hoffe und handle mit der Schöpfung

 

Liebe Brüder und Schwestern!

„Hoffe und handle mit der Schöpfung“: Das ist das Thema des Gebetstages für die Bewahrung der Schöpfung am kommenden 1. September. Es bezieht sich auf den Brief des heiligen Paulus an die Römer 8,19-25: Der Apostel erklärt, was es bedeutet, dem Geist gemäß zu leben und er konzentriert sich auf die sichere Hoffnung auf Erlösung durch den Glauben, der neues Leben in Christus bedeutet.

1. Beginnen wir also mit einer einfachen Frage, auf die es aber vielleicht keine offensichtliche Antwort gibt: Wenn wir wirklich gläubig sind, wie kommt es, dass wir den Glauben haben? Der Grund dafür ist nicht so sehr, dass wir an etwas Transzendentes „glauben“, das unsere Vernunft nicht verstehen kann, an das unerreichbare Geheimnis eines entrückten und fernen, eines unsichtbaren und unnennbaren Gottes. Vielmehr, so würde der heilige Paulus sagen, ist der Grund, dass der Heilige Geist in uns wohnt. Ja, wir sind Gläubige, weil »die Liebe Gottes […] in unsere Herzen« ausgegossen wurde« (Röm 5,5). Deshalb ist der Geist jetzt wahrhaftig »der erste Anteil unseres Erbes« (Eph 1,14), als Heraus-Forderung, immer so zu leben, dass wir nach den ewigen Gütern streben, wie es der Fülle des schönen und guten Menschseins Jesu entspricht. Der Geist macht die Gläubigen schöpferisch und pro-aktiv in der Liebe. Er führt sie auf einen großen Weg geistlicher Freiheit, der allerdings nicht frei ist vom Kampf zwischen der Logik der Welt und der Logik des Geistes, die einander entgegengesetzte Früchte hervorbringen (vgl. Gal 5,16-17). Wir wissen, die erste Frucht des Geistes, die Summe aller anderen Früchte, ist die Liebe. Geführt vom Heiligen Geist sind die Gläubigen also Gottes Kinder und können ihn, genau wie Jesus, mit »Abba, Vater« anrufen (Röm 8,15), in der Freiheit derer, die nicht mehr in Todesangst zurückverfallen, weil Jesus von den Toten auferstanden ist. Dies ist also die große Hoffnung: Gottes Liebe hat gesiegt, sie siegt weiterhin und wird auch künftig siegen. Die Bestimmung zur Herrlichkeit ist dem neuen Menschen, der im Geist lebt, bereits sicher, trotz des ihm bevorstehenden physischen Todes. Diese Hoffnung lässt nicht zugrunde gehen, wie uns auch die Verkündigungsbulle des nächsten Heiligen Jahres in Erinnerung ruft[1].

2. Das Leben des Christen ist ein Leben im Glauben, in tätiger Nächstenliebe und überfließend vor Hoffnung, in Erwartung der Wiederkunft des Herrn in seiner Herrlichkeit. Die „Verzögerung“ der Parusie, also seines zweiten Kommens, stellt kein Problem dar. Die Frage ist eine andere: »Wird […] der Menschensohn, wenn er kommt, den Glauben auf der Erde finden?« (Lk 18,8). Ja, der Glaube ist eine Gabe, eine Frucht der Gegenwart des Heiligen Geistes in uns, aber er ist auch eine Aufgabe, die in Freiheit und im Gehorsam gegenüber dem Liebesgebot Jesu wahrzunehmen ist. Dies ist die beseligende Hoffnung, die es zu bezeugen gilt: Wo? Wann? Wie? In den Dramen der leidenden Menschen. Wenn wir auch träumen, so müssen wir jetzt mit offenen Augen träumen, beseelt von einer Vision der Liebe, der Geschwisterlichkeit, der Freundschaft und der Gerechtigkeit für alle. Das christliche Heil gelangt bis ins Innerste des Leids der Welt, das nicht nur die Menschen erfasst, sondern das gesamte Universum und auch die Natur, den oikos des Menschen, seinen Lebensraum. Es erfasst die Schöpfung als „irdisches Paradies“, die Mutter Erde, die ein Ort der Freude und der Glücksverheißung für alle sein sollte. Der christliche Optimismus gründet auf einer lebendigen Hoffnung: Er weiß, dass alles auf die Herrlichkeit Gottes ausgerichtet ist, auf die endgültige Vollendung in seinem Frieden, auf die leibliche Auferstehung in Gerechtigkeit, „von Herrlichkeit zu Herrlichkeit“. Doch in der vergänglichen Zeit teilen wir Schmerz und Leid: Die gesamte Schöpfung seufzt (vgl. Röm 8,19-22), die Christen seufzen (vgl. V. 23-25) und der Geist selbst seufzt (vgl. V. 26-27). Das Seufzen bringt Unruhe und Leid zusammen mit Sehnsucht und Verlangen zum Ausdruck. Im Seufzen äußert sich Vertrauen auf Gott und seine liebende und fordernde Begleitung, im Hinblick auf die Erfüllung seines Plans der Freude, der Liebe und des Friedens im Heiligen Geist.

3. Die ganze Schöpfung ist in diesen Prozess der Neugeburt eingebunden und wartet seufzend auf die Befreiung: Es handelt sich um ein verborgenes Wachstum, das reift, fast wie „ein Senfkorn, das zu einem großen Baum wird“ oder wie der „Sauerteig im Mehl“ (vgl. Mt 13,31-33). Die Anfänge sind winzig, doch die erwarteten Ergebnisse können von unendlicher Schönheit sein. Insoweit sie Erwartung einer Geburt ist – des Offenbarwerdens der Kinder Gottes –, ermöglicht es die Hoffnung, inmitten von Widrigkeiten standhaft zu bleiben und nicht mutlos zu werden in Zeiten der Bedrängnis oder angesichts der menschlichen Barbarei. Die christliche Hoffnung enttäuscht nicht, aber sie täuscht auch nicht: Wenn auch das Seufzen der Schöpfung, der Christen und des Geistes eine Vorwegnahme und Erwartung der bereits stattfindenden Erlösung ist, so sind wir jetzt doch in viele Leiden eingetaucht, die der heilige Paulus als „Bedrängnis, Not, Verfolgung, Hunger, Kälte, Gefahr, Schwert“ beschreibt (vgl. Röm 8,35). Die Hoffnung bietet also eine alternative Lesart der Geschichte und der menschlichen Geschicke: nicht illusorisch, sondern realistisch, mit dem Realismus des Glaubens, der das Unsichtbare sieht. Diese Hoffnung ist geduldiges Warten, vergleichbar dem Nicht-Sehen des Abraham. Ich erinnere gern an den bedeutenden gläubigen Visionär Joachim von Fiore, jenen Abt aus Kalabrien, der laut Dante Alighieri[2] „mit prophetischem Geist begabt“ war. In einer Zeit blutiger Kämpfe, der Konflikte zwischen Papsttum und Kaiserreich, der Kreuzzüge, der Irrlehren und der Verweltlichung der Kirche vermochte er das Ideal eines neuen Geistes des Zusammenlebens zwischen den Menschen aufzuzeigen, das geprägt war von universaler Geschwisterlichkeit und christlichem Frieden, der Frucht gelebten Evangeliums. Diesen Geist sozialer Freundschaft und universaler Geschwisterlichkeit habe ich in Fratelli tutti vorgeschlagen. Und diese Harmonie zwischen den Menschen muss sich auch auf die Schöpfung erstrecken, in einem „situierten Anthropozentrismus“ (vgl. Laudate Deum, 67), in der Verantwortung für eine menschliche und ganzheitliche Ökologie, die der Weg der Rettung ist für unser gemeinsames Haus und für uns, die wir darin leben.

4. Warum gibt es so viel Böses in der Welt? Warum so viel Ungerechtigkeit, so viele brudermörderische Kriege, die Kinder töten, Städte zerstören und den Lebensraum des Menschen verschmutzen, die vergewaltigte und verwüstete Mutter Erde? Indem er sich implizit auf Adams Sünde bezieht, sagt Paulus: »Denn wir wissen, dass die gesamte Schöpfung bis zum heutigen Tag seufzt und in Geburtswehen liegt« (Röm 8,22). Der sittliche Kampf der Christen ist mit dem „Seufzen“ der Schöpfung verbunden, weil sie »der Nichtigkeit unterworfen« ist (V. 20). Der ganze Kosmos und alle Kreatur seufzt und sehnt sich „ungeduldig“ danach, dass der gegenwärtige Zustand überwunden und der ursprüngliche wiederhergestellt wird. Die Befreiung des Menschen beinhaltet nämlich auch die Befreiung aller anderen Geschöpfe, die wegen ihrer Verbindung mit der Menschennatur unter das Joch der Sklaverei geraten sind. Wie die Menschheit ist auch die Schöpfung – ohne eigenes Verschulden – versklavt und nicht in der Lage, das zu tun, wozu sie gedacht ist, nämlich einen dauerhaften Sinn und Zweck zu haben. Sie ist dem Zerfall und dem Tod ausgeliefert, was durch den missbräuchlichen Umgang des Menschen mit der Natur noch verstärkt wird. Anderseits stellt die Erlösung des Menschen in Christus auch eine feste Hoffnung für die Schöpfung dar: »Denn auch sie, die Schöpfung, soll von der Knechtschaft der Vergänglichkeit befreit werden zur Freiheit und Herrlichkeit der Kinder Gottes« (Röm 8,21). Die Erlösung durch Christus macht es also möglich, hoffnungsvoll auf das Band der Solidarität zwischen den Menschen und allen anderen Geschöpfen zu blicken.

