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Lettera del Santo Padre al Segretario di Stato in occasione del 40° anniversario della Commissione degli Episcopati dell'Unione Europea (COMECE), del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l'Unione Europea e del 50° anniversario della presenza della Santa Sede come Osservatore Permanente al Consiglio d'Europa, 27.10.2020


Testo in lingua originale

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

 

Testo in lingua originale

Si pubblica di seguito la lettera che il Santo Padre ha indirizzato all’Em.mo Segretario di Stato in occasione del 40° anniversario della Commissione degli Episcopati dell'Unione Europea (COMECE), del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l'Unione Europea e del 50° anniversario della presenza della Santa Sede come Osservatore Permanente al Consiglio d'Europa.

In concomitanza con tali ricorrenze, era in programma, nei giorni 28-30 ottobre, una visita del Card. Parolin a Bruxelles, che è stata cancellata a causa dell’aggravarsi dell’emergenza sanitaria. Si prevede che gli incontri con le Autorità dell’Unione Europea e con i membri della COMECE possano svolgersi in video-collegamento.

A Sua Eminenza
il Signor Cardinale Pietro Parolin
Segretario di Stato

Eminenza Reverendissima,

nell’anno corrente, la Santa Sede e la Chiesa in Europa celebrano alcune significative ricorrenze. Cinquant’anni fa si è, infatti, concretizzata la collaborazione fra la Santa Sede e le Istituzioni europee sorte dopo la seconda guerra mondiale, con l’allacciamento delle relazioni diplomatiche con le allora Comunità Europee e con la presenza della Santa Sede come Osservatore presso il Consiglio d’Europa. Nel 1980 ha poi preso vita la Commissione degli Episcopati delle Comunità Europee (COMECE), alla quale partecipano con un proprio delegato tutte le Conferenze Episcopali degli Stati Membri dell’Unione Europea, con lo scopo di favorire «una più stretta collaborazione fra detti Episcopati, in ordine alle questioni pastorali connesse con lo sviluppo delle competenze e delle attività dell’Unione [1]. Quest’anno si è celebrato pure il 70° anniversario della Dichiarazione Schuman, un evento di capitale importanza che ha ispirato il lungo cammino di integrazione del continente, consentendo di superare le ostilità prodotte dai due conflitti mondiali.

Alla luce di questi eventi, Ella ha in programma prossimamente significative visite alle Autorità dell’Unione Europea, all’Assemblea Plenaria della COMECE e alle Autorità del Consiglio d’Europa, in vista delle quali ritengo doveroso condividere con Lei alcune riflessioni sul futuro di questo continente, che mi è particolarmente caro, non solo per le origini familiari, ma anche per il ruolo centrale che esso ha avuto e ritengo debba avere ancora, seppure con accenti diversi, nella storia dell’umanità.

Tale ruolo diventa ancor più rilevante nel contesto di pandemia che stiamo attraversando. Il progetto europeo sorge, infatti, come volontà di porre fine alle divisioni del passato. Nasce dalla consapevolezza che insieme ed uniti si è più forti, che «l’unità è superiore al conflitto»[2]e che la solidarietà può essere «uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita»[3]. Nel nostro tempo che «sta dando segno di ritorno indietro»[4], in cui sempre più prevale l’idea di fare da sé, la pandemia costituisce come uno spartiacque che costringe ad operare una scelta: o si procede sulla via intrapresa nell’ultimo decennio, animata dalla tentazione all’autonomia, andando incontro a crescenti incomprensioni, contrapposizioni e conflitti; oppure si riscopre quella “strada della fraternità”, che ha indubbiamente ispirato e animato i Padri fondatori dell’Europa moderna, a partire proprio da Robert Schuman.

Nelle cronache europee degli ultimi mesi, la pandemia ha posto in evidenza tutto questo: la tentazione di fare da sé, cercando soluzioni unilaterali ad un problema che travalica i confini degli Stati, ma anche, grazie al grande spirito di mediazione che caratterizza le Istituzioni europee, il desiderio di percorrere con convinzione la “strada della fraternità” che è pure “strada della solidarietà”, mettendo in campo creatività e nuove iniziative.

Tuttavia, i passi intrapresi hanno bisogno di consolidarsi, per evitare che le spinte centrifughe riprendano forza. Risuonano allora oggi più che mai attuali le parole che san Giovanni Paolo II ha pronunciato nell’Atto europeistico di Santiago di Compostela: Europa «ritrova te stessa, sii te stessa»[5]. In un tempo di cambiamenti repentini c’è il rischio di perdere la propria identità, specialmente quando vengono a mancare valori condivisi sui quali fondare la società.

All’Europa allora vorrei dire: tu, che sei stata nei secoli fucina di ideali e ora sembri perdere il tuo slancio, non fermarti a guardare al tuo passato come ad un album dei ricordi. Nel tempo, anche le memorie più belle si sbiadiscono e si finisce per non ricordare più. Presto o tardi ci si accorge che i contorni del proprio volto sfumano, ci si ritrova stanchi e affaticati nel vivere il tempo presente e con poca speranza nel guardare al futuro. Senza slancio ideale ci si riscopre poi fragili e divisi e più inclini a dare sfogo al lamento e lasciarsi attrarre da chi fa del lamento e della divisione uno stile di vita personale, sociale e politico.

Europa, ritrova te stessa! Ritrova dunque i tuoi ideali che hanno radici profonde. Sii te stessa! Non avere paura della tua storia millenaria che è una finestra sul futuro più che sul passato. Non avere paura del tuo bisogno di verità che dall’antica Grecia ha abbracciato la terra, mettendo in luce gli interrogativi più profondi di ogni essere umano; del tuo bisogno di giustizia che si è sviluppato dal diritto romano ed è divenuto nel tempo rispetto per ogni essere umano e per i suoi diritti; del tuo bisogno di eternità, arricchito dall’incontro con la tradizione giudeo-cristiana, che si rispecchia nel tuo patrimonio di fede, di arte e di cultura.

Oggi, mentre in Europa tanti si interrogano con sfiducia sul suo futuro, molti la guardano con speranza, convinti che essa abbia ancora qualcosa da offrire al mondo e all’umanità. È la stessa fiducia che ispirò Robert Schuman, consapevole che «il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche»[6]. È la stessa fiducia che possiamo avere noi, a partire da valori condivisi e radicati nella storia e nella cultura di questa terra.

Quale Europa sogniamo dunque per il futuro? In che cosa consiste il suo contributo originale? Nel mondo attuale, non si tratta di recuperare un’egemonia politica o una “centralità geografica”, né si tratta di elaborare innovative soluzioni ai problemi economici e sociali. L’originalità europea sta anzitutto nella sua concezione dell’uomo e della realtà; nella sua capacità di intraprendenza e nella sua solidarietà operosa.

Sogno allora un’Europa amica della persona e delle persone. Una terra in cui la dignità di ognuno sia rispettata, in cui la persona sia un valore in sé e non l’oggetto di un calcolo economico o un bene di commercio. Una terra che tutela la vita in ogni suo istante, da quando sorge invisibile nel grembo materno fino alla sua fine naturale, perché nessun essere umano è padrone della vita, propria o altrui. Una terra che favorisca il lavoro come mezzo privilegiato per la crescita personale e per l’edificazione del bene comune, creando opportunità di occupazione specialmente per i più giovani. Essere amici della persona significa favorirne l’istruzione e lo sviluppo culturale. Significa proteggere chi è più fragile e debole, specialmente gli anziani, i malati che necessitano cure costose e i disabili. Essere amici della persona significa tutelarne i diritti, ma anche rammentarne i doveri. Significa ricordare che ognuno è chiamato a donare il proprio contributo alla società, poiché nessuno è un universo a sé stante e non si può esigere rispetto per sé, senza rispetto per gli altri; non si può ricevere se nel contempo non si è disposti anche a dare.

Sogno un’Europa che sia una famiglia e una comunità. Un luogo che sappia valorizzare le peculiarità di ogni persona o popolo, senza dimenticare che essi sono uniti da comuni responsabilità. Essere famiglia significa vivere in unità, facendo tesoro delle differenze, a partire da quella fondamentale tra uomo e donna. In questo senso l’Europa è una vera e propria famiglia di popoli, diversi tra loro eppure legati da una storia e da un destino comune. Gli anni recenti e ancor più la pandemia hanno dimostrato che nessuno può farcela da solo e un certo modo individualistico di intendere la vita e la società porta solo a sconforto e solitudine. Ogni essere umano ambisce ad essere parte di una comunità, ovvero di una realtà più grande che lo trascende e che dona senso alla sua individualità. Un’Europa divisa, composta di realtà solitarie ed indipendenti, si troverà facilmente incapace di affrontare le sfide del futuro. Un “Europa comunità”, solidale e fraterna, saprà invece fare tesoro delle differenze e del contributo di ciascuno per fronteggiare insieme le questioni che l’attendono, a partire dalla pandemia, ma anche dalla sfida ecologica, che non riguarda soltanto la protezione delle risorse naturali e la qualità dell’ambiente che abitiamo. Si tratta di scegliere fra un modello di vita che scarta uomini e cose e uno inclusivo che valorizza il creato e le creature.

Sogno un’Europa solidale e generosa. Un luogo accogliente ed ospitale, in cui la carità – che è somma virtù cristiana – vinca ogni forma di indifferenza ed egoismo. La solidarietà è un’espressione fondamentale di ogni comunità ed esige che ci si prenda cura l’uno dell’altro. Certamente occorre una “solidarietà intelligente” che non si limiti solo ad assistere all’occorrenza i bisogni fondamentali.

Essere solidali significa condurre chi è più debole in un cammino di crescita personale e sociale così che un giorno possa a sua volta aiutare gli altri. È come un buon medico che non si limita a somministrare una medicina, ma accompagna il paziente fino alla piena guarigione.

Essere solidali implica farsi prossimi. Per l’Europa significa particolarmente rendersi disponibile, vicina e volenterosa nel sostenere, attraverso la cooperazione internazionale, gli altri continenti, penso specialmente all’Africa, affinché si compongano i conflitti in corso e si avvii uno sviluppo umano sostenibile.

La solidarietà si nutre poi di gratuità e genera gratitudine. E la gratitudine ci porta a guardare all’altro con amore, ma quando dimentichiamo di ringraziare per i benefici ricevuti, siamo più inclini a chiuderci in noi stessi e a vivere nella paura di tutto ciò che sta intorno a noi ed è diverso da noi.

Lo vediamo nelle tante paure che attraversano le nostre società di questi tempi, tra le quali non posso tacere la diffidenza nei confronti dei migranti. Solo un’Europa che sia “comunità solidale” può fare fronte a questa sfida in modo proficuo, mentre ogni soluzione parziale ha già dimostrato la propria inadeguatezza. È evidente, infatti, che la doverosa accoglienza dei migranti, non può limitarsi a mere operazioni di assistenza di chi arriva, spesso scappando da conflitti, carestie o disastri naturali, ma deve consentire la loro integrazione così che possano «conoscere, rispettare e anche assimilare la cultura e le tradizioni della nazione che li accoglie»[7].

Sogno un’Europa sanamente laica, in cui Dio e Cesare siano distinti ma non contrapposti. Una terra aperta alla trascendenza, in cui chi è credente sia libero di professare pubblicamente la fede e di proporre il proprio punto di vista nella società. Sono finiti i tempi dei confessionalismi, ma – si spera – anche quello di un certo laicismo che chiude le porte verso gli altri e soprattutto verso Dio[8], poiché è evidente che una cultura o un sistema politico che non rispetti l’apertura alla trascendenza, non rispetta adeguatamente la persona umana.

I cristiani hanno oggi una grande responsabilità: come il lievito nella pasta, sono chiamati a ridestare la coscienza dell’Europa, per animare processi che generino nuovi dinamismi nella società[9]. Li esorto dunque ad impegnarsi con coraggio e determinazione ad offrire il loro contributo in ogni ambito in cui vivono e operano.

Signor Cardinale,

queste brevi parole nascono dalla mia premura di Pastore e dalla certezza che l’Europa abbia ancora molto da donare al mondo. Non hanno, dunque, altra pretesa che quella di essere un contributo personale alla riflessione da più parte sollecitata sul suo avvenire. Le sarò grato se vorrà condividerne i contenuti nei colloqui che Ella avrà nei prossimi giorni con le Autorità europee e con i membri della COMECE che esorto a collaborare in spirito di comunione fraterna con tutti i Vescovi del continente, riuniti nel Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE). A ciascuno, La prego di portare il mio personale saluto e il segno della mia vicinanza ai popoli che rappresentano. I Suoi incontri saranno certamente un’occasione propizia per approfondire le relazioni della Santa Sede con l’Unione Europea e con il Consiglio d’Europa, e per confermare la Chiesa nella sua missione evangelizzatrice e nel suo servizio al bene comune.

