Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Santa Messa nella Solennità del Corpus Domini, 06.06.2021


 

Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

 

Alle ore 17.30 di questo pomeriggio, Solennità del Corpus Domini, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa all’Altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Gesù manda i suoi discepoli perché vadano a preparare il luogo dove celebrare la cena pasquale. Erano stati loro a chiedere: «Maestro, dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?» (Mc 14,12). Mentre contempliamo e adoriamo la presenza del Signore nel Pane eucaristico, siamo chiamati anche noi a domandarci: in quale “luogo” vogliamo preparare la Pasqua del Signore? Quali sono i “luoghi” della nostra vita in cui Dio ci chiede di essere ospitato? Vorrei rispondere a queste domande soffermandomi su tre immagini del Vangelo che abbiamo ascoltato (Mc 14,12-16.22-26).

La prima è quella dell’uomo che porta una brocca d’acqua (cfr v. 13). È un dettaglio che sembrerebbe superfluo. Ma quell’uomo del tutto anonimo diventa la guida per i discepoli che cercano il luogo che poi sarà chiamato il Cenacolo. E la brocca d’acqua è il segno di riconoscimento: un segno che fa pensare all’umanità assetata, sempre alla ricerca di una sorgente d’acqua che la disseti e la rigeneri. Tutti noi camminiamo nella vita con una brocca in mano: tutti noi, ognuno di noi ha sete di amore, di gioia, di una vita riuscita in un mondo più umano. E per questa sete, l’acqua delle cose mondane non serve, perché si tratta di una sete più profonda, che solo Dio può soddisfare.

Seguiamo ancora questo “segnale” simbolico. Gesù dice ai suoi che dove li condurrà un uomo con la brocca d’acqua, là si potrà celebrare la Cena della Pasqua. Per celebrare l’Eucaristia, dunque, bisogna anzitutto riconoscere la propria sete di Dio: sentirci bisognosi di Lui, desiderare la sua presenza e il suo amore, essere consapevoli che non possiamo farcela da soli ma abbiamo bisogno di un Cibo e di una Bevanda di vita eterna che ci sostengono nel cammino. Il dramma di oggi – possiamo dire – è che spesso la sete si è estinta. Si sono spente le domande su Dio, si è affievolito il desiderio di Lui, si fanno sempre più rari i cercatori di Dio. Dio non attira più perché non avvertiamo più la nostra sete profonda. Ma solo dove c’è un uomo o una donna con la brocca per l’acqua – pensiamo alla Samaritana, per esempio (cfr Gv 4,5-30) – il Signore può svelarsi come Colui che dona la vita nuova, che nutre di speranza affidabile i nostri sogni e le nostre aspirazioni, presenza d’amore che dona senso e direzione al nostro pellegrinaggio terreno. Come già notavamo, è quell’uomo con la brocca che conduce i discepoli alla stanza dove Gesù istituirà l’Eucaristia. È la sete di Dio che ci porta all’altare. Se manca la sete, le nostre celebrazioni diventano aride. Anche come Chiesa, allora, non può bastare il gruppetto dei soliti che si radunano per celebrare l’Eucaristia; dobbiamo andare in città, incontrare la gente, imparare a riconoscere e a risvegliare la sete di Dio e il desiderio del Vangelo.

La seconda immagine è quella della grande sala al piano superiore (cfr v. 15). È lì che Gesù e i suoi faranno la cena pasquale e questa sala si trova nella casa di una persona che li ospita. Diceva don Primo Mazzolari: «Ecco che un uomo senza nome, un padrone di casa, gli presta la sua camera più bella. […] Egli ha dato ciò che aveva di più grande perché intorno al grande sacramento ci vuole tutto grande, camera e cuore, parole e gesti» (La Pasqua, La Locusta 1964, 46-48).

Una sala grande per un piccolo pezzo di Pane. Dio si fa piccolo come un pezzo di pane e proprio per questo occorre un cuore grande per poterlo riconoscere, adorare, e accogliere. La presenza di Dio è così umile, nascosta, talvolta invisibile, che ha bisogno di un cuore preparato, sveglio e accogliente per essere riconosciuta. Invece se il nostro cuore, più che a una grande sala, somiglia a un ripostiglio dove conserviamo con rimpianto le cose vecchie; se somiglia a una soffitta dove abbiamo riposto da tempo il nostro entusiasmo e i nostri sogni; se somiglia a una stanza angusta, e una stanza buia perché viviamo solo di noi stessi, dei nostri problemi e delle nostre amarezze, allora sarà impossibile riconoscere questa silenziosa e umile presenza di Dio. Ci vuole una sala grande. Bisogna allargare il cuore. Occorre uscire dalla piccola stanza del nostro io ed entrare nel grande spazio dello stupore e dell’adorazione. E questo ci manca tanto! Questo ci manca in tanti movimenti che noi facciamo per incontrarci, riunirci, pensare insieme la pastorale… Ma se manca questo, se manca lo stupore e l’adorazione, non c’è strada che ci porti al Signore. Neppure ci sarà il sinodo, niente. Questo è l’atteggiamento davanti all’Eucaristia, di questo abbiamo bisogno: adorazione. Anche la Chiesa dev’essere una sala grande. Non un circolo piccolo e chiuso, ma una Comunità con le braccia spalancate, accogliente verso tutti. Chiediamoci questo: quando si avvicina qualcuno che è ferito, che ha sbagliato, che ha un percorso di vita diverso, la Chiesa, questa Chiesa, è una sala grande per accoglierlo e condurlo alla gioia dell’incontro con Cristo? L’Eucaristia vuole nutrire chi è stanco e affamato lungo il cammino, non dimentichiamolo! La Chiesa dei perfetti e dei puri è una stanza in cui non c’è posto per nessuno; la Chiesa dalle porte aperte, che festeggia attorno a Cristo, è invece una sala grande dove tutti – tutti, giusti e peccatori – possono entrare.

Infine, la terza immagine, l’immagine di Gesù che spezza il Pane. È il gesto eucaristico per eccellenza, il gesto identitario della nostra fede, il luogo del nostro incontro con il Signore che si offre per farci rinascere a una vita nuova. Anche questo gesto è sconvolgente: fino ad allora si immolavano agnelli e si offrivano in sacrificio a Dio, ora è Gesù che si fa agnello e si immola per donarci la vita. Nell’Eucaristia contempliamo e adoriamo il Dio dell’amore. È il Signore che non spezza nessuno ma spezza Sé stesso. È il Signore che non esige sacrifici ma sacrifica Sé stesso. È il Signore che non chiede nulla ma dona tutto. Per celebrare e vivere l’Eucaristia, anche noi siamo chiamati a vivere questo amore. Perché non puoi spezzare il Pane della domenica se il tuo cuore è chiuso ai fratelli. Non puoi mangiare questo Pane se non dai il pane all’affamato. Non puoi condividere questo Pane se non condividi le sofferenze di chi è nel bisogno. Alla fine di tutto, anche delle nostre solenni liturgie eucaristiche, solo l’amore resterà. E fin da adesso le nostre Eucaristie trasformano il mondo nella misura in cui noi ci lasciamo trasformare e diventiamo pane spezzato per gli altri.

Fratelli e sorelle, dove “preparare la cena del Signore” anche oggi? La processione con il Santissimo Sacramento – caratteristica della festa del Corpus Domini, ma che per il momento non possiamo ancora fare – ci ricorda che siamo chiamati a uscire portando Gesù. Uscire con entusiasmo portando Cristo a coloro che incontriamo nella vita di ogni giorno. Diventiamo una Chiesa con la brocca in mano, che risveglia la sete e porta l’acqua. Spalanchiamo il cuore nell’amore, per essere noi la sala spaziosa e ospitale dove tutti possano entrare a incontrare il Signore. Spezziamo la nostra vita nella compassione e nella solidarietà, perché il mondo veda attraverso di noi la grandezza dell’amore di Dio. E allora il Signore verrà, ci sorprenderà ancora, si farà ancora cibo per la vita del mondo. E ci sazierà per sempre, fino al giorno in cui, nel banchetto del Cielo, contempleremo il suo volto e gioiremo senza fine.

