Omelia del Santo Padre durante la Preghiera dei cristiani
Discorso del Santo Padre all’Incontro per la Pace in Campidoglio
Appello di Pace
Questo pomeriggio, il Santo Padre Francesco ha partecipato all’Incontro di Preghiera per la Pace “Nessuno si salva da solo – Pace e Fraternità”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio.
Alle ore 17.15, dopo aver presieduto il momento di preghiera ecumenica per la pace con le altre confessioni cristiane nella Basilica di Santa Maria in Aracoeli, Papa Francesco ha preso parte alla cerimonia con i rappresentanti delle grandi religioni mondiali sulla Piazza del Campidoglio.
Dopo gli interventi del Prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant’Egidio, del Presidente della Repubblica Italiana, On. Sergio Mattarella, e dei Leader religiosi presenti, il Santo Padre ha pronunciato il Suo discorso.
Dopo un minuto di silenzio in memoria delle vittime della pandemia, di tutte le guerre, del terrorismo e della violenza in ogni parte del mondo, è stata data lettura dell’Appello di Pace Roma 2020. Quindi alcuni bambini hanno ricevuto il testo dell’appello dai Leader religiosi e lo hanno consegnato agli ambasciatori e ai rappresentanti della politica nazionale ed internazionale presenti.
Al termine dell’Incontro, dopo l’accensione del candelabro di pace da parte del Santo Padre e dei Leader religiosi, la firma dell’Appello e il segno della pace, alle ore 19.00 circa, il Papa ha fatto rientro in Vaticano.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre ha pronunciato durante la Preghiera dei Cristiani, il discorso che ha rivolto ai presenti nel corso del XXXIV Incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio nello “spirito di Assisi” e il testo dell’Appello di Pace firmato dal Santo Padre, dai Leader religiosi presenti, dal fondatore della Comunità di Sant’Egidio e dal Presidente della Repubblica Italiana:
Omelia del Santo Padre durante la Preghiera dei cristiani
Testo in lingua italiana
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Omelia del Santo Padre
È un dono pregare insieme. Ringrazio e saluto con affetto tutti voi, in particolare Sua Santità il Patriarca Ecumenico, il mio fratello Bartolomeo e il caro Vescovo Heinrich, Presidente del Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania. Purtroppo, il Reverendissimo Arcivescovo di Canterbury Justin non è potuto venire a causa della pandemia.
Il brano della Passione del Signore che abbiamo ascoltato si situa appena prima della morte di Gesù e parla della tentazione che si abbatte su di Lui, stremato sulla croce. Mentre vive il momento più alto del dolore e dell’amore, molti, senza pietà, scagliano contro di Lui un ritornello: «Salva te stesso!» (Mc 15,30). È una tentazione cruciale, che insidia tutti, anche noi cristiani: è la tentazione di pensare solo a salvaguardare sé stessi o il proprio gruppo, di avere in testa soltanto i propri problemi e i propri interessi, mentre tutto il resto non conta. È un istinto molto umano, ma cattivo, ed è l’ultima sfida al Dio crocifisso.
Salva te stesso. Lo dicono per primi «quelli che passavano di là» (v. 29). Era gente comune, che aveva sentito Gesù parlare e operare prodigi. Ora gli dicono: «Salva te stesso, scendendo dalla croce». Non avevano compassione, ma voglia di miracoli, di vederlo scendere dalla croce. Forse anche noi a volte preferiremmo un dio spettacolare anziché compassionevole, un dio potente agli occhi del mondo, che s’impone con la forza e sbaraglia chi ci vuole male. Ma questo non è Dio, è il nostro io. Quante volte vogliamo un dio a nostra misura, anziché diventare noi a misura di Dio; un dio come noi, anziché diventare noi come Lui! Ma così all’adorazione di Dio preferiamo il culto dell’io. È un culto che cresce e si alimenta con l’indifferenza verso l’altro. A quei passanti, infatti, Gesù interessava solo per soddisfare le loro voglie. Ma, ridotto a uno scarto sulla croce, non interessava più. Era davanti ai loro occhi, ma lontano dal loro cuore. L’indifferenza li teneva distanti dal vero volto di Dio.
Salva te stesso. In seconda battuta si fanno avanti i capi dei sacerdoti e gli scribi. Erano quelli che avevano condannato Gesù perché rappresentava per loro un pericolo. Ma tutti siamo specialisti nel mettere in croce gli altri pur di salvare noi stessi. Gesù, invece, si lascia inchiodare per insegnarci a non scaricare il male sugli altri. Quei capi religiosi lo accusano proprio a motivo degli altri: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso!» (v. 31). Conoscevano Gesù, ricordavano le guarigioni e le liberazioni che aveva compiuto e fanno un collegamento malizioso: insinuano che salvare, soccorrere gli altri non porta alcun bene; Lui, che si era tanto prodigato per gli altri, sta perdendo sé stesso! L’accusa è beffarda e si riveste di termini religiosi, usando due volte il verbo salvare. Ma il “vangelo” del salva te stesso non è il Vangelo della salvezza. È il vangelo apocrifo più falso, che mette le croci addosso agli altri. Il Vangelo vero, invece, si carica delle croci degli altri.
Salva te stesso. Infine, anche quelli crocifissi con Gesù si uniscono al clima di sfida contro di Lui. Com’è facile criticare, parlare contro, vedere il male negli altri e non in sé stessi, fino a scaricare le colpe sui più deboli ed emarginati! Ma perché quei crocifissi se la prendono con Gesù? Perché non li toglie dalla croce. Gli dicono: «Salva te stesso e noi!» (Lc 23,39). Cercano Gesù solo per risolvere i loro problemi. Ma Dio non viene tanto a liberarci dai problemi, che sempre si ripresentano, ma per salvarci dal vero problema, che è la mancanza di amore. È questa la causa profonda dei nostri mali personali, sociali, internazionali, ambientali. Pensare solo a sé è il padre di tutti i mali. Ma uno dei malfattori osserva Gesù e vede in Lui l’amore mite. E ottiene il paradiso facendo una sola cosa: spostando l’attenzione da sé a Gesù, da sé a chi gli stava a fianco (cfr v. 42).
Cari fratelli e sorelle, sul Calvario è avvenuto il grande duello tra Dio venuto a salvarci e l’uomo che vuole salvare sé stesso; tra la fede in Dio e il culto dell’io; tra l’uomo che accusa e Dio che scusa. Ed è arrivata la vittoria di Dio, la sua misericordia è scesa sul mondo. Dalla croce è sgorgato il perdono, è rinata la fraternità: «la Croce ci rende fratelli» (Benedetto XVI, Parole al termine della Via Crucis, 21 marzo 2008). Le braccia di Gesù, aperte sulla croce, segnano la svolta, perché Dio non punta il dito contro qualcuno, ma abbraccia ciascuno. Perché solo l’amore spegne l’odio, solo l’amore vince fino in fondo l’ingiustizia. Solo l’amore fa posto all’altro. Solo l’amore è la via per la piena comunione tra di noi.
Guardiamo al Dio crocifisso, e chiediamo al Dio crocifisso la grazia di essere più uniti, più fraterni. E quando siamo tentati di seguire le logiche del mondo, ricordiamo le parole di Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,35). Quella che agli occhi dell’uomo è una perdita è per noi la salvezza. Impariamo dal Signore, che ci ha salvati svuotando sé stesso (cfr Fil 2,7), facendosi altro: da Dio uomo, da spirito carne, da re servo. Invita anche noi a “farci altri”, ad andare verso gli altri. Più saremo attaccati al Signore Gesù, più saremo aperti e “universali”, perché ci sentiremo responsabili per gli altri. E l’altro sarà la via per salvare sé stessi: ogni altro, ogni essere umano, qualunque sia la sua storia e il suo credo. A cominciare dai poveri, dai più simili a Cristo. Il grande arcivescovo di Costantinopoli San Giovanni Crisostomo scrisse che «se non ci fossero i poveri, in larga parte sarebbe demolita la nostra salvezza» (Sulla II Lettera ai Corinzi, XVII, 2). Il Signore ci aiuti a camminare insieme sulla via della fraternità, per essere testimoni credibili del Dio vivo.
[01239-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Prier ensemble est un don. Je vous remercie et je vous salue tous avec affection, en particulier Sa Sainteté le Patriarche Œcuménique, mon frère Bartholomée, et le cher Evêque Heinrich, Président du Conseil de l’Eglise Evangélique en Allemagne. Malheureusement, le Révérend Archevêque de Canterbury Justin n’a pas pu venir à cause de la pandémie.
Le passage de la Passion du Seigneur que nous avons écouté se situe juste avant la mort de Jésus et parle de la tentation qui s’abat sur lui, épuisé sur la croix. Pendant qu’il vit le moment le plus extrême de la douleur et de l’amour, de nombreuses personnes, sans pitié, lui lancent un refrain: «Sauve-toi toi-même» (Mc 15, 30). C’est une tentation cruciale, qui nous guette tous, même nous les chrétiens: c’est la tentation de penser seulement à se protéger soi-même ou son propre groupe, d’avoir en tête seulement ses propres problèmes et ses propres intérêts, tandis que tout le reste ne compte pas. C’est un instinct très humain, mais mauvais, et il est l’ultime défi au Dieu crucifié.
Sauve-toi toi-même. Les premiers qui le disent sont « les passants» (v. 29). C’était des gens du commun, qui avaient entendu Jésus parler et opérer des prodiges. Maintenant ils lui disent: « Sauve-toi toi-même, descends de la croix». Ils n’avaient pas de compassion, mais le désir de miracles, de le voir descendre de la croix. Peut-être nous aussi parfois nous préférerions un dieu spectaculaire plutôt que compatissant, un dieu puissant aux yeux du monde, qui s’impose par la force et écrase ceux qui nous veulent du mal. Mais ceci n’est pas Dieu, c’est notre moi. Que de fois voulons-nous un dieu à notre mesure, plutôt que de devenir nous à la mesure de Dieu; un dieu comme nous, plutôt que de devenir nous comme lui! Mais ainsi à l’adoration de Dieu, nous préférons le culte du moi. C’est un culte qui croît et s’alimente de l’indifférence envers l’autre. En effet, pour ces passants, Jésus n’intéressait que pour satisfaire leurs désirs. Mais, réduit à un rebut sur la croix, il n’intéressait plus. Il était devant leurs yeux, mais loin de leur cœur. L’indifférence les tenait éloignés du vrai visage de Dieu.
Sauve-toi toi-même. En second lieu les chefs des prêtres et les scribes se mettent en avant. C’étaient ceux qui avaient condamné Jésus parce qu’il représentait pour eux un danger. Mais nous sommes tous des spécialistes pour mettre les autres en croix afin de nous sauver nous-même. Par contre, Jésus se laisse crucifier pour nous enseigner à ne pas décharger le mal sur les autres. Ces chefs religieux l’accusent justement en prenant les autres pour prétexte: «Il en a sauvé d’autres, et il ne peut pas se sauver lui-même» (v. 31). Ils connaissaient Jésus, ils se rappelaient les guérisons et les libérations qu’il avait accomplies et ils font un lien malicieux: ils insinuent que sauver, secourir les autres, ne sert à rien; lui qui s’était tant prodigué pour les autres, il est en train de se perdre lui-même! L’accusation est narquoise et se revêt d’expressions religieuses, en utilisant par deux fois le verbe sauver. Mais "l’évangile" du sauve-toi toi-même n’est pas l’Evangile du salut. C’est l’évangile apocryphe le plus faux, qui met les croix sur les autres. Le vrai Evangile, par contre, se charge des croix des autres.
Sauve-toi toi-même. Enfin, même ceux qui sont crucifiés avec Jésus s’unissent au climat de défi contre lui. Comme il est facile de critiquer, de parler contre, de voir le mal dans les autres et non pas en soi-même, jusqu’à décharger les fautes sur les plus faibles et les marginalisés! Mais pourquoi ces crucifiés s’en prennent-ils à Jésus? Parce qu’il ne les descend pas de la croix. Ils lui disent « Sauve-toi toi-même, et nous aussi!» (Lc 23, 29). Ils cherchent Jésus seulement pour résoudre leurs problèmes. Mais Dieu ne vient pas tant pour nous libérer des problèmes, qui se présentent toujours de nouveau, mais pour nous sauver du vrai problème, qui est le manque d’amour. C’est cela la cause profonde de nos maux personnels, sociaux, internationaux, environnementaux. Penser seulement à soi est le père de tous les maux. Mais un des malfaiteurs observe Jésus et voit en lui la douceur de l’amour. Et il obtient le paradis en faisant une seule chose: en déplaçant son attention de lui vers Jésus, de lui vers celui qui était à côté de lui (cf. v. 42).
Chers frères et sœurs, sur le Calvaire a eu lieu le grand duel entre Dieu venu pour nous sauver et l’homme qui veut se sauver lui-même; entre la foi en Dieu et le culte du moi; entre l’homme qui accuse et Dieu qui excuse. Et la victoire de Dieu est arrivée, sa miséricorde est descendue sur le monde. De la croix a jailli le pardon, la fraternité est née de nouveau:«La Croix fait de nous des frères» (Benoît XVI, Paroles à la fin de la Via Crucis, 21 mars 2008). Les bras de Jésus, ouverts sur la croix, marquent le tournant, parce que Dieu ne pointe le doigt contre personne, mais il embrasse chacun. Parce que seul l’amour éteint la haine, seul l’amour vainc jusqu’au bout l’injustice. Seul l’amour fait place à l’autre. Seul l’amour est la voie de la pleine communion entre nous.
Regardons vers le Dieu crucifié, et demandons au Dieu crucifié la grâce d’être plus unis, plus fraternels. Et quand nous sommes tentés de suivre les logiques du monde, rappelons-nous les paroles de Jésus: «Celui qui veut sauver sa vie la perdra; mais celui qui perdra sa vie à cause de moi et de l’Évangile la sauvera» (Mc 8, 35). Ce qui aux yeux du monde est une perte, est pour nous le salut. Apprenons du Seigneur, qui nous a sauvés en se vidant de lui-même (cf. Ph 2, 7), en se faisant tout autre: de Dieu se faisant homme, d’esprit se faisant chair, de roi se faisant serviteur. Il nous invite nous aussi à nous "faire autres", à aller vers les autres. Plus nous serons attachés au Christ, plus nous serons ouverts et "universels", parce que nous nous sentirons responsables des autres. Et l’autre sera la voie pour se sauver soi-même: chacun, chaque être humain, quel que soit son histoire et son credo. A commencer par les pauvres, par les plus semblables au Christ. Le grand Archevêque de Constantinople saint Jean Chrysostome écrivait que «s’il n’y avait pas les pauvres, notre salut serait en grande partie démoli» (Sur la IIe Lettre aux Corinthiens, XVII, 2). Que le Seigneur nous aide à marcher ensemble sur la voie de la fraternité, pour être des témoins crédibles du Dieu vivant.
[01239-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
It is a gift to pray together. I greet all of you cordially and with gratitude, especially my brother, His Holiness Ecumenical Patriarch Bartholomew, and dear Bishop Heinrich, President of the Council of the Evangelical Church of Germany. Sadly, Justin, the Archbishop of Canterbury, was unable to be here because of the pandemic.