Non manchi poi sulla nostra cara Europa la protezione dei suoi santi patroni: San Benedetto, i Santi Cirillo e Metodio, Santa Brigida, Santa Caterina e Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), uomini e donne che per amore del Signore si sono adoperati senza sosta nel servizio dei più poveri e a favore dello sviluppo umano, sociale e culturale di tutti i popoli europei.

Nell’affidarmi alle Sue preghiere e a quelle di quanti avrà modo di incontrare nel corso del Suo viaggio, voglia portare a tutti la mia Benedizione.

Dal Vaticano, 22 ottobre 2020,
Memoria di San Giovanni Paolo II.

FRANCESCO

_______________________________________

[1] Statuto della COMECE, art. 1.

[2] Lett. enc. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 228.

[3] Ibid.

[4] Lett. enc. Fratelli tutti, 3 ottobre 2020, n. 11.

[5] Giovanni Paolo II, Atto europeistico a Santiago de Compostela, 9 novembre 1982, n.4.

[6] Dichiarazione Schuman, Parigi, 9 maggio 1950.

[7] Discorso ai partecipanti alla Conferenza "(Re)Thinking Europe",28 ottobre 2017.

[8] Cfr. Intervista al settimanale cattolico belga “Tertio”, 7 dicembre 2016.

[9] Discorso ai partecipanti alla Conferenza "(Re)Thinking Europe", cit.

[01284-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Nous publions ci-après la lettre du Saint-Père au Cardinal Secrétaire d’État à l’occasion du 40° anniversaire de la Commission des Épiscopats de l’Union Européenne (COMECE), du 50° anniversaire de la Commission de l’établissement des rapports diplomatiques entre le Saint-Siège et l’Union Européenne et du 50° anniversaire de la présence du Saint-Siège au Conseil de l’Europe en qualité d’Observateur Permanent.

En concomitance avec ces anniversaires, une visite du Cardinal Parolin à Bruxelles avait été programmée du 28 au 30 octobre, visite annulée en raison de l’aggravation de l’urgence sanitaire. Il est prévu que les rencontres avec les Autorités de l’Union Européenne et avec les membres de la COMECE pourront se dérouler en visioconférence.

A mon Vénérable Frère
Monsieur le Cardinal PIETRO PAROLIN
Secrétaire d’Etat

Cette année, le Saint-Siège et l’Eglise en Europe célèbrent quelques anniversaires significatifs. Il y a cinquante ans, en effet, s’est concrétisée la collaboration entre le Saint-Siège et les Institutions européennes apparues après la deuxième guerre mondiale, par l’établissement des relations diplomatiques avec les Communautés Européennes d’alors et la présence du Saint-Siège comme Observateur auprès du Conseil de l’Europe. En 1980, a ensuite vu le jour la Commission des Episcopats des Communautés Européennes (COMECE) à laquelle toutes les Conférences Episcopales des Etats Membres de l’Union Européenne participent avec leur propre délégué, dans le but de favoriser «une plus étroite collaboration entre les dits Episcopats, dans l’ordre des questions pastorales liées au développement des compétences et des activités de l’Union».[1] Cette année, est aussi célébré le 70e anniversaire de la Déclaration Schuman, un évènement d’une importance capitale qui a inspiré la longue marche d’intégration du continent, en permettant de dépasser les hostilités produites par les deux conflits mondiaux.

A la lumière de ces évènements, vous avez prochainement programmé des visites significatives aux autorités de l’Union Européenne, à l’Assemblée Plénière de la COMECE et aux autorités du Conseil de l’Europe, en vue desquelles je crois qu’il est de mon devoir de partager avec vous quelques réflexions sur l’avenir de ce continent qui m’est particulièrement cher, non seulement en raison de mes origines familiales, mais aussi pour le rôle central qu’il a eu et que j’estime qu’il doit encore avoir, bien qu’avec des accents différents, dans l’histoire de l’humanité.

Ce rôle devient encore plus important dans le contexte de pandémie que nous traversons. Le projet européen apparaît, en effet, comme volonté de mettre fin aux divisions du passé. Il naît de la conscience qu’ensemble et unis on est plus forts, que «l’unité est supérieure au conflit»[2] et que la solidarité peut être «une manière de faire l’histoire, un domaine vital où les conflits, les tensions, et les oppositions peuvent atteindre une unité multiforme, unité qui engendre une nouvelle vie».[3] A notre époque qui «est en train de donner des signes de recul»,[4] où prévaut toujours plus l’idée de s’en sortir tout seul, la pandémie se présente comme un tournant qui oblige à faire un choix: ou bien on continue sur la voie entreprise dans la dernière décennie, animée par la tentation de l’autonomie, en faisant face à des incompréhensions, à des oppositions et à des conflits croissants; ou alors on redécouvre le chemin de la fraternité, qui a sans aucun doute inspiré et animé les Pères fondateurs de l’Europe moderne, à partir justement de Robert Schuman.

Dans les chroniques européennes de ces derniers mois, la pandémie a mis en évidence tout cela: la tentation de s’en sortir tout seul, en cherchant des solutions unilatérales à un problème qui dépasse les frontières des Etats, mais aussi, grâce au grand esprit de médiation qui caractérise les Institutions européennes, le désir de parcourir avec conviction le chemin de la fraternité qui est aussi le chemin de la solidarité, en mettant en œuvre la créativité et de nouvelles initiatives.

Cependant, les mesures prises ont besoin de se consolider, pour éviter que les poussées centrifuges reprennent force. Résonnent alors aujourd’hui, plus que jamais actuelles, les paroles que saint Jean-Paul II a prononcées dans l’Acte européiste de Saint-Jacques-de-Compostelle: Europe, «retrouve-toi toi-même, sois toi-même».[5] A une époque de changements brusques, il y a le risque de perdre son identité, spécialement lorsque font défaut les valeurs partagées sur lesquelles fonder la société.

A l’Europe je voudrais donc dire: toi, qui as été au cours des siècles un foyer d’idéaux et qui sembles maintenant perdre ton élan, ne t’arrête pas à regarder ton passé comme un album de souvenirs. Avec le temps, même les mémoires les plus belles s’estompent et on finit par ne plus s’en rappeler. Tôt ou tard on s’aperçoit que les contours de son visage se fanent, on s’y retrouve épuisé et fatigué de vivre le temps présent et on regarde l’avenir avec peu d’espérance. Sans un élan idéal, on s’y redécouvre ensuite fragile et divisé et plus enclin à donner libre cours à la plainte et à se laisser attirer par celui qui fait de la plainte et de la division un style de vie personnel, social et politique.

Europe, retrouve-toi toi-même! Retrouve donc tes idéaux qui ont des racines profondes. Sois toi-même! N’aie pas peur de ton histoire millénaire qui est une fenêtre sur l’avenir plus que sur le passé. N’aie pas peur de ton besoin de vérité qui de la Grèce antique a étreint la terre, en mettant en lumière les interrogations les plus profondes de tout être humain; de ton besoin de justice qui s’est développé par le droit romain et, avec le temps, est devenu respect pour tout être humain et pour ses droits; de ton besoin d’éternité, enrichi par la rencontre avec la tradition judéo-chrétienne, qui se reflète dans ton patrimoine de foi, d’art et de culture.

Aujourd’hui, pendant qu’en Europe beaucoup s’interrogent avec découragement sur son avenir, un grand nombre la regarde avec espérance, convaincu qu’elle a encore quelque chose à offrir au monde et à l’humanité. C’est la même confiance qui a inspiré Robert Schuman, conscient que «la contribution qu’une Europe organisée et vivante peut apporter à la civilisation est indispensable au maintien des relations pacifiques».[6] C’est la même confiance que nous pouvons avoir, à partir des valeurs partagées et enracinées dans l’histoire et dans la culture de cette terre.

De quelle Europe rêvons-nous donc pour l’avenir? En quoi consiste sa contribution originale? Dans le monde actuel, il ne s’agit pas de récupérer une hégémonie politique ou une centralité géographique, il ne s’agit pas non plus d’élaborer des solutions innovantes aux problèmes économiques et sociaux. L’originalité européenne réside avant tout dans sa conception de l’homme et de la réalité; dans sa capacité d’initiative et dans sa solidarité active.

Je rêve alors d’une Europe amie de la personne et des personnes. Une terre où la dignité de chacun soit respectée, où la personne soit une valeur en soi et non l’objet d’un calcul économique ou un bien commercial. Une terre qui protège la vie à chacun de ses moments, dès l’instant où elle apparaît invisible dans le sein maternel jusqu’à sa fin naturelle, parce qu’aucun être humain n’est maître de la vie, la sienne ou celle d’autrui. Une terre qui favorise le travail comme moyen privilégié pour la croissance personnelle et pour l’édification du bien commun, en créant des opportunités d’emploi spécialement pour les plus jeunes. Etre amis de la personne signifie en favoriser l’instruction et le développement culturel. Cela signifie protéger celui qui est plus fragile et faible, spécialement les personnes âgées, les malades qui ont besoin de soins coûteux et les personnes handicapées. Etre amis de la personne signifie en protéger les droits, mais aussi en rappeler les devoirs. Cela signifie se rappeler que chacun est appelé à offrir sa contribution à la société, puisque personne n’est un univers indépendant et ne peut exiger le respect pour soi, sans respect pour les autres; on ne peut pas recevoir si en même temps on n’est pas disposé aussi à donner.

Je rêve d’une Europe qui soit une famille et une communauté. Un lieu qui sait valoriser les particularités de chaque personne et de chaque peuple, sans oublier qu’ils sont unis par des responsabilités communes. Etre famille signifie vivre dans l’unité, en tirant profit des différences, à partir de la différence fondamentale entre l’homme et la femme. Dans ce sens, l’Europe est une véritable famille de peuples, différents entre eux, et pourtant liés par une histoire et par un destin communs. Les années récentes, et encore plus la pandémie, ont montré que personne ne peut y arriver seul et qu’une certaine manière individualiste de considérer la vie et la société conduit seulement au découragement et à la solitude. Tout être humain aspire à faire partie d’une communauté, c’est-à-dire d’une réalité plus grande qui le transcende et qui donne sens à son individualité. Une Europe divisée, composée de réalités solitaires et indépendantes, se trouvera facilement incapable d’affronter les défis du futur. Une Europe communauté, solidaire et fraternelle, saura au contraire tirer profit des différences et de la contribution de chacun pour affronter ensemble les questions qui l’attendent, à partir de la pandémie, mais aussi du défi écologique, qui ne concerne pas seulement la protection des ressources naturelles et la qualité de l’environnement que nous habitons. Il s’agit de choisir entre un modèle de vie qui écarte hommes et choses et un modèle inclusif qui valorise la création et les créatures.

Je rêve d’une Europe solidaire et généreuse. Un lieu accueillant et hospitalier, où la charité – qui est la suprême vertu chrétienne – vainc toute forme d’indifférence et d’égoïsme. La solidarité est expression fondamentale de toute communauté et exige qu’on prenne soin l’un de l’autre. Assurément nous parlons d’une “solidarité intelligente” qui ne se limite pas seulement à répondre le cas échéant aux besoins fondamentaux.

Etre solidaires signifie conduire celui qui est plus faible sur un chemin de croissance personnelle et sociale, en sorte qu’un jour il puisse à son tour aider les autres. Comme un bon médecin qui ne se limite pas à administrer un remède, mais qui accompagne le patient jusqu’à la guérison totale.

Etre solidaire signifie se faire proches. Pour l’Europe, cela signifie particulièrement se rendre disponible, proche et disposé à soutenir, à travers la coopération internationale, les autres continents, je pense spécialement à l’Afrique, afin que soient résolus les conflits en cours et que démarre un développement humain durable.

La solidarité se nourrit ensuite de gratuité et produit la gratitude. Et la gratitude nous amène à regarder l’autre avec amour; mais quand nous oublions de remercier pour les bienfaits reçus, nous sommes plus enclins à nous renfermer sur nous-mêmes et à vivre dans la peur de tout ce qui nous entoure et qui est différent de nous.

Nous le voyons dans les nombreuses peurs qui traversent nos sociétés d’aujourd’hui, parmi lesquelles je ne peux pas taire la méfiance à l’égard des migrants. Seule une Europe qui est une communauté solidaire peut faire face à ce défi de manière fructueuse, alors que toute solution partielle a déjà démontré son insuffisance. Il est évident, en effet, que le bon accueil des migrants ne peut pas se limiter à de simples opérations d’assistance de celui qui arrive, souvent en échappant à des conflits, à des famines ou à des désastres naturels, mais il doit permettre leur intégration de sorte qu’ils puissent «connaître, respecter et assimiler aussi la culture ainsi que les traditions de la nation qui les accueille».[7]

Je rêve d’une Europe sainement laïque, où Dieu et César soient distincts mais pas opposés. Une terre ouverte à la transcendance, où celui qui est croyant soit libre de professer publiquement sa foi et de proposer son point de vue dans la société. Les temps des confessionnalismes sont finis, mais – on l’espère – même le temps d’un certain laïcisme qui ferme les portes aux autres et surtout à Dieu,[8] puisqu’il est évident qu’une culture ou un système politique qui ne respecte pas l’ouverture à la transcendance ne respecte pas convenablement la personne humaine.