5. In der hoffnungsvollen und beharrlichen Erwartung der glorreichen Wiederkunft Jesu lässt der Heilige Geist die Gemeinschaft der Glaubenden wachsam bleiben; er lehrt sie beständig und ruft sie zur Umkehr in ihrer Lebensweise auf, um der vom Menschen verursachten Umweltzerstörung entgegenzutreten und jene Gesellschaftskritik zu formulieren, die in erster Linie Zeugnis ablegt für die Möglichkeit, sich zu ändern. Diese Umkehr besteht darin, von der Arroganz derer, die ihre Mitmenschen und die Natur beherrschen wollen – welche dabei auf ein manipulierbares Objekt reduziert wird –, zur Demut jener überzugehen, die für die Anderen und die Schöpfung Sorge tragen. »Ein Mensch, der sich anmaßt, sich an die Stelle Gottes zu setzen, wird zur schlimmsten Gefahr für sich selbst« (Laudate Deum, 73), denn Adams Sünde hat die grundlegenden Beziehungen zerstört, aus denen der Mensch lebt: die Beziehung zu Gott, zu sich selbst und den anderen Menschen und die zum Kosmos. Alle diese Beziehungen müssen synergetisch wiederhergestellt, gerettet und „gerecht gemacht“ werden. Keine darf dabei fehlen. Wenn eine fehlt, scheitert das Ganze.

6. Mit der Schöpfung zu hoffen und zu handeln bedeutet vor allem, die Kräfte zu bündeln und gemeinsam mit allen Männern und Frauen guten Willens dazu beizutragen, »die Frage nach der menschlichen Macht, nach ihrem Sinn und nach ihren Grenzen neu [zu] bedenken. Denn unsere Macht hat sich in nur wenigen Jahrzehnten rasant gesteigert. Wir haben beeindruckende und erstaunliche technologische Fortschritte gemacht, und wir sind uns nicht bewusst, dass wir gleichzeitig zu höchst gefährlichen Wesen geworden sind, die das Leben vieler Geschöpfe und unser eigenes Überleben gefährden können« (Laudate Deum, 28). Unkontrollierte Macht bringt Ungeheuer hervor und wendet sich gegen uns selbst. Deshalb ist es heute dringend notwendig, der Entwicklung der künstlichen Intelligenz ethische Grenzen zu setzen, welche mit ihrer Rechen- und Simulationskapazität zur Beherrschung von Mensch und Natur eingesetzt werden könnte, statt dem Frieden und einer ganzheitlichen Entwicklung zu dienen (vgl. Botschaft zum Weltfriedenstag 2024).

7. »Der Heilige Geist begleitet uns im Leben«: Das haben die Jungen und Mädchen gut verstanden, die sich zu ihrem ersten Welttag, der mit dem Dreifaltigkeitssonntag zusammenfiel, auf dem Petersplatz versammelt hatten. Gott ist keine abstrakte Idee von Unendlichkeit, sondern er ist liebender Vater, er ist Sohn, Freund und Erlöser eines jeden Menschen, und Heiliger Geist, der unsere Schritte auf dem Weg der Liebe leitet. Der Gehorsam gegenüber dem Geist der Liebe verändert die Haltung des Menschen radikal: er wird vom „Plünderer“ zum „Bewirtschafter“ des Gartens. Die Erde wird dem Menschen anvertraut, bleibt aber Gottes Eigentum (vgl. Lev 25,23). Dies ist der theologische Anthropozentrismus der jüdisch-christlichen Tradition. Der Anspruch, die Natur zu besitzen und zu beherrschen und sie nach Belieben zu manipulieren, ist daher eine Form von Idolatrie. Es ist der prometheische Mensch, der berauscht von seiner eigenen technokratischen Macht die Erde arrogant in einen „gnaden-losen“ Zustand versetzt, also in einen Zustand ohne die Gnade Gottes. Wenn nun Jesus, der gestorben und auferstanden ist, die Gnade Gottes ist, dann stimmt, was Benedikt XVI. sagte: »Nicht die Wissenschaft erlöst den Menschen. Erlöst wird der Mensch durch die Liebe« (Enzyklika Spe Salvi, 26), die Liebe Gottes in Christus, von der uns nichts und niemand jemals trennen kann (vgl. Röm 8,38-39). Die Schöpfung, beständig angezogen von ihrer eigenen Zukunft, ist nicht statisch oder in sich selbst verschlossen. Die Verbindung zwischen Materie und Geist zeigt sich heute, auch dank der Entdeckungen der gegenwärtigen Physik, auf immer faszinierendere Weise.

8. Außer einer ethischen Frage ist die Bewahrung der Schöpfung daher auch eine eminent theologische. Sie betrifft nämlich die Verflechtung zwischen dem Geheimnis des Menschen und dem Geheimnis Gottes. Diese Verflechtung kann „generativ“ genannt werden, da sie auf den Akt der Liebe zurückgeht, mit dem Gott den Menschen in Christus erschafft. Dieser schöpferische Akt Gottes stiftet und begründet das freie Handeln des Menschen und seine gesamte Sittlichkeit. Sein Handeln ist gerade deshalb frei, weil er nach dem Ebenbild Gottes, das Jesus Christus ist, geschaffen wurde und dadurch „Repräsentant“ der Schöpfung in Christus ist. Es gibt eine transzendente (theologisch-ethische) Motivation, die den Christen verpflichtet, Gerechtigkeit und Frieden in der Welt zu fördern, auch durch die universale Bestimmung der Güter: es geht um das Offenbarwerden der Kinder Gottes, auf das die Schöpfung seufzend wie in Geburtswehen wartet. Es geht nicht nur um das irdische Leben des Menschen in dieser Zeit, sondern vor allem um seine ewige Bestimmung, das Eschaton unserer Seligkeit, das Paradies unseres Friedens, in Christus, dem Herrn des Kosmos, der sich aus Liebe kreuzigen ließ und auferstanden ist.

9. Mit der Schöpfung zu hoffen und zu handeln bedeutet also, einen fleischgewordenen Glauben zu leben, dem es gelingt, im leidenden und hoffnungsvollen konkreten Leben der Menschen einen Platz zu finden, in der gemeinsamen Erwartung der leiblichen Auferstehung, zu der die Gläubigen in Christus, dem Herrn, im Voraus bestimmt sind. In Jesus, dem ewigen Sohn in menschlichem Fleisch, sind wir wirklich Kinder des Vaters. Durch den Glauben und die Taufe beginnt für den Gläubigen ein Leben gemäß dem Geist (vgl. Röm 8,2), ein heiliges Leben, ein Leben als Kinder des Vaters, wie Jesus (vgl. Röm 8,14-17), denn durch die Kraft des Heiligen Geistes lebt Christus in uns (vgl. Gal 2,20). Ein Leben, das zu einem Liebeslied für Gott wird, für die Menschheit, mit der Schöpfung und für die Schöpfung, und das in der Heiligkeit zu seiner Vollendung findet.[3]

Rom, Sankt Johannes im Lateran, 27. Juni 2024

FRANZISKUS

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[1] Spes non confundit, Verkündigungsbulle des ordentlichen Jubiläums des Jahres 2025 (9. Mai 2024).
[2] Die Göttliche Komödie, Paradies, XII, 141.
[3] Clemente Rebora, ein Priester des Ordens der Rosminianer, hat dies dichterisch zum Ausdruck gebracht: »Während die Schöpfung in Christus zum Vater aufsteigt, / ist in geheimnisvoller Bestimmung / alles Geburtswehe: / Wie viel Sterben, damit das Leben geboren werden kann! / Doch durch eine Mutter allein, die göttlich ist, / kommt man glücklich ans Licht: / Leben, das die Liebe unter Tränen hervorbringt, / und wenn es atmet, ist es hier unten Poesie; / doch nur der Heiligkeit gelingt das Lied« (Curriculum vitae, „Poesia e santità”: Poesie, prose e traduzioni, Mailand 2015, S. 297).

 

[01097-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Espera y actúa con la creación

Queridos hermanos y hermanas:

“Espera y actúa con la creación” es el tema de la Jornada de oración por el cuidado de la creación, que se celebrará el próximo 1 de septiembre. Hace referencia a la Carta de san Pablo a los romanos 8,19-25, donde el apóstol aclara lo que significa vivir según el Espíritu y se concentra en la esperanza cierta de la salvación por medio de la fe, que es la vida nueva en Cristo.

1. Partamos entonces de una pregunta sencilla, pero que podría no tener una respuesta obvia: cuando somos verdaderamente creyentes, ¿cómo es que tenemos fe? No es tanto porque “nosotros creemos” en algo trascendente que nuestra razón no logra entender, el misterio inalcanzable de un Dios distante y lejano, invisible e innombrable. Más bien, diría san Pablo, es porque habita en nosotros el Espíritu Santo. Sí, somos creyentes porque el mismo «amor de Dios ha sido derramado en nuestros corazones por el Espíritu Santo, que nos ha sido dado» (Rm 5,5). Por eso el Espíritu es ahora, realmente, «el anticipo de nuestra herencia» (Ef 1,14), como pro-vocación a vivir siempre orientados hacia los bienes eternos, según la plenitud de la humanidad hermosa y buena de Jesús. El Espíritu hace a los creyentes creativos, pro-activos en la caridad. Los introduce en un gran camino de libertad espiritual, no exento, sin embargo, de la lucha entre la lógica del mundo y la lógica del Espíritu, que tienen frutos contrapuestos entre ellos (cf. Ga 5,16-17). Lo sabemos, el primer fruto del Espíritu, compendio de todos los otros, es el amor. Conducidos, entonces, por el Espíritu Santo, los creyentes son hijos de Dios y pueden dirigirse a Él llamándolo «¡Abba!, es decir, ¡Padre!» (Rm 8,15), precisamente como Jesús, con la libertad del que ya no cae más en el miedo a la muerte, porque Jesús resucitó de entre los muertos. He aquí la gran esperanza: el amor de Dios ha vencido, vence y seguirá venciendo siempre. A pesar de la perspectiva de la muerte física, para el hombre nuevo que vive en el Espíritu el destino de gloria es ya seguro. Esta esperanza no defrauda, como nos recuerda también la Bula de convocación del próximo Jubileo.[1]