[00784-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Jésus envoie ses disciples pour qu’ils aillent préparer le lieu où célébrer le repas pascal. C’étaient eux qui lui avaient demandé: «Où veux-tu que nous allions faire les préparatifs pour que tu manges la Pâque? » (Mc 14, 12). Tandis que nous contemplons et adorons la présence du Seigneur dans le Pain eucharistique, nous sommes appelés nous aussi à nous demander: dans quel “lieu” voulons-nous préparer la Pâque du Seigneur?Quels sont les “lieux” de notre vie où Dieu nous demande d’être accueilli?Je voudrais répondre à ces questions en m’arrêtant sur trois images de l’Évangile que nous avons entendu (Mc 14, 12-16.22-26).

La première est celle de l’homme qui porte une cruche d’eau (cf. v. 13). C’est un détail qui semblerait superflu. Mais cet homme tout à fait anonyme devient le guide pour les disciples qui cherchent le lieu qui sera ensuite appelé le Cénacle.Et la cruche d’eau est le signe de reconnaissance: un signe qui fait penser à l’humanité assoiffée, toujours à la recherche d’une source d’eau qui la désaltère et la régénère.Nous marchons tous dans la vie avec une cruche à la main: nous tous, chacun d’entre nous, avons soif d’amour, de joie, d’une vie réussie dans un monde plus humain.Et pour cette soif, l’eau des choses mondaines ne sert pas, parce qu’il s’agit d’une soif plus profonde, que seul Dieu peut satisfaire.

Suivons encore ce “signal” symbolique. Jésus dit aux siens que là où un homme les conduira avec la cruche d’eau, là on pourra célébrer le Repas de la Pâque. Pour célébrer l’Eucharistie il faut donc reconnaître avant tout notre propre soif de Dieu: sentir que nous avons besoin de lui, désirer sa présence et son amour, être conscients que nous ne pouvons pas y arriver tout seuls mais que nous avons besoin d’une Nourriture et d’une Boisson de vie éternelle qui nous soutiennent sur le chemin.Le drame d’aujourd’hui – nous pouvons le dire - est que souvent la soif a disparue.Les questions sur Dieu se sont éteintes, le désir de lui s’est affaibli, les chercheurs de Dieu se font de plus en plus rares. Dieu n’attire plus parce que nous ne ressentons plus notre soif profonde.Mais seulement là où il y a un homme ou une femme avec la cruche pour l’eau - pensons à la Samaritaine, par exemple (Jn 4, 5-30) - le Seigneur peut se révéler comme Celui qui donne la vie nouvelle, qui nourrit d’une espérance fiable nos rêves et nos aspirations, présence d’amour qui donne sens et direction à notre pèlerinage terrestre. Comme nous l’avions déjà remarqué, c’est cet homme avec la cruche qui conduit les disciples dans la salle où Jésus instituera l’Eucharistie. C’est la soif de Dieu qui nous porte à l’autel. S’il manque la soif, nos célébrations deviennent arides. Aussi en tant qu’Eglise, alors, le petit groupe des habitués qui se réunissent pour célébrer l’Eucharistie ne peut pas suffire ; nous devons aller en ville, rencontrer les gens, apprendre à reconnaître et à réveiller la soif de Dieu et le désir de l’Evangile.

La seconde image est celle de la grande salle à l’étage (cf. v. 15). C’est là que Jésus et les siens feront le repas pascal et cette salle se trouve dans la maison d’une personne qui les accueille. Don Primo Mazzolari disait: «Voici qu’un homme sans nom, un maître de maison, lui prête sa plus belle chambre. […] Il a donné ce qu’il avait de plus grand parce qu’autour du grand sacrement il faut que tout soit grand, chambre et cœur, paroles et gestes» (La Pasqua, La Locusta 1964, 46-48).

Une grande salle pour un petit morceau de Pain. Dieu se fait petit comme un morceau de pain et c’est précisément pour cela qu’il faut un cœur grand pour pouvoir le reconnaître, l’adorer, l’accueillir. La présence de Dieu est si humble, cachée, parfois invisible, qu’elle a besoin d’un cœur préparé, éveillé et accueillant pour être reconnue. Par contre si notre cœur, plus qu’une grande salle, ressemble à un placard où nous gardons avec regret les vieilles choses ; s’il ressemble à un grenier où nous avons rangé depuis longtemps notre enthousiasme et nos rêves; s’il ressemble à une pièce étroite, une pièce sombre parce que nous ne vivons que de nous-mêmes, de nos problèmes et de nos amertumes, alors il sera impossible de reconnaître cette présence de Dieu, silencieuse et humble. Il faut une grande salle. Il faut élargir notre cœur. Il faut sortir de la petite pièce de notre moi et entrer dans le grand espace de l’émerveillement et de l’adoration. Et cela nous manque beaucoup! Cela nous manque dans de nombreux mouvements que nous faisons pour nous rencontrer, nous réunir, penser ensemble la pastorale... Mais s’il manque cela, s’il manque l’émerveillement et l’adoration, il n’y a pas de route qui nous conduise au Seigneur. Il n’y aura pas non plus de synode, rien. Telle est l’attitude devant l’Eucharistie, c’est de cela dont nous avons besoin : d’adoration. L’Église aussi doit être aussi une grande salle. Pas un petit cercle fermé, mais une Communauté avec les bras grands ouverts, accueillante envers tous. Demandons-nous ceci : quand approche quelqu’un qui est blessé, qui s’est trompé, qui a un parcours de vie différent, l’Eglise, cette Eglise, est-elle une grande salle pour l’accueillir et le conduire à la joie de la rencontre avec le Christ ? L’Eucharistie veut nourrir ceux qui sont fatigués et affamés sur le chemin, ne l’oublions pas! L’Eglise des parfaits et des purs est une salle où il n’y a de place pour personne; l’Eglise aux portes ouvertes, qui fait la fête autour du Christ, est par contre une grande salle où tout le monde – tous, justes et pécheurs - peut entrer.

Enfin, la troisième image, l’image de Jésus qui rompt le Pain. C’est le geste eucharistique par excellence, le geste identitaire de notre foi, le lieu de notre rencontre avec le Seigneur qui s’offre pour nous faire renaître à une vie nouvelle. Ce geste aussi est bouleversant : jusqu’alors on immolait des agneaux et on les offrait en sacrifice à Dieu, maintenant c’est Jésus qui se fait agneau et s’immole pour nous donner la vie. Dans l’Eucharistie, nous contemplons et adorons le Dieu de l’amour. C’est le Seigneur qui ne rompt personne mais qui se rompt lui-même. C’est le Seigneur qui n’exige pas de sacrifices mais qui se sacrifie lui-même. C’est le Seigneur qui ne demande rien mais qui donne tout. Pour célébrer et vivre l’Eucharistie, nous aussi nous sommes appelés à vivre cet amour. Car tu ne peux pas rompre le Pain du dimanche si ton cœur est fermé à tes frères. Tu ne peux pas manger ce Pain si tu ne donnes pas le pain à l’affamé. Tu ne peux pas partager ce Pain si tu ne partages pas les souffrances de celui qui est dans le besoin. A la fin de tout, même de nos liturgies eucharistiques solennelles, seul l’amour restera. Et dès maintenant, nos Eucharisties transforment le monde dans la mesure où nous nous laissons transformer et devenons pain rompu pour les autres.

Frères et sœurs, où “préparer le repas du Seigneur” aujourd’hui encore? La procession avec le Saint Sacrement – caractéristique de la fête du Corpus Domini, mais que nous ne pouvons pas faire pour le moment – nous rappelle que nous sommes appelés à sortir en portant Jésus. Sortir avec enthousiasme en portant le Christ à ceux que nous rencontrons dans la vie de chaque jour. Devenons une Eglise avec la cruche en main, qui réveille la soif et apporte de l’eau. Ouvrons grand notre cœur dans l’amour, pour être la salle spacieuse et accueillante où tous peuvent entrer pour rencontrer le Seigneur. Rompons notre vie dans la compassion et la solidarité, afin que le monde voie à travers nous la grandeur de l’amour de Dieu.Et alors le Seigneur viendra, il nous surprendra encore, il se fera encore nourriture pour la vie du monde.Et il nous rassasiera pour toujours, jusqu’au jour où, au banquet du Ciel, nous contemplerons son visage et nous nous réjouirons sans fin.

[00784-FR.012 [Texte original: Italien]

 

Traduzione in lingua inglese

Jesus sends his disciples to prepare the place where they will celebrate the Passover meal. They themselves had asked: “Where do you want us to go and make the preparations for you to eat the Passover?” (Mk 14:12). As we contemplate and worship the Lord’s presence in the Eucharistic Bread, we too should ask where, in what “place”, we want to prepare the Lord’s Passover. What are the “places” in our own lives that God is asking to be our guest? I would like to answer these questions by reflecting on three images from the Gospel we just heard (Mk 14:12-16, 22-26).