The passage from the account of the Lord's Passion that we have just heard comes shortly before Jesus’ death. It speaks of the temptation he experienced amid the agony of the cross. At the supreme moment of his sufferings and love, many of those present cruelly taunted him with the words: “Save yourself!” (Mk 15:30). This is a great temptation. It spares no one, including us Christians. The temptation to think only of saving ourselves and our own circle. To focus only on our own problems and interests, as if nothing else mattered. It is a very human instinct, but wrong. It was the final temptation of the crucified God.
Save yourself. These words were spoken first “by those who passed by” (v. 29). They were ordinary people, those who had heard Jesus teach and who witnessed his miracles. Now they are telling him, “Save yourself, come down from the cross”. They had no pity, they only wanted miracles; they wanted to see Jesus descend from the cross. Sometimes we too prefer a wonder-working god to one who is compassionate, a god powerful in the eyes of the world, who shows his might and scatters those who wish us ill. But this is not God, but our own creation. How often do we want a god in our own image, rather than to become conformed to his own image. We want a god like ourselves, rather than becoming ourselves like God. In this way, we prefer the worship of ourselves to the worship of God. Such worship is nurtured and grows through indifference toward others. Those passersby were only interested in Jesus for the satisfaction of their own desires. Jesus, reduced to an outcast hanging on the cross, was no longer of interest to them. He was before their eyes, yet far from their hearts. Indifference kept them far from the true face of God.
Save yourself. The next people to speak those words were the chief priests and the scribes. They were the ones who had condemned Jesus, for they considered him dangerous. All of us, though, are specialists in crucifying others to save ourselves. Yet Jesus allowed himself to be crucified, in order to teach us not to shift evil to others. The chief priests accused him precisely because of what he had done for others: “He saved others and cannot save himself!"(v. 31). They knew Jesus; they remembered the healings and liberating miracles he performed, but they drew a malicious conclusion. For them, saving others, coming to their aid, is useless; Jesus, who gave himself unreservedly for others was himself lost! The mocking tone of the accusation is garbed in religious language, twice using the verb to save. But the “gospel” of save yourself is not the Gospel of salvation. It is the falsest of the apocryphal gospels, making others carry the cross. Whereas the true Gospel bids us take up the cross of others.
Save yourself. Finally, those who were crucified alongside Jesus also joined in taunting him. How easy it is to criticize, to speak against others, to point to the evil in others but not in ourselves, even to blaming the weak and the outcast! But why were they upset with Jesus? Because he did not take them down from the cross they said to him: “Save yourself and us!” (Lk 23:39). They looked to Jesus only to resolve their problems. Yet God does not come only to free us from our ever-present daily problems, but rather to liberate us from the real problem, which is the lack of love. This is the primary cause of our personal, social, international and environmental ills. Thinking only of ourselves: this is the father of all evils. Yet one of the thieves then looks at Jesus and sees in him a humble love. He entered heaven by doing one thing alone: turning his concern from himself to Jesus, from himself to the person next to him (cf. v. 42).
Dear brothers and sisters, Calvary was the site of a great “duel” between God, who came to save us, and man, who wants to save only himself; between faith in God and worship of self; between man who accuses and God who excuses. In the end, God's victory was revealed; his mercy came down upon the earth. From the cross forgiveness poured forth and fraternal love was reborn: “the Cross makes us brothers and sisters” (BENEDICT XVI, Address at the Way of the Cross at the Colosseum, 21 March 2008). Jesus’ arms, outstretched on the cross, mark the turning point, for God points a finger at no one, but instead embraces all. For love alone extinguishes hatred, love alone can ultimately triumph over injustice. Love alone makes room for others. Love alone is the path towards full communion among us.
Let us look upon the crucified God and ask him to grant us the grace to be more united and more fraternal. When we are tempted to follow the way of this world, may we be reminded of Jesus's words: “Whoever would save his life will lose it; and whoever loses his life for my sake and the Gospel’s will save it” (Mk 8:35). What is counted loss in the eyes of the world is, for us, salvation. May we learn from the Lord, who saved us by emptying himself (cf. Phil 2:7) and becoming other: from being God, he became man; from spirit, he became flesh; from a king, he became a slave. He asks us to do the same, to humble ourselves, to “become other” in order to reach out to others. The closer we become to the Lord Jesus, the more we will be open and “universal”, since we will feel responsible for others. And others will become the means of our own salvation: all others, every human person, whatever his or her history and beliefs. Beginning with the poor, who are those most like Christ. The great Archbishop of Constantinople, Saint John Chrysostom, once wrote: “If there were no poor, the greater part of our salvation would be overthrown” (On the Second Letter to the Corinthians, XVII, 2). May the Lord help us to journey together on the path of fraternity, and thus to become credible witnesses of the living God.
[01239-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Es ist ein Geschenk, gemeinsam zu beten. Ich danke euch und grüße euch alle von Herzen, besonders meinen Bruder Seine Heiligkeit den Ökumenischen Patriarchen Bartholomaios und den lieben Bischof Heinrich, Vorsitzender des Rates der Evangelischen Kirche in Deutschland. Der hochwürdigste Erzbischof von Canterbury Justin konnte wegen der Pandemie leider nicht kommen.
Der eben gehörte Abschnitt aus der Leidensgeschichte des Herrn gibt die Augenblicke kurz vor Jesu Tod wieder und schildert die Versuchung, die ihn überkommt, als er am Ende seiner Kräfte am Kreuz hängt. Er durchlebt Momente schlimmsten Schmerzes und größter Liebe, während ihm die Menge gnadenlos immer wieder »Rette dich selbst!« (Mk 15,30) entgegenschmettert. Es ist die zentrale Versuchung, die alle, auch uns Christen, befällt: die Versuchung, nur an das eigene Heil oder das einer bestimmten Gruppierung zu denken, nur die eigenen Probleme und Interessen im Kopf zu haben, während alles andere nicht zählt. Das ist ein sehr menschlicher, jedoch böser Instinkt, und stellt die letzte Herausforderung für den gekreuzigten Gott dar.
Rette dich selbst. Das sagten als erste »die Leute, die vorbeikamen« (V. 29). Das waren einfache Menschen, die gehört hatten, wie Jesus sprach und Wunder wirkte. Jetzt sagen sie zu ihm: »Rette dich selbst und steig herab vom Kreuz«. Sie fühlten kein Mitleid, sondern wollten ein Wunder, sie wollten sehen, wie er vom Kreuz herabsteigt. Vielleicht hätten manchmal auch wir lieber einen spektakulären Gott als einen barmherzigen, lieber einen Gott, der in den Augen der Welt stark ist, der sich mit Gewalt durchsetzt und außer Gefecht setzt, wer uns Böses antun will. Aber das ist nicht Gott, sondern unser eigenes Ego. Wie oft wünschen wir uns einen Gott nach unseren Maßstäben, anstatt dass wir uns Gottes Maßstäben anpassen; einen Gott so wie wir, anstatt dass wir wie er werden! Aber so ziehen wir der Gottesverehrung den Kult des Ich vor. Es ist ein Kult, der mit der Gleichgültigkeit gegenüber unserem Nächsten zunimmt und sich daraus speist. Die vorübergehenden Leute interessierten sich für Jesus nämlich nur zur Befriedigung der eigenen Wünsche. Als Abschaum am Kreuz interessierte er sie aber nicht mehr. Er befand sich direkt vor ihren Augen, aber weit weg von ihren Herzen. Die Gleichgültigkeit hielt sie vom wahren Angesicht Gottes fern.
Rette dich selbst. Als nächstes treten die Hohepriester und Schriftgelehrten vor. Sie waren es, die Jesus verurteilt hatten, weil er eine Gefahr für sie darstellte. Aber wir alle sind Spezialisten, andere ans Kreuz zu schlagen, nur um uns selbst zu retten. Jesus lässt sich dagegen ans Kreuz nageln, um uns zu lehren, das Böse nicht auf den Nächsten abzuwälzen. Diese Religionsführer beschuldigen ihn gerade wegen der anderen: »Andere hat er gerettet, sich selbst kann er nicht retten« (V. 31). Sie kannten Jesus, sie erinnerten sich an die Heilungen und Befreiungen, die er gewirkt hatte, und ziehen einen tückischen Schluss: Sie unterstellen, dass es nichts bringt, die anderen zu heilen oder ihnen zu helfen; denn er, der sich so sehr für die andere aufgeopfert hat, verliert sein eigenes Leben! Es ist eine höhnische Anklage, die sich religiöser Begriffe bedient, wenn sie zwei Mal das Verb „retten“ verwendet. Aber das „Evangelium“ des „Rette-dich-selbst“ ist nicht das Evangelium des Heils. Es ist das falscheste unechte Evangelium, das den anderen das Kreuz auferlegt. Das wahre Evangelium hingegen nimmt die Kreuze der anderen auf die eigene Schulter.
Rette dich selbst. Zum Schluss beteiligen sich auch noch die mit Jesus Gekreuzigten an dieser herausfordernden Stimmung gegen ihn. Wie leicht ist es doch zu kritisieren, gegen jemanden zu sprechen, das Schlechte beim Nächsten und nicht bei sich selbst zu sehen und letztendlich die Schuld auf die Schwachen und Ausgegrenzten abzuwälzen! Aber warum sind die Mitgekreuzigten auf Jesus wütend? Weil er sie nicht vom Kreuz befreit. Sie sagen ihm: »Rette dich selbst und auch uns!« (Lk 23,39). Sie suchen Jesus nur zur Lösung ihrer Probleme. Aber Gott komm nicht so sehr deswegen zu uns, um uns von den immer wiederkehrenden Problemen zu befreien, sondern vielmehr, um uns vom wahren Problem zu erlösen, das der Mangel an Liebe ist. Das ist der tiefe Grund unserer persönlichen, sozialen, internationalen und ökologischen Probleme. Nur an sich selbst zu denken ist die Ursache allen Übels. Aber einer der Verbrecher betrachtet Jesus und erkennt in ihm die milde Liebe. Und er gewinnt das Paradies, weil er eines tut: Er lenkt die Aufmerksamkeit von sich auf Jesus hin, von sich weg zu dem, der an seiner Seite hing (vgl. V. 42).
Liebe Brüder und Schwestern, auf Golgatha fand das große Duell zwischen Gott, der gekommen ist, um uns zu retten, und dem Menschen, der sich selbst retten will, statt; zwischen dem Glauben an Gott und dem Kult des Ich; zwischen dem Menschen, der beschuldigt, und Gott, der entschuldigt. Und Gottes Sieg ist gekommen, seine Barmherzigkeit ist auf die Welt herabgestiegen. Vom Kreuz strömte die Vergebung, wurde die Geschwisterlichkeit wieder neu geboren: »Das Kreuz macht uns zu Geschwistern« (Benedikt XVI., Worte am Ende des Kreuzwegs, 21. März 2008). Die am Kreuz ausgebreiteten Arme Jesu kennzeichnen den Wendepunkt, denn Gott zeigt nicht mit dem Finger auf jemanden, sondern umarmt jeden. Denn nur die Liebe löscht den Hass, nur die Liebe überwindet die Ungerechtigkeit ganz und gar. Nur die Liebe macht Platz für den anderen. Nur die Liebe ist der Weg zur vollen Gemeinschaft unter uns.
Schauen wir auf den gekreuzigten Gott, und bitten wir den gekreuzigten Gott um die Gnade, dass wir noch mehr geeint und geschwisterlicher sind. Und wenn wir versucht sind, der Logik der Welt zu folgen, wollen wir an die Worte Jesu denken: »Wer sein Leben retten will, wird es verlieren; wer aber sein Leben um meinetwillen und um des Evangeliums willen verliert, wird es retten« (Mk 8,35). Was in den Augen des Menschen einen Verlust bedeutet, wird für uns zum Heil. Lernen wir vom Herrn, der uns dadurch gerettet hat, dass er sich selbst entäußert hat (vgl. Phil 2,7) und anderes wurde: als Gott wurde er Mensch, als Geist wurde er Fleisch, als König Diener. Er lädt uns auch ein, „anderes zu werden“, auf andere zuzugehen. Je mehr wir mit dem Herrn Jesus Christus verbunden sind, desto offener und „universaler“ werden wir sein, weil wir uns für die anderen verantwortlich fühlen. Und der andere wird dann der Weg sein, um sich selbst zu retten: jeder andere, jeder Mensch, unabhängig von seiner Geschichte und seinem Glaubensbekenntnis – angefangen bei den Armen, die Christus am ähnlichsten sind. Der große Erzbischof von Konstantinopel, der heilige Johannes Chrysostomus, schrieb einmal: »Wenn es keine Armen gäbe, würde unser Heil großenteils zu Fall kommen« (In epistulam secundam ad Corinthios, XVII, 2). Möge der Herr uns helfen, gemeinsam auf dem Weg der Geschwisterlichkeit zu gehen, damit wir glaubwürdige Zeugen des lebendigen Gottes sein können.
[01239-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Es un don rezar juntos. Agradezco y saludo con afecto a todos vosotros, en particular a Su Santidad el Patriarca Ecuménico, mi hermano Bartolomé, y al querido Obispo Heinrich, Presidente del Consejo de la Iglesia Evangélica en Alemania. Desafortunadamente, el Reverendísimo Arzobispo de Canterbury Justin no pudo venir debido a la pandemia.
El pasaje de la Pasión del Señor que hemos escuchado se sitúa poco antes de la muerte de Jesús y habla de la tentación que se cierne sobre Él, exhausto en la cruz. Mientras vive el momento del dolor y del amor más extremo, muchos, sin piedad, lanzan unas palabras contra Él: «Sálvate a ti mismo» (Mc 15,30). Es una tentación crucial, que nos amenaza a todos, también a nosotros, cristianos. Es la tentación de pensar sólo en protegerse a sí mismo o al propio grupo, de tener en mente solamente los propios problemas e intereses, mientras todo lo demás no importa. Es un instinto muy humano, pero malo, y es la última provocación al Dios crucificado.
Sálvate a ti mismo. Lo dicen primero «los que pasaban» (v. 29). Era gente común, que había escuchado hablar a Jesús y lo habían visto hacer prodigios. Ahora le dicen: «Sálvate a ti mismo bajando de la cruz». No tenían compasión, sino ganas de milagros, de verlo bajar de la cruz. Quizás también nosotros preferiríamos a veces un dios espectacular más que compasivo, un dios potente a los ojos del mundo, que se impone con la fuerza y desbarata a quien nos odia. Pero esto no es de Dios, es nuestro yo. Cuántas veces queremos un dios a nuestra medida, más que llegar nosotros a la medida de Dios; un dios como nosotros, más que llegar a ser nosotros como Él. Pero así, en vez de la adoración a Dios preferimos el culto al yo. Es un culto que crece y se alimenta con la indiferencia hacia el otro. A los que pasaban, de hecho, Jesús les interesaba sólo para satisfacer sus antojos. Pero, reducido a un despojo en la cruz, ya no les interesaba más. Estaba delante de sus ojos, pero lejos de su corazón. La indiferencia los mantenía distantes del verdadero rostro de Dios.