2. La existencia del cristiano es vida de fe, diligente en la caridad y desbordante de esperanza, en la espera de la llegada del Señor en su gloria. La “demora” de la parusía, de su segunda venida, no es un problema; la cuestión es otra: «cuando venga el Hijo del hombre, ¿encontrará fe sobre la tierra?» (Lc 18,8). Sí, la fe es un don, un fruto de la presencia del Espíritu en nosotros, pero es también una tarea, que debe realizarse en la libertad, en la obediencia al mandamiento del amor de Jesús. Esa es la feliz esperanza que hemos de testimoniar; ¿dónde?, ¿cuándo?, ¿cómo? En los dramas de la carne humana que sufre. Si bien se sueña, ahora es necesario soñar con los ojos abiertos, animados por visiones de amor, de fraternidad, de amistad y de justicia para todos. La salvación cristiana entra en la profundidad del dolor del mundo, que no sólo afecta a los seres humanos, sino a todo el universo; a la naturaleza misma, oikos del hombre, su ambiente vital; comprende la creación como “paraíso terrenal”, la madre tierra, que debería ser lugar de alegría y promesa de felicidad para todos. El optimismo cristiano se fundamenta en una esperanza viva; sabe que todo tiende a la gloria de Dios, a la consumación final en su paz, a la resurrección corporal en la justicia, “de gloria en gloria”. En el transcurrir del tiempo, sin embargo, compartimos dolor y sufrimiento: la creación entera gime (cf. Rm 8,19-22), los cristianos gimen (cf. vv. 23-25) y gime el propio Espíritu (cf. vv. 26-27). El gemir manifiesta inquietud y sufrimiento, con anhelo y deseo. El gemido expresa confianza en Dios y abandono a su compañía afectuosa y exigente, con vistas a la realización de su designio, que es alegría, amor y paz en el Espíritu Santo.

3. Toda la creación está implicada en este proceso de un nuevo nacimiento y, gimiendo, espera la liberación. Se trata de un crecimiento escondido que madura, como “un grano de mostaza que se convierte en un gran árbol” o “levadura en la masa” (cf. Mt 13,31-33). Los comienzos son insignificantes, pero los resultados esperados pueden ser de una belleza infinita. En cuanto espera de un nacimiento —la revelación de los hijos de Dios— la esperanza es la posibilidad de mantenerse firmes en medio de las adversidades, de no desanimarse en el tiempo de las tribulaciones o frente a la barbarie humana. La esperanza cristiana no defrauda, pero tampoco da falsas ilusiones; si el gemido de la creación, de los cristianos y del Espíritu es anticipación y espera de la salvación que ya se está realizando, ahora estamos inmersos en muchos sufrimientos que san Pablo describe como “tribulaciones, angustias, persecución, hambre, desnudez, peligros, espada” (cf. Rm 8,35). Entonces la esperanza es una lectura alternativa de la historia y de las vicisitudes humanas; no ilusoria, sino realista, del realismo de la fe que ve lo invisible. Esta esperanza es la espera paciente, como el no-ver de Abraham. Me agrada recordar a ese gran creyente visionario que fue Joaquín de Fiore —el abad calabrés “de espíritu profético dotado”, según Dante Alighieri[2]— que, en un tiempo de luchas sanguinarias, de conflictos entre el papado y el imperio, de cruzadas, de herejías y de mundanidad de la Iglesia, supo indicar el ideal de un nuevo espíritu de convivencia entre los hombres, basado en la fraternidad universal y la paz cristiana, fruto de Evangelio vivido. Ese espíritu de amistad social y de fraternidad universal lo propuse en Fratelli tutti. Y esa armonía entre los seres humanos debe extenderse también a la creación, en un “antropocentrismo situado” (cf. Laudate Deum, 67), en la responsabilidad por una ecología humana e integral, camino de salvación de nuestra casa común y de nosotros que habitamos en ella.

4. ¿Por qué tanta maldad en el mundo? ¿Por qué tanta injusticia, tantas guerras fratricidas que causan la muerte de niños, destruyen ciudades, contaminan el entorno vital del hombre, la madre tierra, violentada y devastada? Refiriéndose implícitamente al pecado de Adán, san Pablo afirma: «Sabemos que la creación entera, hasta el presente, gime y sufre dolores de parto» (Rm 8,22). La lucha moral de los cristianos está relacionada con el “gemido” de la creación, porque esta última «quedó sujeta a la vanidad» (v. 20). Todo el cosmos y toda criatura gimen y anhelan “ansiosamente” que se supere la condición actual y se restablezca la originaria: en efecto, la liberación del hombre comporta también la de todas las demás criaturas que, solidarias con la condición humana, han sido sometidas al yugo de la esclavitud. Al igual que la humanidad, la creación ―sin culpa alguna― está esclavizada y se encuentra incapacitada para realizar aquello para lo que fue concebida, es decir, para tener un sentido y una finalidad duraderos; está sujeta a la disolución y a la muerte, agravadas por el abuso humano de la naturaleza. Pero, por el contrario, la salvación del hombre en Cristo es esperanza segura también para la creación; de hecho, «también la creación será liberada de la esclavitud de la corrupción para participar de la gloriosa libertad de los hijos de Dios» (Rm 8,21). Entonces, en la redención de Cristo es posible contemplar con esperanza el vínculo de solidaridad entre el ser humano y todas las demás criaturas.

5. En la expectación esperanzada y perseverante de la venida gloriosa de Jesús, el Espíritu Santo mantiene alerta a la comunidad creyente y la instruye continuamente, llamándola a la conversión de estilos de vida, para que se oponga a la degradación humana del medio ambiente y manifieste esa crítica social que es, ante todo, testimonio de la posibilidad de cambio. Esta conversión consiste en pasar de la arrogancia de quien quiere dominar a los demás y a la naturaleza ―reducida a objeto manipulable―, a la humildad de quien cuida de los demás y de la creación. «Un ser humano que pretende ocupar el lugar de Dios se convierte en el peor peligro para sí mismo» (Laudate Deum, 73), porque el pecado de Adán destruyó las relaciones fundamentales por las que vive el hombre: la que tiene con Dios, consigo mismo y con los demás seres humanos, y la que tiene con el cosmos. Todas estas relaciones deben ser, sinérgicamente, restauradas, salvadas, “reorientadas”. No puede faltar ninguna. Si falta una, falla todo.

6. Esperar y actuar con la creación significa, en primer lugar, aunar esfuerzos y, caminando junto con todos los hombres y mujeres de buena voluntad, contribuir a «repensar entre todos la cuestión del poder humano, cuál es su sentido, cuáles son sus límites. Porque nuestro poder ha aumentado frenéticamente en pocas décadas. Hemos hecho impresionantes y asombrosos progresos tecnológicos, y no advertimos que al mismo tiempo nos convertimos en seres altamente peligrosos, capaces de poner en riesgo la vida de muchos seres y nuestra propia supervivencia» (Laudate Deum, 28). Un poder incontrolado engendra monstruos y se vuelve contra nosotros mismos. Por eso hoy es urgente poner límites éticos al desarrollo de la inteligencia artificial, que, con su capacidad de cálculo y simulación, podría ser utilizada para dominar al hombre y la naturaleza, en lugar de ponerla al servicio de la paz y el desarrollo integral (cf. Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz 2024).

7. «El Espíritu Santo nos acompaña en la vida», esto lo entendieron bien los niños y niñas reunidos en la plaza de San Pedro para su primera Jornada Mundial, que coincidió con el domingo de la Santísima Trinidad. Dios no es una idea abstracta de infinito, sino que es Padre amoroso, Hijo amigo y redentor de todo hombre y Espíritu Santo que guía nuestros pasos por el camino de la caridad. La obediencia al Espíritu de amor cambia radicalmente la actitud del hombre: de “depredador” a “cultivador” del jardín. La tierra se entrega al hombre, pero sigue siendo de Dios (cf. Lv 25,23). Este es el antropocentrismo teologal de la tradición judeocristiana. Por tanto, pretender poseer y dominar la naturaleza, manipulándola a voluntad, es una forma de idolatría. Es el hombre prometeico, ebrio de su propio poder tecnocrático, que con arrogancia pone a la tierra en una condición “des-graciada”, es decir, privada de la gracia de Dios. Ahora bien, si la gracia de Dios es Jesús, muerto y resucitado, entonces es verdad lo que dijo Benedicto XVI: «No es la ciencia la que redime al hombre. El hombre es redimido por el amor» (Carta enc. Spe Salvi, 26), el amor de Dios en Cristo, del que nada ni nadie podrá separarnos jamás (cf. Rm 8,38-39). Constantemente atraída hacia su futuro, la creación no es estática ni está encerrada en sí misma. Hoy en día, también gracias a los descubrimientos de la física contemporánea, el vínculo entre materia y espíritu se presenta de manera cada vez más fascinante para nuestro conocimiento.

8. Por tanto, el cuidado de la creación no es sólo una cuestión ética, sino también eminentemente teológica, pues concierne al entrelazamiento del misterio del hombre con del misterio de Dios. Se puede decir que este entrelazamiento es “generativo”, ya que se remonta al acto de amor con el que Dios crea al ser humano en Cristo. Este acto creador de Dios otorga y funda el actuar libre del hombre y toda su eticidad: libre precisamente es su ser creado a imagen de Dios que es Jesucristo, y por ello “representante” de la creación en Cristo mismo. Hay una motivación trascendente (teológico-ética) que compromete al cristiano a promover la justicia y la paz en el mundo, también a través del destino universal de los bienes: se trata de la revelación de los hijos de Dios que la creación espera, gimiendo como con dolores de parto. En esta historia no sólo está en juego la vida terrena del hombre, está sobre todo su destino en la eternidad, el eschaton de nuestra bienaventuranza, el Paraíso de nuestra paz, en Cristo Señor del cosmos, el Crucificado-Resucitado por amor.