Les chrétiens ont aujourd’hui une grande responsabilité: comme le levain dans la pâte, ils sont appelés à réveiller la conscience de l’Europe, pour animer des processus qui produisent de nouveaux dynamismes dans la société.[9] Je les exhorte donc à s’engager avec courage et détermination pour offrir leur contribution dans chaque domaine où ils vivent et travaillent.

Monsieur le Cardinal,

ces brèves paroles naissent de ma sollicitude de Pasteur et de la certitude que l’Europe a encore beaucoup à donner au monde. Elles n’ont donc pas d’autre prétexte que celui d’être une contribution personnelle à la réflexion sollicitée de plusieurs côtés sur son avenir. Je vous serais reconnaissant de bien vouloir en partager le contenu dans les entretiens que vous aurez dans les prochains jours avec les Autorités européennes et avec les membres de la COMECE, que j’exhorte à collaborer en esprit de communion fraternelle avec tous les évêques du continent, réunis dans le Conseil des Conférences Episcopales d’Europe (CCEE). A chacun je vous prie de transmettre mes salutations personnelles et le signe de ma proximité aux peuples qu’ils représentent. Vos rencontres seront certainement une occasion propice pour approfondir les relations du Saint-Siège avec l’Union Européenne et avec le Conseil de l’Europe, et pour confirmer l’Eglise dans sa mission évangélisatrice et dans son service du bien commun.

Que la protection de ses saints Patrons ne manque pas à notre chère Europe: saint Benoît, les saints Cyrille et Méthode, sainte Brigitte, sainte Catherine et sainte Thérèse Bénédicte de la Croix (Edith Stein), hommes et femmes qui par amour du Seigneur se sont prodigués sans relâche au service des plus pauvres et en faveur du développement humain, social et culturel de tous les peuples européens.

En me confiant à vos prières et à celles de tous ceux que vous rencontrerez au cours de votre voyage, puissiez-vous apporter à tous ma Bénédiction.

Du Vatican, le 22 octobre 2020,
mémoire de Saint Jean-Paul II.

FRANÇOIS

______________________

[1] Statut de la COMECE, art. 1.

[2] Exhort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), n. 228.

[3] Ibid.

[4] Lett. enc. Fratelli tutti (3 octobre 2020), n. 11.

[5] 9 novembre 1982, n. 4.

[6] Déclaration Schuman, Paris, 9 mai 1950.

[7] Discours aux participants à la Conférence “(Re)Thinking Europe”, (28 octobre 2017).

[8] Cf. Interview à l’hebdomadaire catholique belge,“Tertio” (7 décembre 2016).

[9] Discours aux participants à la Conférence “(Re)Thinking Europe”, cit.

[01284-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

The following is the letter addressed by the Holy Father to His Eminence the Secretary of State on the 40th anniversary of the Commission of the Bishops’ Conferences of the European Community (COMECE), the 50th anniversary of the establishment of diplomatic relations between the Holy See and the European Union, and the 50th anniversary of the presence of the Holy See as Permanent Observer at the Council of Europe.

To coincide with these anniversaries, a visit by Cardinal Parolin to Brussels was planned for the days 28 to 30 October, but has been cancelled due to the worsening of the health emergency. It is expected that the meetings with the authorities of the European Union and the members of COMECE can be held by video connection.

To my Venerable Brother
Cardinal Pietro Parolin
Secretary of State

This year the Holy See and the Church in Europe celebrate several significant anniversaries. Fifty years ago, cooperation between the Holy See and the European institutions that arose in the period following the Second World War took concrete form by the establishment of diplomatic relations between the then European Community and by the Holy See’s presence as an Observer at the Council of Europe. In 1980, the Commission of the Bishops’ Conferences of the European Communities (COMECE) was founded, composed of delegates from the Bishops’ Conferences of all the member states of the European Union, for the sake of promoting “closer cooperation between those episcopates with regard to pastoral questions related to the development of the areas of competence and activities of the Union”.[1] This year also marked the seventieth anniversary of the Schuman Declaration, an event of capital importance that inspired the gradual process of the continent’s integration, making it possible to overcome the animosity resulting from the two world wars.

In the light of these events, you are planning in the near future to make significant visits to the authorities of the European Union, the Plenary Assembly of COMECE and the authorities of the Council of Europe. In this regard, I consider it important to share with you some reflections on the future of this continent so dear to me, not only because of my family’s origins but also because of the central role that it has had, and, I believe, must continue to have, albeit with different accents, in the history of humanity.

That role is all the more pertinent in the context of the pandemic we are now experiencing. The European project arose from a determination to end past divisions. It was born of the realization that unity and cooperation make for strength, that “unity is greater than conflict”[2] and that solidarity can be “a way of making history in a life setting where conflicts, tensions and oppositions can achieve a diversified and life-giving unity”.[3] In our own days, which “show signs of a certain regression”,[4] a growing tendency for all to go their own separate ways, the pandemic has emerged as a kind of a watershed, forcing us to take a stand. We can either continue to pursue the path we have taken in the past decade, yielding to the temptation to autonomy and thus to ever greater misunderstanding, disagreement and conflict, or we can rediscover the path of fraternity that inspired and guided the founders of modern Europe, beginning precisely with Robert Schuman.

As the experience of Europe in recent months has shown, the pandemic has made this increasingly evident. On the one hand, we have witnessed the temptation to go it alone, seeking unilateral solutions to a problem that transcends state borders. Yet thanks to the great spirit of mediation that distinguishes the European institutions, we have also seen a determination to set out on the path of fraternity, which is also the path of solidarity, unleashing creativity and new initiatives.

The steps taken thus far need, however, to be consolidated, lest centrifugal forces regain their strength. Today, the words of Saint John Paul II in the European Act of Santiago de Compostela remain as timely as ever: Europe, “find yourself, be yourself”.[5] An age of rapid change can bring with it a loss of identity, especially when there is a lack of shared values on which to base society.

To Europe, then, I would like to say: you, who for centuries have been a seedbed of high ideals and now seem to be losing your élan, do not be content to regard your past as an album of memories. In time, even the most beautiful memories fade and are gradually forgotten. Sooner or later, we realize that we ourselves have changed; we find ourselves weary and listless in the present and possessed of little hope as we look to the future. Without ideals, we find ourselves weak and divided, more prone to complain and to be attracted by those who make complaint and division a style of personal, social and political life.

Europe, find yourself! Rediscover your most deeply-rooted ideals. Be yourself! Do not be afraid of your millenary history, which is a window open to the future more than the past. Do not be afraid of that thirst of yours for truth, which, from the days of ancient Greece, has spread throughout the world and brought to light the deepest questions of every human being. Do not be afraid of the thirst for justice that developed from Roman law and in time became respect for all human beings and their rights. Do not be afraid of your thirst for eternity, enriched by the encounter with the Judeo-Christian tradition reflected in your patrimony of faith, art and culture.

Today, as many in Europe look to its future with uncertainty, others look to Europe with hope, convinced that it still has something to offer to the world and to humanity. The same conviction inspired Robert Schuman, who realized that “the contribution which an organized and living Europe can bring to civilization is indispensable to the maintenance of peaceful relations”.[6] It is a conviction that we ourselves can share, setting out from shared values and rooted in the history and culture of this land.

What kind of Europe do we envision for the future? What is to be its distinctive contribution? In today’s world, it is not about recovering political hegemony or geographical centrality, or about developing innovative solutions to economic and social problems. The uniqueness of Europe rests above all on its conception of the human being and of reality, on its capacity for initiative and on its spirit of practical solidarity.

I dream, then, of a Europe that is a friend to each and all. A land respectful of everyone’s dignity, in which each person is appreciated for his or her intrinsic worth and not viewed purely from an economic standpoint or as a mere consumer. A land that protects life at every stage, from the time it arises unseen in the womb until its natural end, since no human being is the master of life, either his or her own life or the lives of others. A land that promotes work as a privileged means of personal growth and the pursuit of the common good, creating employment opportunities particularly for the young. Being a friend to others entails providing for their education and cultural development. It entails protecting the weakest and most vulnerable, especially the elderly, the sick in need of costly care, and those with disabilities. Being a friend to others entails defending their rights, but also reminding them of their duties. It means acknowledging that everyone is called to offer his or her own contribution to society, for none of us is a world apart, and we cannot demand respect for ourselves without showing respect for others. We cannot receive unless we are also willing to give.

I dream of a Europe that is a family and a community. A place respectful of the distinctiveness of each individual and every people, ever mindful that they are bound together by shared responsibilities. Being a family entails living in unity, treasuring differences, beginning with the fundamental difference between man and woman. In this sense, Europe is a genuine family of peoples, all different yet linked by a common history and destiny. The experience of recent years and that of the pandemic in particular have shown that no one is completely self-sufficient, and that a certain individualistic understanding of life and society leads only to discouragement and isolation. Every man and woman aspires to be part of a community, that is, of a greater reality that transcends and gives meaning to his or her individuality. A divided Europe, made up of insular and independent realities, will soon prove incapable of facing the challenges of the future. On the other hand, a Europe that is a united and fraternal community will be able to value diversity and acknowledge the part that each has to play in confronting the problems that lie ahead, beginning with the pandemic and including the ecological challenge of preserving our natural resources and the quality of the environment in which we live. We are faced with the choice between a model of life that discards people and things, and an inclusive model that values creation and creatures.

I dream of a Europe that is inclusive and generous. A welcoming and hospitable place in which charity, the highest Christian virtue, overcomes every form of indifference and selfishness. Solidarity, as an essential element of every authentic community, demands that we care for one another. To be sure, we are speaking of an “intelligent solidarity” that does more than merely attend to basic needs as they emerge.

Solidarity entails guiding those most vulnerable towards personal and social growth, enabling them one day to help others in turn. Like any good physician, who not only administers medication, but also accompanies the patient to complete recovery.

Solidarity involves being a neighbour to others. In the case of Europe, this means becoming especially ready and willing, through international cooperation, to offer generous assistance to other continents. I think particularly of Africa, where there is a need to resolve ongoing conflicts and to pursue a sustainable human development.

Solidarity is also nurtured by generosity and gives rise to gratitude, which leads us to regard others with love. When we forget to be thankful for the benefits we have received, we tend increasingly to close in upon ourselves and to live in fear of everything around us and different from us.

We can see this in the many fears felt in our contemporary societies, among which I would mention uneasiness and concern about migrants. Only a Europe that is a supportive community can meet the present challenge in a productive way, since piecemeal solutions have proved to be inadequate. It is clear that a proper acceptance of migrants must not only assist those newly arrived, who are often fleeing conflict, hunger or natural disasters, but must also work for their integration, enabling them “to learn, respect and assimilate the culture and traditions of the nations that welcome them”.[7]

I dream of a Europe marked by a healthy secularism, where God and Caesar remain distinct but not opposed. A land open to transcendence, where believers are free to profess their faith in public and to put forward their own point of view in society. The era of confessional conflicts is over, but so too – let us hope – is the age of a certain laicism closed to others and especially to God[8], for it is evident that a culture or political system that lacks openness to transcendence proves insufficiently respectful of the human person.

Christians today have a great responsibility: they are called to serve as a leaven in reviving Europe’s conscience and help to generate processes capable of awakening new energies in society.[9] I urge them, therefore, to contribute with commitment, courage and determination to every sector in which they live and work.

Your Eminence,

These few words arise from my pastoral concern and my certainty that Europe still has much to offer to the world. My words are meant solely to be a personal contribution to the growing call for reflection on the continent’s future. I would be grateful if you could share these thoughts in the conversations you are to hold in coming days with the European authorities and with the members of COMECE, whom I ask to cooperate in a spirit of fraternal communion with all the Bishops of the continent gathered in the Council of the Bishops’ Conferences of Europe (CCEE). I ask you to bring my personal greeting and a sign of my closeness to each of them and to the peoples they represent. Your meetings will certainly be a fitting occasion for consolidating relations between the Holy See and the European Union and the Council of Europe, and to confirm the Church in her evangelizing mission and her service to the common good.

May our beloved Europe continue to enjoy the protection of her holy patrons: Saint Benedict, Saints Cyril and Methodius, Saint Bridget, Saint Catherine and Saint Teresa Benedicta of the Cross (Edith Stein), men and women who for love of the Lord tirelessly served the poor and worked for the human, social and cultural development of all the peoples of the continent.