Sálvate a ti mismo. En un segundo momento, dan un paso al frente los jefes de los sacerdotes y los escribas. Eran los que habían condenado a Jesús porque representaba un peligro. Pero todos somos especialistas en colgar en la cruz a los demás con tal de salvarnos a nosotros mismos. Jesús, en cambio, se deja clavar para enseñarnos a no descargar el mal sobre los demás: «A otros ha salvado y a sí mismo no se puede salvar» (v. 31). Conocían a Jesús, recordaban sus curaciones y las liberaciones que había realizado, y relacionan todo esto con malicia: insinúan que salvar, socorrer a los demás no conduce a ningún bien; Él, que se había entregado tanto por los demás, se está perdiendo a sí mismo. La acusación es sarcástica y se reviste de términos religiosos, usando dos veces el verbo salvar. Pero el “evangelio” del sálvate a ti mismo no es el Evangelio de la salvación. Es el evangelio apócrifo más falso, que carga las cruces sobre los demás. El Evangelio verdadero, en cambio, carga con las cruces de los otros.
Sálvate a ti mismo. Al final, incluso los crucificados que estaban junto a Jesús se unen al clima de hostilidad contra Él. ¡Qué fácil es criticar, hablar en contra, ver el mal en los demás y no en uno mismo, hasta llegar a descargar las culpas sobre los más débiles y marginados! Pero, ¿por qué los crucificados se ensañan con Jesús? Porque no los quita de la cruz. Le dicen: «Sálvate a ti mismo y a nosotros» (Lc 23,39). Sólo buscan a Jesús para resolver sus problemas. Pero Dios no viene tanto a liberarnos de los problemas, que siempre vuelven a presentarse, sino para salvarnos del verdadero problema, que es la falta de amor. Esta es la causa profunda de nuestros males personales, sociales, internacionales, ambientales. Pensar sólo en sí mismo es el padre de todos los males. Pero uno de los ladrones observa a Jesús y ve en Él el amor humilde. Y obtiene el cielo haciendo una sola cosa: cambiando la atención de sí mismo a Jesús, de sí mismo a quien estaba a su lado (cf. v. 42).
Queridos hermanos y hermanas: En el Calvario tuvo lugar el gran duelo entre Dios que vino a salvarnos y el hombre que quiere salvarse a sí mismo; entre la fe en Dios y el culto al yo; entre el hombre que culpa y Dios que perdona. Y llegó la victoria de Dios, su misericordia descendió en el mundo. De la cruz brota el perdón, renace la fraternidad: «La cruz nos hace hermanos» (Benedicto XVI, Palabras al final del Vía Crucis, 21 marzo 2008). Los brazos de Jesús, abiertos en la cruz, marcan un punto de inflexión, porque Dios no señala con el dedo a nadie, sino que abraza a todos. Porque sólo el amor apaga el odio, sólo el amor vence a la injusticia. Sólo el amor deja lugar al otro. Sólo el amor es el camino para la plena comunión entre nosotros.
Miremos a Dios crucificado, y pidámosle a Dios crucificado la gracia de estar más unidos, de ser más fraternos. Y cuando estemos tentados de seguir la lógica del mundo, recordemos las palabras de Jesús: «Quien quiera salvar su vida, la perderá; pero el que pierda su vida por mí y por el Evangelio, la salvará» (Mc 8,35). Lo que a los ojos de los hombres es una pérdida, para nosotros es la salvación. Aprendamos del Señor, que nos ha salvado despojándose de sí mismo (cf. Flp 2,7), haciéndose otro: de Dios hombre, de espíritu carne, de rey siervo. También a nosotros nos invita a “hacernos otros”, a ir al encuentro de los demás. Cuanto más unidos estemos al Señor Jesús, seremos más abiertos y “universales”, porque nos sentiremos responsables de los demás. Y el otro será el camino para salvarse a sí mismo: cada semejante, cada ser humano, cualquiera sea su historia o su religión. Comenzando por los pobres, por los más parecidos a Cristo. El gran arzobispo de Constantinopla, san Juan Crisóstomo escribió que «si no hubiera pobres, en gran parte sería destruida nuestra salvación» (Sobre la 2.a Carta a los Corintios, 17,2). Que el Señor nos ayude a transitar juntos el camino de la fraternidad, para ser testimonios creíbles del Dios vivo.
[01239-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Rezar juntos é uma dádiva. Agradeço e saúdo afetuosamente a todos vós, em particular a Sua Santidade meu irmão Bartolomeu, o Patriarca Ecuménico, e ao amado Bispo Heinrich, Presidente do Conselho da Igreja Evangélica na Alemanha. Infelizmente, o Reverendíssimo Arcebispo de Cantuária Justin não pôde vir por causa da pandemia.
O trecho da Paixão do Senhor, que escutamos, tem lugar pouco antes da morte de Jesus e fala da tentação que se abate sobre Ele, exausto na cruz. Encontrando-Se no ponto mais alto do sofrimento e do amor, muitos, sem piedade, lançam contra Ele o estribilho: «Salva-Te a Ti mesmo!» (Mc 15, 30). Trata-se duma tentação crucial que ameaça a todos, mesmo a nós cristãos: a tentação de pensar só em defender-se a si mesmo ou ao próprio grupo, ter em mente apenas os próprios problemas e interesses, ao passo que tudo o mais não conta. É um instinto muito humano, mas mau, e constitui o último desafio a Deus crucificado.
Salva-Te a Ti mesmo: os primeiros a dizê-lo são «os que passavam» (15, 29). Eram pessoas comuns, que ouviram Jesus falar e fazer prodígios. Agora dizem-Lhe: «Salva-Te a Ti mesmo, descendo da cruz». Não tinham compaixão, mas desejo de milagres, de O ver descer da cruz. Talvez nós também preferíssemos às vezes um deus espetacular em vez de compassivo, um deus poderoso aos olhos do mundo, que se impõe pela força e desbarata quantos nos querem mal. Mas este não é Deus; é o nosso eu. Quantas vezes queremos um deus à nossa medida, em vez de nos configurarmos nós à medida de Deus; um deus como nós, em vez de nos tornarmos nós como Ele! Mas, desta forma, preferimos o culto do eu à adoração de Deus. É um culto que cresce e se alimenta mediante a indiferença para com o outro. De facto, àqueles que passavam, só lhes interessava Jesus para satisfazer os seus desejos. Mas assim reduzido a um desperdício na cruz, já não lhes interessava. Estava diante dos seus olhos, mas longe do seu coração. A indiferença mantinha-os longe do verdadeiro rosto de Deus.
Salva-Te a Ti mesmo: os segundos a lançar este estribilho, são os príncipes dos sacerdotes e os escribas. Foram os mesmos que condenaram Jesus, porque representava um perigo para eles. Mas todos somos peritos em colocar os outros na cruz, contanto que nos salvemos a nós mesmos. Pelo contrário, Jesus deixa-Se crucificar, para nos ensinar a não descarregar o mal sobre os outros. Aqueles líderes religiosos tomavam precisamente os outros como motivo para O acusar: «Salvou os outros, mas não pode salvar-Se a Si mesmo!» (15, 31). Conheciam Jesus, lembravam-se das curas e libertações por Ele realizadas e fazem uma dedução maliciosa: insinuam que salvar, socorrer os outros não traz bem algum; Ele que tanto Se prodigara pelos outros, perde-Se a Si mesmo! A acusação é feita em tom de escárnio e serve-se de termos religiosos, usando duas vezes o verbo salvar. Mas o «evangelho» do salva-te a ti mesmo não é o Evangelho da salvação. Antes, é o evangelho apócrifo mais falso, que coloca as cruzes aos ombros dos outros. Ao contrário, o Evangelho verdadeiro assume as cruzes dos outros.
Salva-Te a Ti mesmo: por fim, também os crucificados com Jesus se associam ao ambiente de desafio contra Ele. Como é fácil criticar, falar contra, ver o mal nos outros e não em nós mesmos, chegando-se ao ponto de descarregar as culpas sobre os mais fracos e marginalizados! Mas, por que motivo aqueles crucificados atacam Jesus? Porque não os tira da cruz. Dizem-Lhe: «Salva-Te a Ti mesmo e a nós também» (Lc 23, 39). Procuram Jesus somente para resolver os problemas deles. Mas Deus vem não tanto para nos livrar dos problemas, que sempre reaparecem, como sobretudo para nos salvar do verdadeiro problema: a falta de amor. Esta é a causa profunda dos nossos males pessoais, sociais, internacionais, ambientais. Pensar apenas em si mesmo é o pai de todos os males. Mas um dos malfeitores põe-se a observar Jesus, admirando, n’Ele, a amorosa mansidão. E obtém o Paraíso, fazendo apenas uma coisa: deslocando a atenção de si mesmo para Jesus, de si mesmo para Quem estava ao seu lado (cf. 23, 42).
Amados irmãos e irmãs, no Calvário, aconteceu o grande duelo entre Deus que veio salvar-nos e o homem que quer salvar-se a si mesmo, entre a fé em Deus e o culto do eu, entre o homem que acusa e Deus que desculpa. E chegou a vitória de Deus; a sua misericórdia desceu sobre o mundo. Da cruz, brotou o perdão, renasceu a fraternidade: «A cruz torna-nos irmãos» (Bento XVI, Alocução no final da Via-Sacra, 21/III/2008). Os braços de Jesus, abertos na cruz, assinalam uma mudança radical, porque Deus não aponta o dedo contra ninguém, mas abraça a cada um. Pois só o amor apaga o ódio, só o amor vence completamente a injustiça. Só o amor dá espaço ao outro. Só o amor é o caminho para a plena comunhão entre nós.
Com os olhos postos em Deus crucificado, peçamos-Lhe a graça de ser mais unidos, mais fraternos. E, quando nos sentirmos tentados a seguir as lógicas do mundo, recordemos as palavras de Jesus: «Quem quiser salvar a sua vida, há de perdê-la; mas, quem perder a sua vida por causa de Mim e do Evangelho, há de salvá-la» (Mc 8, 35). Aquilo que, aos olhos do homem, é uma perda, para nós é a salvação. Aprendamos do Senhor, que nos salvou esvaziando-Se (cf. Flp 2, 7), fazendo-Se outro: de Deus fez-Se homem; de espírito, carne; de rei, servo. E convida, também a nós, a «fazer-nos outros», a ir ao encontro dos outros. Quanto mais estivermos agarrados ao Senhor Jesus, tanto mais seremos abertos e «universais», porque nos sentiremos responsáveis pelos outros. E o outro será o caminho para nos salvarmos a nós mesmos: cada um dos outros, cada ser humano, seja qual for a sua história e o seu credo, a começar pelos pobres, pelos mais parecidos com Cristo. O grande arcebispo de Constantinopla, São João Crisóstomo, escreveu que, «se não tivéssemos os pobres, a nossa salvação estaria em grande parte arruinada» (Sobre a II Carta aos Coríntios, XVII, 2). Que o Senhor nos ajude a caminhar juntos pela senda da fraternidade, para sermos testemunhas credíveis do Deus vivo.
[01239-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Wspólna modlitwa jest darem. Dziękuję i serdecznie pozdrawiam wasz wszystkich, a szczególnie Jego Świątobliwość Patriarchę Ekumenicznego, mojego brata Bartłomieja i drogiego biskupa Heinricha, Przewodniczącego Rady Kościoła Ewangelickiego w Niemczech. Niestety, Wielebny Arcybiskup Canterbury Justin nie mógł przybyć z powodu pandemii.
Usłyszany przez nas fragment Męki Pańskiej jest umieszczony tuż przed opisem śmierci Jezusa i mówi o pokusie, jaka uderzyła w Niego, umierającego na krzyżu. Kiedy przeżywał kulminacyjne wydarzenie cierpienia i miłości, wielu niemiłosiernie zaatakowało Go słowami: „Wybaw samego siebie!” (Mk 15, 30). Jest to kluczowa pokusa usidlająca wszystkich, także nas chrześcijan: to pokusa, by myśleć jedynie o ocaleniu siebie lub swojej grupy, aby mieć w głowie tylko własne problemy i korzyści, podczas gdy wszystko inne się nie liczy. Jest to odruch bardzo ludzki, lecz zły, i jest to ostatnie wyzwanie stojące przed ukrzyżowanym Bogiem.
Wybaw samego siebie!. Jako pierwsi mówią to „ci, którzy przechodzili obok” (w. 29). Byli to zwykli ludzie, którzy słyszeli, jak Jezus przemawiał i dokonywał cudów. Teraz mówią mu: „zejdź z krzyża i wybaw samego siebie!”. Nie było w nich współczucia, ale pragnienie cudów, by zobaczyć Go zstępującego z krzyża. Może i my wolelibyśmy czasem raczej boga spektakularnego niż współczującego, boga potężnego w oczach świata, który narzuca się siłą i rozgramia tych, którzy nas krzywdzą. Ale to nie jest Bóg, lecz nasze ego. Ileż to razy chcemy mieć boga na naszą miarę, zamiast to my stawać się na miarę Boga; boga takiego, jak my, zamiast sami stawać się takimi, jak On! Ale w ten sposób, zamiast oddawać cześć Bogu, wolimy kult naszego „ja”. Jest to kult, który wzrasta i karmi się obojętnością wobec innego. W istocie Jezus interesował tych przechodniów tylko na tyle, by zaspokoić ich pragnienia. Ale sprowadzony do kogoś odrzuconego na krzyżu, już ich nie interesował. Był przed ich oczyma, ale z dala od ich serca. Obojętność trzymała ich z daleka od prawdziwego oblicza Boga.
Wybaw samego siebie! Na drugim miejscu pojawili się arcykapłani i uczeni w Piśmie. Byli to ci, którzy skazali Jezusa, ponieważ stanowił dla nich zagrożenie. Ale wszyscy jesteśmy specjalistami w krzyżowaniu innych, by wybawiać samych siebie. Natomiast Jezus daje się przybić, by nas nauczyć nieprzerzucania zła na innych. Owi przywódcy religijni oskarżają Go właśnie z powodu innych: „Innych wybawiał, siebie nie może wybawić” (w. 31). Znali Jezusa, pamiętali o uzdrowieniach i uwolnieniach, jakich dokonał, i tworzyli złośliwe połączenie: insynuowali, że zbawienie, spieszenie na pomoc innym nie przynosi żadnego dobra; On, który uczynił tak wiele dla innych, zatraca samego siebie! Oskarżenie jest szydercze i posługuje się kategoriami religijnymi, używając dwukrotnie czasownika „zbawiać”. Ale „ewangelia” wybaw samego siebie nie jest Ewangelią zbawienia. Jest to najbardziej fałszywa ewangelia apokryficzna, która nakłada krzyże na innych. Natomiast prawdziwa ewangelia bierze na siebie krzyże innych.
Wybaw samego siebie. W końcu, nawet ci ukrzyżowani wraz z Jezusem włączają się w klimat prowokacji wymierzonej przeciw Niemu. Jak łatwo jest krytykować, sprzeciwiać się, widzieć zło w innych, a nie w sobie samych, aż po zrzucanie winy na najsłabszych i najbardziej zmarginalizowanych! Ale dlaczego ci ukrzyżowani atakują Jezusa? Bo nie zdejmuje ich z krzyża. Mówią: „Wybaw siebie i nas!” (Łk 23, 39). Szukają Jezusa tylko po to, by rozwiązać swoje problemy. Ale Bóg nie tyle przychodzi, aby uwolnić nas od problemów, które zawsze się pojawiają, lecz po to, aby wybawić nas od prawdziwego problemu, jakim jest brak miłości. I to właśnie jest głęboka przyczyna naszych nieszczęść osobistych, społecznych, międzynarodowych i ekologicznych. Myślenie tylko o sobie jest ojcem wszelkiego zła. Jednak jeden z tych złoczyńców obserwuje Jezusa i widzi w Nim łagodną miłość. I otrzymuje raj, czyniąc tylko jedno: przenosząc uwagę z siebie na Jezusa, z siebie na tego, który był obok niego (por. w. 42).