9. Esperar e actuar con la creación significa, pues, vivir una fe encarnada, que sabe entrar en la carne sufriente y esperanzada de la gente, compartiendo la espera de la resurrección corporal a la que los creyentes están predestinados en Cristo Señor. En Jesús, el Hijo eterno en carne humana, somos verdaderamente hijos del Padre. Por la fe y el bautismo, comienza para el creyente la vida según el Espíritu (cf. Rm 8,2), una vida santa, una existencia de hijos del Padre, como Jesús (cf. Rm 8,14-17), ya que, por la fuerza del Espíritu Santo, Cristo vive en nosotros (cf. Ga 2,20). Una vida que se convierte en un canto de amor a Dios, a la humanidad, con y por la creación, y que encuentra su plenitud en la santidad.[3]

Roma, San Juan de Letrán, 27 de junio de 2024

FRANCISCO

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[1] Spes non confundit, Bula de convocación del Jubileo Ordinario del Año 2025 (9 mayo 2024).
[2] Divina Comedia, Paraíso, XII, 141.
[3] Lo ha expresado poéticamente el sacerdote rosminiano Clemente Rebora: “Mientras la creación asciende en Cristo al Padre, / En el arcano destino / todo es dolor de parto: / ¡cuánto morir para que nazca la vida! / pero de una sola Madre, que es divina, / se viene felizmente a la luz: / vida que el amor produce en lágrimas, / y, si anhela, aquí abajo es poesía; / pero sólo la santidad cumple el canto” (cf. Curriculum vitae, “Poesia e santità”: Poesie, prose e traduzioni, Milano 2015, p. 297).

[01097-ES.01] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua portoghese

Espera e age com a criação

Queridos irmãos e irmãs!

“Espera e age com a criação”: é este o tema do Dia de Oração pelo Cuidado da Criação, que se realizará no próximo 1 de setembro. Refere-se à Carta de São Paulo aos Romanos 8, 19-25. O Apóstolo, ao esclarecer o significado de viver segundo o Espírito, concentra-se na esperança firme da salvação pela fé, que é vida nova em Cristo.

1. Comecemos, pois, por uma pergunta simples, mas que poderia não ter uma resposta óbvia: quando realmente acreditamos, como é que temos fé? Não é tanto porque “acreditamos” em algo transcendente e incompreensível para a nossa razão, ou seja, o mistério inacessível de um Deus distante e longínquo, invisível e inominável. Antes, é porque o Espírito Santo habita em nós, como diria São Paulo. Sim, somos cristãos porque o próprio Amor de Deus foi «derramado nos nossos corações» (Rm 5, 5). Por isso, o Espírito é agora, verdadeiramente, a «garantia da nossa herança» (Ef 1, 14), como uma “pro-vocação” a vivermos sempre inclinados para os bens eternos, segundo a plenitude da humanidade bela e boa de Jesus. O Espírito torna os fiéis criativos, proativos na caridade. Coloca-os num grande caminho de liberdade espiritual, não isento da luta entre a lógica do mundo e a do Espírito, que têm frutos opostos entre si (Gl 5, 16-17). Como sabemos, o primeiro fruto do Espírito, síntese de todos os outros, é o amor. Assim, guiados pelo Espírito Santo, os que acreditam são filhos de Deus e podem dirigir-se a Ele tal como Jesus, chamando-lhe «Abbá, ó Pai» (Rm 8, 15), na liberdade de quem já não recai no medo da morte, porque Jesus ressuscitou dos mortos. Eis a grande esperança: o amor de Deus venceu, vence sempre e vencerá de novo. Apesar da morte física, o destino de glória já está garantido para o homem novo que vive no Espírito. Esta esperança não desilude, como também nos recorda a Bula de proclamação do próximo Jubileu[1].

2. A existência do cristão é vida de fé, laboriosa na caridade e transbordante de esperança, enquanto aguarda o regresso do Senhor na sua glória. E a “demora” da parusia, da sua segunda vinda, não causa qualquer problema. A questão é outra: «quando o Filho do Homem voltar, encontrará a fé sobre a terra?» (Lc 18, 8). Sim, a fé é um dom, fruto da presença do Espírito em nós, mas é também uma tarefa, a realizar em liberdade, na obediência ao mandamento do amor de Jesus. Eis, aqui, a feliz esperança que deve ser testemunhada! Onde? Quando? Como? No interior dos dramas da carne humana que sofre. E se alguém sonha, então que sonhe com os olhos abertos, animados por visões de amor, fraternidade, amizade e justiça para todos. A salvação cristã entra no âmago da dor do mundo, que não atinge apenas o ser humano, mas todo o universo, a própria natureza, o oikos do homem, o seu ambiente vital; ela abarca a criação como “paraíso terrestre”, a mãe terra, que deveria ser lugar de alegria e promessa de felicidade para todos. O otimismo cristão baseia-se numa esperança viva: sabe que tudo tende para a glória de Deus, para a consumação final na sua paz, para a ressurreição corporal na justiça, “de glória em glória”. Contudo, no tempo que passa, partilhamos dores e sofrimentos: toda a criação geme (cf. Rm 8, 19-22), os cristãos gemem (cf. vv. 23-25) e o próprio Espírito geme (cf. vv. 26-27). Gemer manifesta inquietação e sofrimento, juntamente com anelo e desejo. O gemido exprime confiança em Deus e abandono à sua companhia amorosa e exigente, tendo em vista a realização do seu desígnio, que é alegria, amor e paz no Espírito Santo.

3. Toda a criação está implicada neste processo de um novo nascimento e, gemendo, espera a libertação: trata-se de um crescimento escondido que amadurece, como “um grão de mostarda que se transforma numa grande árvore” ou “o fermento na massa” (cf. Mt 13, 31-33). Os inícios são minúsculos, mas os resultados esperados podem ser de uma beleza infinita. Enquanto expectativa de um nascimento (a revelação dos filhos de Deus), a esperança é a possibilidade de permanecer firme no meio das adversidades, de não desanimar nos momentos de tribulação ou diante da barbárie humana. A esperança cristã não desilude, mas também não ilude: se o gemido da criação, dos cristãos e do Espírito é antecipação e expectativa da salvação já em ato, São Paulo descreve os numerosos sofrimentos em que estamos imersos como «tribulação, angústia, perseguição, fome, nudez, perigo, espada» (cf. Rm 8, 35). Assim, a esperança é uma leitura alternativa da história e dos acontecimentos humanos: não ilusória, mas realista, do realismo da fé que vê o invisível. Esta esperança é uma espera paciente, como a não visão de Abraão. Gosto de recordar aquele grande crente visionário que foi Joaquim de Fiore, o abade calabrês “dotado de espírito profético” [2], segundo Dante Alighieri: numa época de lutas sangrentas, conflitos entre o Papado e o Império, Cruzadas, heresias e mundanização da Igreja, ele soube apontar o ideal de um novo espírito de convivência entre os homens, marcado pela fraternidade universal e pela paz cristã, fruto do Evangelho vivido. Foi este espírito de amizade social e de fraternidade universal que propus na Fratelli tutti. E esta harmonia entre os homens deve estender-se também à criação, a partir de um “antropocentrismo situado” (cf. Laudate Deum, 67), na responsabilidade por uma ecologia humana e integral, caminho de salvação da nossa casa comum e dos que nela vivemos.

4. Por que há tanto mal no mundo? Porquê tanta injustiça, tantas guerras fratricidas que provocam a morte de crianças, destroem cidades, poluem o ambiente em que vive o homem, a mãe terra, violada e devastada? Referindo-se implicitamente ao pecado de Adão, São Paulo diz: «Bem sabemos como toda a criação geme e sofre as dores de parto até ao presente» (Rm 8, 22). A luta moral dos cristãos está ligada ao “gemido” da criação, porque ela «foi sujeita à destruição» (v. 20). Todo o cosmos e cada criatura gemem e anseiam “impacientemente”, para que a condição atual possa ser superada e a original restabelecida: efetivamente, a libertação do homem implica também a das outras criaturas que, solidárias com a condição humana, foram colocadas sob o jugo da escravidão. Tal como a humanidade, a criação – sem culpa sua – é escrava e vê-se incapaz de fazer aquilo para que foi concebida, isto é, ter um significado e um propósito duradouros; está sujeita à dissolução e à morte, agravadas pelos abusos humanos sobre a natureza. Mas, em sentido contrário, a salvação do homem em Cristo é esperança segura inclusive para a criação: com efeito, «também ela será libertada da escravidão da corrupção, para alcançar a liberdade na glória dos filhos de Deus» (Rm 8, 21). Portanto, na redenção de Cristo, é possível contemplar na esperança o vínculo de solidariedade entre o ser humano e todas as outras criaturas.

5. Na esperançosa e perseverante espera do regresso glorioso de Jesus, o Espírito Santo mantém vigilante a comunidade dos fiéis e instrui-a continuamente, chamando-a à conversão dos estilos de vida, a resistir à degradação humana do meio ambiente e a manifestar aquela crítica social que é, em primeiro lugar, testemunho da possibilidade de mudança. Esta conversão consiste em passar da arrogância de quem quer dominar os outros e a natureza – reduzida a um mero objeto manipulável – à humildade de quem cuida dos outros e da criação. «Um ser humano que pretenda tomar o lugar de Deus torna-se o pior perigo para si mesmo» (Laudate Deum, 73), porque o pecado de Adão destruiu as relações fundamentais da vida do homem: a relação com Deus, consigo mesmo, com os outros seres humanos, e a relação com o cosmos. Todas estas relações devem ser, sinergicamente, restauradas, salvas, “corrigidas”. Não pode faltar nenhuma. Se faltar uma, falha tudo.