I commend myself to your prayers and to the prayers of those whom you will encounter in the course of your travels. To all of them I ask you to bring my Blessing.

From the Vatican, 22 October 2020,
Memorial of Saint John Paul II.

FRANCIS

______________________

[1] COMECE Statutes, Art. 1.

[2] Apostolic Exhortation Evangelii Gaudium (24 November 2013), 228.

[3] Ibid.

[4] Encyclical Letter Fratelli Tutti (3 October 2020), 11.

[5] 9 November 1982, 4.

[6] Schuman Declaration, Paris, 9 May 1950.

[7] Address to Participants in the Conference “(Re)thinking Europe” (28October 2017).

[8] Cf. interview for the Belgian Catholic Weekly “Tertio” (7 December 2016).

[9] Address to Participants in the Conference “(Re)thinking Europe”, op. cit.

[01284-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Im Folgenden veröffentlichen wir den Brief, den der Papst anlässlich des 40. Jahrestages der Gründung der Kommission der Bischofskonferenzen der Europäischen Gemeinschaft (COMECE), des 50. Jahrestages der Aufnahme diplomatischer Beziehungen zwischen dem Heiligen Stuhl und der Europäischen Union und des 50. Jahrestags der Präsenz des Heiligen Stuhls als Ständiger Beobachter beim Europarat an den Kardinalstaatssekretär gerichtet hat.

Zu diesen Jubiläen war vom 28. bis 30. Oktober ein Besuch von Kardinal Parolin in Brüssel geplant, der allerdings wegen des sich verschärfenden Gesundheitsnotstands abgesagt werden musste. Es ist vorgesehen, dass die Begegnungen mit den Einrichtungen der Europäischen Union und den Mitgliedern der COMECE als Videokonferenz stattfinden können.

An den verehrten Bruder
Herrn Kardinal PIETRO PAROLIN
Staatssekretär Seiner Heiligkeit

In diesem Jahr feiern der Heilige Stuhl und die Kirche in Europa einige bedeutende Jubiläen. Vor fünfzig Jahren wurde die nach dem Zweiten Weltkrieg entstandene Zusammenarbeit zwischen dem Heiligen Stuhl und den europäischen Institutionen durch die Aufnahme diplomatischer Beziehungen mit den damaligen Europäischen Gemeinschaften und die Anwesenheit des Heiligen Stuhls als Ständiger Beobachter beim Europarat konkret. Im Jahre 1980 wurde die Kommission der Bischofskonferenzen der Europäischen Union (COMECE) ins Leben gerufen, an der alle Bischofskonferenzen der Mitgliedstaaten der Europäischen Union mit einem eigenen Delegierten teilnehmen, mit dem Ziel, »hinsichtlich der pastoralen Fragen, die im Zusammenhang mit der Entwicklung der Kompetenzen und Aktivitäten der Union stehen, eine engere Zusammenarbeit zwischen diesen Bischofskonferenzen« zu fördern.[1]In diesem Jahr wurde auch der 70. Jahrestag der Schuman-Erklärung begangen, ein Ereignis von größter Bedeutung, das den langen Weg der Integration des Kontinents inspiriert hat, sodass eine Überwindung der durch die beiden Weltkriege entstandenen Feindschaften möglich wurde.

Im Lichte dieser Ereignisse werden Sie demnächst wichtige Besuche bei den Verantwortlichen der Europäischen Union, bei der Vollversammlung der COMECE und bei den Verantwortlichen des Europarates machen. Im Hinblick darauf halte ich es für angebracht, Ihnen einige Überlegungen zur Zukunft dieses Kontinents mitzuteilen, der mir besonders am Herzen liegt, nicht nur wegen meiner familiären Herkunft, sondern auch wegen der zentralen Rolle, die er in der Geschichte der Menschheit gespielt hat und meiner Meinung nach weiterhin spielen sollte, wenn auch mit anderen Akzenten.

Diese Rolle wird im Zusammenhang mit der Pandemie, die wir gerade erleben, noch bedeutsamer. Das europäische Projekt rührt in der Tat von dem Wunsch her, die Spaltungen der Vergangenheit zu überwinden. Es entspringt dem Bewusstsein, dass wir gemeinsam und geeint stärker sind, dass die Einheit über dem Konflikt steht[2]und dass die Solidarität »zu einer Weise [wird], Geschichte in einem lebendigen Umfeld zu schreiben, wo die Konflikte, die Spannungen und die Gegensätze zu einer vielgestaltigen Einheit führen können, die neues Leben hervorbringt«.[3]In unserer Zeit, in der es »Indizien für einen Rückschritt«[4]gibt und man die Dinge zunehmend selbstständig tun möchte, ist die Pandemie wie eine Wasserscheide, die uns vor die Wahl stellt: entweder wir gehen den Weg des letzten Jahrzehnts weiter, der von der Versuchung zur Autonomie geprägt war und steuern so auf wachsende Missverständnisse, Gegensätze und Konflikte zu, oder wir entdecken wieder jenenWeg der Geschwisterlichkeit, der zweifellos die Gründerväter des modernen Europa, angefangen bei Robert Schuman selbst, inspiriert und beseelt hat.

In der europäischen Berichterstattung der letzten Monate wurde all dies durch die Pandemie deutlich sichtbar: sowohl die Versuchung von Alleingängen und unilateralen Lösungen bei Problemen, die über die Grenzen der einzelnen Staaten hinausgehen; aber auch, dank des großen Vermittlungsgeistes, der die europäischen Institutionen kennzeichnet, der Wunsch, mit Überzeugung den Weg der Geschwisterlichkeit zu beschreiten, der auch derWeg der Solidaritätist, indem man Kreativität und neue Initiativen ins Spiel bringt.

Die unternommenen Schritte müssen jedoch Festigkeit gewinnen, um zu verhindern, dass die zentrifugalen Kräfte wieder an Stärke zunehmen. Die Worte des heiligen Johannes Paul II. bei der Europa-Feier in Santiago de Compostela erscheinen heute aktueller denn je: Europa »finde wieder zu dir selbst! Sei wieder du selbst!«[5]In einer Zeit des jähen Wandels besteht die Gefahr, dass man seine Identität verliert, insbesondere wenn es an gemeinsamen Werten fehlt, auf die sich die Gesellschaft gründen kann.

Zu Europa möchte ich also sagen: Du, die du im Laufe der Jahrhunderte Ideale geschmiedet hast und nun deinen Schwung zu verlieren scheinst, halte dich nicht damit auf, deine Vergangenheit wie ein Erinnerungsalbum zu betrachten. Mit der Zeit verblassen auch die schönsten Erinnerungen und man erinnert sich am Ende nicht mehr. Früher oder später stellt man fest, dass das eigene Profil verblasst; man ist müde und abgespannt vom Leben in der Gegenwart und blickt mit wenig Hoffnung in die Zukunft. Ohne ideellen Schwung erfährt man sich als zerbrechlich und gespalten, man neigt leichter zum Jammern und lässt sich in den Bann derer ziehen, die Klage und Spaltung zu ihrem persönlichen, sozialen und politischen Lebensstil machen.

Europa, finde zu dir selbst! Entdecke deine Ideale wieder, die tiefe Wurzeln haben. Sei du selbst! Fürchte dich nicht vor deiner jahrtausendealten Geschichte, die eher ein Fenster in die Zukunft als eines in die Vergangenheit ist. Hab keine Angst vor deinem Bedürfnis nach Wahrheit, das seit der griechischen Antike die Erde erfasst hat und Licht in die tiefsten Fragen des Menschen brachte; hab keine Angst vor deinem Bedürfnis nach Gerechtigkeit, das sich aus dem römischen Recht entwickelt hat und im Laufe der Zeit einen Respekt für jeden Menschen und für seine Rechte hervorgebracht hat; hab keine Angst vor deinem Verlangen nach Ewigkeit, das sich, durch die Begegnung mit der jüdisch-christlichen Tradition bereichert, in deinem Erbe an Glauben, Kunst und Kultur widerspiegelt.

Wenn in Europa heute viele Menschen kritisch und wenig zuversichtlich sind, was die Zukunft des Kontinents betrifft, blicken doch viele andere mit Hoffnung auf ihn, in der Überzeugung, dass er der Welt und der Menschheit noch immer etwas zu geben hat. Es ist dasselbe Vertrauen, das Robert Schuman inspiriert hat, der sich dessen bewusst war, dass »der Beitrag, den ein organisiertes und lebendiges Europa für die Zivilisation leisten kann, […] für die Aufrechterhaltung friedlicher Beziehungen«[6]unerlässlich ist.Auch wir dürfen dieses Vertrauen haben aufgrund der gemeinsamen Werte, die in der Geschichte und Kultur dieses Kontinents verwurzelt sind.

Welche Vision haben wir also für die Zukunft Europas? Worin besteht sein ureigener Beitrag? In der Welt von heute geht es nicht um die Wiedererlangung einer politischen Vorherrschaft oder einer zentralen geografischen Stellung, und es geht auch nicht darum, innovative Lösungen für wirtschaftliche und soziale Probleme zu entwickeln. Die Originalität Europas liegt vor allem in seinem Menschenbild und in seiner Weltsicht, in seiner Fähigkeit Initiativen zu ergreifen und in seiner praktischen Solidarität.

Ich träume also von einem menschenfreundlichen Europa; von einem Kontinent, in dem die Würde eines jeden respektiert wird, in dem der Mensch an sich einen Wert darstellt und nicht zu einem Gegenstand wirtschaftlichen Kalküls oder zu einer Ware wird; von einem Kontinent, der das Leben zu jedem Zeitpunkt schützt, von dem Moment an, in dem es unsichtbar im Mutterleib entsteht, bis zu seinem natürlichen Ende, denn kein Mensch ist Herr über das Leben, weder über das eigene noch das anderer; von einem Kontinent, der die Arbeit als vorzügliches Mittel sowohl für das persönliche Wachstum als auch für den Aufbau des Gemeinwohls fördert und Beschäftigungsmöglichkeiten vor allem für die Jüngeren schafft. Menschenfreundlich zu sein, bedeutet, Bildung und kulturelle Entwicklung zu fördern. Es bedeutet, die Schwächsten und Gebrechlichsten zu schützen, insbesondere die älteren Menschen, die Kranken, die kostspielige Pflege benötigen, und die Behinderten. Menschenfreundlich zu sein bedeutet, Rechte der Menschen zu schützen, aber sie auch an ihre Pflichten zu erinnern. Es bedeutet, sich daran zu erinnern, dass von jedem verlangt wird, dass er seinen je eigenen Beitrag zur Gesellschaft leistet, denn niemand ist ein eigenständiges Universum, und man kann nicht Respekt für sich selbst fordern, ohne Respekt für andere zu haben; man kann nicht empfangen, wenn man nicht auch bereit ist zu geben.

Ich träume von einem Europa, das eine Familie und eine Gemeinschaft ist. Ein Ort, der die besonderen Eigenschaften jedes Menschen und jedes Volkes zu würdigen weiß, ohne zu vergessen, dass sie eine gemeinsame Verantwortung verbindet. Eine Familie zu sein bedeutet, in Einheit zu leben und zugleich die Unterschiede zu beherzigen, angefangen bei dem grundlegenden Unterschied zwischen Mann und Frau. In diesem Sinne ist Europa eine echte Familie von Völkern, die sich voneinander unterscheiden und doch durch eine gemeinsame Geschichte und ein gemeinsames Schicksal verbunden sind. Die letzten Jahre, und mehr noch die Pandemie, haben gezeigt, dass niemand es alleine schafft und dass eine gewisse individualistische Auffassung des Lebens und der Gesellschaft nur zu Entmutigung und Einsamkeit führt. Jeder Mensch strebt danach, Teil einer Gemeinschaft zu sein, d.h. Teil einer größeren Wirklichkeit, die ihn übersteigt und seiner Individualität Sinn verleiht. Ein geteiltes Europa, das sich aus einsamen und unabhängigen Einheiten zusammensetzt, wird sich den Herausforderungen der Zukunft kaum stellen können. Eingemeinschaftliches Europahingegen, das solidarischund geschwisterlich ist, wird in der Lage sein, die Unterschiede und den Beitrag jedes Einzelnen fruchtbar zu machen, um die anstehenden Probleme gemeinsam anzugehen, angefangen bei der Pandemie, aber auch bei der ökologischen Herausforderung, die nicht nur den Schutz der natürlichen Ressourcen und die Qualität der Umwelt betrifft, in der wir leben. Es geht um die Wahl zwischen einer Lebensweise, die Menschen und Dinge aussortiert, und einem integrativen Lebensmodell, das die Schöpfung und die Geschöpfe wertschätzt.