Drodzy bracia i siostry, na Kalwarii miał miejsce wielki pojedynek między Bogiem, który przyszedł nas zbawić, a człowiekiem, który chce zbawić samego siebie; między wiarą w Boga a kultem własnego „ja”; między człowiekiem, który oskarża, a Bogiem, który usprawiedliwia. I nadeszło zwycięstwo Boga, Jego miłosierdzie zstąpiło na świat. Z krzyża wypłynęło przebaczenie, odrodziło się braterstwo: „Krzyż czyni nas braćmi”. (BENEDYKT XVI, Rozważanie na zakończenie Drogi Krzyżowej 21 marca 2008 r.: L’Osservatore Romano, wyd. polskie, n. 5(303)/2008, s. 15). Ramiona Jezusa, rozpostarte na krzyżu, oznaczają punkt zwrotny, ponieważ Bóg nie wskazuje na nikogo palcem, ale każdego bierze w ramiona. Bowiem tylko miłość gasi nienawiść, tylko miłość dogłębnie pokonuje niesprawiedliwość. Tylko miłość czyni miejsce dla innych. Tylko miłość jest drogą do pełnej jedności między nami.
Spójrzmy na ukrzyżowanego Boga, i prośmy ukrzyżowanego Boga o łaskę większej jedności, bycia bardziej braterskimi. A kiedy kusi nas podążanie za logiką świata, pamiętajmy o słowach Jezusa: „Kto chce zachować swoje życie, straci je; a kto straci swe życie z powodu Mnie i Ewangelii, zachowa je” (Mk 8, 35). To, co jest stratą w oczach człowieka, jest dla nas zbawieniem. Uczmy się od Pana, który nas zbawił ogołacając samego siebie (por. Flp 2, 7), stając się innym: z Boga człowiekiem, z ducha istotą cielesną, z króla sługą. Zachęca On również nas do „czynienia siebie innymi”, by iść ku innym. Im bardziej będziemy powiązani z Panem Jezusem, tym bardziej będziemy otwarci i „powszechni”, ponieważ będziemy się czuli odpowiedzialni za innych. A drugi będzie drogą do zbawienia nas samych: każdy inny, każda istota ludzka, niezależnie od jego dziejów i wyznania. Począwszy od ubogich, od najbardziej podobnych do Chrystusa. Wielki arcybiskup Konstantynopola św. Jan Chryzostom napisał, że „gdyby […] nie było ubogich, bylibyśmy po części pozbawieni nadziei zbawienia” (Homilie do Drugiego Listu św. Pawła do Koryntian, XVII, 2, przekład, ks. Antoni Paciorek, Ed. Św. Pawła, Częstochowa, 2019, s. 296). Niech Pan pomoże nam wspólnie kroczyć drogą braterstwa, abyśmy mogli być wiarygodnymi świadkami Boga żywego.
[01239-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
عظة قداسة البابا فرنسيس
خلال الصلاة المسيحيّة في كنيسة آرا تشيلي
بمناسبة اللقاء من أجل السلام
الثلاثاء 20 تشرين الأول / أكتوبر 2020
كامبيدوليو – روما
إنها لعطيّة أن نصلّي معًا. أشكركم وأحيّيكم بمودّة جميعًا، وخاصّة صاحب القداسة البطريرك المسكوني، أخي برثلماوس، والأسقف العزيز هنريش، رئيس مجلس الكنيسة الإنجيليّة في ألمانيا. وللأسف، لم يَستطِع رئيس أساقفة كانتربري يوستينس المجيء بسبب الجائحة.
إن نصّ آلام الربّ الذي سمعناه الآن يسبق موت يسوع مباشرة، ويتحدّث عن التجربة التي واجهها وهو يحتضر فوق الصليب. بينما كان يعيش أقصى لحظات الألم والمحبّة، رشقه الكثيرون، دون رحمة، بهذه اللازمة: "خَلِّصْ نَفْسَكَ!" (مر 15، 30). إنها تجربة عصيبة، تُضني الجميع، حتى نحن المسيحيّين: تجربة الاهتمام لنجاة أنفسنا أو جماعتنا، ومراعاة مشاكلنا ومصالحنا الخاصّة فحسب، فيما أن الباقي لا يهمّنا. إنها غريزة بشريّة للغاية، لكنّها سيئة، وهي التحدّي الأخير الذي يواجه الإله المصلوب.
خلّص نفسك. كان "المارَّةُ" أوّل من قالها له (آية 29). كانوا أشخاصًا عاديّين، سمعوا كلام يسوع ورأوا معجزاته. والآن يقولون له "خَلِّصْ نَفْسَكَ فَانزِلْ عَنِ الصَّليب"، ليس رحمةً به، بل كانوا يطلبون المعجزات، يريدون رؤيته ينزل عن الصليب. وقد نفضّل نحن أيضًا أحيانًا إلهًا مذهلًا بدلًا من إله متعاطف، أو إلهًا قديرًا في نظر العالم، يفرض ذاته بالقوّة ويقهر من يريد لنا الشرّ. هذا ليس الله إنما الأنا. كم مرّة أردنا إلهًا وفق مقياسنا، بدلًا من أن نصبح نحن وفق مقياسه؛ إلهًا مثلنا بدلًا من أن نكون مثله! ولكننا بهذه الطريقة نفضّل عبادة الذات على عبادة الله. وهي عبادة تنمو وتتغذّى من عدم المبالاة تجاه الآخر. كان هؤلاء المارّة يهتمّون ليسوع في الواقع، إنما فقط لإشباع رغباتهم. ولكن، بعد أن تحوّل يسوع إلى منبوذ على الصليب، لم يعد يهمّهم. كان أمام أعينهم، لكن بعيدًا عن قلوبهم. أبعدتهم اللامبالاة عن وجه الله الحقيقي.
خلّص نفسك. تقدّم ثانيًا عُظَماءُ الكَهَنَةِ والكَتَبَةُ. كانوا هم الذين أدانوا يسوع لأنّه كان يشكّل خطرًا عليهم. ولكننا جميعًا متخصّصون في صَلبِ الآخرين من أجل إنقاذ أنفسنا. أمّا يسوع فيسمح بأن يُصلَب ليعلّمنا ألّا نُحَمِّل الآخرين الشرّ. اتّهمه هؤلاء القادة الدينيّين تحديدًا بسبب الآخرين: "خَلَّصَ غيرَهُ مِنَ النَّاس، ولا يَقدِرُ أَن يُخَلِّصَ نَفْسَه!" (آية 31). كانوا يعرفون يسوع، ويتذكّرون أعمال الشفاء والتحرير التي قام بها، ويلمّحون، بخبث، إلى أن منح الخلاص للآخرين ومساعدتهم لا يعود بأيّ خير على أحد؛ هو الذي صنع الكثير للآخرين، يخسر نفسه! اتّهامهم إنما هو استهزاء، ويتخفّى تحت مصطلحات دينيّة، مستخدمًا الفعل "خلّص" مرّتين. لكن "إنجيل" الـ "خلّص نفسك" ليس إنجيل الخلاص. إنه أكثر الأناجيل المنحولة كَذِبًا، يحمّل الآخرين الصلبان. لكن الإنجيل الحقيقيّ يأخذ على عاتقه صلبان الآخرين.
خلّص نفسك. أخيرًا، انضمّ أيضًا اللصّان المصلوبان مع يسوع إلى مناخ التحدّي ضدّه. فما أسهل أن ننتقد الآخرين ونتكلّم ضدّهم ونرى الشرّ فيهم وليس في أنفسنا، لدرجة إلقاء اللوم على الأكثر ضعفًا والأكثر تهميشًا! لماذا يلقي هذان المصلوبان اللومَ على يسوع؟ لأنّه لم يُنزِلهما عن الصليب. قالا له: "خَلِّصْ نَفْسَكَ وخَلِّصْنا!" (لو 23، 39). يسعون وراء يسوع فقط لحلّ مشاكلهم. لكن الله لا يأتي ليحرّرنا من المشاكل التي تعود دائمًا، بل ليخلّصنا من المشكلة الحقيقية، التي هي انعدام المحبّة. هذا هو السبب الأساسيّ لمشاكلنا الشخصيّة والاجتماعيّة والدوليّة والبيئيّة. أن نهتمّ لأنفسنا فقط هو سبب كلّ الشرور. لكن أحد المجرمين لاحظ يسوع ورأى فيه محبّة وديعة. ونال الفردوس إذ قام بعمل واحد فقط: حوّل اهتمامه من ذاته إلى يسوع، ومن ذاته إلى ذاك الذي كان بجانبه (راجع الآية 42).
أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء، لقد حدثت في الجلجلة المبارزةُ الكبرى بين الله الذي جاء ليخلّصنا وبين الإنسان الذي يريد أن يخلّص نفسه؛ بين الإيمان بالله وعبادة الذات؛ بين الإنسان الذي يتّهم والله الذي يعذر. وجاء انتصار الله، فحلّت رحمته على العالم. تدفّق الغفران من الصليب، وولِدَت الأخوّة من جديد: "الصليب يجعلنا إخوة" (بندكتس السادس عشر، كلمة البابا في نهاية درب الصليب، 21 آذار/مارس 2008). إن ذراعي يسوع المفتوحتين على الصليب تظهران نقطة التحوّل، لأن الله لا يوجّه أصابع الاتّهام إلى أحد، بل يعانق الجميع. لأن المحبّة وحدها تطفئ الكراهية، المحبّة وحدها تتغلّب على الظلم حتى النهاية. المحبّة وحدها تفسح المجال للآخر. المحبّة وحدها هي السبيل إلى الشركة الروحيّة الكاملة بيننا.
لنتأمّل المصلوب، ونسأل الإله المصلوب نعمة أن نكون أكثر اتّحادًا وأخوّة. وعندما نميل إلى اتّباع منطق العالم، لنتذكّر كلام يسوع: "الَّذي يُريدُ أَن يُخَلِّصَ حَياتَه يَفقِدُها، وأَمَّا الَّذِي يَفقِدُ حَياتَه في سبيلي وسبيلِ البِشارَة فإِنَّه يُخَلِّصُها" (مر 8، 35). فما هو خسارة في نظر الإنسان هو الخلاص بالنسبة لنا. فلنتعلّم من الربّ الذي خلّصنا إذ أخلى ذاته (را. فيل 2، 7)، وصار مختلفًا: من إلهٍ صار إنسانًا، ومن روحٍ صار جسدًا، ومن ملكٍ صار خادمًا. وهو يدعونا نحن أيضًا لأن "نصير مختلفين"، وأن نذهب باتّجاه الآخرين. كلّما تعلّقنا بالربّ يسوع، كلّما أصبحنا أكثر انفتاحًا و "عالميّين"، لأننا سوف نشعر بالمسؤوليّة تجاه الآخرين. ويصبح الآخر السبيل لخلاص الذات: كلّ شخص آخر، كلّ إنسان، مهما كان تاريخه ومعتقداته، انطلاقًا من الفقراء، من الأكثر شبهًا بالمسيح. كتب رئيس أساقفة القسطنطينية العظيم، القدّيس يوحنا الذهبيّ الفم، أنه "إذا لم يكن هناك فقراء، لكان انهدم خلاصنا إلى حدّ كبير" (في الرسالة الثانية إلى أهل قورنتس، XVII، 2). ليساعدنا الربّ على السير معًا في درب الأخوّة، لكي نكون شهودًا صادقين للإله الحي.
[01239-AR.02] [Testo originale: Italiano]
Discorso del Santo Padre all’Incontro per la Pace in Campidoglio
Testo in lingua italiana
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle!
È motivo di gioia e gratitudine a Dio poter incontrare qui in Campidoglio, nel cuore di Roma, illustri Leader religiosi, distinte Autorità e numerosi amici della pace. Abbiamo pregato, gli uni vicino agli altri, per la pace. Saluto il Signor Presidente della Repubblica Italiana, Onorevole Sergio Mattarella. E sono lieto di ritrovarmi con mio fratello, Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo. Apprezzo tanto che, nonostante le difficoltà di viaggio, lui e altre personalità abbiano voluto partecipare a questo incontro di preghiera. Nello spirito dell’Incontro di Assisi, convocato da San Giovanni Paolo II nel 1986, la Comunità di Sant’Egidio celebra annualmente, di città in città, questo avvenimento di preghiera e dialogo per la pace tra credenti di varie religioni.
In quella visione di pace, c’era un seme profetico che, passo dopo passo, grazie a Dio è maturato, con inediti incontri, azioni di pacificazione, nuovi pensieri di fratellanza. Infatti, volgendoci indietro, mentre purtroppo riscontriamo negli anni trascorsi dei fatti dolorosi, come conflitti, terrorismo o radicalismo, a volte in nome della religione, dobbiamo invece riconoscere i passi fruttuosi nel dialogo tra le religioni. È un segno di speranza che ci incita a lavorare insieme come fratelli: come fratelli. Così siamo giunti all’importante Documento sulla Fratellanza per la pace mondiale e la convivenza comune, che ho firmato con il Grande Imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, nel 2019.
Infatti, «il comandamento della pace è inscritto nel profondo delle tradizioni religiose» (Enc. Fratelli tutti [FT], 284). I credenti hanno compreso che la diversità di religione non giustifica l’indifferenza o l’inimicizia. Anzi, a partire dalla fede religiosa si può diventare artigiani di pace e non spettatori inerti del male della guerra e dell’odio. Le religioni sono al servizio della pace e della fraternità. Per questo, anche il presente incontro spinge i leader religiosi e tutti i credenti a pregare con insistenza per la pace, a non rassegnarsi mai alla guerra, ad agire con la forza mite della fede per porre fine ai conflitti.
C’è bisogno di pace! Più pace! «Non possiamo restare indifferenti. Oggi il mondo ha un’ardente sete di pace. In molti Paesi si soffre per guerre, spesso dimenticate, ma sempre causa di sofferenza e povertà» (Discorso nella Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace, Assisi, 20 settembre 2016). Il mondo, la politica, la pubblica opinione rischiano di assuefarsi al male della guerra, come naturale compagna della storia dei popoli. «Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. […] Prestiamo attenzione ai profughi, a quanti hanno subito le radiazioni atomiche e gli attacchi chimici, alle donne che hanno perso i figli, ai bambini mutilati o privati della loro infanzia» (FT, 261). Oggi, i dolori della guerra sono aggravati anche dalla pandemia del Coronavirus e dalla impossibilità, in molti Paesi, di accedere alle cure necessarie.
Intanto, i conflitti continuano, e con essi il dolore e la morte. Mettere fine alla guerra è dovere improrogabile di tutti i responsabili politici di fronte a Dio. La pace è la priorità di ogni politica. Dio chiederà conto, a chi non ha cercato la pace o ha fomentato le tensioni e i conflitti, di tutti i giorni, i mesi, gli anni di guerra che sono passati e che hanno colpito i popoli!