6. Esperar e agir com a criação significa, antes de mais, unir forças e, caminhando juntamente com todos os homens e mulheres de boa vontade, ajudar a «repensar a questão do poder humano, do seu significado e dos seus limites. Com efeito, o nosso poder aumentou freneticamente em poucas décadas. Realizamos progressos tecnológicos impressionantes e surpreendentes, sem nos darmos conta, ao mesmo tempo, que nos tornámos altamente perigosos, capazes de pôr em perigo a vida de muitos seres e a nossa própria sobrevivência» (Laudate Deum, 28). Um poder descontrolado gera monstros e volta-se contra nós mesmos. Por isso, hoje, é urgente colocar limites éticos ao desenvolvimento da inteligência artificial, que com a sua capacidade de cálculo e de simulação poderia ser utilizada para dominar o homem e a natureza, em vez de estar ao serviço da paz e do desenvolvimento integral (cf. Mensagem para o Dia Mundial da Paz 2024).

7. «O Espírito Santo acompanha-nos na vida»: assim o compreenderam as crianças reunidas na Praça de São Pedro para a sua primeira Jornada Mundial, que coincidiu com o Domingo da Santíssima Trindade. Deus não é uma ideia abstrata de infinito, mas é Pai amoroso, Filho amigo e redentor de todo o homem, e Espírito Santo que guia os nossos passos no caminho da caridade. A obediência ao Espírito de amor muda radicalmente a atitude do homem: passa de “predador” a “cultivador” do jardim. A terra está confiada ao homem, mas continua a ser de Deus (cf. Lv 25, 23). Este é o antropocentrismo teológico da tradição judaico-cristã. Por isso, pretender possuir e dominar a natureza, manipulando-a a seu bel-prazer, é uma forma de idolatria. É o homem prometeico, embriagado com o seu próprio poder tecnocrático, que com arrogância coloca a terra numa condição de “des-graça”, isto é, privada da graça de Deus. Ora, se a graça de Deus é Jesus, morto e ressuscitado, então é verdade o que Bento XVI disse: «Não é a ciência que redime o homem. O homem é redimido pelo amor» (Carta Encíclica Spe Salvi, 26), o amor de Deus em Cristo, do qual nada nem ninguém nos pode separar (cf. Rm 8, 38-39). Continuamente atraída pelo seu futuro, a criação não é estática nem está fechada em si mesma. Hoje, graças também às descobertas da física contemporânea, a ligação entre matéria e espírito é cada vez mais fascinante para o nosso conhecimento.

8. Por conseguinte, a salvaguarda da criação não é apenas uma questão ética, mas é eminentemente teológica: na realidade, diz respeito ao entrelaçamento entre o mistério do homem e o mistério de Deus. Este entrelaçamento pode dizer-se que é “generativo”, na medida em que remete para o ato de amor com que Deus cria o ser humano em Cristo. Este ato criador de Deus confere e funda o livre agir do homem e toda a sua dimensão ética: livre precisamente por ter sido criado na imagem de Deus que é Jesus Cristo; e, por isso, “representante” da criação no próprio Cristo. Há uma motivação transcendente (teológico-ética) que compromete o cristão a promover a justiça e a paz no mundo, também através do destino universal dos bens: é a revelação dos filhos de Deus que a criação espera, gemendo como se estivesse com as dores do parto. Nesta história, não está em jogo apenas a vida terrena do homem, está sobretudo em jogo o seu destino na eternidade, o eschaton da nossa bem-aventurança, o Paraíso da nossa paz, em Cristo Senhor do cosmos, o Crucificado-Ressuscitado por amor.

9. Esperar e agir com a criação significa, então, viver uma fé encarnada, que sabe entrar na carne sofredora e esperançosa das pessoas, partilhando a expectativa da ressurreição corporal a que os fiéis estão predestinados em Cristo Senhor. Em Jesus, o Filho eterno na carne humana, somos verdadeiramente filhos do Pai. Pela fé e pelo batismo, começa para o cristão a vida segundo o Espírito (cf. Rm 8, 2), uma vida santa, uma existência como filhos do Pai, à semelhança de Jesus (cf. Rm 8, 14-17), visto que, pela força do Espírito Santo, Cristo vive em nós (cf. Gl 2, 20). Uma vida que se torna um cântico de amor para Deus, para a humanidade, com e para a criação, e que encontra a sua plenitude na santidade[3].

Roma, São João de Latrão, 27 de junho de 2024.

FRANCISCO

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[1] Spes non confundit, Bula de proclamação do Jubileu Ordinário do ano 2025 (9/V/2024).
[2] Divina Comédia, Paraíso, XII, 141.
[3] O padre rosminiano Clemente Rebora exprimiu-o poeticamente: «Enquanto a criação sobe em Cristo ao Pai, / no destino arcano / tudo são dores de parto: / quanto morrer para que a vida nasça! / Mas de uma só Mãe, que é divina, / felizmente se vem à luz: / vida que o amor produz em lágrimas, / e, se anela, aqui em baixo é poesia; / mas só a santidade realiza o canto» (Curriculum vitae, “Poesia e santità”: Poesie, prose e traduzioni, Milano 2015, p. 297).

[01097-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

 

Miej nadzieję i działaj ze stworzeniem

Drodzy bracia i siostry!

„Miej nadzieję i działaj ze stworzeniem”, to temat Światowego Dnia Modlitw o Ochronę Świata Stworzonego, który będzie obchodzony 1 września. Nawiązuje on do Listu św. Pawła do Rzymian 8, 19-25: Apostoł wyjaśnia, co to znaczy żyć według Ducha i koncentruje się na niezawodnej nadziei zbawienia przez wiarę, którą jest nowe życie w Chrystusie.

1. Zacznijmy więc od prostego pytania, na które może jednak zabraknąć oczywistej odpowiedzi: kiedy jesteśmy prawdziwie wierzącymi, jak to się dzieje, że mamy wiarę? To nie dlatego, że „wierzymy” w coś transcendentnego, czego nasz rozum nie może pojąć, w nieosiągalną tajemnicę Boga odległego i dalekiego, niewidzialnego i niepojętego. Raczej, jak powiedziałby św. Paweł, dzieje się tak dlatego, że Duch Święty mieszka w nas. Tak, jesteśmy wierzącymi, ponieważ sama Miłość Boża „rozlana jest w sercach naszych” (Rz 5,5). Dlatego Duch Święty jest teraz prawdziwie „zadatkiem naszego dziedzictwa” (Ef 1, 14), jako powołanie, które przynagla nas do życia zawsze w dążeniu do dóbr wiecznych, zgodnie z pełnią pięknego i dobrego człowieczeństwa Jezusa. Duch czyni ludzi wierzących twórczymi, proaktywnymi w miłosierdziu. Wprowadza ich na wielką drogę duchowej wolności, niepozbawionej jednak zmagań między logiką świata a logiką Ducha, których owoce są wobec siebie przeciwstawne (Ga 5, 16-17). Jak wiemy, pierwszym owocem Ducha, kompendium wszystkich innych, jest miłość. Prowadzeni zatem przez Ducha Świętego, wierzący są dziećmi Bożymi i mogą zwracać się do Niego wołając „Abba, Ojcze” (Rz 8, 15), tak jak Jezus, w wolności tych, którzy nie poddają się już lękowi przed śmiercią, ponieważ Jezus powstał z martwych. Oto wielka nadzieja: Boża miłość zwyciężyła, zawsze zwycięża i zwycięży ponownie. Przeznaczenie do chwały dla nowego człowieka, który żyje w Duchu, jest już pewne, pomimo perspektywy śmierci fizycznej. Nadzieja ta nie zawodzi, o czym przypomina nam również Bulla ogłaszająca bliski już Jubileusz[1].

2. Egzystencją chrześcijanina jest życie wiarą, aktywne w miłości i przepełnione nadzieją, ponieważ oczekuje on powrotu Pana w Jego chwale. Nie jest problemem „opóźnienie” paruzji, Jego powtórnego przyjścia. Pytanie brzmi inaczej: „Czy jednak Syn Człowieczy znajdzie wiarę na ziemi, gdy przyjdzie?” (Łk 18, 8). Tak, wiara jest darem, owocem obecności Ducha w nas, ale jest także zadaniem, które należy wypełniać w wolności, w posłuszeństwie Jezusowemu przykazaniu miłości. Oto błogosławiona nadzieja, której trzeba dawać świadectwo: gdzie? kiedy? jak? W obrębie dramatów cierpiącego ludzkiego ciała. Chociaż marzymy, to teraz trzeba marzyć z otwartymi oczami, ożywieni wizjami miłości, braterstwa, przyjaźni i sprawiedliwości dla wszystkich. Chrześcijańskie zbawienie wkracza w głębię bólu świata, który ogarnia nie tylko ludzi, ale cały wszechświat, samą naturę, oikos człowieka, jego środowisko życia; pojmuje stworzenie jako „ziemski raj”, matkę ziemię, która powinna być miejscem radości i obietnicą szczęścia dla wszystkich. Chrześcijański optymizm opiera się na żywej nadziei: wie, że wszystko zmierza ku chwale Boga, ku ostatecznemu spełnieniu w Jego pokoju, ku cielesnemu zmartwychwstaniu w sprawiedliwości, „coraz bardziej jaśniejąc” (por. 2 Kor 3, 18). W czasie, który mija, dzielimy jednak ból i cierpienie: jęczy i wzdycha całe stworzenie (por. Rz 8, 19-22), jęczą i wzdychają chrześcijanie (por. w. 23-25) oraz jęczy i błagalnie woła sam Duch (por. w. 26-27). To jęczenie i wzdychanie wyraża niepokój i cierpienie, połączone z tęsknotą i pragnieniem. Jęk jest wyrazem ufności w Bogu i powierzenia się Jego miłującemu i wymagającemu towarzystwu, oczekując wypełnienia Jego planu, którym jest radość, miłość i pokój w Duchu Świętym.