Ich träume von einem solidarischen und großzügigen Europa, einem einladenden und gastfreundlichen Ort, wo die Nächstenliebe – welche die höchste christliche Tugend ist – alle Formen von Gleichgültigkeit und Egoismus überwindet. Solidarität ist ein grundlegender Ausdruck jeder Gemeinschaft und verlangt, dass wir füreinander sorgen. Natürlich sprechen wir von einer „intelligenten Solidarität“, die sich nicht darauf beschränkt, nur im Bedarfsfall in grundlegenden Belangen zu helfen.

Solidarität bedeutet, die Schwächeren auf einen Weg des persönlichen und sozialen Wachstums zu führen, so dass diese eines Tages wiederum anderen helfen können. Es ist wie bei einem guten Arzt, der nicht nur ein Medikament verabreicht, sondern den Patienten bis zur vollständigen Genesung begleitet.

Solidarisch sein bedeutet, sich zum Nächsten zu machen. Für Europa heißt das insbesondere, verfügbar, nahe und bereit zu sein, die anderen Kontinente, dabei denke ich speziell an Afrika, durch internationale Zusammenarbeit zu unterstützen, damit die aktuellen Konflikte beigelegt werden können und eine nachhaltige menschliche Entwicklung beginnt.

Solidarität nährt sich von Unentgeltlichkeit und erzeugt Dankbarkeit. Und die Dankbarkeit bringt uns dazu, den anderen mit Liebe zu betrachten; wenn wir aber vergessen, für die empfangenen Wohltaten zu danken, neigen wir eher dazu, uns in uns selbst zu verschließen und in Angst vor allem zu leben, was um uns herum ist und anders ist als wir selbst.

Das sehen wir an den vielen Ängsten, die es in unseren Gesellschaften heute gibt. Diesbezüglich kann das Misstrauen gegenüber den Migranten nicht unerwähnt bleiben. Nur ein Europa, das eineSolidargemeinschaftist, kann dieser Herausforderung auf fruchtbare Weise begegnen, während jede partielle Lösung bereits ihre Unzulänglichkeit bewiesen hat. Es ist in der Tat klar, dass sich die notwendige Aufnahme von Migranten nicht auf die bloße Hilfe für diejenigen beschränken darf, die da ankommen und oft vor Konflikten, Hungersnöten oder Naturkatastrophen fliehen, sondern ihre Integration ermöglichen muss, damit sie in der Lage sind, »die Kultur und die Traditionen der aufnehmenden Nation kennenzulernen, zu achten und sich auch anzueignen«.[7]

Ich träume von einem gesund säkularen Europa, in dem Gott und Kaiser zwar unterschiedliche aber nicht einander entgegengesetzte Wirklichkeiten bezeichnen; von einem Kontinent, der offen ist für die Transzendenz, in dem die Gläubigen frei sind, ihren Glauben öffentlich zu bekennen und ihren Standpunkt in der Gesellschaft vorzubringen. Die Zeit des Konfessionalismus ist vorbei, aber hoffentlich auch die eines gewissen Säkularismus, der seine Türen für die anderen und vor allem für Gott verschließt[8], denn es ist evident, dass eine Kultur oder ein politisches System, das die Offenheit für die Transzendenz nicht achtet, auch die menschliche Person nicht angemessen respektiert.

Die Christen haben heute eine große Verantwortung: Wie die Hefe im Teig sind sie aufgerufen, das Bewusstsein für Europa wiederzuerwecken, um Prozesse anzustoßen, die neue Dynamiken in der Gesellschaft erzeugen.[9]Ich ermutige sie daher, sich mit Mut und Entschlossenheit zu engagieren, um ihren Beitrag in allen Bereichen, in denen sie leben und arbeiten, zu leisten.

Sehr geehrter Herr Kardinal,

diese wenigen Worte äußere ich aufgrund meiner Hirtensorge und in der Gewissheit, dass Europa der Welt noch viel zu geben hat. Sie haben daher keinen anderen Anspruch als den, ein persönlicher Beitrag zu jener Besinnung auf die Zukunft zu sein, die von verschiedenen Seiten angeregt wurde. Ich wäre Ihnen dankbar, wenn Sie diese Inhalte in den Gesprächen der kommenden Tage mit den europäischen Verantwortlichen und den Mitgliedern der COMECE mitteilen möchten. Letztere bitte ich, im Geiste brüderlicher Gemeinschaft mit allen Bischöfen des Kontinents, die im Rat der Europäischen Bischofskonferenzen (CCEE) vereint sind, zusammenzuarbeiten. Ich bitte Sie, allen Gesprächspartnern meine persönlichen Grüße und den Ausdruck meiner Verbundenheit mit den Völkern, die sie vertreten, zu übermitteln. Ihre Begegnungen werden sicherlich eine günstige Gelegenheit sein, die Beziehungen des Heiligen Stuhls mit der Europäischen Union und dem Europarat zu vertiefen und die Kirche in ihrem Evangelisierungsauftrag und in ihrem Dienst am Gemeinwohl zu stärken.

Möge unser geliebtes Europa stets den Schutz seiner heiligen Patrone erfahren: Benedikt, Cyrill und Methodius, Birgitta von Schweden, Katharina von Siena und Theresa Benedicta vom Kreuz (Edith Stein). Sie waren Männer und Frauen, die sich aus Liebe zum Herrn unentwegt dem Dienst an den Ärmsten widmeten und sich für eine menschliche, soziale und kulturelle Entwicklung aller europäischen Völker eingesetzt haben.

Während ich mich Ihrem Gebet und den Gebeten all derer anvertraue, denen Sie auf Ihrer Reise begegnen, bitte ich Sie, allen meinen Segen weiterzugeben.

Aus dem Vatikan, am 22. Oktober 2020,
dem Gedenktag des heiligen Johannes Paul II.

FRANZISKUS

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[1] Vgl. Statut der COMECE, Artikel 1.

[2] Vgl. Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium (24. November 2013), 228.

[3] Ebd.

[4] Enzyklika Fratelli tutti (3. Oktober 2020), 11.

[5] 9. November 1982, 4.

[6] Schuman-Erklärung, Paris, 9. Mai 1950.

[7] Ansprache an die Teilnehmer der Konferenz „(Re)Thinking Europe" (28. Oktober 2017).

[8] Siehe Interview mit der belgischen katholischen Wochenzeitung "Tertio" (7. Dezember 2016).

[9] Ansprache an die Teilnehmer der Konferenz „(Re)Thinking Europe", a.a.O.

[01284-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Publicamos a continuación la carta que el Santo Padre ha dirigido al Emmo. Secretario de Estado con ocasión del 40º aniversario de la Comisión de las Conferencias Episcopales de la Unión Europea (COMECE), el 50º aniversario de las relaciones diplomáticas entre la Santa Sede y la Unión Europea y el 50º aniversario de la presencia de la Santa Sede como Observador Permanente ante el Consejo de Europa.

En coincidencia con estos aniversarios, estaba programada, del 28 al 30 de octubre, una visita del cardenal Parolin a Bruselas, que ha sido cancelada debido al empeoramiento de la emergencia sanitaria. Se prevé que las reuniones con las autoridades de la Unión Europea y los miembros de la COMECE puedan efectuarse en video-conexión.

Al Venerado Hermano
Señor Cardenal PIETRO PAROLIN
Secretario de Estado

En este año, la Santa Sede y la Iglesia en Europa celebran algunos acontecimientos significativos. Hace cincuenta años se concretó la colaboración entre la Santa Sede y las Instituciones europeas surgidas después de la segunda guerra mundial, mediante el establecimiento de las relaciones diplomáticas con las entonces Comunidades Europeas y la presencia de la Santa Sede como Observador ante el Consejo de Europa. Después, en 1980, se creó la Comisión de los Episcopados de las Comunidades Europeas (COMECE), en la que participan con un delegado propio todas las Conferencias Episcopales de los Estados Miembros de la Unión Europea, con el objetivo de favorecer «una colaboración más estrecha entre dichos Episcopados, en orden a las cuestiones pastorales relacionadas con el desarrollo de las competencias y de las actividades de la Unión».[1] Además, este año se celebró el 70.º aniversario de la Declaración Schuman, un acontecimiento de gran importancia que ha inspirado el largo camino de integración del continente, haciendo posible que se superen las hostilidades producidas a causa de los dos conflictos mundiales.

A la luz de estos acontecimientos, usted tiene previsto próximamente visitas significativas a las Autoridades de la Unión Europea, a la Asamblea Plenaria de la COMECE y a las Autoridades del Consejo de Europa, por lo que considero oportuno compartirle algunas reflexiones sobre el futuro de este continente, que me es particularmente querido, no sólo por los orígenes familiares, sino también por el rol central que este ha tenido y pienso que todavía debe tener —si bien con tonos diversos— en la historia de la humanidad.

Ese rol se vuelve todavía más relevante en el contexto de pandemia que estamos atravesando. De hecho, el proyecto europeo surge como voluntad de poner fin a las divisiones del pasado. Nace de la conciencia de que juntos y unidos somos más fuertes, que «la unidad es superior al conflicto»[2] y que la solidaridad puede ser «un modo de hacer la historia, un ámbito viviente donde los conflictos, las tensiones y los opuestos pueden alcanzar una unidad pluriforme que engendra nueva vida».[3] En nuestro tiempo, que «da muestras de estar volviendo atrás»,[4]en el que prevalece la idea de ir cada uno por su cuenta, la pandemia constituye como una línea divisoria que obliga a hacer una elección: o se sigue el camino tomado en el último decenio, alentado por la tentación de la autonomía, enfrentando crecientes incomprensiones, contraposiciones y conflictos; o bien se redescubre ese camino de la fraternidad, que sin duda fue el que inspiró y animó a los Padres fundadores de la Europa moderna, a partir justamente de Robert Schuman.

En las noticias europeas de los últimos meses, la pandemia puso en evidencia todo esto: la tentación de ir cada uno por su cuenta, buscando soluciones unilaterales a un problema que trasciende los límites de los Estados, pero también, gracias al gran espíritu de mediación que caracteriza a las Instituciones europeas, el deseo de recorrer con convicción el camino de la fraternidad que es ademáscamino de la solidaridad, poniendo en marcha la creatividad y nuevas iniciativas.

Sin embargo, es necesario consolidar las medidas adoptadas para evitar que los empujes centrífugos recobren fuerza. Resuenan hoy con gran actualidad las palabras que san Juan Pablo II pronunció en el Acto europeo en Santiago de Compostela: Europa, «vuelve a encontrarte. Sé tú misma».[5] En un tiempo de cambios repentinos se corre el riesgo de perder la propia identidad, especialmente cuando desaparecen los valores compartidos sobre los que se funda la sociedad.

En este momento, quisiera decirle a Europa: Tú, que has sido una fragua de ideales durante siglos y ahora parece que pierdes tu impulso, no te detengas a mirar tu pasado como un álbum de recuerdos. Con el tiempo, aun las memorias más hermosas se desvanecen y acaban siendo olvidadas. Tarde o temprano nos damos cuenta de que los contornos del propio rostro se esfuman, nos encontramos cansados y agobiados de vivir el tiempo presente, y con poca esperanza de mirar al futuro. Sin una noble motivación nos descubrimos frágiles y divididos, y más inclinados a lamentarnos y a dejarnos atraer por quien hace de las quejas y de la división un estilo de vida personal, social y político.

Europa, ¡vuelve a encontrarte! Vuelve a descubrir tus ideales, que tienen raíces profundas. ¡Sé tú misma! No tengas miedo de tu historia milenaria, que es una ventana abierta al futuro más que al pasado. No tengas miedo de tu anhelo de verdad, que desde la antigua Grecia abrazó la tierra, sacando a la luz los interrogantes más profundos de todo ser humano; de tu sed de justicia, que se desarrolló con el derecho romano y, con el paso del tiempo, se convirtió en respeto por todo ser humano y por sus derechos; de tu deseo de eternidad, enriquecido por el encuentro con la tradición judeo-cristiana, que se refleja en tu patrimonio de fe, de arte y de cultura.

Hoy, mientras en Europa tantos se interrogan con desconfianza sobre su futuro, muchos otros la miran con esperanza, convencidos de que todavía tiene algo que ofrecer al mundo y a la humanidad. Es la misma confianza que inspiró a Robert Schuman, consciente de que «la contribución que una Europa organizada y viva puede aportar a la civilización es indispensable para el mantenimiento de unas relaciones pacíficas».[6]Es la misma confianza que podemos tener nosotros, a partir de valores compartidos y arraigados en la historia y en la cultura de esta tierra.