The first is that of the man carrying a pitcher of water (cf. v. 13). This might seem like a superfluous detail. Yet that nameless man became the guide who would bring the disciples to the place later known as the Upper Room. The pitcher of water is the sign by which they recognize him. It is a sign that makes us think of our human family, athirst, constantly seeking a source of water to slake its thirst and to bring refreshment. All of us walk through life with pitcher in hand: all of us thirst for love, for joy, for a fulfilling life in a more humane world. To sate this thirst, the water of worldly things is of no avail. For ours is a deeper thirst, a thirst that God alone can satisfy.

Let us briefly consider this image and what it symbolizes. Jesus tells his disciples that the Passover meal can be eaten wherever a man carrying a pitcher of water leads them. To celebrate the Eucharist, we need first to recognize our thirst for God, to sense our need for him, to long for his presence and love, to realize that we cannot go it alone, but need the Food and Drink of eternal life to sustain us on our journey. The tragedy of the present time – we can say – is that this thirst is felt less and less. Questions about God are no longer asked, desire for God has faded, seekers of God have become increasingly rare. God no longer attracts us because we no longer acknowledge our deep thirst for him. Yet wherever there is a man or a woman with a pitcher for water – like the Samaritan woman (cf. Jn 4:5-30) – there the Lord can reveal himself as the One who bestows new life, nurtures our dreams and aspirations with sure hope, a loving presence to give meaning and direction to our earthly pilgrimage. The man carrying a pitcher of water led the disciples to the room where Jesus would institute the Eucharist. Our thirst for God brings us to the altar. Where that thirst is lacking, our celebrations become dry and lifeless. As Church, it is not enough that the usual little group meets to celebrate the Eucharist; we need to go out into the city, to encounter people and to learn how to recognize and revive their thirst for God and their desire for the Gospel.

The second image from the Gospel is that of the Upper Room (cf. v. 15). This room where Jesus and his disciples would celebrate the Passover meal was located in the house of someone who offered them hospitality. Father Primo Mazzolari said of that person: “Here is a nameless man, the owner of a house, who lent Jesus his finest room… He gave Jesus the best he had, because everything surrounding the great sacrament should be great: a great room and a great heart, great words and great deeds” (La Pasqua, La Locusta 1964, 46-48).

A large room for a tiny piece of Bread. God makes himself tiny, like a morsel of bread. That is precisely why we need a great heart to be able to recognize, adore and receive him. God’s presence is so humble, hidden and often unseen that, in order to recognize his presence, we need a heart that is ready, alert and welcoming. But if our heart, rather than a large room, is more like a closet where we wistfully keep things from the past, or an attic where we long ago stored our dreams and enthusiasm, or a dreary chamber filled only with us, our problems and our disappointments, then it will be impossible to recognize God’s silent and unassuming presence. We need a large room. We need to enlarge our hearts. We need to break out of our tiny self-enclosed space and enter the large room, the vast expanse of wonder and adoration. That is what we really need! It is what is missing in the many movements we create to meet and reflect together on our pastoral outreach. But if wonder and adoration are lacking, there is no road that leads to the Lord. Nor will there be the synod, nothing. Adoration: that is the attitude we need in the presence of the Eucharist. The Church too must be a large room. Not a small and closed circle, but a community with arms wide open, welcoming to all. Let us ask ourselves this question: when someone approaches who is hurting, who has made a mistake, who has gone astray in life, is the Church, this Church, a room large enough to welcome this person and lead him or her to the joy of an encounter with Christ? Let us not forget that the Eucharist is meant to nourish those who are weary and hungry along the way. A Church of the pure and perfect is a room with no place for anyone. On the other hand, a Church with open doors, that gathers and celebrates around Christ, is a large room where everyone – everyone, the righteous and sinners – can enter.

A third image from the Gospel is that of Jesus breaking the bread. This is the Eucharistic gesture par excellence. It is the distinctive sign of our faith and the place where we encounter the Lord who offers himself so that we can be reborn to new life. This gesture also challenges us. Up to that point, lambs were sacrificed and offered to God. Now Jesus becomes the lamb, offering himself in sacrifice in order to give us life. In the Eucharist, we contemplate and worship the God of love. The Lord who breaks no one, yet allows himself to be broken. The Lord who does not demand sacrifices, but sacrifices himself. The Lord who asks nothing but gives everything. In celebrating and experiencing the Eucharist, we too are called to share in this love. For we cannot break bread on Sunday if our hearts are closed to our brothers and sisters. We cannot partake of that Bread if we do not give bread to the hungry. We cannot share that Bread unless we share the sufferings of our brothers and sisters in need. In the end, and the end of our solemn Eucharistic liturgies as well, only love will remain. Even now, our Eucharistic celebrations are transforming the world to the extent that we are allowing ourselves to be transformed and to become bread broken for others.

Brothers and sisters, today where should we go “to prepare the Lord’s supper”? The procession with the Blessed Sacrament – a hallmark of the feast of Corpus Domini, yet one that for the moment we cannot celebrate – reminds us that we are called to go out and bring Jesus to others. To go out with enthusiasm, bringing Christ to those we meet in our daily lives. May we become a Church with pitcher in hand, a Church that reawakens thirst and brings water. Let us open wide our hearts in love, so that we can become be the large and welcoming room where everyone can enter and meet the Lord. Let us break the bread of our lives in compassion and solidarity, so that through us the world may see the grandeur of God’s love. Then the Lord will come, he will surprise us once more, he will again become food for the life of the world. And he will satisfy us always, until the day when, at the heavenly banquet, we will contemplate his face and come to know the joy that has no end.

[00784-EN.02 [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Jesus schickt seine Jünger aus, damit sie den Ort für die Feier des Paschamahls vorbereiten. Sie hatten ihn nämlich gefragt: »Wo sollen wir das Paschamahl für dich vorbereiten?« (Mk 14,12). Wenn wir die Gegenwart des Herrn im eucharistischen Brot betrachten und anbeten, sind auch wir aufgerufen, uns zu fragen: Wo wollen wir das Paschamahl für den Herrn vorbereiten? Welches sind die „Orte“ unseres Lebens, wo Gott uns um Gastfreundschaft bittet? Ich möchte auf diese Fragen antworten, indem ich auf drei Bilder des eben gehörten Evangeliums eingehe (Mk 14,12-16.22-26).

Das erste Bild ist das des Menschen, der einen Wasserkrug trägt (vgl. V. 13). Dieses Detail mag überflüssig erscheinen. Aber es ist jener völlig unbekannte Mensch, der die Jünger auf der Suche zu dem Ort führt, der später Abendmahlssaal genannt werden wird. Und der Wasserkrug ist das Erkennungszeichen: ein Zeichen, das an die dürstende Menschheit denken lässt, die immer nach einer Wasserquelle sucht, welche ihren Durst löscht und sie erquickt. Wir alle gehen mit einem Krug in der Hand durch das Leben: wir alle, jeder von uns dürstet nach Liebe, nach Freude, nach einem geglückten Leben in einer menschlicheren Welt. Und gegen diesen Durst hilft das Wasser der weltlichen Dinge nicht, weil es sich um einen tieferen Durst handelt, den nur Gott zu stillen vermag.

Folgen wir weiter diesem symbolischen „Zeichen“. Jesus sagt den Seinen: Dort, wo sie ein Mensch mit dem Wasserkrug hinführen wird, kann das Paschamahl gefeiert werden. Um die Eucharistie zu feiern, müssen wir also an erster Stelle den eigenen Durst nach Gott erkennen: dass wir seiner bedürfen, dass wir uns nach seiner Gegenwart und seiner Liebe sehnen, dass wir uns bewusst sind, dass wir es alleine nicht schaffen können, sondern einer Nahrung und eines Tranks des ewigen Lebens bedürfen, die uns auf dem Weg stützen. Das Drama von heute ist – so können wir sagen –, dass der Durst oftmals erloschen ist. Die Fragen über Gott sind verklungen, die Sehnsucht nach ihm verebbt, die Gottsucher werden immer seltener. Gott ist nicht mehr anziehend, weil wir unseren tiefsten Durst nicht mehr spüren. Aber nur dort, wo es einen Mann oder eine Frau mit dem Wasserkrug gibt – denken wir zum Beispiel an die Samariterin (vgl. Joh 4,5-30) –, kann der Herr sich als derjenige erweisen, der das neue Leben schenkt, der unsere Träume und Wünsche mit zuverlässiger Hoffnung speist, als Gegenwart der Liebe, die unserer irdischen Pilgerschaft Sinn und Richtung verleiht. Wie wir schon festgestellt hatten, ist es jener Mensch mit dem Wasserkrug, der die Jünger zu dem Raum führt, in dem Jesus die Eucharistie einsetzen wird. Es ist der Durst nach Gott, der uns zum Altar bringt. Wenn der Durst fehlt, werden unsere Feiern trocken. Auch als Kirche kann somit nicht das Grüppchen der üblichen Leute genügen, die zur Feier der Eucharistie zusammenkommen; wir müssen in die Stadt gehen, den Menschen begegnen, den Durst nach Gott und die Sehnsucht nach dem Evangelium kennenlernen und erneut entfachen.