La parola del Signore Gesù si impone per la sua sapienza profonda: «Rimetti la spada al suo posto – Egli dice –, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno» (Mt 26,52). Quanti impugnano la spada, magari credendo di risolvere in fretta situazioni difficili, sperimenteranno su di sé, sui loro cari, sui loro Paesi, la morte che viene dalla spada. «Basta!» (Lc 22,38), dice Gesù quando i discepoli gli mostrano due spade, prima della Passione. “Basta!”: è una risposta senza equivoci verso ogni violenza. Quel “basta!” di Gesù supera i secoli e giunge forte fino a noi oggi: basta con le spade, le armi, la violenza, la guerra!
San Paolo VI, alle Nazioni Unite nel 1965, fece eco a questo appello dicendo: «Mai più la guerra!». Questa è l’implorazione di noi tutti, degli uomini e delle donne di buona volontà. È il sogno di tutti i cercatori e artigiani della pace, ben consapevoli che «ogni guerra rende il mondo peggiore di come l’ha trovato» (FT, 261).
Come uscire da conflitti bloccati e incancreniti? Come sciogliere i nodi aggrovigliati di tante lotte armate? Come prevenire i conflitti? Come pacificare i signori della guerra o quanti confidano nella forza delle armi? Nessun popolo, nessun gruppo sociale potrà conseguire da solo la pace, il bene, la sicurezza e la felicità. Nessuno. La lezione della recente pandemia, se vogliamo essere onesti, è «la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme» (FT, 32).
La fraternità, che sgorga dalla coscienza di essere un’unica umanità, deve penetrare nella vita dei popoli, nelle comunità, tra i governanti, nei consessi internazionali. Così lieviterà la consapevolezza che ci si salva soltanto insieme, incontrandosi, negoziando, smettendo di combattersi, riconciliandosi, moderando il linguaggio della politica e della propaganda, sviluppando percorsi concreti per la pace (cfr FT, 231).
Siamo insieme questa sera, come persone di diverse tradizioni religiose, per comunicare un messaggio di pace. Questo manifesta chiaramente che le religioni non vogliono la guerra, anzi smentiscono quanti sacralizzano la violenza, chiedono a tutti di pregare per la riconciliazione e di agire perché la fraternità apra nuovi sentieri di speranza. Infatti, con l’aiuto di Dio, è possibile costruire un mondo di pace, e così, fratelli e sorelle, salvarci insieme. Grazie.
[01240-IT.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Chers frères et sœurs!
C’est un motif de joie et de gratitude à Dieu de pouvoir rencontrer ici au Capitole, au cœur de Rome, d’illustres leaders religieux, d’éminentes autorités et de nombreux amis de la paix. Nous avons prié, les uns proches des autres, pour la paix. Je salue Monsieur le Président de la République italienne, l’Honorable Sergio Mattarella. Et je suis heureux de me retrouver avec mon frère, Sa Sainteté le Patriarche Œcuménique Bartholomée. J’apprécie tellement que, malgré les difficultés de voyage, lui et d’autres personnalités ont voulu participer à cette rencontre de prière. Dans l’esprit de la Rencontre d’Assise, convoquée par saint Jean-Paul II en 1986, la Communauté de Sant’Egidio célèbre annuellement, de ville en ville, cet évènement de prière et de dialogue pour la paix entre croyants de diverses religions.
Dans cette vision de paix, il y avait une semence prophétique qui, pas à pas, grâce à Dieu a mûri, avec des rencontres inédites, des actions de pacification, de nouvelles pensées de fraternité. En effet, en regardant en arrière, alors que malheureusement nous rencontrons ces dernières années des évènements douloureux comme des conflits, le terrorisme ou le radicalisme, parfois au nom de la religion, nous devons au contraire reconnaître les progrès fructueux dans le dialogue entre les religions. C’est un signe d’espérance qui nous incite à travailler ensemble comme des frères: comme des frères. Ainsi nous sommes arrivés à l’important Document sur la Fraternité humaine pour la paix mondiale et la coexistence commune, que j’ai signé avec le Grand Imam d’Al-Azhar, Ahmed-al-Tayyeb, en 2019.
En effet, «le commandement de la paix est profondément inscrit dans les traditions religieuses» (Enc. Fratelli tutti [FT], n. 284). Les croyants ont compris que la diversité de religion ne justifie pas l’indifférence ou l’inimitié. Mieux, à partir de la foi religieuse nous pouvons devenir des artisans de paix et non des spectateurs inertes du mal de la guerre et de la haine. Les religions sont au service de la paix et de la fraternité. C’est pourquoi même la présente rencontre pousse les leaders religieux et tous les croyants à prier avec insistance pour la paix, à ne jamais se résigner à la guerre, à agir avec la douce force de la foi pour mettre fin aux conflits.
Il y a un besoin de paix! Plus de paix! «Nous ne pouvons pas rester indifférents. Aujourd’hui, le monde a une ardente soif de paix. Dans de nombreux pays on souffre de guerres souvent oubliées, mais qui sont toujours causes de souffrance et de pauvreté» (Discours lors de la Journée Mondiale de Prière pour la Paix, Assise, 20 septembre 2016). Le monde, la politique, l’opinion publique risquent de s’habituer au mal de la guerre, comme une compagne naturelle de l’histoire des peuples. «N’en restons pas aux discussions théoriques, touchons les blessures, palpons la chair des personnes affectées. […] Prêtons attention aux réfugiés, à ceux qui souffrent de radiations atomiques et d’attaques chimiques, aux femmes qui ont perdu leurs enfants, à ces enfants mutilés ou privés de leur jeunesse» (FT, n. 261). Aujourd’hui, les douleurs de la guerre sont aussi aggravées par la pandémie du Coronavirus et par l’impossibilité, dans de nombreux pays, d’accéder aux soins nécessaires.
Pendant ce temps, les conflits continuent, et avec eux la souffrance et la mort. Mettre fin à la guerre est un devoir urgent de tous les responsables politiques devant Dieu. La paix est la priorité de toute politique. Dieu demandera compte à celui qui n’a pas cherché la paix ou a attisé les tensions et les conflits, de tous les jours, les mois, les années de guerre qui sont passés et qui ont frappé les peuples!
La parole du Seigneur Jésus s’impose par sa profonde sagesse: «Rentre ton épée – dit-il –, car tous ceux qui prennent l’épée périront par l’épée» (Mt 26, 52). Ceux qui prennent l’épée, peut-être en croyant résoudre rapidement des situations difficiles, expérimentent sur eux-mêmes, sur leurs proches, sur leurs pays, la mort qui vient de l’épée. «Cela suffit!» (Lc 22, 38), dit Jésus quand les disciples lui montrent deux épées, avant la Passion. “Ça suffit!”: c’est une réponse sans équivoque contre toute violence. Ce “ça suffit!” de Jésus dépasse les siècles et parvient avec force jusqu’à nous aujourd’hui: ça suffit avec les épées, les armes, la violence, la guerre!
Saint Paul VI, aux Nations-Unies en 1965, a fait écho à cet appel en disant: «Plus jamais la guerre!». C’est l’imploration de nous tous, des hommes et des femmes de bonne volonté. C’est le rêve de tous les chercheurs et artisans de la paix, bien conscients que «toute guerre laisse le monde pire que dans l’état où elle l’a trouvé» (FT, n. 261).
Comment sortir de conflits bloqués et gangrenés? Comment dénouer les nœuds enchevêtrés de nombreuses luttes armées? Comment prévenir les conflits? Comment pacifier les seigneurs de la guerre ou ceux qui comptent sur la force des armes? Aucun peuple, aucun groupe social ne pourra atteindre tout seul la paix, le bien, la sécurité et le bonheur. Personne. La leçon de la récente pandémie, si nous voulons être honnêtes, est «la conscience que nous constituons une communauté mondiale qui navigue dans le même bateau, où le mal de l’un porte préjudice à tout le monde. Nous nous sommes rappelés que personne ne se sauve tout seul, qu’il n’est possible de se sauver qu’ensemble» (FT, n. 32).
La fraternité, qui jaillit de la conscience d’être une unique humanité, doit pénétrer dans la vie des peuples, dans les communautés, parmi les gouvernants, dans les enceintes internationales. Ainsi lèvera la conscience qu’on ne se sauve seulement qu’ensemble, en se rencontrant, en négociant, en arrêtant de se combattre, en se réconciliant, en modérant le langage de la politique et de la propagande, en développant des parcours concrets pour la paix (cf. FT, n. 231).
Nous sommes ensemble ce soir comme des personnes de différentes traditions religieuses, pour communiquer un message de paix. Cela manifeste clairement que les religions ne veulent pas la guerre, que bien au contraire elles démentent ceux qui sacralisent la violence, demandent à tous de prier pour la réconciliation et d’agir afin que la fraternité ouvre de nouveaux chemins d’espérance. En effet, avec l’aide de Dieu, il est possible de construire un monde de paix, et ainsi, frères et sœurs, de nous sauver ensemble. Merci.
[01240-FR.02] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Dear Brothers and Sisters,
I rejoice and give thanks to God that here on the Capitoline Hill, in the heart of Rome, I can meet with you, distinguished religious leaders, public authorities and so many friends of peace. At each other’s side, we have prayed for peace. I greet the President of the Italian Republic, the Honourable Sergio Mattarella. I am happy to encounter once more my brother, the Ecumenical Patriarch, His Holiness Bartholomew. I am most grateful that, despite the difficulties of travel these days, he and other leaders wished to take part in this prayer meeting. In the spirit of the Assisi Meeting called by Saint John Paul II in 1986, the Community of Sant’Egidio celebrates annually, in different cities, this moment of prayer and dialogue for peace among believers of various religions.
The Assisi meeting and its vision of peace contained a prophetic seed that by God’s grace has gradually matured through unprecedented encounters, acts of peacemaking and fresh initiatives of fraternity. Although the intervening years have witnessed painful events, including conflicts, terrorism and radicalism, at times in the name of religion, we must also acknowledge the fruitful steps undertaken in the dialogue between the religions. This is a sign of hope that encourages us to continue cooperating as brothers and sisters. In this way, we arrived at the important Document on Human Fraternity for World Peace and Living Together, which I signed with the Grand Imam of Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, in 2019.
Indeed, “the commandment of peace is inscribed in the depths of the religious traditions” (Fratelli Tutti, 284). Believers have understood that religious differences do not justify indifference or enmity. Rather, on the basis of our religious faith we are enabled to become peacemakers, rather than standing passively before the evil of war and hatred. Religions stand at the service of peace and fraternity. For this reason, our present gathering also represents an incentive to religious leaders and to all believers to pray fervently for peace, never resigned to war, but working with the gentle strength of faith to end conflicts.
We need peace! More peace! “We cannot remain indifferent. Today the world has a profound thirst for peace. In many countries, people are suffering due to wars which, though often forgotten, are always the cause of suffering and poverty” (Address to Participants in the World Day of Prayer for Peace, Assisi, 20 January 2016). The world, political life and public opinion all run the risk of growing inured to the evil of war, as if it were simply a part of human history. “Let us not remain mired in theoretical discussions, but touch the wounded flesh of the victims… Let us think of the refugees and displaced, those who suffered the effects of atomic radiation and chemical attacks, the mothers who lost their children, and the boys and girls maimed or deprived of their childhood” (Fratelli Tutti, 261). Today the sufferings of war are aggravated by the suffering caused by the coronavirus and the impossibility, in many countries, of access to necessary care.
In the meantime, conflicts continue, bringing in their wake suffering and death. To put an end to war is a solemn duty before God incumbent on all those holding political responsibilities. Peace is the priority of all politics. God will ask an accounting of those who failed to seek peace, or who fomented tensions and conflicts. He will call them to account for all the days, months and years of war that have passed and been endured by the world’s peoples!
The words Jesus spoke to Peter are incisive and full of wisdom: “Put your sword back into its place; for all who take the sword will perish by the sword” (Mt 26:52). Those who wield the sword, possibly in the belief that it will resolve difficult situations quickly, will know in their own lives, the lives of their loved ones and the lives of their countries, the death brought by the sword. “Enough!” says Jesus (Lk 22:38), when his disciples produce two swords before the Passion. “Enough!” That is his unambiguous response to any form of violence. That single word of Jesus echoes through the centuries and reaches us forcefully in our own time: enough of swords, weapons, violence and war!
Saint Paul VI echoed that word in his appeal to the United Nations in 1965: “No more war!” This is our plea, and that of all men and women of goodwill. It is the dream of all who strive work for peace in the realization that “every war leaves our world worse than it was before” (Fratelli Tutti, 261).
How do we find a way out of intransigent and festering conflicts? How do we untangle the knots so many armed struggles? How do we prevent conflicts? How do we inspire thoughts of peace in warlords and those who rely on the strength of arms? No people, no social group, can single-handedly achieve peace, prosperity, security and happiness. None. The lesson learned from the recent pandemic, if we wish to be honest, is “the awareness that we are a global community, all in the same boat, where one person’s problems are the problems of all. Once more we realized that no one is saved alone; we can only be saved together” (Fratelli Tutti, 32).
Fraternity, born of the realization that we are a single human family, must penetrate the life of peoples, communities, government leaders and international assemblies. This will help everyone to understand that we can only be saved together through encounter and negotiation, setting aside our conflicts and pursuing reconciliation, moderating the language of politics and propaganda, and developing true paths of peace (cf. Fratelli Tutti, 231).
We have gathered this evening, as persons of different religious traditions, in order to send a message of peace. To show clearly that the religions do not want war and, indeed, disown those who would enshrine violence. That they ask everyone to pray for reconciliation and to strive to enable fraternity to pave new paths of hope. For indeed, with God's help, it will be possible to build a world of peace, and thus, brothers and sisters, to be saved together. Thank you.
[01240-EN.02] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Liebe Brüder und Schwestern!
Es ist mir ein Grund zur Freude und ich danke Gott, hier auf dem Kapitol im Herzen Roms den verehrten Religionsführern, den werten Vertretern des öffentlichen Lebens und zahlreichen Freunden des Friedens begegnen zu dürfen. Wir haben Seite an Seite für den Frieden gebetet. Ich begrüße den Präsidenten der Republik Italien Sergio Mattarella. Und ich freue mich, meinen Bruder Seine Heiligkeit den Ökumenischen Patriarchen Bartholomaios erneut zu treffen. Ich weiß es sehr zu schätzen, dass er und andere Persönlichkeiten trotz der erschwerten Reisebedingungen an diesem Gebetstreffen teilnehmen wollten. Im Geiste des vom heiligen Johannes Paul II. im Jahr 1986 einberufenen Treffens von Assisi begeht die Gemeinschaft Sant’Egidio jedes Jahr in einer anderen Stadt diesen Moment des Gebets und Dialogs für den Frieden zwischen den Angehörigen verschiedener Religionen.