Por tanto, ¿qué Europa soñamos para el futuro? ¿En qué consiste su contribución original? En el mundo actual, no se trata de recuperar una hegemonía política o una centralidad geográfica, ni se trata de elaborar soluciones innovadoras a los problemas económicos y sociales. La originalidad europea está sobre todo en su concepción del hombre y de la realidad; en su capacidad de iniciativa y en su solidaridad dinámica.

Sueño, entonces, una Europa amiga de la persona y de las personas. Una tierra donde sea respetada la dignidad de todos, donde la persona sea un valor en sí y no el objeto de un cálculo económico o una mercancía. Una tierra que cuide la vida en todas sus etapas, desde que surge invisible en el seno materno hasta su fin natural, porque ningún ser humano es dueño de la vida, sea propia o ajena. Una tierra que favorezca el trabajo como medio privilegiado para el crecimiento personal y para la edificación del bien común, creando fuentes de empleo especialmente para los más jóvenes. Ser amigos de la persona significa colaborar con su instrucción y su desarrollo cultural. Significa proteger al que es más frágil y débil, especialmente a los ancianos, los enfermos que necesitan tratamientos costosos y las personas con discapacidad. Ser amigos de la persona significa tutelar los derechos, pero también señalar los deberes. Significa recordar que cada uno está llamado a ofrecer la propia contribución a la sociedad, porque ninguno es un universo cerrado en sí mismo y no se puede exigir respeto para sí, sin respeto por los demás; no se puede recibir si al mismo tiempo no se está dispuesto a dar.

Sueño una Europa que sea una familia y una comunidad. Un lugar que sepa valorar las peculiaridades de todas las personas y los pueblos, sin olvidar que estos están unidos por responsabilidades comunes. Ser familia significa vivir la unidad teniendo en cuenta la diversidad, a partir de la diferencia fundamental entre hombre y mujer. En este sentido, Europa es una auténtica familia de pueblos, distintos entre sí, pero sin embargo unidos por una historia y un destino común. Los últimos años, y aún más la pandemia, han demostrado que nadie puede salir adelante solo y que un cierto modo individualista de entender la vida y la sociedad lleva solamente al desánimo y a la soledad. Todo ser humano aspira a ser parte de una comunidad, es decir, de una realidad más grande que lo trasciende y que da sentido a su individualidad. Una Europa dividida, compuesta de realidades solitarias e independientes, fácilmente se encontrará incapaz de hacer frente a los desafíos del futuro. En cambio, unaEuropa comunidad, solidaria y fraterna, sabrá aprovechar las diferencias y el aporte de cada uno para afrontar juntos las cuestiones que le esperan, comenzando por la pandemia, pero también por el desafío ecológico, que no se limita sólo a la protección de los recursos naturales y a la calidad del ambiente en que vivimos. Se trata de elegir entre un modelo de vida que descarta personas y cosas, y uno inclusivo que valora lo creado y a las criaturas.

Sueño una Europa solidaria y generosa. Un lugar acogedor y hospitalario, donde la caridad —que es la mayor virtud cristiana— venza toda forma de indiferencia y egoísmo. La solidaridad es expresión fundamental de toda comunidad y exige que cada uno se haga cargo del otro. Ciertamente hablamos de una “solidaridad inteligente” que no se limite solamente a asistir las necesidades fundamentales en casos puntuales.

Ser solidarios significa guiar al más débil por un camino de crecimiento personal y social, para que un día este pueda a su vez ayudar a los demás. Como un buen médico, que no se limita a suministrar una medicina, sino que acompaña al paciente hasta la recuperación total.

Ser solidarios implica hacerse prójimos. Para Europa significa particularmente hacerse disponible, cercana y diligente para sostener —a través de la cooperación internacional— a los otros continentes —pienso especialmente en África—, de modo que se resuelvan los conflictos en curso y se ponga en marcha un desarrollo humano sostenible.

Además, la solidaridad se nutre de gratuidad y engendra gratitud. Y la gratitud nos lleva a mirar al otro con amor; pero cuando nos olvidamos de agradecer por los beneficios recibidos, somos más propensos a cerrarnos en nosotros mismos y a vivir con miedo a todo lo que nos rodea y es diferente a nosotros.

Lo vemos en los numerosos temores que atraviesan nuestras sociedades actuales, entre los que no puedo callar el recelo respecto a los migrantes. Sólo una Europa que seacomunidad solidariapuede hacer frente a este desafío de forma provechosa, mientras que las soluciones parciales ya han demostrado su insuficiencia. Es evidente, en efecto, que la necesaria acogida de los migrantes no puede limitarse a simples operaciones de asistencia al que llega, a menudo escapando de conflictos, hambre o desastres naturales, sino que debe consentir su integración para que puedan «conocer, respetar y también asimilar la cultura y las tradiciones de la nación que los acoge».[7]

Sueño una Europa sanamente laica, donde Dios y el César sean distintos pero no contrapuestos. Una tierra abierta a la trascendencia, donde el que es creyente sea libre de profesar públicamente la fe y de proponer el propio punto de vista en la sociedad. Han terminado los tiempos de los confesionalismos, pero —se espera— también el de un cierto laicismo que cierra las puertas a los demás y sobre todo a Dios,[8]porque es evidente que una cultura o un sistema político que no respete la apertura a la trascendencia, no respeta adecuadamente a la persona humana.

Los cristianos tienen hoy una gran responsabilidad: como la levadura en la masa, están llamados a despertar la conciencia de Europa, para animar procesos que generen nuevos dinamismos en la sociedad.[9]Los exhorto, pues, a comprometerse con valentía y determinación a ofrecer su colaboración en cada ámbito donde viven y trabajan.

Señor Cardenal:

Estas breves palabras nacen de mi solicitud de Pastor y de la certeza de que Europa aún tiene mucho que dar al mundo. No tienen, por tanto, otra pretensión que la de ser un aporte personal a la reflexión tan necesaria sobre su futuro. Le agradecería si puede compartir su contenido en los diálogos que tendrá usted los próximos días con las Autoridades europeas y con los miembros de la COMECE, que exhorto a colaborar con espíritu de comunión fraterna con todos los obispos del continente, reunidos en el Consejo de las Conferencias Episcopales de Europa (CCEE). Le ruego que lleve a cada uno mi saludo personal y el signo de mi cercanía a los pueblos que representan. Sus encuentros serán ciertamente una ocasión propicia para profundizar las relaciones de la Santa Sede con la Unión Europea y con el Consejo de Europa, y para confirmar a la Iglesia en su misión evangelizadora y en su servicio al bien común.

Que no le falte a nuestra querida Europa la protección de sus santos Patronos: san Benito, los santos Cirilo y Metodio, santa Brígida, santa Catalina y santa Teresa Benedicta de la Cruz (Edith Stein), hombres y mujeres que por amor al Señor han trabajado sin cesar en el servicio de los más pobres y en favor del desarrollo humano, social y cultural de todos los pueblos europeos.

Mientras me encomiendo a sus oraciones y a las de cuantos tendrá ocasión de encontrar durante su viaje, le pido que lleve a todos mi Bendición.

Vaticano, 22 de octubre de 2020,
memoria de san Juan Pablo II.

FRANCISCO

_________________________

[1]Estatuto de la COMECE, art. 1.

[2]Exhort. ap.Evangelii gaudium(24 noviembre 2013), 228.

[3]Ibíd.

[4]Carta. enc.Fratelli tutti(3 octubre 2020), 11.

[5]9 noviembre 1982, 4.

[6]Declaración Schuman, París, 9 mayo 1950.

[7]Discurso a los participantes en la Conferencia “Repensando Europa”(28 octubre 2017).

[8]Cf.Entrevista al semanario católico belga “Tertio”(7 diciembre 2016).

[9]Discurso a los participantes en la Conferencia “Repensando Europa”.

[01284-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Publicamos em seguida a carta que o Santo Padre enviou ao Em.mo Secretário de Estado por ocasião do 40º aniversário da Comissão dos Episcopados da União Europeia (COMECE), do 50º aniversário das relações diplomáticas entre a Santa Sé e a União Europeia e do 50º aniversário da presença da Santa Sé como Observador Permanente no Conselho da Europa.

Em concomitância com estas celebrações, estava programada, nos dias 28-30 de outubro, uma visita do Card. Parolin a Bruxelas, que foi anulada devido ao agravar-se da emergência sanitária. Prevê-se que os encontros com as Autoridades da União Europeia e com os membros da COMECE possam realizar-se em videoconferência.

Ao Venerado Irmão
Cardeal PIETRO PAROLIN
Secretário de Estado

Neste ano, a Santa Sé e a Igreja na Europa celebram alguns aniversários significativos. De facto, há cinquenta anos, concretizou-se a colaboração entre a Santa Sé e as Instituições Europeias surgidas depois da II Guerra Mundial, através do estabelecimento das relações diplomáticas com as Comunidades Europeias (então assim designadas) e a presença da Santa Sé como Observador no Conselho da Europa. Depois, em 1980, nasceu a Comissão dos Episcopados das Comunidades Europeias (COMECE), na qual tomam parte através dos respetivos delegados todas as Conferências Episcopais dos Estados membros da União Europeia, com o objetivo de favorecer «uma colaboração mais estreita entre os referidos Episcopados, no que diz respeito às questões pastorais relacionadas com o desenvolvimento das competências e atividades da União».[1]Este ano celebrou-se também o LXX aniversário da Declaração Schuman, um facto de importância capital que inspirou o longo caminho de integração do Continente, permitindo ultrapassar as hostilidades geradas pelas duas guerras mundiais.

Inspirado por estas ocorrências, o Senhor Cardeal tem programado num futuro próximo significativas visitas às autoridades da União Europeia, à assembleia plenária da COMECE e às autoridades do Conselho da Europa; tendo em vista tais visitas, julgo necessário partilhar consigo algumas reflexões sobre o futuro deste Continente, que me é particularmente querido não só pelas origens familiares, mas também pelo papel central que o mesmo teve e creio que deverá continuar a ter, embora com modulações diversas, na história da humanidade.

Tal papel torna-se ainda mais relevante no contexto da pandemia que estamos a atravessar. De facto, o projeto europeu surge como vontade de pôr termo às divisões do passado; nasce da consciência de que, juntos e unidos, somos mais fortes, que «a unidade é superior ao conflito»[2]e que a solidariedade pode ser «um estilo de construção da história, um âmbito vital onde os conflitos, as tensões e os opostos podem alcançar uma unidade multifacetada que gera nova vida».[3] Neste nosso tempo que «dá sinais de regressão»,[4] prevalecendo cada vez mais a ideia de proceder sozinhos, a pandemia é como uma encruzilhada que obriga a tomar uma opção: ou prosseguimos pelo caminho embocado no último decénio que aparece animado pela tentação da autonomia, esperando-nos mal-entendidos, contraposições e conflitos cada vez maiores; ou redescobrimos ocaminho da fraternidade, que sem dúvida inspirou e animou os Pais fundadores da Europa moderna, a começar precisamente por Robert Schuman.

Nas notícias europeias dos últimos meses, a pandemia fez sobressair tudo isto: não só a tentação de proceder sozinhos, procurando soluções unilaterais para um problema que ultrapassa as fronteiras dos Estados, mas também, graças ao grande espírito de mediação que carateriza as Instituições Europeias, o desejo convicto de percorrer o caminho da fraternidade, que é também caminho da solidariedade, pondo em ação criatividade e novas iniciativas.

Mas, os passos dados precisam de se consolidar, para evitar que os impulsos centrífugos retomem força. Por isso, hoje, ressoam mais atuais do que nunca as palavras que São João Paulo II pronunciou no Ato Europeísta de Santiago de Compostela: Europa «volta a encontrar-te. Sê tu mesma».[5]Num tempo de mudanças bruscas, corre-se o risco de perder a própria identidade, especialmente quando faltam valores compartilhados sobre os quais fundar a sociedade.

Assim, gostaria de dizer à Europa: Tu, que foste uma forja de ideais ao longo dos séculos e agora pareces perder o teu ímpeto, não te detenhas a olhar o teu passado como um álbum de recordações. Com o tempo, até as mais belas recordações se atenuam, e acabamos por deixar de as lembrar. Mais cedo ou mais tarde damo-nos conta de que se esfumam os próprios contornos do rosto, sentimo-nos cansados e amofinados na vivência do presente e, com pouca esperança, ao olhar para o futuro. Depois, sem o ímpeto do ideal, descobrimo-nos frágeis e divididos, mais inclinados a dar voz às lamentações e a deixar-nos atrair por quem faz das lamentações e da divisão um estilo de vida pessoal, social e político.