Das zweite Bild ist das des großen Raums im Obergeschoss (vgl. V. 15). Dort werden Jesus und die Seinen das Abendmahl abhalten und dieser Saal befindet sich im Haus eines Menschen, der sie zu Gast hat. Don Primo Mazzolari sagte: »Ein namenloser Mann, ein Hausherr leiht ihnen sein schönstes Zimmer aus. […] Er hat das Größte gegeben, das er hatte, weil um das große Sakrament herum alles groß sein muss, Raum und Herz, Worte und Zeichen« (La Pasqua, La Locusta 1964, 46-48).

Ein großer Raum für ein kleines Stück Brot. Gott macht sich klein wie ein Stück Brot, und gerade daher bedarf es eines großen Herzens, um ihn erkennen, anbeten, aufnehmen zu können. Die Gegenwart Gottes ist so demütig, verborgen, zuweilen unsichtbar, dass sie ein vorbereitetes, waches und einladendes Herz benötigt, um erkannt zu werden. Wenn unser Herz jedoch anstatt einem großen Raum eher einer Abstellkammer ähnelt, in der wir wehmütig alte Dinge aufbewahren; wenn es einem Dachboden ähnelt, in dem wir seit geraumer Zeit unseren Enthusiasmus und unsere Träume verstaut haben; wenn es einem engen Zimmer, einem dunklen Zimmer ähnelt, weil wir nur von uns selbst leben, von unseren Problemen und unserer Bitterkeit, dann wird es unmöglich sein, diese stille und demütige Gegenwart Gottes zu erkennen. Es bedarf eines großen Saals. Man muss das Herz weit machen. Es tut not, aus dem kleinen Zimmer unseres Ichs herauszukommen und in den großen Raum des Staunens und der Anbetung einzutreten. Und dies fehlt uns sehr! Dies fehlt uns in den vielen Aktionen, die wir unternehmen, um Treffen und Versammlungen abzuhalten und gemeinsam über die Pastoral nachzudenken … Wenn aber dies fehlt, wenn das Staunen und die Anbetung fehlen, gibt es keinen Weg, der zum Herrn führt. Und es wird auch keine Synode geben, nichts. Dies ist die Haltung angesichts der Eucharistie, dies benötigen wir: Anbetung. Auch die Kirche muss ein großer Raum sein. Nicht ein kleiner und geschlossener Kreis, sondern eine Gemeinschaft mit offenen Armen, die alle aufnimmt. Fragen wir uns dies: Wenn sich jemand nähert, der verwundet ist, der sich verfehlt hat, der einen anderen Lebensweg hat, ist dann die Kirche, diese Kirche, ein großer Raum, um ihn aufzunehmen und ihn zur Freude der Begegnung mit Christus zu führen? Die Eucharistie will denjenigen nähren, der entlang des Weges müde und hungrig geworden ist, vergessen wir das nicht! Die Kirche der Vollkommenen und Reinen ist eine Kammer, in der es für niemanden einen Platz gibt; die Kirche der offenen Tür, die sich feiernd um Christus versammelt, ist hingegen ein großer Raum, in den alle – alle, Gerechte und Sünder – eintreten können.

Schließlich das dritte Bild, das Bild von Jesus, der das Brot bricht. Es ist die eucharistische Geste schlechthin, die identitätsstiftende Geste unseres Glaubens, der Ort unserer Begegnung mit dem Herrn, der sich schenkt, damit wir zu einem neuen Leben wiedergeboren werden können. Auch diese Geste ist überwältigend: Bis zu jenem Zeitpunkt opferte man Lämmer und man brachte Gott Opfer dar, jetzt ist es Jesus, der sich zum Lamm macht und sich opfert, um uns das Leben zu schenken. In der Eucharistie betrachten und beten wir den Gott der Liebe an. Dieser Herr bricht niemanden, nur sich selbst. Dieser Herr verlangt keine Opfer, sondern opfert sich selbst. Dieser Herr fordert nichts ein, sondern schenkt alles. Um die Eucharistie zu feiern und zu leben, sind auch wir gerufen, diese Liebe zu leben. Denn du kannst das sonntägliche Brot nicht brechen, wenn dein Herz sich den Brüdern verschließt. Du kannst dieses Brot nicht essen, wenn du dem Hungernden kein Brot gibst. Du kannst dieses Brot nicht teilen, wenn du nicht die Leiden derer teilst, die in Not sind. Letzten Endes wird auch von unserer feierlichen eucharistischen Liturgie nur die Liebe zurückbleiben. Und schon jetzt verwandeln unsere Eucharistiefeiern die Welt in dem Maße, in dem wir uns verwandeln lassen und zum gebrochenen Brot für die anderen werden.

Brüder und Schwestern, wo können wir auch heute „das Abendmahl vorbereiten“? Die Prozession mit dem Allerheiligsten Sakrament, welche dem Hochfest Fronleichnam eigen ist, die wir aber momentan noch nicht abhalten können, erinnert uns daran, dass wir gerufen sind, hinauszugehen, um Jesus zu bringen. Mit Begeisterung hinauszugehen, um Christus denen zu bringen, denen wir in unserem alltäglichen Leben begegnen. Werden wir eine Kirche mit dem Krug in der Hand, die den Durst wiedererweckt und das Wasser bringt. Öffnen wir das Herz weit in der Liebe, damit wir der kostbare und gastfreundliche Saal sein können, in den alle eintreten können, um dem Herrn zu begegnen. Brechen wir unser Leben im Mitleid und der Solidarität, auf dass die Welt durch uns die Größe der Liebe Gottes sehe. Und dann wird der Herr kommen, er wird uns weiter überraschen, er wird sich weiterhin zur Nahrung für das Leben der Welt machen. Und er wird uns für immer sättigen bis zu dem Tag, an dem wir beim himmlischen Mahl sein Angesicht in unendlicher Freude schauen werden.

[00784-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

 

Traduzione in lingua spagnola

Jesús envió a sus discípulos para que fueran a preparar el lugar donde iban a celebrar la cena pascual. Ellos mismos fueron los que le preguntaron: «¿Dónde quieres que vayamos a preparar la cena de Pascua para que la comas?» (Mc 14,12). También nosotros, mientras contemplamos y adoramos la presencia del Señor en el Pan eucarístico, estamos llamados a preguntarnos: ¿En qué “lugar” queremos preparar la Pascua del Señor? ¿Cuáles son los “lugares” de nuestra vida en los que Dios nos pide que lo recibamos? Quisiera responder a estas preguntas deteniéndome en tres imágenes del Evangelio que hemos escuchado (Mc 14,12-16.22-26).

La primera es la del hombre que lleva un cántaro de agua (cf. v. 13). Es un detalle que parecería superfluo. Sin embargo, ese hombre totalmente anónimo se convierte en guía para los discípulos que buscan el lugar que después será llamado el Cenáculo. Y el cántaro de agua es el signo para reconocerlo. Un signo que nos lleva a pensar en la humanidad sedienta, siempre en busca de un manantial de agua que la sacie y la regenere. Todos nosotros caminamos en la vida con un cántaro en la mano. Todos nosotros, cada uno de nosotros tiene sed de amor, de alegría, de una vida fructífera en un mundo más humano. Y para saciar esta sed, el agua de las cosas mundanas no sirve, porque se trata de una sed más profunda, que sólo Dios puede satisfacer.