Diese Friedensvision trug einen prophetischen Samen in sich, der mit Gottes Gnade nach und nach durch neu entstandene Treffen, Friedensaktionen und ein neues Denken der Geschwisterlichkeit herangereift ist. Denn rückblickend dürfen wir, obschon es in den vergangenen Jahren leider schmerzliche Ereignisse wie Konflikte, Terrorismus oder Radikalismus zuweilen auch im Namen der Religion gab, doch fruchtbare Schritte im Dialog zwischen den Religionen erkennen. Das ist ein Zeichen der Hoffnung, das uns ermutigt, als Brüder und Schwestern zusammenzuarbeiten – als Brüder und Schwestern. So gelangten wir zu dem wichtigen Dokument über die Brüderlichkeit aller Menschen für ein friedliches Zusammenleben in der Welt, das ich 2019 zusammen mit dem Großimam von Al-Azhar Ahmed Al-Tayyeb unterzeichnet habe.
In der Tat ist »das Gebot des Friedens [tief in die] religiösen Traditionen eingeschrieben« (Enzyklika Fratelli tutti, 284). Die Gläubigen haben verstanden, dass die Religionsverschiedenheit keine Rechtfertigung für Gleichgültigkeit oder Feindschaft ist. Im Gegenteil, vom Glauben her können wir zu „Handwerkern“ des Friedens werden und bleiben nicht länger träge Zuschauer des Übels von Krieg und Hass. Die Religionen dienen dem Frieden und der Geschwisterlichkeit. Aus diesem Grund ermutigt auch das heutige Treffen die Religionsführer und alle Gläubigen, beharrlich für den Frieden zu beten, sich niemals mit Krieg abzufinden und mit der sanften Kraft des Glaubens zu handeln, um den Konflikten ein Ende zu setzen.
Wir brauchen Frieden! Mehr Frieden! »Wir dürfen nicht gleichgültig bleiben. Die Welt hat heute einen brennenden Durst nach Frieden. In vielen Ländern leidet man unter Kriegen, die oft ausgeblendet werden, und doch immer Ursache für Leid und Armut sind« (Ansprache beim Weltgebetstag für den Frieden, Assisi, 20. September 2016). Die Welt, die Politik und die öffentliche Meinung laufen Gefahr, sich an das Übel des Krieges als naturgegebenen Begleiter in der Geschichte der Völker zu gewöhnen. »Halten wir uns nicht mit theoretischen Diskussionen auf, sondern treten wir in Kontakt mit den Wunden, berühren wir das Fleisch der Verletzten. […] Achten wir auf die Flüchtlinge, auf diejenigen, die unter atomarer Strahlung oder chemischen Angriffen gelitten haben, auf die Frauen, die ihre Kinder verloren haben, auf die Kinder, die verstümmelt oder ihrer Kindheit beraubt wurden« (Enzyklika Fratelli tutti, 261). Heute werden die Leiden des Krieges auch durch die Covid-19-Pandemie und den in vielen Ländern fehlenden Zugang zu notwendigen Behandlungen noch verschlimmert.
Die Konflikte gehen unterdessen weiter, und mit ihnen Schmerz und Tod. Kriege zu beenden ist eine unaufschiebbare Pflicht aller politischen Verantwortungsträger vor Gott. Frieden ist die oberste Priorität jeder Politik. Gott wird jeden, der den Frieden nicht gesucht oder Spannungen und Konflikte geschürt hat, für alle vergangenen Tage, Monate und Jahre, in denen die Menschen vom Krieg heimgesucht wurden, zur Rechenschaft ziehen!
Das Wort unseres Herrn Jesus Christus besticht durch seine tiefe Weisheit: »Steck dein Schwert in die Scheide» – so sagt er – »denn alle, die zum Schwert greifen, werden durch das Schwert umkommen« (Mt 26,52). Alle, die zum Schwert greifen, vielleicht in der Meinung, schwierige Situationen rasch lösen zu können, werden an sich selbst, an ihren Lieben, an ihren Ländern den Tod durch das Schwert erfahren. »Genug davon!« (Lk 22,38), sagt Jesus, als ihm die Jünger vor seiner Passion zwei Schwerter zeigen. „Genug davon!“: Es ist eine unmissverständliche Antwort gegen jede Gewalt. Dieses „Genug davon!“ Jesu überdauert die Jahrhunderte und ergeht mit Nachdruck auch an uns heute: Genug der Schwerter, der Waffen, der Gewalt! Schluss mit dem Krieg!
Diesen Aufruf griff der heilige Paul VI. im Jahr 1965 bei den Vereinten Nationen auf, als er sagte: »Nie wieder Krieg!« Das ist die flehentliche Bitte von uns allen, Männern und Frauen guten Willens. Es ist der Wunschtraum aller, die den Frieden suchen und aufbauen, da sie sich bewusst sind, dass jeder Krieg die Welt schlechter zurücklässt, als sie vorher war (vgl. Enzyklika Fratelli tutti, 261).
Wie kommen wir aus festgefahrenen Dauerkonflikten heraus? Wie lassen sich die verwickelten Knoten so vieler bewaffneter Kämpfe lösen? Wie können Konflikte verhindert werden? Wie können die Kriegsherren oder diejenigen, die auf die Stärke der Waffen vertrauen, zum Frieden bewegt werden? Kein Volk, keine soziale Gruppierung kann Frieden, Gutes, Sicherheit und Glück allein erreichen. Niemand. Die Lektion der jüngsten Pandemie besteht darin, wenn wir ehrlich sein wollen, dass sie »das Bewusstsein geweckt [hat], eine weltweite Gemeinschaft in einem Boot zu sein, wo das Übel eines Insassen allen zum Schaden gereicht. Uns wurde bewusst, dass keiner sich allein retten kann, dass man nur Hilfe erfährt, wo andere zugegen sind« (Enzyklika Fratelli tutti, 32).
Die Geschwisterlichkeit, die aus der Gewissheit erwächst, dass wir alle der einen Menschheit angehören, muss das Leben der Völker, die Gemeinschaften, Regierenden und internationalen Vereinigungen durchdringen. Auf diese Weise wird sie das Bewusstsein fördern, dass wir uns nur gemeinsam retten, wenn wir nämlich einander begegnen, miteinander verhandeln, aufhören uns gegenseitig zu bekämpfen, uns versöhnen, die Sprache der Politik und der Propaganda mäßigen und konkrete Wege zum Frieden entwickeln (vgl. Enzyklika Fratelli tutti, 231).
Wir sind heute Abend zusammengekommen, um als Menschen unterschiedlicher religiöser Traditionen eine Botschaft des Friedens auszusenden. So wird deutlich, dass die Religionen keinen Krieg wollen, sondern vielmehr alle, die die Gewalt religiös zu verklären suchen, Lügen strafen; sie bitten alle, für die Versöhnung zu beten und entsprechend zu handeln, damit die Geschwisterlichkeit neue Pfade der Hoffnung eröffnet. Denn mit Gottes Hilfe ist es möglich, eine Welt des Friedens aufzubauen und so, liebe Brüder und Schwestern, gemeinsam Rettung zu erlangen. Danke!
[01240-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Queridos hermanos y hermanas:
Es motivo de alegría y gratitud a Dios poder encontrar aquí en el Campidoglio, en el corazón de Roma, ilustres líderes religiosos, distinguidas Autoridades y numerosos amigos de la paz. Hemos rezado unos por otros por la paz. Saludo al señor Presidente de la República Italiana, honorable Sergio Mattarella. Y me alegra encontrarme de nuevo con mi hermano, Su Santidad el Patriarca Ecuménico Bartolomé. Realmente aprecio que, a pesar de las dificultades del viaje, él y otras personalidades hayan deseado participar en este momento de oración. En el espíritu del encuentro de Asís, convocado por san Juan Pablo II en 1986, la Comunidad de San Egidio celebra anualmente, de ciudad en ciudad, este evento de oración y diálogo por la paz entre creyentes de diversas religiones.
En esa visión de paz había una semilla profética que, paso a paso, gracias a Dios ha ido madurando con encuentros inéditos, acciones de pacificación y nuevas ideas de fraternidad. De hecho, mirando hacia atrás, aunque lamentablemente nos encontramos en los últimos años con acontecimientos dolorosos, como conflictos, terrorismo o radicalismo, a veces en nombre de la religión, debemos reconocer los pasos fructuosos en el diálogo entre las religiones. Es un signo de esperanza que nos anima a trabajar juntos como hermanos: como hermanos. Así hemos llegado al importante Documento sobre la Fraternidad humana por la paz mundial y la convivencia común, que firmé con el Gran Imán de al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, en el año 2019.
De hecho, «el mandamiento de la paz está inscrito en lo profundo de las tradiciones religiosas» (Carta enc. Fratelli tutti, 284). Los creyentes han entendido que la diversidad de religiones no justifica la indiferencia o la enemistad. En efecto, partiendo de la fe religiosa, uno puede convertirse en artesano de la paz y no en espectador inerte del mal de la guerra y del odio. Las religiones están al servicio de la paz y la fraternidad. Por eso, el presente encuentro también impulsa a los líderes religiosos y a todos los creyentes a rezar con insistencia por la paz, a no resignarse nunca a la guerra, a actuar con la fuerza apacible de la fe para poner fin a los conflictos.
¡Necesitamos la paz! ¡Más paz! «No podemos permanecer indiferentes. Hoy el mundo tiene una ardiente sed de paz. En muchos países se sufre por las guerras, con frecuencia olvidadas, pero que son siempre causa de sufrimiento y de pobreza» (Discurso en la Jornada Mundial de Oración por la Paz, Asís, 20 septiembre 2016). El mundo, la política, la opinión pública corren el riesgo de acostumbrarse al mal de la guerra, como compañero natural en la historia de los pueblos. «No nos quedemos en discusiones teóricas, tomemos contacto con las heridas, toquemos la carne de los perjudicados. […] Prestemos atención a los prófugos, a los que sufrieron radiación atómica y los ataques químicos, a las mujeres que perdieron sus hijos, a los niños mutilados o privados de su infancia» (FT, 261). En la actualidad, los dolores de la guerra también se ven agravados por la pandemia del coronavirus y la imposibilidad, en muchos países, de acceder a los tratamientos necesarios.
Mientras tanto, los conflictos continúan, y con ellos el dolor y la muerte. Poner fin a la guerra es el deber impostergable de todos los líderes políticos ante Dios. La paz es la prioridad de cualquier política. Dios le pedirá cuentas a quienes no han buscado la paz o han fomentado las tensiones y los conflictos durante tantos días, meses y años de guerra que han pasado y que han golpeado a los pueblos.
La palabra del Señor Jesús se impone por su sabiduría profunda: «Envaina la espada —Él dice—: que todos los que empuñan espada, a espada morirán» (Mt 26,52). Aquellos que acometen con la espada, quizás creyendo que resolverán rápidamente situaciones difíciles, experimentarán la muerte que viene de la espada sobre sí mismos, sobre sus seres queridos, sobre sus países. «¡Basta!» (Lc 22,38), dice Jesús cuando los discípulos le mostraron dos espadas, antes de la Pasión. «¡Basta!»: es una respuesta inequívoca a toda violencia. Ese «¡basta!» de Jesús supera los siglos y llega con su fuerza hasta nosotros hoy: ¡basta de espadas, de armas, de violencia, de guerra!
San Pablo VI repitió este llamamiento a las Naciones Unidas en 1965, afirmando: «¡Nunca jamás guerra!». Esta es la súplica de todos nosotros, hombres y mujeres de buena voluntad. Es el sueño de todos los artesanos y buscadores de la paz, conscientes de que «toda guerra deja al mundo peor que como lo había encontrado» (FT, 261).
¿Cómo salir de conflictos estancados y gangrenosos? ¿Cómo desatar los nudos enredados de tantas luchas armadas? ¿Cómo prevenir conflictos? ¿Cómo pacificar a los señores de la guerra o a los que confían en la fuerza de las armas? Ningún pueblo, ningún grupo social puede por sí solo lograr la paz, el bien, la seguridad y la felicidad. Ninguno. La lección de la reciente pandemia, si deseamos ser honestos, es «la consciencia de ser una comunidad mundial que navega en una misma barca, donde el mal de uno perjudica a todos. Recordamos que nadie se salva solo, que únicamente es posible salvarse juntos» (FT, 32).
La fraternidad, que nace de la conciencia de ser una sola humanidad, debe penetrar en la vida de los pueblos, en las comunidades, entre los gobernantes, en los foros internacionales. De esta manera, aumentará la conciencia de que sólo podemos salvarnos juntos encontrándonos, tratándonos, evitando las peleas, reconciliándonos, moderando el lenguaje de la política y de la propaganda, desarrollando caminos concretos para la paz (cf. FT, 231).
Estamos juntos esta tarde, como personas de diferentes tradiciones religiosas, para comunicar un mensaje de paz. Esto muestra claramente que las religiones no quieren la guerra, al contrario, desenmascaran a quienes sacralizan la violencia, piden a todos que recen por la reconciliación y que actúen para que la fraternidad abra nuevos caminos de esperanza. De hecho, con la ayuda de Dios, es posible construir un mundo de paz y así, hermanos y hermanas, salvarnos juntos. Muchas gracias.
[01240-ES.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Queridos irmãos e irmãs!
É motivo de alegria e gratidão a Deus poder encontrar aqui no Capitólio, no coração de Roma, ilustres líderes religiosos, distintas autoridades e numerosos amigos da paz. Rezamos, uns próximos dos outros, pela paz. Saúdo o Presidente da República Italiana, Senhor Sérgio Mattarella. E estou feliz por me encontrar com o meu irmão, Sua Santidade o Patriarca Ecuménico Bartolomeu. Muito aprecio o facto de que ele e outras personalidades, não obstante as dificuldades de viajar, tenham querido participar neste encontro de oração. No espírito do Encontro de Assis, convocado por São João Paulo II em 1986, a Comunidade de Santo Egídio celebra anualmente, de cidade em cidade, este evento de oração e diálogo em prol da paz entre crentes de várias religiões.
Naquela visão de paz, havia uma semente profética que, graças a Deus, foi amadurecendo, passo a passo, com encontros inéditos, iniciativas de pacificação, novos pensamentos de fraternidade. Com efeito, olhando para trás, ao mesmo tempo que nos deparamos infelizmente, nos anos passados, com factos dolorosos como conflitos, terrorismo ou radicalismo, às vezes em nome da religião, temos também de reconhecer os passos frutuosos no diálogo entre as religiões. É um sinal de esperança que nos incita a trabalhar juntos como irmãos: como irmãos. Assim chegamos ao importante Documento sobre a Fraternidade Humana em prol da Paz Mundial e da Convivência Comum, que assinei com o Grande Imã de al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, em 2019.
De facto, «o mandamento da paz está inscrito nas profundezas das tradições religiosas» (Francisco, Enc. Fratelli tutti, 284; em seguida, FT). Os crentes compreenderam que a diversidade de religião não justifica a indiferença nem a inimizade. Antes pelo contrário, a partir da fé religiosa, é possível tornar-se artesãos de paz e não espectadores inertes do mal da guerra e do ódio. As religiões estão ao serviço da paz e da fraternidade. Por isso, também este encontro impele os líderes religiosos e todos os crentes a rezarem insistentemente pela paz, não se resignarem jamais com a guerra e agirem mediante a força suave da fé para pôr fim aos conflitos.