Europa, volta a encontrar-te! Volta a encontrar os teus ideais, que têm raízes profundas. Sê tu mesma! Não tenhas medo da tua história milenária, que é uma janela para o futuro mais do que para o passado. Não tenhas medo da tua necessidade de verdade que, desde a Grécia antiga, abraçou a terra realçando as interrogações mais profundas de todo o ser humano; da tua necessidade de justiça que se desenvolveu a partir do direito romano e, com o tempo, se tornou respeito por todo o ser humano e pelos seus direitos; da tua necessidade de eternidade, enriquecida pelo encontro com a tradição judaico-cristã, que se espelha no teu património de fé, arte e cultura.

Hoje, enquanto muitos se interrogam desalentados sobre o futuro da Europa, há tantos que a olham com esperança, convencidos de que ela ainda tem algo a oferecer ao mundo e à humanidade. É a mesma confiança que inspirou Robert Schuman, ciente de que «o contributo vital que uma Europa organizada pode dar à civilização é indispensável para se manter relações pacíficas».[6]É a mesma confiança que podemos ter também nós, a partir de valores partilhados e radicados na história e cultura desta terra.

Então que Europa sonhamos para o futuro? Em que consiste o seu contributo original? No mundo atual, não se trata de recuperar uma hegemonia política ou uma centralidade geográfica, nem de elaborar soluções inovadoras para os problemas económicos e sociais. A originalidade europeia reside, antes de mais nada, na sua conceção do homem e da realidade, na sua capacidade de iniciativa e na sua solidariedade operosa.

Assim, sonho uma Europa amiga da pessoa e das pessoas. Uma terra onde seja respeitada a dignidade de cada um, onde a pessoa seja um valor em si mesma e não o objeto dum cálculo económico nem uma mercadoria. Uma terra que defenda a vida em todos os seus momentos, desde o instante em que surge invisível no ventre materno até ao seu fim natural, porque nenhum ser humano é dono da sua própria vida ou da dos outros. Uma terra que favoreça o trabalho como meio privilegiado para o crescimento pessoal e a edificação do bem comum, criando oportunidades de emprego especialmente para os mais jovens. Ser uma Europa amiga da pessoa significa promover a sua instrução e desenvolvimento cultural; significa proteger os mais frágeis e débeis, especialmente os idosos, os doentes que carecem de tratamentos custosos e as pessoas com deficiência. Ser uma Europa amiga da pessoa significa defender os direitos, mas também lembrar os deveres; significa recordar que cada um é chamado a prestar a sua própria contribuição à sociedade, pois ninguém é um universo à parte e não se pode exigir respeito por si mesmo, sem respeito pelos outros; nem se pode receber, se ao mesmo tempo não se está disposto também a dar.

Sonho uma Europa que seja uma família e uma comunidade. Um lugar que saiba valorizar as peculiaridades de cada pessoa e de cada povo, sem esquecer que estão unidos por responsabilidades comuns. Ser família significa viver em unidade, valorizando as diferenças a começar pela diferença fundamental entre homem e mulher. Neste sentido, a Europa é uma verdadeira família de povos, diversos entre si, mas ligados por uma história e um destino comuns. Os últimos anos, e ainda mais a pandemia, têm demonstrado que ninguém pode sobreviver sozinho e que uma certa forma individualista de conceber a vida e a sociedade gera apenas desconforto e solidão. Todo o ser humano aspira a fazer parte duma comunidade, ou melhor, duma realidade maior que o transcenda e dê sentido à sua individualidade. Uma Europa dividida, feita de realidades solitárias e independentes, facilmente se achará incapaz de enfrentar os desafios do futuro. Pelo contrário umaEuropa-comunidade, solidária e fraterna, saberá valorizar as diferenças e o contributo de cada um para enfrentar, juntos, as questões que a aguardam, a começar pela pandemia, mas também o desafio ecológico, que não diz respeito apenas à proteção dos recursos naturais e à qualidade do ambiente onde habitamos; mas trata-se de escolher entre um modelo de vida que descarta homens e coisas e um modelo inclusivo que valoriza a criação e as criaturas.

Sonho uma Europa solidária e generosa. Um lugar acolhedor e hospitaleiro, onde a caridade – que é a virtude cristã suprema – vença toda a forma de indiferença e egoísmo. A solidariedade é expressão fundamental de toda a comunidade e exige que cuidemos uns dos outros. Falamos sem dúvida duma «solidariedade inteligente», que não se limite apenas a atender às carências fundamentais quando necessário.

Ser solidários significa conduzir quem é mais frágil por um caminho de crescimento pessoal e social, de modo que um dia possa por sua vez ajudar os outros. Como um bom médico, que não se limita a ministrar um medicamento, mas acompanha o paciente até à sua recuperação total.

Ser solidários implica fazer-se próximo. Para a Europa, significa concretamente tornar-se disponível, vizinha e desejosa de apoiar os outros Continentes – penso especialmente na África –, através da cooperação internacional, para se resolverem os conflitos em curso e iniciar um desenvolvimento humano sustentável.

Entretanto a solidariedade alimenta-se de gratuidade e gera gratidão. E a gratidão leva-nos a olhar para o outro com amor; mas, quando nos esquecemos de agradecer pelos benefícios recebidos, estamos mais inclinados a fechar-nos em nós próprios vivendo no medo de tudo o que nos rodeia e é diverso de nós.

Vemos isto nos inúmeros medos que permeiam as nossas sociedades hoje em dia, entre os quais não posso silenciar a difidência a respeito dos migrantes. Só uma Europa que seja comunidade solidária pode enfrentar este desafio de forma profícua, ao passo que as soluções de parte já se demonstraram inadequadas. Com efeito é claro que o devido acolhimento dos migrantes não se pode limitar a meras operações de assistência a quem chega, frequentemente fugindo de conflitos, carestias ou desastres naturais, mas deve permitir a sua integração de tal modo que possam «conhecer, respeitar e até assimilar a cultura e as tradições da nação que os recebe».[7]

Sonho uma Europa saudavelmente laica, onde Deus e César apareçam distintos, mas não contrapostos. Uma terra aberta à transcendência, onde a pessoa crente se sinta livre para professar publicamente a fé e propor o seu ponto de vista à sociedade. Acabaram-se os tempos do confessionalismo, mas também – assim o esperamos – dum certo laicismo que fecha as portas aos outros e sobretudo a Deus,[8] pois é evidente que uma cultura ou um sistema político que não respeite a abertura à transcendência, não respeita adequadamente a pessoa humana.

Os cristãos têm, atualmente, uma grande responsabilidade: como o fermento na massa, são chamados a despertar a consciência da Europa para animar processos que gerem novos dinamismos na sociedade.[9] Por isso, exorto-os a empenhar-se corajosa e decididamente, prestando a sua contribuição em todos os âmbitos onde vivem e trabalham.

Senhor Cardeal!

Estas breves palavras brotam da minha solicitude de Pastor e da certeza de que a Europa ainda tem muito para dar ao mundo. Por conseguinte, as mesmas pretendem unicamente ser uma contribuição pessoal para a reflexão solicitada por muitos sobre o seu futuro. Muito grato lhe ficarei se quiser partilhar o seu conteúdo durante os encontros que vai ter, nos próximos dias, com as autoridades europeias e com os membros daCOMECE, que exorto a colaborar num espírito de comunhão fraterna com todos os bispos do Continente, reunidos no Conselho das Conferências Episcopais de Europa (CCEE). Peço a cada um deles que leve a minha saudação pessoal e o testemunho da minha solidariedade aos povos que representam. Os referidos encontros serão, certamente, uma ocasião propícia para aprofundar as relações da Santa Sé com a União Europeia e o Conselho da Europa, e para confirmar a Igreja na sua missão evangelizadora e serviço ao bem comum.

E não há de faltar à nossa querida Europa também a proteção dos seus Santos Padroeiros: São Bento, os Santos Cirilo e Metódio, Santa Brígida, Santa Catarina e Santa Teresa Benedita da Cruz (Edith Stein), homens e mulheres que, por amor do Senhor, se consagraram sem descanso ao serviço dos mais pobres e a favor do desenvolvimento humano, social e cultural de todos os povos europeus.

Ao mesmo tempo que me confio às orações do Senhor Cardeal e às daqueles que tiver possibilidade de encontrar durante a sua viagem, queira levar a todos a minha Bênção.

Vaticano, na memória de São João Paulo II, 22 de outubro de 2020.

FRANCISCO

_______________________

[1]EstatutodaCOMECE, art.º 1.

[2]Francisco,Exort. ap.Evangelii gaudium(24 denovembrode 2013), 228.

[3]Ibidem.

[4]Francisco,Carta enc.Fratelli tutti(3 de outubro de 2020), 11.

[5]N.º 4. Este Ato Europeísta teve lugar em 9 de novembro de 1982.

[6]Declaração Schuman(Paris, 9 de maio de 1950).

[7]Francisco,Discurso aos participantes na Conferência «(Re)Thinking Europe» (28 de outubro de 2017).

[8]Cf.Francisco,Entrevista ao semanário católico belga «Tertio»(7 de dezembro de 2016).

[9]Cf.Francisco,Discurso aos participantes na Conferência «(Re)Thinking Europe»(28 de outubro de 2017).

[01284-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Poniżej publikujemy list skierowany przez Ojca Świętego do Jego Eminencji Księdza Kardynała Pietra Parolina, Sekretarza Stanu Stolicy Apostolskiej z okazji 40. rocznicy powstania Komisji Konferencji Episkopatów Unii Europejskiej (COMECE), 50. rocznicy nawiązania relacji dyplomatycznych między Stolicą Apostolską a Unią Europejską i 50. rocznicy obecności Stolicy Apostolskiej jako stałego obserwatora przy Radzie Europy.

W związku z wymienionymi rocznicami, w programie przewidziana była w dniach 28-30 października wizyta kard. Parolina w Brukseli, która została odwołana z powodu pogarszającej się sytuacji epidemiologicznej. Przewiduje się możliwość przeprowadzenia spotkań z władzami Unii Europejskiej i członkami COMECE w formie wideokonferencji.

Do Czcigodnego Brata
Jego Eminencji Kardynała PIETRO PAROLINA
Sekretarza Stanu

W bieżącym roku Stolica Apostolska i Kościół w Europie obchodzą kilka znaczących rocznic. Pięćdziesiąt lat temu nabrała bowiem konkretnego kształtu współpraca między Stolicą Apostolską a instytucjami europejskimi, zrodzonymi po drugiej wojnie światowej, dzięki nawiązaniu stosunków dyplomatycznych z ówczesną Wspólnotą Europejską i obecności Stolicy Apostolskiej jako obserwatora w Radzie Europy. Ponadto w 1980 r. powstała Komisja Episkopatów Wspólnoty Europejskiej (COMECE), w której uczestniczą, posiadając własnego delegata, wszystkie Konferencje Episkopatów państw członkowskich Unii Europejskiej, w celu wspierania „ściślejszej współpracy między wspomnianymi episkopatami w odniesieniu do kwestii duszpasterskich związanych z rozwojem kompetencji i działalności Unii”[1].W bieżącym roku obchodzono również 70. rocznicę Deklaracji Schumana, wydarzenia o kapitalnym znaczeniu, które zainspirowało długą drogę integracji kontynentu, pozwalając mu przezwyciężyć wrogość wywołaną przez dwa konflikty światowe.

W świetle tych wydarzeń Wasza Eminencja zaplanował w najbliższym czasie znaczące spotkania z władzami Unii Europejskiej, ze Zgromadzeniem Plenarnym COMECE oraz w władzami Rady Europy, w związku z którymi uważam za swój obowiązek podzielić się z Waszą Eminencją kilkoma refleksjami na temat przyszłości tego kontynentu, który jest mi szczególnie drogi, nie tylko ze względu na pochodzenie mojej rodziny, ale także ze względu na centralną rolę, jaką odegrał, i jak uważam, nadal powinien odgrywać, choć z odmiennymi akcentami, w dziejach ludzkości.

Rola ta staje się jeszcze ważniejsza w kontekście przeżywanej przez nas pandemii. Projekt europejski pojawia się bowiem jako chęć położenia kresu podziałom z przeszłości. Wyrasta ze świadomości, że razem i zjednoczeni jesteśmy silniejsi, że „jedność jest ważniejsza od konfliktu”[2]i że solidarność może być „stylem tworzenia historii, środowiska życia, w którym konflikty, napięcia i różnice mogą tworzyć wieloraką jedność rodzącą nowe życie”[3].W naszych czasach, w których „historia pokazuje, że lubi się powtarzać”[4], i coraz bardziej dominuje idea „zrób to sam”, pandemia jest jak przełom, który zmusza nas do dokonania wyboru: albo pójdziemy drogą obraną w ostatnim dziesięcioleciu, podsycaną pokusą autonomii, zmierzającą w kierunku narastających nieporozumień, sprzeczności i konfliktów; albo odkryjemy na nowo tędrogę braterstwa, która niewątpliwie zainspirowała i ożywiła ojców założycieli współczesnej Europy, poczynając właśnie od Roberta Schumana.