3. Całe stworzenie uczestniczy w tym procesie nowych narodzin i jęcząc, oczekuje wyzwolenia: jest to ukryty rozwój, który dojrzewa, niemal jak „ziarnko gorczycy, które staje się wielkim drzewem” lub „zaczyn w cieście” (por. Mt 13, 31-33). Początki są niewielkie, ale oczekiwane rezultaty mogą być nieskończenie piękne. Będąc oczekiwaniem narodzin – objawienia dzieci Bożych – nadzieja jest możliwością trwania pośród przeciwności, nie zniechęcania się w czasach ucisku lub w obliczu ludzkiego barbarzyństwa. Chrześcijańska nadzieja nie zawodzi, ale też nie zwodzi, bo jeśli jęk stworzenia, chrześcijan i Ducha jest antycypacją i oczekiwaniem dokonującego się już zbawienia, to teraz jesteśmy pogrążeni w wielu cierpieniach, które św. Paweł opisuje jako „utrapienie, ucisk, prześladowanie, głód, nagość, niebezpieczeństwo, miecz” (por. Rz 8, 35). Zatem nadzieja jest alternatywnym odczytaniem historii i ludzkich spraw: nie iluzorycznym, lecz realistycznym; realizmu wiary, która widzi to, co niewidzialne. Ta nadzieja jest cierpliwym oczekiwaniem, jak niewidzenie Abrahama. Lubię przypominać tego wielkiego wierzącego wizjonera, jakim był Joachim z Fiore, kalabryjski opat „obdarzony duchem proroczym”[2], który według Dantego Alighieri: w czasach krwawych walk, konfliktów między papiestwem a cesarstwem, wypraw krzyżowych, herezji i zeświecczenia Kościoła, potrafił wskazać ideał nowego ducha współistnienia między ludźmi, naznaczonego powszechnym braterstwem i chrześcijańskim pokojem, owocem przeżywanej Ewangelii. Tegoż ducha przyjaźni społecznej i powszechnego braterstwa zaproponowałem we Fratelli tutti. A ta harmonia między ludźmi musi rozciągać się także na stworzenie, w „antropocentryzmie umiejscowionym” (por. Adhort. apost. Laudate Deum, 67), w odpowiedzialności za ludzką i integralną ekologię, będącą drogą ocalenia naszego wspólnego domu i nas, którzy w nim zamieszkujemy.

4. Dlaczego w świecie jest tak wiele zła? Dlaczego tyle niesprawiedliwości, tyle bratobójczych wojen, które zabijają dzieci, niszczą miasta, zanieczyszczają środowisko życia człowieka, matkę ziemię, bezczeszczoną i dewastowaną? Odnosząc się pośrednio do grzechu Adama, św. Paweł mówi: „Wiemy przecież, że całe stworzenie aż dotąd jęczy i wzdycha w bólach rodzenia” (Rz 8, 22). Moralna walka chrześcijan jest powiązana z „jękiem” stworzenia, ponieważ „zostało poddane marności” (w. 20). Cały wszechświat i wszelkie stworzenie jęczy i tęskni „niecierpliwie”, aby mógł zostać przezwyciężony stan obecny, a przywrócony stan pierwotny: bowiem wyzwolenie człowieka pociąga za sobą również wyzwolenie wszystkich innych stworzeń, które solidarne z ludzką kondycją zostały poddane pod jarzmo niewoli. Podobnie jak ludzkość, także stworzenie – choć nie z własnej winy – jest zniewolone, i nie jest zdolne czynić to, do czego zostało stworzone, to znaczy posiadać trwałe znaczenie i cel. Jest poddane rozpadowi i śmierci, zaostrzonej przez ludzkie wyzyskiwanie przyrody. Natomiast zbawienie człowieka w Chrystusie jest pewną nadzieją również dla stworzenia: bowiem „również i ono zostanie wyzwolone z niewoli zepsucia, by uczestniczyć w wolności i chwale dzieci Bożych” (Rz 8, 21). Zatem w Chrystusowym odkupieniu można z nadzieją kontemplować więź solidarności między ludźmi a wszystkimi innymi stworzeniami.

5. W oczekiwaniu, pełnym nadziei i wytrwałym, na chwalebny powrót Jezusa, Duch Święty podtrzymuje czujność wspólnoty wierzących i nieustannie ją poucza, wzywając ją do nawrócenia co do stylu życia, do przeciwstawienia się degradacji środowiska przez człowieka, i do przejawiania krytyki społecznej, która jest przede wszystkim świadectwem możliwości wprowadzenia zmian. To nawrócenie polega na przejściu od arogancji tych, którzy chcą panować nad innymi i nad przyrodą – sprowadzoną do przedmiotu, którym można manipulować – do pokory tych, którzy troszczą się o innych i o stworzenie. „Człowiek, który chce zastąpić Boga, staje się najgorszym zagrożeniem dla samego siebie” (Adhort. apost. Laudate Deum, 73), ponieważ grzech Adama zniszczył fundamentalne relacje, dzięki którym człowiek żyje: z Bogiem, z samym sobą i innymi ludźmi oraz ze wszechświatem. Wszystkie te relacje muszą zostać harmonijnie przywrócone, ocalone, „naprawione”. Żadnej nie może zabraknąć. Jeśli brakuje jednej z nich, wszystko zawodzi.

6. Mieć nadzieję i działać ze stworzeniem oznacza przede wszystkim połączyć siły i, podążając wraz ze wszystkimi mężczyznami i kobietami dobrej woli, pomóc „przemyśleć kwestię ludzkiej władzy, jej znaczenia i granic. Rzeczywiście, w ciągu zaledwie kilku dekad, nasza władza gwałtownie wzrosła. Dokonaliśmy imponującego i zdumiewającego postępu technologicznego i nie zdajemy sobie sprawy, że jednocześnie staliśmy się bardzo niebezpieczni, zdolni zagrozić życiu wielu istot i naszemu własnemu przetrwaniu” (Adhort. apost. Laudate Deum, 28). Niekontrolowana władza rodzi potwory i obraca się przeciwko nam samym. Dlatego dziś pilnie trzeba wyznaczyć etyczne granice rozwoju sztucznej inteligencji, która ze swoją zdolnością do obliczeń i symulacji może być wykorzystywana do panowania nad człowiekiem i przyrodą, a nie w służbie pokoju i integralnego rozwoju (por. Orędzie na Światowy Dzień Pokoju 2024).

7. „Duch Święty towarzyszy nam w życiu”: zostało to dobrze zrozumiane przez chłopców i dziewczynki zgromadzonych na Placu Świętego Piotra na ich pierwszym Światowym Dniu, który zbiegł się z Niedzielą Trójcy Przenajświętszej. Bóg nie jest abstrakcyjną ideą nieskończoności, ale miłującym Ojcem, Synem, przyjacielem i odkupicielem każdego człowieka, oraz Duchem Świętym, który prowadzi nasze kroki na drodze miłości. Posłuszeństwo Duchowi miłości radykalnie zmienia postawę człowieka: z „drapieżnika” na „gospodarza” ogrodu. Ziemia jest powierzona człowiekowi, ale pozostaje własnością Boga (por. Kpł 25, 23). Jest to teologalny antropocentryzm tradycji judeochrześcijańskiej. Dlatego roszczenie sobie prawa do posiadania i panowania nad przyrodą, manipulowania nią jak się nam podoba, jest formą bałwochwalstwa. To prometejski człowiek, upojony własną technokratyczną mocą, arogancko stawia ziemię w stanie „nie-łaskawym”, to jest pozbawionym Bożej łaski. Zatem, jeśli Bożą łaską jest Jezus, który umarł i zmartwychwstał, to prawdą jest to, co powiedział Benedykt XVI: „To nie nauka odkupuje człowieka. Człowiek zostaje odkupiony przez miłość” (Enc. Spe salvi, 26), miłość Boga w Chrystusie, od której nic i nikt nie może nas oddzielić (por. Rz 8, 38-39). Stworzenie, nieustannie pociągane ku swej przyszłości, nie jest statyczne ani zamknięte w sobie. Dzisiaj, także dzięki odkryciom współczesnej fizyki, związek między materią a duchem ukazuje się w sposób coraz bardziej fascynujący dla naszej wiedzy.

8. Ochrona stworzenia jest zatem kwestią nie tylko etyczną. ale także wybitnie teologiczną. Dotyczy bowiem splotu tajemnicy człowieka i tajemnicy Boga. Splot ten można nazwać „generatywnym”, ponieważ odnosi się do aktu miłości, poprzez który Bóg stwarza człowieka w Chrystusie. Ten stwórczy akt Boga obdarza i stanowi podstawę wolnego działania człowieka i całej jego etyczności: wolnego właśnie w tym, że jest stworzony na obraz Boga, którym jest Jezus Chrystus, i z tego powodu „reprezentuje” stworzenie w samym Chrystusie. Istnieje motywacja transcendentna (teologiczno-etyczna), która zobowiązuje chrześcijanina do krzewienia sprawiedliwości i pokoju w świecie, również poprzez powszechne przeznaczenie dóbr: owo objawienie dzieci Bożych, na które stworzenie oczekuje, jęcząc i wzdychając jak w bólach rodzenia. Stawką jest nie tylko życie doczesne człowieka w tej historii, ale przede wszystkim jego przeznaczenie do wieczności, eschaton naszego szczęścia, Raj naszego pokoju, w Chrystusie Panu Wszechświata, Ukrzyżowanym i Zmartwychwstałym ze względu na miłość.

9. Mieć nadzieję i działać ze stworzeniem oznacza zatem żyć wiarą wcieloną, która potrafi wejść w cierpiące i pełne nadziei ciało ludzi, dzieląc oczekiwanie na cielesne zmartwychwstanie, do którego wierzący są przeznaczeni w Chrystusie Panu. W Jezusie, odwiecznym Synu w ludzkim ciele, jesteśmy prawdziwie dziećmi Ojca. Poprzez wiarę i chrzest rozpoczyna się dla wierzącego życie według Ducha (por. Rz 8, 2), życie święte, egzystencja jako dzieci Ojca, jak Jezus (por. Rz 8, 14-17), ponieważ mocą Ducha Świętego żyje w nas Chrystus (por. Ga 2, 20). Życie, które staje się pieśnią miłości dla Boga, dla ludzkości, ze stworzeniem i dla stworzenia, i które odnajduje swoją pełnię w świętości[3].