Há necessidade de paz! Mais paz! «Não podemos ficar indiferentes. Hoje o mundo tem uma sede ardente de paz. Em muitos países, sofre-se por guerras, tantas vezes esquecidas, mas sempre causa de sofrimento e pobreza» (Francisco, Discurso no Dia Mundial de Oração pela Paz, Assis, 20/IX/2016). O mundo, a política, a opinião pública correm o risco de habituar-se ao mal da guerra, como companheira natural da história dos povos. «Não fiquemos em discussões teóricas, tomemos contacto com as feridas, toquemos a carne de quem paga os danos. (...) Prestemos atenção aos prófugos, àqueles que sofreram radiações atómicas e os ataques químicos, às mulheres que perderam os filhos, às crianças mutiladas ou privadas da sua infância» (FT, 261). Hoje, as tribulações da guerra são agravadas também pela pandemia do Coronavírus e pela impossibilidade, em muitos países, de se ter acesso aos tratamentos necessários.
Entretanto os conflitos continuam e, com eles, o sofrimento e a morte. Pôr fim à guerra é dever inadiável de todos os responsáveis políticos perante Deus. A paz é a prioridade de qualquer política. Deus pedirá contas a quem não procurou a paz ou fomentou as tensões e os conflitos, de todos os dias, meses, anos de guerra que passaram assolando os povos.
Há uma palavra do Senhor Jesus que se impõe pela sua profunda sabedoria: «Mete a tua espada na bainha – diz Ele –, pois todos quantos se servirem da espada morrerão à espada» (Mt 26, 52). Quantos empunham a espada, crendo talvez que resolvem rapidamente situações difíceis, experimentarão em si mesmos, nos seus entes queridos, nos seus países a morte que vem da espada. «Basta!» (Lc 22, 38): diz Jesus, quando os discípulos Lhe mostram duas espadas antes da Paixão. «Basta!»: é uma resposta inequívoca a toda a violência. Aquele «basta» de Jesus atravessa os séculos e chega, forte, até nós hoje: basta com as espadas, as armas, a violência, a guerra!
Em 1965, nas Nações Unidas, São Paulo VI deu eco a este apelo quando afirmou: «Nunca mais a guerra!». Esta é a súplica de todos nós, dos homens e mulheres de boa vontade. É o sonho de todos os indagadores e artesãos da paz, bem cientes de que «toda a guerra deixa o mundo pior do que o encontrou» (FT, 261).
Como sair de conflitos intermináveis e gangrenados? Como desenvencilhar os nós emaranhados de tantas lutas armadas? Como prevenir os conflitos? Como pacificar os senhores da guerra ou quantos confiam na força das armas? Nenhum povo, nenhum grupo social pode alcançar, sozinho, a paz, o bem, a segurança e a felicidade. Ninguém. A lição da pandemia atual, se quisermos ser honestos, é «a consciência de sermos uma comunidade mundial que viaja no mesmo barco, onde o mal de um prejudica a todos. Recordamo-nos de que ninguém se salva sozinho, que só é possível salvar-nos juntos» (FT, 32).
A fraternidade, que brota da consciência de sermos uma única humanidade, deve penetrar na vida dos povos, nas comunidades, no íntimo dos governantes, nos foros internacionais. Deste modo, fará crescer a consciência de que só nos salvamos juntos, encontrando-nos, negociando, desistindo de combater-nos, reconciliando-nos, moderando a linguagem da política e da propaganda, desenvolvendo percursos concretos para a paz (cf. FT, 231).
Estamos juntos, nesta tarde, como pessoas de diferentes tradições religiosas, para comunicar uma mensagem de paz. Isto mostra claramente que as religiões não querem a guerra; pelo contrário, desmentem quem sacraliza a violência, pedem a todos que rezem pela reconciliação e atuem para que a fraternidade abra novas sendas de esperança. De facto, com a ajuda de Deus, é possível construir um mundo de paz e, assim, irmãos e irmãs, salvarmo-nos juntos. Obrigado!
[01240-PO.02] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Drodzy bracia i siostry!
Cieszę się i jestem wdzięczny Bogu, że mogę się spotkać tutaj, na Kapitolu, w sercu Rzymu, z wybitnymi przywódcami religijnymi, szanownymi przedstawicielami władz i licznymi przyjaciółmi pokoju. Modliliśmy się, jedni obok drugich w intencji pokoju. Pozdrawiam Prezydenta Republiki Włoskiej, szanownego pana Sergio Mattarellę. I cieszę się ze spotkania z moim Bratem, Jego Świątobliwością Patriarchą Ekumenicznym Bartłomiejem. Bardzo sobie cenię, że pomimo trudności w podróżowaniu, on oraz inne osobistości zechciały uczestniczyć w tym spotkaniu modlitewnym. W duchu spotkania w Asyżu, zwołanego przez św. Jana Pawła II w 1986 r., Wspólnota Świętego Idziego celebruje, od miasta do miasta, to doroczne wydarzenie modlitwy i dialogu na rzecz pokoju między wyznawcami różnych religii.
W tej wizji pokoju zawarte było prorocze ziarno, które krok po kroku, dzięki Bogu, dojrzewało, wraz z nowymi spotkaniami, działaniami na rzecz pokoju, nowymi myślami o braterstwie. Istotnie, kiedy spoglądamy wstecz, choć niestety dostrzegamy w minionych latach wydarzenia bolesne, takie jak konflikty, terroryzm czy radykalizm, do których dochodziło niekiedy w imię religii, to powinniśmy jednak uznać owocne kroki w dialogu między religiami. Jest to znak nadziei, który pobudza nas, byśmy współpracowali jako bracia: jako bracia. W ten sposób doszliśmy do ważnego Dokumentu o Braterstwie dla Pokoju Światowego i Współistnienia, który podpisałem z Wielkim Imamem al-Azhar, Ahmedem al-Tayyebem, w 2019 roku.
Istotnie, „przykazanie pokoju jest głęboko wpisane w reprezentowane przez nas tradycje religijne” (Enc. Fratelli tutti [FT], n. 284). Ludzie wierzący zrozumieli, że różnorodność religii nie usprawiedliwia obojętności czy wrogości. Wręcz przeciwnie, wychodząc z wiary religijnej możemy stać się budowniczymi pokoju, a nie biernymi obserwatorami zła wojny i nienawiści. Religie służą pokojowi i braterstwu. Z tego powodu również niniejsze spotkanie pobudza przywódców religijnych i wszystkich ludzi wierzących do usilnej modlitwy w intencji pokoju, by nigdy nie pogodzić się z wojną, aby działać z łagodną mocą wiary na rzecz położenia kresu konfliktom.
Potrzeba pokoju! Więcej pokoju! „Nie możemy pozostać obojętnymi. Dziś świat gorąco pragnie pokoju. W wielu krajach ludzie cierpią z powodu wojen, często zapomnianych, ale zawsze są one przyczyną cierpienia i biedy” (Przemówienie z okazji Światowego Dnia Modlitwy o Pokój, Asyż, 20 września 2016 r.). Światu, polityce i opinii publicznej grozi przyzwyczajenie się do zła wojny, jako naturalnego towarzysza dziejów narodów. „Nie poprzestawajmy na dyskusjach teoretycznych, pochylajmy się nad ranami, dotykajmy ciała tych, którzy zostali poszkodowani. [...] Zwróćmy uwagę na uchodźców, na tych, którzy ucierpieli na skutek promieniowania atomowego i ataków chemicznych, na kobiety, które straciły swoje dzieci, na dzieci okaleczone lub pozbawione swego dzieciństwa” (FT, 261). Dzisiaj cierpienia wojny spotęgowały się również z powodu pandemii koronawirusa i niemożności dostępu w wielu krajach do niezbędnej opieki zdrowotnej.
Tymczasem konflikty trwają nadal, a wraz z nimi cierpienie i śmierć. Wszyscy przywódcy polityczni mają wobec Boga bezwzględny obowiązek położenia kresu wojnie. Pokój jest priorytetem wszelkiej polityki. Od tych, którzy nie dążyli do pokoju lub podsycali napięcia i konflikty, Bóg będzie domagał się zdania sprawy z każdego dnia, każdego miesiąca, z lat wojny, które minęły i które dotknęły narody!
Narzuca się ze swoją głęboką mądrością słowo Pana Jezusa, który mówi: „Schowaj miecz swój do pochwy, bo wszyscy, którzy za miecz chwytają, od miecza giną” (Mt 26,52). Ci, którzy chwytają za miecz, sądząc być może, iż potrafią szybko rozwiązywać trudne sytuacje, doświadczą na sobie, na swoich bliskich, na swoich krajach, śmierci, która wywodzi się z miecza. „Wystarczy!” (Łk 22, 38), mówi Jezus, gdy uczniowie pokazują mu dwa miecze, przed Męką. „Wystarczy!”: to jednoznaczna odpowiedź na wszelką przemoc. To Jezusowe „wystarczy!” wykracza poza wieki i dociera do nas dziś z całą mocą: dość już mieczy, broni, przemocy, wojny!
Paweł VI w ONZ w 1965 r. powtórzył ten apel, mówiąc: „Nigdy więcej wojny!”. Jest to błaganie nas wszystkich, mężczyzn i kobiet dobrej woli. Jest to marzenie wszystkich dążących do pokoju i budujących pokój, świadomych, że „każda wojna pozostawia świat w gorszej sytuacji, niż go zastała” (FT, 261).
Jak się wydobyć ze skostniałych i zdegenerowanych konfliktów? Jak rozwiązać splątane węzły wielu walk zbrojnych? Jak zapobiegać konfliktom? Jak ujarzmić przywódców wojskowych lub tych, którzy ufają w siłę broni? Żaden naród, żadna grupa społeczna nie jest w stanie o własnych siłach osiągnąć pokoju, dobra, bezpieczeństwa i szczęścia. Nikt. Lekcja niedawnej pandemii, jeśli zechcemy być szczerzy, uczy nas „świadomości, że jesteśmy światową wspólnotą, płynącą na tej samej łodzi, w której nieszczęście jednego szkodzi wszystkim. Pamiętamy, że nikt nie ocala się sam, że można się ocalić tylko razem” (FT, 32).
Braterstwo wypływające ze świadomości, że jesteśmy jedną ludzkością musi przeniknąć życie ludzi, wspólnot, rządzących i forów międzynarodowych. W ten sposób wzrośnie poczucie, że możemy ocalić się tylko razem, poprzez spotkania, negocjacje, zaprzestanie walki, jednając się ze sobą, łagodząc język polityki i propagandy, rozwijając konkretne drogi na rzecz pokoju (por. FT, 231).
Dziś wieczorem jesteśmy razem, jako osoby o różnych tradycjach religijnych, aby przekazać orędzie pokoju. Ukazuje to jasno, że religie nie chcą wojny; wręcz przeciwnie, zadają kłam tym, którzy sakralizują przemoc, proszą wszystkich o modlitwę o pojednanie i o działanie, aby wspólnota braterska mogła otworzyć nowe drogi nadziei. Istotnie, z Bożą pomocą, możliwe jest budowanie świata pokoju, a tym samym, bracia i siostry, wspólne ocalenie siebie. Dziękuję.
[01240-PL.02] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
كلمة قداسة البابا فرنسيس
خلال اللقاء من أجل السلام
الثلاثاء 20 تشرين الأول / أكتوبر 2020
كامبيدوليو – روما
أيها الإخوة والأخوات الأعزّاء،
لَمِن دواعي سروري وامتناني لله أن ألتقي هنا في كامبيدوليو، وسط روما، قادةً روحيّين بارزين، وسلطات كريمة، وعديدًا من أصدقاء السلام. لقد صلّينا من أجل السلام، جنبًا إلى جنب. أحيّي فخامة رئيس الجمهورية الإيطالية، السيّد سيرجيو ماتاريلا. ويسعدني أن ألتقي أخي قداسة البطريرك المسكوني برثلماوس. وأقدّر حقًّا أنه على الرغم من صعوبات السفر، قد أراد مع شخصيّات أخرى، المشاركةَ في لقاء الصلاة هذا. بروح لقاء أسيزي، الذي دعا إليه القدّيس يوحنّا بولس الثاني عام 1986، تحتفل جماعة Sant’Egidio (القدّيس جايلز) سنويًا، من مدينة إلى أخرى، بحدث صلاة وحوار من أجل السلام، يجمع بين مؤمنين من مختلف الأديان.
كانت هناك بذرة نبويّة في رؤية السلام تلك، وقد نضجت بنعمة الله، خطوة بعد خطوة، من خلال لقاءات غير مسبوقة، وأعمال سلميّة، وفكر أخويّ جديد. في الواقع، إذا نظرنا إلى الوراء، نرى للأسف أحداثًا مؤلمة في السنوات الماضية، مثل النزاعات أو الإرهاب أو التطرّف، وأحيانًا باسم الدين، ولكن علينا في الوقت نفسه أن نعترف بالخطوات المثمرة التي تمّت في مسيرة الحوار بين الأديان. إنها علامة رجاء تشجّعنا على العمل معًا كإخوة: كإخوة. فبهذه الطريقة توصّلنا إلى الوثيقة المهمّة التي وقّعتها مع فضيلة الإمام الأكبر الدكتور أحمد الطيب، عام 2019، وثيقة الأخوّة الإنسانية من أجل السلام العالميّ والتعايش المشترك.
في الوقع، إن "وصيّة السلام منقوشة في أعماق التقاليد الدينية التي نمثّلها" (الرسالة العامة Fratelli Tutti عدد 284). وقد فهم المؤمنون أن تنوّع الأديان لا يبرّر اللامبالاة أو العداء. لا بل يمكننا أن نصبح، انطلاقًا من إيماننا، صانعي سلام وليس متفرّجين خاملين لشرّ الحرب والكراهية. فالأديان هي في خدمة السلام والأخوّة. ولذا فإنّ هذا اللقاء أيضًا يدفع القادة الدينيّين وجميع المؤمنين للصلاة بإصرار من أجل السلام، ولعدم الاستسلام للحرب، وللعمل بقوّة الإيمان الوديعة لوضع حدّ للنزاعات.
هناك حاجة إلى السلام! المزيد من السلام! "لا يمكننا البقاء غير مبالين. فالعالم ظمآن للسلام. الناس تعاني من الحروب في الكثير من البلدان، وهي حروب غالبًا ما تكون منسيّة، ولكنها تسبّب دومًا الألمَ والفقر" (خطاب البابا بمناسبة اليوم العالمي للصلاة من أجل السلام، أسيزي، 20 أيلول/سبتمبر 2016). قد يتكيّف العالم والسياسة والرأي العام على شرّ الحرب كرفيق طبيعي في تاريخ الشعوب. "لا يمكننا أن نبقى في مناقشات نظريّة، بل دعونا نتحسّس الجراح، ونلمس جسد الجرحى. [...] دعونا نهتمّ باللاجئين، بأولئك الذين عانوا من الإشعاع الذرّي والهجمات الكيميائية، والنساء اللواتي فقدن أبناءَهن، والأطفال المشوّهين أو المحرومين من طفولتهم" (الرسالة العامة Fratelli Tutti عدد، 261). تتفاقم اليوم آلامُ الحرب أيضًا بسبب جائحة فيروس كورونا وعدم التمكّن، في العديد من البلدان، من الحصول على العلاجات اللازمة.