Continuemos con esta “señal” simbólica. Jesús dice a los suyos que adonde los conduzca un hombre con un cántaro de agua, allí se podrá celebrar la cena de Pascua. Para celebrar la Eucaristía, por tanto, es preciso reconocer, antes que nada, nuestra sed de Dios: sentirnos necesitados de Él, desear su presencia y su amor, ser conscientes de que no podemos salir adelante solos, sino que necesitamos un Alimento y una Bebida de vida eterna que nos sostengan en el camino. El drama de hoy ―podemos decir― es que a menudo la sed ha desaparecido. Se han extinguido las preguntas sobre Dios, se ha desvanecido el deseo de Él, son cada vez más escasos los buscadores de Dios. Dios no atrae más porque no sentimos ya nuestra sed profunda. Pero sólo donde haya un hombre o una mujer con un cántaro de agua —pensemos en la Samaritana, por ejemplo (cf. Jn 4,5-30)— el Señor se puede revelar como Aquel que da la vida nueva, que alimenta con confiada esperanza nuestros sueños y nuestras aspiraciones, presencia de amor que da sentido y dirección a nuestra peregrinación terrena. Como ya advertíamos, es ese hombre con el cántaro el que conduce a los discípulos a la sala donde Jesús instituirá la Eucaristía. Es la sed de Dios la que nos lleva al altar. Si nos falta la sed, nuestras celebraciones se vuelven áridas. Entonces, incluso como Iglesia no puede ser suficiente el grupito de asiduos que se reúnen para celebrar la Eucaristía; debemos ir a la ciudad, encontrar a la gente, aprender a reconocer y a despertar la sed de Dios y el deseo del Evangelio.

La segunda imagen es la de la habitación amplia en el piso superior (cf. v. 15). Es allí donde Jesús y los suyos celebrarán la cena pascual y esta habitación se encuentra en la casa de una persona que los aloja. Decía don Primo Mazzolari: «Entonces un hombre sin nombre, un dueño de casa, les prestó su habitación más hermosa. […] Él dio lo más grande que tenía, porque alrededor del gran sacramento es necesario que todo sea grande: habitación y corazón, palabras y gestos» (La Pasqua, La Locusta 1964, 46-48).

Una habitación amplia para un pequeño pedazo de Pan. Dios se hace pequeño como un pedazo de pan y justamente por eso es necesario un corazón grande para poder reconocerlo, adorarlo, acogerlo. La presencia de Dios es tan humilde, escondida, en ocasiones invisible, que para ser reconocida necesita de un corazón preparado, despierto y acogedor. En cambio, si nuestro corazón, en lugar de ser una habitación amplia, se parece a un depósito donde conservamos con añoranza las cosas pasadas; si se asemeja a un desván donde hemos dejado desde hace tiempo nuestro entusiasmo y nuestros sueños; si se parece a una sala angosta, a una sala oscura porque vivimos sólo de nosotros mismos, de nuestros problemas y de nuestras amarguras, entonces será imposible reconocer esta silenciosa y humilde presencia de Dios. Se requiere una sala amplia. Se necesita ensanchar el corazón. Se precisa salir de la pequeña habitación de nuestro yo y entrar en el gran espacio del estupor y la adoración. Y esto nos hace mucha falta. Esto nos falta en muchos movimientos que nosotros hacemos para encontrarnos, reunirnos, pensar juntos la pastoral… Pero si nos falta esto, si falta el estupor y la adoración, no hay camino que nos lleve al Señor. Tampoco habrá sínodo, nada. Esta es la actitud ante la Eucaristía, esto necesitamos: adoración. También la Iglesia debe ser una sala amplia. No un círculo pequeño y cerrado, sino una comunidad con los brazos abiertos de par en par, acogedora con todos. Preguntémonos: cuando se acerca alguien que está herido, que se ha equivocado, que tiene un recorrido de vida distinto, ¿la Iglesia, esta Iglesia, es una sala amplia para acogerlo y conducirlo a la alegría del encuentro con Cristo? La Eucaristía quiere alimentar al que está cansado y hambriento en el camino, ¡no lo olvidemos! La Iglesia de los perfectos y de los puros es una habitación en la que no hay lugar para nadie; la Iglesia de las puertas abiertas, que festeja en torno a Cristo es, en cambio, una sala grande donde todos todos, justos y pecadores pueden entrar.

Por último, la tercera imagen, la imagen de Jesús que parte el pan. Es el gesto eucarístico por excelencia, el gesto que identifica nuestra fe, el lugar de nuestro encuentro con el Señor que se ofrece para hacernos renacer a una vida nueva. También este gesto es sorprendente. Hasta ese momento se inmolaban corderos y se ofrecían en sacrificio a Dios, ahora es Jesús el que se hace cordero y se inmola para darnos la vida. En la Eucaristía contemplamos y adoramos al Dios del amor. Es el Señor, que no quebranta a nadie sino que se parte a sí mismo. Es el Señor, que no exige sacrificios sino que se sacrifica él mismo. Es el Señor, que no pide nada sino que entrega todo. Para celebrar y vivir la Eucaristía, también nosotros estamos llamados a vivir este amor. Porque no puedes partir el Pan del domingo si tu corazón está cerrado a los hermanos. No puedes comer de este Pan si no compartes los sufrimientos del que está pasando necesidad. Al final de todo, incluso de nuestras solemnes liturgias eucarísticas, sólo quedará el amor. Y ya desde ahora nuestras Eucaristías transforman el mundo en la medida en que nosotros nos dejamos transformar y nos convertimos en pan partido para los demás.

Hermanos y hermanas, ¿dónde “preparar la cena del Señor” también hoy? La procesión con el Santísimo Sacramento —característica de la fiesta del Corpus Christi, pero que por el momento no podemos hacer— nos recuerda que estamos llamados a salir llevando a Jesús. Salir con entusiasmo llevando a Cristo a aquellos que encontramos en la vida de cada día. Nos convertimos así en una Iglesia con el cántaro en la mano, que despierta la sed y lleva el agua. Abramos de par en par el corazón en el amor, para ser nosotros la habitación amplia y acogedora donde todos puedan entrar y encontrar al Señor. Desgastemos nuestra vida en la compasión y la solidaridad, para que el mundo vea por medio nuestro la grandeza del amor de Dios. Y entonces el Señor vendrá, una vez más nos sorprenderá, una vez más se hará alimento para la vida del mundo. Y nos saciará para siempre, hasta el día en que, en el banquete del cielo, contemplaremos su rostro y nos alegraremos sin fin.

[00784-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Jesus manda aos seus discípulos que vão preparar o lugar para celebrar a ceia pascal. Foram eles que perguntaram: Mestre, «onde queres que façamos os preparativos para comeres a Páscoa?» (Mc 14, 12). Enquanto contemplamos e adoramos a presença do Senhor no Pão Eucarístico, somos chamados também nós a interrogar-nos: Em que «lugar» queremos preparar a Páscoa do Senhor? Quais são os «lugares» da nossa vida onde Deus nos pede para O hospedarmos? Gostaria de responder a estas perguntas fixando-me em três imagens do Evangelho que acabamos de ouvir (Mc 14, 12-16.22-26).

A primeira é a imagem do homem que traz um cântaro de água (cf. 14, 13), um detalhe que pareceria supérfluo. Mas aquele homem, completamente anónimo, serve de guia para os discípulos à procura do lugar que depois receberá o nome de Cenáculo. E o cântaro de água é o sinal de reconhecimento: um sinal que faz pensar na humanidade sedenta, sempre à procura duma fonte de água que lhe mitigue a sede e a restaure. Todos nós caminhamos na vida com um cântaro na mão: todos e cada um de nós tem sede de amor, de alegria, duma vida bem sucedida num mundo mais humano. E, para esta sede, não basta a água das coisas mundanas, pois trata-se duma sede mais profunda que só Deus pode satisfazer.

Prossigamos com o mesmo «sinal» simbólico... Jesus diz aos seus discípulos que, aonde um homem com o cântaro de água os levar, lá poder-se-á celebrar a Ceia da Páscoa. Portanto, para celebrarmos a Eucaristia, é preciso antes de mais nada reconhecer a nossa própria sede de Deus: sentir-nos carecidos d’Ele, desejar a sua presença e o seu amor, estar conscientes de que sozinhos não o conseguimos, mas precisamos dum Alimento e duma Bebida de vida eterna que nos sustentem no caminho. Podemos dizer que o drama atual é que muitas vezes se exauriu a sede. Apagaram-se as perguntas sobre Deus, afrouxou o anseio por Ele, rareiam cada vez mais os perscrutadores de Deus. Deus deixou de atrair, porque já não nos damos conta da nossa sede profunda. Pois só onde houver um homem ou uma mulher com o cântaro para a água – pensemos, por exemplo, na Samaritana (cf. Jo 4, 5-30) – é que Se pode revelar o Senhor como Aquele que dá a vida nova, que nutre de esperança fidedigna os nossos sonhos e aspirações, como uma presença de amor que dá sentido e direção à nossa peregrinação terrena. Como já se disse, é aquele homem com o cântaro que leva os discípulos à sala onde Jesus instituirá a Eucaristia. É a sede de Deus que nos leva ao altar. Se faltar a sede, as nossas celebrações tornam-se áridas. Deste modo, também como Igreja, não nos podemos contentar com o grupinho daqueles que habitualmente se reúnem para celebrar a Eucaristia; devemos ir pela cidade, encontrar as pessoas, aprender a reconhecer e despertar a sede de Deus e o anseio do Evangelho.