Rzym, u Świętego Jana na Lateranie, 27 czerwca 2024 r.

FRANCISZEK

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[1] Spes non confundit. Bulla Ogłaszająca Jubileusz Zwyczajny Roku 2025, 9 maja 2024.
[2] Boska Komedia, Raj, XII 141
[3] Wyraził to poetycko ksiądz Clemente Rebora, rosminianin: „Gdy stworzenie wstępuje w Chrystusie do Ojca, / w tajemniczym przeznaczeniu / wszystko bólem jest porodu: / ileż trzeba umrzeć, by mogło narodzić się życie! / ale z jednej tylko Matki, która jest Boża, / do światła szczęśliwie przychodzi: / życie, które miłość rodzi we łzach, / a jeśli tęskni, to tutaj jest poezją; / lecz tylko świętość dopełnia śpiewu”. Curriculum vitae, „Poesia e santità”, w: Poesie, prose e traduzioni, Milano 2015, s. 297.

[01097-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

في اليوم العالمي للصّلاة من أجل العناية بالخليقة

1 أيلول/سبتمبر 2024

املأ قلبك بالرّجاء واعمل مع الخليقة

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء!

”املأ قلبك بالرّجاء واعمل مع الخليقة“: هذا هو موضوع يوم الصّلاة من أجل العناية بالخليقة، في الأوّل من أيلول/سبتمبر المقبل. الموضوع يشير إلى رسالة القدّيس بولس الرّسول إلى أهل رومة (8، 19-25)، حيث يوضِّح الرّسول ما معنى أن نحيا بحسب الرّوح، ويركّز على رجاء الخلاص الأكيد بالإيمان، وهو الحياة الجديدة في المسيح.

1. لنبدأ بسؤال بسيط، وقد لا يكون له جواب واضح: عندما نكون مؤمنين حقًا، ”ما معنى أن نكون مؤمنين“؟ ليس لأنّنا ”نؤمن“ بشيء فائق لا يقدر عقلنا أن يفهمه، وهو السّرّ البعيد المنال لإله بعيد، وغير مَرئِيٍّ ولا اسم له. بل يقول القدّيس بولس: "لأنّ الرّوح القدس يسكن فينا". نعم، نحن مؤمنون لأنّ محبّة الله نفسها "أُفيضَت في قُلوبِنا" (رومة 5، 5). لذلك فإنّ الرّوح القدس هو الآن حقًا "عُربونُ مِيراثِنا" (أفسس 1، 14)، وهو مثل حافز لنحيا في شوق دائم إلى الخيرات الأبديّة، وفقًا لملء إنسانيّة يسوع بما فيها من جمال وصلاح. فالرّوح يجعل المؤمنين مبدعين، وناشطين في أعمال محبّة. ويضعهم في مسيرة كبرى للحرّيّة الرّوحية، لكنّها لا تخلو من الصّراع بين منطق العالم ومنطق الرّوح اللذين لهما ثمار متضاربة (غلاطية 5، 16-17). نحن نعلَم أنّ باكورة ثمر الرّوح، وخلاصة الثّمار كلّها، هي المحبّة. إذًا، بقيادة الرّوح القدس، المؤمنون هم أبناء الله ويمكنهم أن يتوجّهوا إليه وأن يدعوه "أَبًّا، يا أَبَتِ!" (رومة 8، 15)، تمامًا مثل يسوع، وفي حرّيّة الذين لن يعودوا إلى الوقوع في الخوف من الموت، لأنّ يسوع قام من بين الأموات. هذا هو الرّجاء الكبير: محبّة الله قد انتصرت، وتنتصر دائمًا وستنتصر مرّة أخرى. مصير المجد صار أكيدًا، بالرّغم من رؤيّة الموت الجسديّ، للإنسان الجديد الذي يعيش في الرّوح. وهذا الرّجاء لا يُخيِّب صاحبه أبدًا، كما يذكّرنا أيضًا مرسوم الدّعوة إلى اليوبيل القادم[1].

2. حياة المسيحيّ هي حياة إيمان، نشطة في المحبّة، ومفعمة بالرّجاء، وتنتظر عودة الرّبّ يسوع في مجده. ”تأخُّر“ ظهور الرّبّ في المجيء الثّاني ليس مشكلة. السّؤال هو آخر: "متى جاءَ ابنُ الإِنسان، أَفَتُراه يَجِدُ الإِيمانَ على الأَرض؟" (لوقا 18، 8). نعم، الإيمان هو عطيّة، وثمرة حضور الرّوح فينا، ولكنّه أيضًا واجب نقوم به بحرّيّة، في الطّاعة لوصيّة المحبّة التي أوصى بها يسوع. هذا هو الرّجاء المبارك الذي نشهد له: أين؟ ومتى؟ وكيف؟ داخل مآسي الجسد البشريّ المتألّم. إن كان الإنسان يحلم، عليه الآن أن يحلم بعيون مفتوحة، تملأها رؤى الحبّ والأخوّة والصّداقة والعدل للجميع. الخلاص المسيحيّ ينفذ في عمق آلام العالم، الذي لا يشمل البشر فقط، بل الكون كلّه، الطّبيعة نفسها، بيت الإنسان، وبيئته الحيويّة. ويصوّر الخليقة على أنّها ”الفردوس الأرضيّ“، الأرض الأم، والتي ينبغي أن تكون مكانًا للفرح والوعد بالسّعادة للجميع. التّفاؤل المسيحيّ يقوم على رجاء حيّ: فهو يعرف أنّ كلّ شيء يؤول إلى مجد الله، وإلى الكمال النّهائي في سلامه، وإلى قيامة الجسد في البِرّ، ”من مجد إلى مجد“. ومع ذلك، ففي الوقت الذي يمرّ، نتقاسم الألم والمعاناة: الخَليقَةُ جَمعاء تَئِنُّ (راجع رومة 8، 19-22)، والمسيحيُّون يَئِنُّون (راجع الآيات 23-25)، والرّوح نفسه يَئِنُّ (راجع الآيات 26-27). الأنين يبيِّن القلق والألم، مع التَّوق والرّغبة. والأنين يعبِّر عن الثّقة بالله والثّقة برفقته الحنونة والمتطلّبة، لتحقيق خطته التي هي فرح ومحبّة وسلام في الرّوح القدس.

3. الخليقة كلّها تشملها عمليّة الولادة الجديدة هذه، وتَئِنُّ، وتنتظر التّحرّر: إنّه نمو خفيّ ينضج، إنّه مثل ”حبّة الخردل التي تصبح شجرة كبيرة“ أو مثل ”الخميرة في العجين“ (راجع متّى 13، 31-33). البدايات صغيرة، لكن النّتائج المتوقّعة يمكن أن تكون ذات جمال فائق. مثل انتظار ولادة، - هكذا يكون ظهور أبناء الله – الرّجاء هو إمكانيّة البقاء ثابتين في وسط الشّدائد، وألّا نصاب بالإحباط في أوقات الضّيقات أو أمام همجيّة الإنسان. الرّجاء المسيحيّ لا يُخيِّب صاحبه أبدًا، ولا يملأهم بالأوهام: إنّ أنين الخليقة والمسيحيّين والرّوح هو استباق وانتظار للخلاص الذي بدأ وهو يعمل فينا منذ الآن، إلّا أنّنا الآن مغمورون في آلام كثيرة وصفها القدّيس بولس بأنّها ”شِدَّةٌ وضِيقٌ واضْطِهادٌ وجُوعٌ وعُرْيٌ وخَطَرٌ وسَيْف“ (رومة 8، 35). فعلى هذا يكون الرّجاء قراءة بديلة للتّاريخ والأحداث الإنسانيّة: فهو ليس أوهامًا، بل واقع، إنّها واقعيّة الإيمان الذي يَرَى ما لا يُرَى. وهذا الرّجاء ينتظر بصبر، مثل إبراهيم الذي لم يرَ ما سيأتي. يروق لي أن أذكر ذلك المؤمن والرّائي الكبير، جواكينو دا فيوري (Gioacchino da Fiore)، رئيس دير كالابريا ”ذو الرّوح النّبويّة“، كما قال فيه دانتي أليغييري[2]: في زمن صراعات دمويّة، وصراع بين البابويّة والإمبراطوريّة، وفي زمن الحروب الصّليبيّة، والبدع وروح الدّنيا في الكنيسة، استطاع جواكينو دا فيوري أن يرشد إلى مثال روح جديدة للحياة بين النّاس، على أساس الأخوّة الشّاملة والسّلام المسيحيّ، ثمرة لحياة بموجب الإنجيل. وقد اقترحْتُ روح الصّداقة الاجتماعيّة والأخوّة العالميّة هذه في الرّسالة العامّة، ”كلّنا إخوة“ (Fratelli tutti). هذا الانسجام بين البشر يجب أن يمتدّ أيضًا إلى الخليقة، في ”وجود مركَّزٍ على الإنسان“ (راجع دستور عقائدي في الكنيسة، نور الأمم، 67)، مع حسّ بالمسؤوليّة تجاه بيئة بشريّة ومتكاملة، تكون طريقًا إلى خلاص بيتنا المشترك وإلى خلاصنا نحن الذين نعيش فيه.