W doniesieniach europejskich minionych miesięcy pandemia uwydatniła to wszystko: pokusę, by działać na własną rękę, szukając jednostronnych rozwiązań problemu, który wykracza poza granice państw, ale także, dzięki wielkiemu duchowi mediacji, który charakteryzuje instytucje europejskie, pragnienie przemierzania z przekonaniem drogi braterstwa, która jest takżedrogą solidarności, wdrażając kreatywność i nowe inicjatywy.

Podjęte kroki należy jednak skonsolidować, żeby nie dopuścić do wzmożenia sił odśrodkowych. Wyjątkowo aktualnie brzmią dzisiaj słowa wypowiedziane przez Jana Pawła II w Akcie Europejskim wygłoszonym w Santiago de Compostela: Europo „odnajdź siebie samą, bądź sobą!”[5].W czasach nagłych przemian istnieje ryzyko utraty własnej tożsamości, zwłaszcza gdy brak jest wspólnych wartości, na których można by oprzeć społeczeństwo.

Europie chciałbym zatem powiedzieć: ty, która przez wieki byłaś kuźnią ideałów, a teraz zdajesz się tracić swój rozmach, nie zatrzymuj się, by patrzeć na swoją przeszłość, jak na album wspomnień. Z czasem nawet najpiękniejsze wspomnienia blakną i w końcu już ich się nie pamięta. Wcześniej czy później zdajemy sobie sprawę, że kontury naszego oblicza zanikają, okazujemy się znużeni i zmęczeni, przeżywając czas obecny i patrząc w przyszłość z niezbyt wielką nadzieją. Ponadto bez energii ideowej okazujemy się krusi i podzieleni, bardziej skłonni, by dać upust narzekaniom i dać się pociągnąć tym, którzy czynią z narzekania i podziału styl życia osobistego, społecznego i politycznego.

Europo, odnajdź siebie samą! Odkryj na nowo swoje głęboko zakorzenione ideały. Bądź sobą! Nie bój się swojej tysiącletniej historii, która jest bardziej oknem ku przyszłości niż ku przeszłości. Nie lękaj się swojej potrzeby prawdy, która ogarnęła ziemię od czasów starożytnej Grecji, uwypuklając najgłębsze pytania każdego człowieka; twojej potrzeby sprawiedliwości, która rozwinęła się z prawa rzymskiego, a z czasem stała się szacunkiem dla każdej istoty ludzkiej i jej praw; twej potrzeby wieczności, ubogaconej przez spotkanie z tradycją judeochrześcijańską, która znajduje odzwierciedlenie w twoim dziedzictwie wiary, sztuki i kultury.

Dziś, gdy wiele osób w Europie z nieufnością stawia sobie pytania o jej przyszłość, wielu patrzy na nią z nadzieją, w przekonaniu, że ma ona jeszcze coś do zaoferowania światu i ludzkości. Jest to ta sama ufność, która zainspirowała Roberta Schumana, świadomego, że „wkład, jaki zorganizowana i żyjąca Europa może wnieść w cywilizację, jest niezbędny dla utrzymania pokojowych stosunków”[6].Jest to ta sama ufność, jaką i my możemy mieć, wychodząc od wspólnych wartości zakorzenionych w historii i kulturze tej ziemi.

O jakiej Europie zatem marzymy na przyszłość? Na czym polega jej oryginalny wkład? W dzisiejszym świecie nie chodzi o odzyskanie hegemonii politycznej czy centralnego znaczenia geograficznego, ani o wypracowanie innowacyjnych rozwiązań problemów gospodarczych i społecznych. Oryginalność europejska polega przede wszystkim na jej koncepcji człowieka i rzeczywistości; na jej zdolności do przedsiębiorczości i jej solidarności przejawiającej się w działaniu.

Marzę o Europie przyjaznej dla osoby i dla osób. Ziemi, gdzie szanowano by godność każdego, gdzie osoba byłaby wartością samą w sobie, a nie przedmiotem kalkulacji ekonomicznej lub towarem. Ziemi, która chroniłaby życie w każdym jego momencie, od chwili, gdy niewidzialne pojawia się w łonie matki, aż do jego naturalnego kresu, ponieważ żaden człowiek nie jest panem życia, czy to swojego, czy też innych. Ziemi zapewniającej pracę jako uprzywilejowany środek rozwoju osobistego i budowania dobra wspólnego, stwarzającej możliwości zatrudnienia zwłaszcza dla młodych. Być przyjacielem osoby oznacza wspierać jej edukację i rozwój kulturowy. Oznacza ochronę najsłabszych i najbardziej wrażliwych, zwłaszcza osób starszych, chorych, które potrzebują kosztownej opieki oraz osób niepełnosprawnych. Być przyjacielem osoby oznacza chronić jej prawa, ale także przypominać o jej obowiązkach. Oznaczapamięć, że każdy jest wezwany do wniesienia swego wkładu w społeczeństwo, ponieważ nikt nie jest światem dla siebie i nie można wymagać szacunku dla siebie samego, bez szacunku dla innych; nie można otrzymywać, jeśli jednocześnie nie chcemy dawać.

Marzę o Europie, która byłaby rodziną i wspólnotą. Miejscem, które potrafiłoby docenić specyficzne cechy każdej osoby i każdego ludu, nie zapominając o tym, że łączy ich wspólna odpowiedzialność. Bycie rodziną oznacza życie w jedności, ubogacając się różnicami, począwszy od tej fundamentalnej między mężczyzną a kobietą. W tym sensie Europa jest prawdziwą i w pełnym tego słowa znaczeniu rodziną narodów, różniących się od siebie, ale połączonych wspólną historią i losem. Ostatnie lata, a jeszcze bardziej pandemia, pokazały, że nikt nie poradzi sobie sam i że pewien indywidualistyczny sposób rozumienia życia i społeczeństwa prowadzi jedynie do przygnębienia i samotności. Każda istota ludzka zabiega, by przynależeć do wspólnoty, to znaczy do większej rzeczywistości, która go przekracza i nadaje sens jego indywidualności. Europa podzielona, składająca się z rzeczywistości odosobnionych i niezależnych, z łatwością okaże się niezdolna do stawienia czoła wyzwaniom przyszłości. NatomiastEuropa - wspólnota, solidarna i braterska, będzie potrafiła cenić różnice i wkład każdego, aby wspólnie stawić czoło jawiącym się przed nią problemom, począwszy od pandemii, ale także wyzwaniu ekologicznemu, które dotyczy nie tylko ochrony zasobów naturalnych i jakości środowiska, w którym żyjemy. Chodzi o dokonanie wyboru między modelem życia, który odrzuca ludzi i rzeczy, a modelem integrującym, który docenia świat stworzony i stworzenia.

Marzę o Europie solidarnej i wielkodusznej. Miejscu przyjaznym i gościnnym, gdzie miłość – która jest najwyższą cnotą chrześcijańską – przezwycięża wszelkie formy obojętności i egoizmu. Solidarność jest podstawowym wyrazem każdej wspólnoty i wymaga od nas wzajemnej troski. Oczywiście mówimy o „inteligentnej solidarności”, która nie ograniczałaby się jedynie do wspierania ewentualnie podstawowych potrzeb.

Bycie solidarnymi oznacza prowadzenie tych, którzy są słabsi, na drogę rozwoju osobistego i społecznego, tak aby pewnego dnia mogli z kolei pomagać innym. Tak jak czyni dobry lekarz, który nie ogranicza się do podawania leków, ale towarzyszy pacjentowi aż do pełnego wyzdrowienia.

Bycie solidarnymi oznacza stawanie się bliźnimi. Dla Europy oznacza to w szczególności bycie dyspozycyjną, bliską i pragnącą wspierać inne kontynenty, zwłaszcza Afrykę, poprzez współpracę międzynarodową, tak aby można było rozwiązać istniejące konflikty i zapoczątkować zrównoważony rozwój ludzkości.

Ponadto solidarność karmi się bezinteresownością i rodzi wdzięczność. A wdzięczność prowadzi nas do spojrzenia na innych z miłością; ale kiedy zapominamy dziękować za otrzymane dobrodziejstwa, jesteśmy bardziej skłonni do zamknięcia się w sobie i życia w lęku przed wszystkim, co nas otacza i jest od nas odmienne.

Widzimy to w wielu lękach, jakie obecnie przenikają nasze społeczeństwa. Nie mogę wśród nich pominąć nieufności wobec imigrantów. Tylko Europa, która będziewspólnotą solidarną,może sprostać temu wyzwaniu w sposób korzystny, podczas gdy wszelkie rozwiązania częściowe dowiodły już swojej niewystarczalności. Jest rzeczą oczywistą, że konieczne przyjmowanie imigrantów nie może ograniczać się jedynie do pomocy tym, którzy przybywają, często uciekając przed konfliktami, głodem czy klęskami żywiołowymi, ale musi pozwolić na ich integrację, aby mogli „poznawać, szanować, a także przyswajać sobie kultury i tradycje narodu, który ich przyjmuje”[7].

Marzę o Europie w zdrowy sposób świeckiej, w której Bóg i Cezar są odrębni, ale nie przeciwstawiani sobie. O ziemi otwartej na transcendencję, gdzie wierzący mogą publicznie wyznawać swoją wiarę i proponować w społeczeństwie swój punkt widzenia. Skończył się czas państw wyznaniowych, ale miejmy nadzieję, że również czas pewnego laicyzmu, który zamyka drzwi do innych, a przede wszystkim do Boga[8], ponieważ jest oczywiste, że kultura czy system polityczny, który nie szanuje otwartości na transcendencję, nie szanuje właściwie osoby ludzkiej.

Na chrześcijanach spoczywa dziś wielka odpowiedzialność: podobnie jak zaczyn w cieście, są wezwani do rozbudzenia sumienia Europy, by ożywiać procesy, które rodziłyby nową dynamikę w społeczeństwie[9].Zachęcam ich zatem do odważnego i zdecydowanego wnoszenia swego wkładu w każdym środowisku, w którym żyją i pracują.

Eminencjo, Księże Kardynale,

Te krótkie słowa wypływają z mojej pasterskiej troski i z pewności, że Europa ma jeszcze wiele do zaoferowania światu. Nie mają zatem na celu nic innego, jak tylko, by były osobistym wkładem w pożądaną z wielu stron refleksję nad jej przyszłością. Będę wdzięczny Waszej Eminencji, jeśli zechce podzielić się tymi treściami w rozmowach, które będzie prowadzić w nadchodzących dniach z władzami europejskimi i członkami COMECE, których zachęcam do współpracy w duchu braterskiej komunii ze wszystkimi biskupami kontynentu, zgromadzonymi w Radzie Konferencji Episkopatów Europy (CCEE). Proszę Waszą Eminencję o przekazanie każdemu mojego osobistego pozdrowienia i znaku mojej bliskości z narodami, które reprezentują. Spotkania Waszej Eminencji będą z pewnością dobrą okazją do pogłębienia stosunków Stolicy Apostolskiej z Unią Europejską i Radą Europy oraz umocnienia Kościoła w jego misji ewangelizacyjnej i w jego służbie dla dobra wspólnego.

Niech naszej umiłowanej Europie nie zabraknie też opieki jej patronów: św. Benedykta, św. Cyryla i Metodego, św. Brygidy, św. Katarzyny i św. Teresy Benedykty od Krzyża (Edyty Stein), mężczyzn i kobiet, którzy z względu na umiłowanie Pana niestrudzenie pracowali w służbie najuboższym i na rzecz rozwoju ludzkiego, społecznego i kulturalnego wszystkich narodów Europy.

Powierzając się modlitwom Waszej Eminencji oraz modlitwom tych, których spotkasz w czasie swej podróży, proszę o przekazanie wszystkim mojego błogosławieństwa.

Watykan, 22 października 2020 r.,
we wspomnienie św. Jana Pawła II.

FRANCISZEK

__________________________________

[1] Statut COMECE, art. 1.

[2] Adhort. apost. Evangelii gaudium (24 listopada 2013), 228.

[3] Tamże,

[4] Enc. Fratelli tutti (4 października 2020), 11.

[5] 9 listopada 1982, 4.

[6] Deklaracja Schumana, Paryż, 9 maja 1950 r.

[7] Przemówienie do uczestników konferencji «(Re)Thinking Europe» (28 października 2017): L’Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 11/(397)2017, s. 26.

[8] Por. Wywiad dla belgijskiego tygodnika katolickiego „Tertio”(7 grudnia 2016).

[9] Przemówienie do uczestników konferencji «(Re)Thinking Europe» (28 października 2017): L’Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 11/(397)2017, s. 27.

[01284-PL.01] [Testo originale: Italiano]

[B0556-XX.01]