A segunda imagem é a da grande sala no andar de cima (cf. 14, 15). É lá que Jesus e os seus farão a ceia pascal e esta sala encontra-se na casa duma pessoa que os hospeda. Dizia o padre Primo Mazzolari: «Eis que um homem sem nome, o patrão de casa, Lhe empresta a sua sala mais linda. (…) Deu o que tinha de mais sublime, porque à volta do grande sacramento é necessário que tudo seja grande: sala e coração, palavras e gestos» (La Pasqua, La Locusta 1964, 46-48).

Uma sala grande para um pequeno bocado de pão. Deus faz-Se pequeno como um bocado de pão e, por isso mesmo, é preciso um coração grande para O poder reconhecer, adorar e acolher. A presença de Deus é tão humilde, escondida, por vezes invisível, que precisa dum coração preparado, desperto e acolhedor para ser reconhecida. Ao contrário, se em vez duma grande sala, o nosso coração se assemelhar mais a um reposteiro onde conservamos tristemente as coisas velhas; se ele se assemelhar a um sótão para onde já há muito mandamos o nosso entusiasmo e os nossos sonhos; se ele se assemelhar a um quarto acanhado, um quarto escuro, porque vivemos apenas de nós mesmos, dos nossos problemas e amarguras, então será impossível reconhecer esta presença silenciosa e humilde de Deus. Serve uma sala grande. É preciso alargar o coração. Precisamos de sair do pequeno quarto do nosso eu e entrar no grande espaço do deslumbramento e da adoração. E há muita falta disso! Falta-nos isso em muitos passos que damos para nos encontrar, reunir, pensar em conjunto a pastoral... Mas se faltar isso, se faltar o deslumbramento e a adoração, não há caminho que nos leve ao Senhor. Nem haverá o Sínodo; não haverá nada. Este é o procedimento diante da Eucaristia, disto precisamos: a adoração. A própria Igreja deve ser uma sala grande. Não um círculo restrito e fechado, mas uma Comunidade com os braços abertos, acolhedora para com todos. Perguntemo-nos: Quando se aproxima alguém que está ferido, que errou, que segue um percurso diferente de vida, a Igreja, esta Igreja é uma sala grande para o acolher e levar à alegria do encontro com Cristo? A Eucaristia quer alimentar quem se sente cansado e faminto ao longo do caminho; não nos esqueçamos disto! A Igreja dos perfeitos e dos puros é um quarto onde não há lugar para ninguém; pelo contrário, a Igreja das portas abertas, que faz festa ao redor de Cristo, é uma sala grande onde todos – todos, justos e pecadores – podem entrar.

Por fim, a terceira imagem, a imagem de Jesus que parte o Pão. É o gesto eucarístico por excelência, o gesto identificador da nossa fé, o lugar do nosso encontro com o Senhor que Se oferece a fim de nos fazer renascer para uma vida nova. Também este gesto é desconcertante: até então imolavam-se cordeiros para se oferecer em sacrifício a Deus, agora é Jesus que Se faz cordeiro e imola para nos dar a vida. Na Eucaristia, contemplamos e adoramos o Deus do amor. É o Senhor que não divide ninguém, mas divide-Se a Si mesmo. É o Senhor que não exige sacrifícios, mas sacrifica-Se a Si mesmo. É o Senhor que não pede nada, mas dá tudo. Para celebrar e viver a Eucaristia, também nós somos chamados a viver este amor. Porque não podes partir o Pão do domingo, se o teu coração estiver fechado aos irmãos. Não podes comer este Pão, se não deres o pão aos famintos. Não podes partilhar deste Pão, se não partilhas os sofrimentos de quem passa necessidade. No fim de tudo, inclusive das nossas solenes liturgias eucarísticas, restará apenas o amor. E, já desde agora, as nossas Eucaristias transformam o mundo, na medida em que nós mesmos nos deixamos transformar tornando-nos pão partido para os outros.

Irmãos e irmãs, também hoje, onde vamos «preparar a ceia do Senhor»? A procissão com o Santíssimo Sacramento – caraterística da festa do Corpo de Deus, mas que de momento ainda não podemos realizar – lembra-nos que somos chamados a sair levando Jesus. Sair com entusiasmo, levando Cristo àqueles que encontramos na vida quotidiana. Tornemo-nos uma Igreja com o cântaro na mão, que desperta a sede e leva a água. Abramos amorosamente o coração, para sermos a sala espaçosa e acolhedora onde todos possam entrar para encontrar o Senhor. Repartamos a nossa vida na compaixão e na solidariedade, para que o mundo veja, através de nós, a grandeza do amor de Deus. E então o Senhor virá, surpreender-nos-á de novo fazendo-Se ainda alimento para a vida do mundo. E saciar-nos-á para sempre, até ao dia em que, no banquete do Céu, contemplaremos o seu rosto numa alegria sem fim.

[00784-PO.02] [Texto original: Italiano]

 

Traduzione in lingua polacca

Jezus wysyła swoich uczniów, aby poszli i przygotowali miejsce na świętowanie wieczerzy paschalnej. To oni pytali: „Gdzie chcesz, abyśmy poszli poczynić przygotowania, żebyś mógł spożyć Paschę?” (Mk 14, 12). Kontemplując i adorując obecność Pana w Chlebie eucharystycznym, także i my jesteśmy wezwani do postawienia sobie pytania: w jakim „miejscu” chcemy przygotować Paschę Pana? Jakie są to „miejsca” w naszym życiu, gdzie Bóg prosi nas, abyśmy Go ugościli? Chciałbym odpowiedzieć na te pytania, zastanawiając się nad trzema obrazami z Ewangelii, którą usłyszeliśmy (Mk 14, 12-16, 22-26).

        Pierwszy to  człowiek niosący dzban z wodą (por. w. 13) -  szczegół, który zdawałby się zbędny. Ale ten zupełnie anonimowy człowiek staje się przewodnikiem dla uczniów poszukujących miejsca, które później zostanie nazwane Wieczernikiem. A dzban z wodą jest znakiem rozpoznawczym: znakiem, który każe nam myśleć o spragnionej ludzkości, zawsze poszukującej źródła wody, aby ugasić pragnienie i zregenerować siły. Wszyscy idziemy przez życie z dzbanem w ręku: wszyscy, każdy z nas pragnie miłości, radości, udanego życia w bardziej ludzkim świecie. Na to pragnienie nie jest przydatna woda rzeczy doczesnych, ponieważ chodzi o głębsze pragnienie, które może zaspokoić jedynie Bóg.

        Prześledźmy jeszcze raz ten symboliczny „sygnał”. Jezus mówi swoim uczniom, że tam, gdzie zaprowadzi ich człowiek z dzbanem z wodą, może być celebrowany posiłek paschalny. Aby sprawować Eucharystię, musimy więc przede wszystkim rozpoznać nasze pragnienie Boga: czuć się potrzebnymi, pragnąć Jego obecności i Jego miłości, mieć świadomość, że sami nie damy rady, ale potrzebujemy Pokarmu i Napoju życia wiecznego, które podtrzymują nas w drodze. Dramat dnia dzisiejszego – można powiedzieć – polega na tym, że pragnienie często wygasło. Zaniknęły pytania o Boga, osłabło pragnienie Go, coraz rzadsi są ludzie szukający Boga. Bóg już nie przyciąga, bo już nie zauważamy naszego głębokiego pragnienia. Ale tylko tam, gdzie jest mężczyzna lub kobieta z dzbanem wody - myślimy na przykład o Samarytance (por. J 4, 5-30) - Pan może objawić się jako Ten, który daje nowe życie, który karmi nasze marzenia i aspiracje niezawodną nadzieją, miłującą obecnością, która nadaje sens i kierunek naszemu ziemskiemu pielgrzymowaniu. Jak już zauważyliśmy, to właśnie człowiek z dzbanem prowadzi uczniów do pomieszczenia, w którym Jezus ustanowi Eucharystię. To pragnienie Boga prowadzi nas do ołtarza. Jeśli nie ma pragnienia, nasze celebracje stają się bezowocne. Zatem także jako Kościołowi nie może wystarczyć mała grupka tych samych ludzi, którzy gromadzą się na Eucharystii; musimy wyjść do miasta, spotkać się z ludźmi, nauczyć się rozpoznawać i rozbudzać w nich pragnienie Boga i pragnienie Ewangelii.