4. لماذا يوجدُ شرٌّ كثير في العالم؟ ولماذا يوجدُ ظلمٌ كثير، وحروبٌ كثيرة بين الأشقّاء، تُميت الأطفال، وتُدَمِّر المُدن، وتلوّث بيئة حياة الإنسان، وتدنّس وتخرّب أمّنا الأرض؟ قال القدّيس بولس وقد أشار إشارة ضمنيّة إلى خطيئة آدم، قال: "فإِنَّنا نَعلَمُ أَنَّ الخَليقَةَ جَمْعاءَ تَئِنُّ إِلى اليَومِ مِن آلامِ المَخاض" (رومة 8، 22). ارتبط جهاد المسيحيّين الأخلاقيّ ”بأنين“ الخليقة، لأنّها "أُخضِعَت لِلباطِل" (الآية 20). الكون كلّه وكلّ مخلوق يَئِنُّ ويتوق ”بفارغ الصّبر“ حتّى يمرّ الوضع الحاليّ ويعود إلى الوضع الأصليّ: في الواقع، تحرُّر الإنسان يستلزم أيضًا تحرُّر المخلوقات الأخرى كلّها التي تضامنت مع الحالة الإنسانيّة ووضعت تحت نير العبوديّة. مثل البشريّة، الخليقة مُستعبَدة - دون أيّ ذَنبٍ لها -، وتجد نفسها غير قادرة على أن تقوم بما صُمِّمَت من أجله، أي أن يكون لها معنى وهدف دائم، فهي عُرضة للانحلال والموت، وهذا يتفاقم بسبب إساءة الإنسان للطّبيعة. لكن، عكس هذا الواقع، فإنّ خلاص الإنسان في المسيح هو أيضًا رجاء أكيد للخليقة: "لأَنَّ الخَلِيقَةَ هي أَيضًا ستُحَرَّرُ مِن عُبودِيَّةِ الفَسادِ لِتُشارِكَ أَبناءَ اللهِ في حُرِّيَّتِهم ومَجْدِهم" (رومة 8، 21). وهكذا يمكننا أن نرى في فداء المسيح رباط التّضامن بين الإنسان وسائر المخلوقات.

5. في انتظارنا الثّابت والمليء بالرّجاء لعودة يسوع المجيدة، الرّوح القدس يسهر على الجماعة المؤمنة ويرشدها باستمرار، ويدعوها إلى التّوبة في أنماط حياتها، لكي تقاوم التّدهور البشريّ للبيئة وتبيّن النّقد الاجتماعيّ الذي هو أوّلًا شهادة على إمكانيّة التّغيير. هذه التّوبة تتمثّل في الانتقال من غطرسة الذين يريدون السّيطرة على الآخرين وعلى الطّبيعة - وتحويلها إلى شيء يمكن التّلاعب به - إلى تواضع الذين يهتمّون بالآخرين وبالخليقة. "الإنسان الذي يدَّعِي بأنّه يحلّ محلّ الله يصير هو أكبر خطر على نفسه" (سبِّحوا الله، 73)، لأنّ خطيئة آدم دمّرت العلاقات الأساسيّة التي يعيش بها الإنسان: العلاقة مع الله، ومع نفسه ومع البشر الآخرين، ومع الكون. يجب إعادة تحديد هذه العلاقات كلّها، بشكل متناسق، وحفظها، و”تصحيحها“. لا يجوز أن يغيب أيّ عنصر من العناصر السّابقة، فإن غاب واحدٌ فشَلَ كلّ شيء.

6. أن نملأ قلبنا بالرّجاء ونعمل مع الخليقة يعني قبل كلّ شيء أن نوحّد جهودنا، ونسير معًا، مع كلّ الرّجال والنّساء أصحاب الإرادة الصّالحة، ونساهم في "إعادة التّفكير معًا في قضيّة قُدرة الإنسان: ما معناها؟ وما هي حدودها؟ لأنّ قدرتنا زادت بشكل محموم في غضون بضعة عقود فقط. لقد حقّقنا تقدّمًا تكنولوجيًّا باهرًا ومذهلًا، ولا ندرك أنّنا في الوقت نفسه أصبحنا كائنات شديدة الخطورة، قادرة على أن تعرّض للخطر حياة العديد من الكائنات وتهدِّد بقاءنا نفسه" (سبِّحوا الله، 28). القوّة غير المضبوطة تولِّد الوحوش وتنقلب ضدّنا. لذلك، من الملحّ اليوم أن نضع حدودًا أخلاقيّة على تطوّر الذّكاء الاصطناعيّ، الذي يمكن أن يُستَخدَم، بسبب قدرته على الحسابيات وعلى التّمثيل، للسّيطرة على الإنسان وعلى الطّبيعة، بدل أن يكون في خدمة السّلام والتّنمية المتكاملة (راجع رسالة اليوم العالمي للسّلام 2024).

7. "الرّوح القدس يرافقنا في الحياة": فَهِمَ الأطفال هذه الجملة جيّدًا، الذين اجتمعوا في ساحة القدّيس بطرس في يومهم العالميّ الأوّل، والذي تزامن مع أحد الثّالوث الأقدس. الله ليس فكرة مجرّدة لا صورة لها، بل هو أبٌ مُحبّ، وابن وصديق وفادٍ لكلّ إنسان، وروحٌ قدُسٌ يرشد خطواتنا على طريق المحبّة. الطّاعة لروح المحبّة تغيّر تصرّف الإنسان بشكل جذريّ: من ”مُفترس“ إلى ”مُزارع“ للحديقة. الأرض أُعطيت للإنسان، لكنّها تبقى لله (راجع الأحبار 25، 23). هذه هي المركزيّة البشريّة اللاهوتيّة للتّقليد اليهوديّ المسيحيّ. لذلك، إن حاولنا أن نمتلك الطّبيعة ونسيطر عليها، ونتلاعب بها كما نرغب، فهذا شكلٌ من أشكال عبادة الأصنام. هذا هو الإنسان على مثال بروميثيوس بغروره، والمنتشي بقوّته التكنوقراطيّة، وهو الذي يضع الأرض بغطرسته في حالة ”يائِسَة“، أي بدون نعمة الله. الآن، إن كانت نعمة الله هو يسوع، الذي مات وقام من بين الأموات، فإنّ ما قاله البابا بندكتس السّادس عشر صحيح: "ليسَ العلمُ الذي يفديَ الإنسان. بل المحبّة هي التي تفديه" (الرّسالة العامّة بالرّجاء مخلَّصون، 26)، محبّة الله في المسيح، التي لا يمكن لأيّ شيء أو أحد أن يفصلنا عنها (راجع رومة 8، 38-39). الخليقة مشدودة باستمرار إلى مستقبلها، وليست غير متحركة أو منغلقة على نفسها. واليوم، بفضل اكتشافات الفيزياء المعاصرة، تظهر العلاقة بين المادّة والرّوح بجاذبيّة أشدّ وهي دائمًا في ازياد.

8. إذًا، حماية الخليقة هي مسألة ليس فقط أخلاقيّة، بل أيضًا لاهوتيّة وبامتياز: فهي مسألة التّرابط بين سرِّ الإنسان وسرِّ الله. ويمكننا أن نقول إنّ هذا التّرابط يؤدّي إلى ”ولادة“، بما أنّه يسمو ويعلو حتّى يبلغ حبّ الله الذي يخلق الإنسان في المسيح. عمل الله الخالق هذا يعطي ويؤسّس عمل الإنسان الحرّ، وكلّ الطّابع الأخلاقيّ فيه: فهو حرٌّ لكونه مخلوقًا على صورة الله الذي هو يسوع المسيح، ولهذا فهو ”ممثّل“ الخليقة في المسيح نفسه. هناك دافع سبّبي أعلى من الإنسان (لاهوتيّ-أخلاقيّ) يُلزم المسيحيّ بأن يعمل للعدل والسّلام في العالم، وذلك بالتّوجيه العام للخيرات: إنّه ظهور أبناء الله الذي تنتظره الخليقة، وهي تَئِنُّ كمثل الأنين في يوم المخاض. الموضوع ليس فقط حياة الإنسان الأرضيّة في هذا التّاريخ، بل هو خاصّة مصيره في الأبديّة، هو السّعادة الأبديّة، وفردوس سلامنا، في المسيح ربّ الكون، المصلوب والقائم من بين الأموات حبًّا لنا.

9. أن نملأ قلبنا بالرّجاء ونعمل مع الخليقة يعني إذًا أن نعيش الإيمان المتجسّد، الذي يعرف كيف يدخل في جسد النّاس الذين يتألّمون ويرجون، مشاركين معهم انتظارهم قيامة الجسد، وهم الموجَّهون إليها منذ البدء بيسوع المسيح. في يسوع، ابن الله الأزليّ الذي صار جسدًا، نحن حقًّا أبناء الآب. بالإيمان والمعموديّة تبدأ حياة المؤمن بحسب الرّوح القدس (راجع رومة 8، 2)، حياة مقدّسة، وحياة أبناء للآب، مثل يسوع (راجع رومة 8، 14-17)، لأنّه بقوّة الرّوح القدس، المسيح يحيا فينا (راجع غلاطية 2، 20)، حياة تصير نشيد محبّة لله، وللبشريّة، ومع الخليقة ومن أجلها، وتجد ملئها وكمالها في القداسة.[3]

روما، بازيليكا القدّيس يوحنّا في اللاتران، يوم 27 حزيران/يونيو 2024.

 

فرنسيس

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[1] الرَّجاءُ لا يُخَيِّبُ، مرسوم الدّعوة إلى اليوبيل العادي لسنة 2025 (9 أيار/مايو).

[2] Divina CommediaParadiso, XII, 141.

[3] وقد عبَّر عنها الكاهن الرّوسميني كليمنتي ريبورا بطريقة شعريّة، قال: "بينما تصعد الخليقة في المسيح إلى الآب، / في المصير الخفيّ/ كلّ شيء هو ألم الولادة: /كم من الموت حتّى أن تولد الحياة! / من أمّ وحيدة، إلهيّة، /تتمّ الولادة بفرح: /الحياة التي يعطيها الحبّ بالدّموع، / والشّوق، في هذه الدّنيا شعر؛ / لكن القداسة وحدها تكمل النّشيد" (Curriculum vitae, “Poesia e santità”: Poesie, prose e traduzioni, Milano 2015, p. 297).

[01097-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0533-XX.02]