        Drugi obraz to duża sala na górze (por. w. 15). To właśnie tam Jezus i Jego uczniowie spożyją wieczerzę paschalną, a sala ta znajduje się w domu goszczącej ich osoby. Ksiądz Primo Mazzolari powiedział: „Oto człowiek bez imienia, gospodarz, użycza mu swojego najpiękniejszego pokoju. [...] Dał to, co miał najwspanialszego, bo wokół wspaniałego sakramentu wszystko musi być wspaniałe, pokój i serce, słowa i gesty” (La Pasqua, La Locusta 1964, 46-48).

        Duża sala dla małego kawałka Chleba. Bóg czyni siebie małym, jak kawałek chleba i dlatego właśnie potrzebne jest wielkie serce, aby móc Go rozpoznać, uwielbić i przyjąć. Boża obecność jest tak pokorna, ukryta, czasem niewidoczna, że potrzebuje przygotowanego, przebudzonego i gościnnego serca, aby mogła być rozpoznana. Natomiast jeśli nasze serce, bardziej niż wielką salę, przypomina składzik, w którym z żalem przechowujemy stare rzeczy; jeśli przypomina strych, na którym dawno temu odłożyliśmy nasz entuzjazm i nasze marzenia; jeśli przypomina ciasny i ciemny pokój, ponieważ żyjemy tylko sobą, naszymi problemami i naszym rozgoryczeniem, to nie będzie można rozpoznać tej cichej i pokornej obecności Boga. Potrzebna jest duża sala. Musimy poszerzyć nasze serca. Musimy wyjść z małego pokoju naszego ego i wejść w wielką przestrzeń zadziwienia i adoracji. I tego nam bardzo brakuje! Tego brakuje nam w wielu ruchach, aby się spotkać, zgromadzić, razem przemyśleć duszpasterstwo… Ale jeśli tego brakuje, jeśli brak zdumienia i adoracji, to nie ma drogi, która prowadziłaby nas do Pana. Nawet nie będzie nią synod, nic.  To jest postawa, jaką winniśmy przyjąć wobec Eucharystii, to jest to, czego potrzebujemy: adoracja. Także Kościół musi być dużą salą. Nie małym i zamkniętym kręgiem, ale Wspólnotą z szeroko otwartymi ramionami, zapraszającą wszystkich. Postawmy sobie pytanie: gdy przychodzi do nas ktoś zraniony, kto popełnił błąd, kto ma inną drogę życiową, czy Kościół, ten Kościół, jest wielką salą, by go przyjąć i doprowadzić do radości spotkania z Chrystusem? Eucharystia chce karmić tych, którzy są zmęczeni i głodni w drodze, nie zapominajmy o tym! Kościół doskonałych i czystych jest pomieszczeniem, w którym nie ma miejsca dla nikogo. Kościół z otwartymi drzwiami, który celebruje wokół Chrystusa, jest natomiast wielką salą, do której wejść mogą wszyscy – wszyscy, sprawiedliwi i grzesznicy.

        Wreszcie trzeci obraz Jezusa łamiącego Chleb. Jest to gest eucharystyczny w najwyższym stopniu, gest rozpoznawczy naszej wiary, miejsce naszego spotkania z Panem, który ofiarowuje siebie, aby nas odrodzić do nowego życia. Także ten gest jest szokujący: do tej pory składano w ofierze baranki i ofiarowywano je Bogu, teraz to Jezus staje się barankiem i składa siebie w ofierze, aby dać nam życie. W Eucharystii kontemplujemy i adorujemy Boga miłości. To Pan, który nie łamie nikogo, lecz łamie siebie. To Pan, który nie żąda ofiar, ale sam składa siebie w ofierze. To Pan, który o nic nie prosi, a daje wszystko. Celebrując i żyjąc Eucharystią, my także jesteśmy wezwani do życia tą miłością. Nie możesz bowiem łamać Chleba Niedzielnego, jeśli twoje serce jest zamknięte na braci. Nie możesz spożywać tego Chleba, jeśli nie dajesz chleba głodnemu. Nie możesz mieć udziału w tym Chlebie, jeśli nie dzielisz cierpień osób potrzebujących. Ostatecznie, także z naszych uroczystych liturgii eucharystycznych pozostanie tylko miłość. I już teraz nasze Eucharystie przemieniają świat w takim stopniu, w jakim pozwalamy się przemienić i stajemy się chlebem łamanym dla innych.

        Bracia i siostry, także dzisiaj gdzie możemy „przygotować Wieczerzę Pańską”? Procesja z Najświętszym Sakramentem - charakterystyczna dla uroczystości Bożego Ciała, której jednak nie możemy jeszcze odbyć - przypomina nam, że jesteśmy wezwani, by wyjść niosąc Jezusa. Wychodzić z entuzjazmem, niosąc Chrystusa do tych, których spotykamy w naszym codziennym życiu. Stańmy się Kościołem z dzbanem w ręku, budzącym pragnienie i przynoszącym wodę. Otwórzmy szeroko nasze serca w miłości, abyśmy byli przestronną i gościnną salą, do której wszyscy mogą wejść, aby spotkać Pana. Przełamujmy nasze życie we współczuciu i solidarności, aby świat mógł zobaczyć w nas wspaniałość Bożej miłości. A wówczas przyjdzie Pan, znowu nas zaskoczy, uczyni siebie pokarmem dla życia świata. I nasyci nas na zawsze, aż do dnia, kiedy na uczcie w niebie będziemy kontemplować Jego oblicze i radować się bez końca.

[00784-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في مناسبة عيد جسد الرّبّ ودمه الأقدسَين

يوم الأحد 6 يونيو / حزيران 2021

بازيليكا القدّيس بطرس

أرسل يسوع تلاميذه ليذهبوا ويعدُّوا المكان للاحتفال بعشاء الفصح. هم الذين سألوه: "إلى أَينَ تُريدُ أَن نَمضِيَ فنُعِدَّ لَكَ لِتَأكُلَ الفِصْح؟" (مرقس 14، 12). فيما نتأمل في حضور الرّبّ يسوع في خبز الإفخارستيا ونسجد له، نحن أيضًا مدعوون لنسأل أنفسنا: في أي "مكان" نريد أن نُعِدَّ فصح الرّبّ؟ ما هي "الأماكن" في حياتنا التي يطلب الله منا أن نستقبله فيها؟ أودّ أن أجيب على هذه الأسئلة من خلال التركيز على ثلاث صور في الإنجيل الذي استمعنا إليه الآن (مرقس 14، 12-16. 22-26).

الصورة الأولى هي الرجل الذي يحمل جرّة ماء (را. آية 13). إنّها تفاصيل قد تبدو زائدة لا أهمية لها. لكن هذا الرجل المجهول تمامًا صار مرشدًا للتلاميذ الذين كانوا يبحثون عن المكان الذي سيُطلق عليه لاحقًا اسم العلّيّة. وجرة الماء هي علامة التعرّف على الرجل: هي علامة تجعلنا نفكر في الإنسانية العَطِشة، التي تبحث دائمًا عن ينبوع ماء يرويها ويجددها. كلّنا نسير في الحياة وفي أيدينا جرّة: كلّنا، كلّ واحد منا متعطش إلى الحبّ والفرح والحياة الناجحة في عالم أكثر إنسانيّة. وأمام هذا العطش، فإنّ مياه الأشياء الدنيويّة عديمة الفائدة، لأنّ عطشنا أعمق من ذلك، ولا يرويه إلّا الله.

لنستمرَّ في متابعة هذه "العلامة" الرمزية. قال يسوع لتلاميذه إنّه حيثما يقودهم رجل مع جرة ماء، هناك سيتم الاحتفال بعشاء الفصح. لذلك للاحتفال بالإفخارستيا، يجب علينا أولًا وقبل كلّ شيء أن ندرك عطشنا لله: أن نشعر بالحاجة إليه، وأن نرغب في حضوره ومحبّته، وأن نعرف أنّنا لا نستطيع أن نفعل ذلك وحدنا، بل نحن بحاجة إلى مأكل ومشرب الحياة الأبدية اللذين يسندانا في الطريق. المأساة اليوم، نستطيع القول، هي أنّ العطش قد انطفأ. انطفأت الأسئلة عن الله، وضعف الشوق إليه، والباحثون عن الله ما زالوا في نقصان. لم يعد الله يشدنا إليه لأنّنا لم نعد نشعر فينا بالعطش العميق إليه. أما إذا وُجِد رجل أو امرأة مع جرّة ماء -لنفكر في المرأة السامرية، على سبيل المثال (را. يوحنا ​​4، 5-30)– إذاك يمكن للرّبّ يسوع أن يكشف عن نفسه أنّه هو الذي يعطي الحياة الجديدة، وهو الذي يسند أحلامنا وتطلعاتنا برجاء واثق، ومن خلال حضوره المليء بالحبّ يعطي معنًى لحياتنا ويبيّن لنا وجهتنا في حجّنا الأرضي. كما أشرنا سابقًا، فإنّ الرجل مع الجرّة هو الذي قاد التلاميذ إلى الغرفة حيث أسّس يسوع سرّ القربان المقدس (سرّ الإفخارستيا). العطش إلى الله هو الذي يقودنا إلى المذبح. إن غاب العطش، أصبحت احتفالاتنا جافة. ويجب أن نكون أيضًا كنيسة، فلا نكتفي بالمجموعة الصغيرة من الناس الذين اعتادوا أن يجتمعوا للاحتفال بالإفخارستيا، بل يجب أن نذهب إلى المدينة، ونلتقي بالناس، ونتعلّم كيف نرى نحن فيهم العطش إلى الله، وكيف نثير فيهم هذا العطش والرغبة في الإنجيل.

الصورة الثانية هي صورة الغرفة الكبيرة في الطابق العلوي (را. الآية 15). هناك أقام يسوع وتلاميذه عشاء عيد الفصح. وتقع هذه الغرفة في بيت شخص استضافهم. قال الأب بريمو مازولاري: «هنا رجل بلا اسم، سيّد البيت، أعطى أجمل غرفة عنده. [...] لقد أعطى أكبر شيء لديه لأنّه حول السرّ الكبير، كلّ شيء يجب أن يكون كبيرًا، الغرفة والقلب، الكلمات والحركات" (الفصح، دار النشر لا لوكوستا 1964، 46-48).

غرفة كبيرة لقطعة صغيرة من الخبز. جعل الله نفسه صغيرًا مثل قطعة خبز ولهذا السبب بالذات يلزم قلب كبير ليكون قادرًا على التعرف عليه والسجود له واستقباله. حضور الله في غاية التواضع، خفِيّ، وأحيانًا غير مرئي، لذلك يحتاج إلى قلب مستعدّ ومستيقظ ومرحِّب ليتم التعرف عليه. إذا كان قلبنا، بدل غرفة كبيرة، يشبه مخزنًا صغيرًا نحتفظ فيه بملل الأشياء القديمة، أو كان مثل غرفة تحت السقف حيث وضعنا منذ فترة طويلة حماسنا وأحلامنا، أو كان يبدو كأنّه غرفة ضيقة، غرفة مظلمة نعيش فيها وحدنا مع مشاكلنا ومرارتنا، إذّاك سيكون مستحيلًا أن ندرك حضور الله الصامت والمتواضع. نحن بحاجة إلى غرفة كبيرة. يجب أن نوسّع قلبنا. ينبغي أن نخرج من الغرفة الصغيرة، "الأنا"، وأن ندخل في مساحة كبيرة يملؤها الاندهاش والسجود. وهذا ينقصنا كثيرًا! هذا ينقصنا في العديد من الحركات التي نقوم بها من أجل أن نلتقي مع بعضنا، ونجتمع مع بعضنا، ونفكر معًا في الأمور الرعوية... ولكن إن كان هذا ينقص، وإن كان ينقص الاندهاش والسجود، فلا توجد طريق تقودنا إلى الرّبّ. ولن يكون حتى سينودس، لن يكون أي شيء. هذا هو الموقف أمام سرّ القربان المقدس (سرّ الإفخارستيا)، ولهذا نحن نحتاج إلى السجود. يجب أن تكون الكنيسة أيضًا غرفة كبيرة. لا دائرة صغيرة ومغلقة، بل جماعة أذرعها مفتوحة، ترحِّب بالجميع. لنطرح على أـنفسنا هذا السؤال: إذا اقترب منّا جريح، كان قد أخطأ، وسار في طريق حياة مختلفة، هل الكنيسة، هذه الكنيسة، مكان كبير لتستقبله وتقوده إلى فرح اللقاء مع المسيح؟ سرّ القربان المقدس (سرّ الإفخارستيا) يريد أن يغذي المتعب والجائع على طول الطريق. لا ننسَ ذلك! كنيسة الكاملين والطاهرين هي غرفة لا مكان فيها لأحد. عكس ذلك، الكنيسة المشرعة أبوابها، التي تحتفل حول المسيح، هي غرفة كبيرة حيث يمكن للجميع، للجميع، الأبرار والخاطئين، أن يدخلوا.

أخيرًا، الصورة الثالثة، صورة يسوع وهو يكسر الخبز. إنّها علامة سرّ القربان المقدس (سرّ الإفخارستيا) بامتياز، وعلامة هوية إيماننا، ومكان لقائنا مع الرّبّ الذي وهبَ نفسه لنولد من جديد في حياة جديدة. هذه العلامة صادمة أيضًا: حتى ذلك الحين كان يُضحى بالحملان وكانت تُقدَّم ذبيحةً لله، والآن يسوع هو الذي جعل نفسه حملًا وضحّى بنفسه ليهبنا الحياة. في سرّ القربان المقدس (سرّ الإفخارستيا) لنتأملْ ولنسجدْ لإله المحبّة. هو الرّبّ الذي لا يكسر جسد أحد بل يكسر جسده. هو الرّبّ الذي لا يطلب ذبائح بل يضحّي بنفسه. هو الرّبّ الذي لا يطلب شيئًا بل يعطي كلّ شيء. للاحتفال بسرّ القربان المقدس (سرّ الإفخارستيا) وعيشه، نحن مدعوون أيضًا إلى أن نعيش هذه المحبّة. لأنّه لا يمكنك أن تكسر الخبز المقدس في يوم الأحد إذا كان قلبك مغلقًا أمام الإخوة. ولا يمكنك أن تأكل هذا الخبز المقدس إذا كنت لا تعطي خبزًا للجائع. ولا يمكنك أن تشارك في هذا الخبز المقدس إذا كنت لا تشارك في معاناة المتألم. في نهاية كلّ شيء، من كلّ احتفالاتنا الليتورجية بالإفخارستية، الحبّ وحده يبقى. ومنذ الآن، سيبدِّل سر الإفخارستيا العالم بالقدر الذي نسمح فيه نحن لأنفسنا بأن نتبدّل، ونصبح خبزًا مكسورًا للآخرين.

أيّها الإخوة والأخوات، أين "نعدّ عشاء الرّبّ"، اليوم أيضًا؟ التطواف بالقربان المقدس - الذي يميّز عيد جسد الرّبّ ودمه الأقدسَين، والذي ما زلنا لا نقدر أن نقوم به في الوقت الحالي - يذكرنا بأنّنا مدعوون إلى أن ننطلق وأن نحمل يسوع. ننطلق بحماس ونحمل المسيح لهؤلاء الذين نلتقي بهم في كلّ يوم. لنكن كنيسة وفي أيدينا جرة الماء توقظ العطش وتقدّم الماء. ولنفتح قلبنا بالمحبّة، ولنكن الغرفة الفسيحة والمضيافة حيث يمكن للجميع أن يدخل للقاء الرّبّ. ولنجعل حياتنا خبزًا مكسورًا، بالرأفة والتضامن، حتى يرى العالم من خلالنا عظمة محبّة الله. وبعد ذلك، سيأتي الرّبّ، وسيفاجئنا مرة أخرى، وسيجعل من نفسه طعامًا لحياة العالم. وسيشبعنا إلى الأبد، حتى يأتي ذلك اليوم، الذي نشاهد فيه وجهه، في وليمة السماء، ونفرح معه بلا نهاية.

[00784-AR.01] [Testo originale: Italiano]

 

[B0361-XX.02]