في غضون ذلك، تستمرّ الصراعات ومعها الألم والموت. إن وضع حدّ للحرب هو واجب يتحتّم على جميع المسؤولين السياسيّين أمام الله. والسلام هو أولويّة كلّ سياسة. فسوف يحاسبُ الله مَن لم يسعى إلى السلام أو مَن أثار التوتّرات والصراعات، وعلى ما مضى من أيّام وشهور وسنين للحرب التي عصفت بالشعوب!
إن كلمة الربّ يسوع تفرض نفسها بفعل حكمتها العميقة: "إِغمِدْ سيفَك [قال يسوع]، فكُلُّ مَن يَأخُذُ بِالسَّيف بِالسَّيفِ يَهلِك" (متى 26، 52). فالذين يحملون السيف، اعتقادًا منهم أنهم سيحلّون سريعًا الأوضاعَ الصعبة، سوف يختبرون الموت المتأتّي من السيف، لأنفسهم ولأحبّائهم، ولبلدانهم. "كفى!" (لو 22، 38) قال يسوع عندما أظهر له التلاميذ سيفين قبل الآلام. "كفى!": هو ردّ، لا لبس فيه، على جميع أشكال العنف. "كفى!"، نداء يسوع هذا يتجاوز القرون ويصل إلينا اليوم بقوّة: كفى سيوفًا وأسلحةً وعنفًا وحربًا!
وقد ردّد القدّيس بولس السادس، في الأمم المتّحدة عام 1965، هذا النداء بقوله: "لا حرب بعد الآن!". هذا هو نداؤنا جميعًا، نداء جميع الرجال والنساء ذوي النوايا الحسنة. إنه حلم كلّ الساعين إلى السلام وكلّ صانعي السلام الذين يدركون جيدًا أن "كلّ حرب تترك العالم أسوأ ممّا كان عليه قبلها" (Fratelli Tutti، عدد 261).
ما هو المخرج من الصراعات العالقة والفاسدة؟ كيف يمكن فكّ عقد الصراعات المسلّحة العديدة المتشابكة؟ كيف يمكن تجنّب النزاعات؟ كيف يمكن تهدئة أسياد الحرب أو جميع الذين يضعون ثقتهم في قوّة السلاح؟ لا يستطيع أيّ شعب أو مجموعة اجتماعية أن يحقّق بمفرده السلامَ والخير والأمن والسعادة. لا أحد. إن الدرس الذي لقّنتنا إيّاه الجائحة الأخيرة، بصراحة، هو الإدراك "بأننا مجتمع عالميّ يركِب الزورقَ نفسه، حيث ضرر فرد واحد يصيب الجميع. نذكّر أنّ ما من أحد يَخلُص وحده، وأنه لا يمكننا أن نخلص إلّا مجتمعين" (Fratelli Tutti، 32).
فالأخوّة، التي تنبع من وعينا بأننا بشريّة واحدة، يجب أن تخترق حياة الشعوب والجماعات، وتجمع بين الحكّام وتسود المحافل الدوليّة. وبهذه الطريقة يختمر وَعيُنا بأنه لا يمكننا أن نَخلُص إلّا معًا، عبر اللقاء والتفاوض، والتخلّي عن التقاتل، ومن خلال المصالحة، وتبنيّ لغة معتدلة في السياسة ودعايتها، وتطوير مسارات ملموسة للسلام (را. Fratelli Tutti، عدد 231).
اجتمعنا معًا في هذا المساء، بصفتنا أشخاص ينتمون إلى مختلف التقاليد الدينيّة، ولكي نوصّل رسالةَ سلام. وهذا يدلّ بوضوح على أن الأديان لا تريد الحرب، بل على العكس، تَنكُر من يُلبِس العنفَ حلّةً مقدّسة، وتطلب من الجميع الصلاةَ من أجل المصالحة والعملَ حتى تفتح الأخوّة دروبَ رجاءٍ جديدة. يمكننا في الواقع، بمعونة الله، أن نبني عالمًا يسوده السلام، وبالتالي، أيها الإخوة والأخوات، أن نَخلُص معًا
[01240-AR.01] [Testo originale: Italiano]
Appello di Pace
Testo in lingua italiana
Traduzione in lingua francese
Traduzione in lingua inglese
Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Traduzione in lingua polacca
Traduzione in lingua araba
Testo in lingua italiana
Convenuti a Roma nello “spirito di Assisi”, spiritualmente uniti ai credenti di tutto il mondo e alle donne e agli uomini di buona volontà, abbiamo pregato gli uni accanto agli altri per implorare su questa nostra terra il dono della pace. Abbiamo ricordato le ferite dell’umanità, abbiamo nel cuore la preghiera silenziosa di tanti sofferenti, troppo spesso senza nome e senza voce. Per questo ci impegniamo a vivere e a proporre solennemente ai responsabili degli Stati e ai cittadini del mondo questo Appello di Pace.
In questa piazza del Campidoglio, poco dopo il più grande conflitto bellico che la storia ricordi, le Nazioni che si erano combattute strinsero un Patto, fondato su un sogno di unità, che si è poi realizzato: l’Europa unita. Oggi, in questo tempo di disorientamento, percossi dalle conseguenze della pandemia di Covid-19, che minaccia la pace aumentando le diseguaglianze e le paure, diciamo con forza: nessuno può salvarsi da solo, nessun popolo, nessuno!
Le guerre e la pace, le pandemie e la cura della salute, la fame e l’accesso al cibo, il riscaldamento globale e la sostenibilità dello sviluppo, gli spostamenti di popolazioni, l’eliminazione del rischio nucleare e la riduzione delle disuguaglianze non riguardano solo le singole nazioni. Lo capiamo meglio oggi, in un mondo pieno di connessioni, ma che spesso smarrisce il senso della fraternità. Siamo sorelle e fratelli, tutti! Preghiamo l’Altissimo che, dopo questo tempo di prova, non ci siano più “gli altri”, ma un grande “noi” ricco di diversità. È tempo di sognare di nuovo con audacia che la pace è possibile, che la pace è necessaria, che un mondo senza guerre non è un’utopia. Per questo vogliamo dire ancora una volta: “Mai più la guerra!”.
Purtroppo, la guerra è tornata a sembrare a molti una via possibile per la soluzione delle controversie internazionali. Non è così. Prima che sia troppo tardi, vogliamo ricordare a tutti che la guerra lascia sempre il mondo peggiore di come l’ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità.
Ci appelliamo ai governanti, perché rifiutino il linguaggio della divisione, supportata spesso da sentimenti di paura e di sfiducia, e non s’intraprendano vie senza ritorno. Guardiamo insieme alle vittime. Ci sono tanti, troppi conflitti ancora aperti.
Ai responsabili degli Stati diciamo: lavoriamo insieme ad una nuova architettura della pace. Uniamo le forze per la vita, la salute, l’educazione, la pace. È arrivato il momento di utilizzare le risorse impiegate per produrre armi sempre più distruttive, fautrici di morte, per scegliere la vita, curare l’umanità e la nostra casa comune. Non perdiamo tempo! Cominciamo da obiettivi raggiungibili: uniamo già oggi gli sforzi per contenere la diffusione del virus finché non avremo un vaccino che sia idoneo e accessibile a tutti. Questa pandemia ci sta ricordando che siamo sorelle e fratelli di sangue.
A tutti i credenti, alle donne e agli uomini di buona volontà, diciamo: facciamoci con creatività artigiani della pace, costruiamo amicizia sociale, facciamo nostra la cultura del dialogo. Il dialogo leale, perseverante e coraggioso è l’antidoto alla sfiducia, alle divisioni e alla violenza. Il dialogo scioglie in radice le ragioni delle guerre, che distruggono il progetto di fratellanza inscritto nella vocazione della famiglia umana.
Nessuno può sentirsi chiamato fuori. Siamo tutti corresponsabili. Tutti abbiamo bisogno di perdonare e di essere perdonati. Le ingiustizie del mondo e della storia si sanano non con l’odio e la vendetta, ma con il dialogo e il perdono.
Che Dio ispiri questi ideali in tutti noi e questo cammino che facciamo insieme, plasmando i cuori di ognuno e facendoci messaggeri di pace.
Roma, Campidoglio, 20 ottobre 2020.
[01242-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
Réunis à Rome dans "l’esprit d’Assise", spirituellement unis aux croyants du monde entier ainsi qu’aux femmes et aux hommes de bonne volonté, nous avons prié les uns aux côtés des autres pour implorer sur notre terre le don de la paix. Nous avons évoqué les blessures de l’humanité, nous avons dans le cœur la prière silencieuse de nombreux souffrants, très souvent sans nom et sans voix. C’est pourquoi nous nous engageons à vivre et à proposer solennellement aux responsables des Etats et aux citoyens du monde cet Appel à la Paix.
Sur cette place du Capitole, peu après le plus grand conflit belliqueux dont l’histoire se rappelle, les Nations qui s’étaient combattues nouèrent un Pacte, fondé sur un rêve d’unité, qui s’est ensuite réalisé: l’Europe unie. Aujourd’hui, en ce temps de désorientation, frappés par les conséquences de la pandémie de la Covid-19, qui menace la paix en augmentant les inégalités et les peurs, nous disons avec force: personne ne peut se sauver tout seul, aucun peuple, personne!
Les guerres et la paix, les pandémies et le soin sanitaire, la faim et l’accès à la nourriture, le réchauffement global et le développement durable, les déplacements de populations, l’élimination du risque nucléaire et la réduction des inégalités ne concernent pas seulement chaque nation en particulier. Nous le comprenons mieux aujourd’hui, dans un monde plein de connexions, mais qui souvent perd le sens de la fraternité. Nous sommes sœurs et frères, tous! Prions le Très-Haut afin que, après ce temps d’épreuve, il n’y ait plus "les autres", mais un grand "nous" riche de diversité. Il est temps de rêver de nouveau avec audace que la paix est possible, que la paix est nécessaire, qu’un monde sans guerres n’est pas une utopie. C’est pourquoi nous voulons dire une fois encore: "Jamais plus la guerre!"
Malheureusement, la guerre semble être devenue pour bon nombre de personnes une voie possible pour la solution aux différends internationaux. Ce n’est pas ainsi. Avant qu’il ne soit trop tard, nous voulons rappeler à tous que la guerre laisse le monde pire qu’il ne l’a trouvé. La guerre est une défaite de la politique et de l’humanité.
Nous faisons appel aux gouvernants, afin qu’ils refusent le langage de la division encouragée souvent par des sentiments de peur et de manque de confiance, et qu’ils n’empruntent pas des voies sans retour. Regardons ensemble les victimes. Il y a tant, trop de conflits encore ouverts.
Aux responsables des Etats nous disons: œuvrons ensemble en vue d’une nouvelle architecture de la paix. Unissons les forces pour la vie, la santé, l’éducation, la paix. Le moment est venu d’utiliser les ressources employées pour produire des armes toujours plus destructives, qui favorisent la mort, pour choisir la vie, pour soigner l’humanité et notre maison commune. Ne perdons pas de temps! Commençons par des objectifs réalisables: unissons aujourd’hui déjà les efforts pour empêcher la diffusion du virus jusqu’à ce que nous ayons un vaccin qui soit adéquat et accessible à tous. Cette pandémie est en train de nous rappeler que nous sommes des sœurs et des frères de sang.
A tous les croyants, aux femmes et aux hommes de bonne volonté, nous disons: avec créativité, faisons-nous artisans de paix, construisons l’amitié sociale, faisons nôtre la culture du dialogue. Le dialogue loyal, persévérant et courageux est l’antidote au manque de confiance, aux divisions et à la violence. Le dialogue dénoue à la racine les raisons de la guerre qui détruisent le projet de fraternité inscrit dans la vocation de la famille humaine.
Personne ne peut se sentir exclus. Nous sommes tous coresponsables. Nous avons tous besoin de pardonner et d’être pardonnés. Les injustices du monde et de l’histoire se soignent non pas par la haine et la vengeance, mais par le dialogue et le pardon.
Que Dieu inspire en nous tous ces idéaux et ce chemin que nous faisons ensemble, en façonnant le cœur de chacun et en nous faisant messagers de paix.
Rome, Capitole, le 20 octobre 2020.
[01242-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
Gathered in Rome, in “the spirit of Assisi”, and spiritually united to believers worldwide and to all men and women of good will, we have prayed alongside one another to invoke upon our world the gift of peace. We have called to mind the wounds of humanity, we are united with the silent prayers of so many of our suffering brothers and sisters, all too often nameless and unheard. We now solemnly commit ourselves to make our own and to propose to the leaders of nations and the citizens of the world this Appeal for Peace.
On this Capitoline Hill, in the wake of the greatest conflict in history, the nations that had been at war made a pact based on a dream of unity that later came true: the dream of a united Europe. Today, in these uncertain times, as we feel the effects of the Covid-19 pandemic that threatens peace by aggravating inequalities and fear, we firmly state that no one can be saved alone: no people, no single individual!
Wars and peace, pandemics and health care, hunger and access to food, global warming and sustainable development, the displacement of populations, the elimination of nuclear threats and the reduction of inequalities: these are not matters that concern individual nations alone. We understand this better nowadays, in a world that is amply connected, yet often lacks a sense of fraternity. All of us are brothers and sisters! Let us pray to the Most High that, after this time of trial, there may no longer be “others”, but rather, a great “we”, rich in diversity. The time has come to boldly dream anew that peace is possible, that it is necessary, that a world without war is not utopian. This is why we want to say once more: “No more war”!
Tragically, for many, war once again seems to be one possible means of resolving international disputes. It is not. Before it is too late, we would remind everyone that war always leaves the world worse than it was. War is a failure of politics and of humanity.
We appeal to government leaders to reject the language of division, often based on fear and mistrust, and to avoid embarking on paths of no return. Together let us look at the victims. All too many conflicts are presently in course.
To leaders of nations we say: let us work together to create a new architecture of peace. Let us join forces to promote life, health, education and peace. The time has come to divert the resources employed in producing ever more destructive and deadly weapons to choosing life and to caring for humanity and our common home. Let us waste no time! Let us start with achievable goals: may we immediately unite our efforts to contain the spread of the virus until there is a vaccine that is suitable and available to all. The pandemic is reminding us that we are blood brothers and sisters.
To all believers, and to men and women of good will, we say: let us become creative artisans of peace, let us build social friendship, let us make our own the culture of dialogue. Honest, persistent and courageous dialogue is the antidote to distrust, division and violence. Dialogue dismantles at the outset the arguments for wars that destroy the fraternity to which our human family is called.
No one can feel exempted from this. All of us have a shared responsibility. All of us need to forgive and to be forgiven. The injustices of the world and of history are not healed by hatred and revenge, but by dialogue and forgiveness.
May God inspire in us a commitment to these ideals and to the journey that we are making together. May he touch every heart and make us heralds of peace.
Rome, Capitoline Hill, 20 October 2020.
[01242-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
Wir sind hier in Rom im „Geist von Assisi“ zusammengekommen, geistlich verbunden mit den Glaubenden in aller Welt und mit allen Frauen und Männern guten Willens vereint. So haben wir Seite an Seite gebetet, um die Gabe des Friedens auf unsere Erde herabzuflehen. Wir gedachten der Wunden der Menschheit; wir tragen im Herzen das stille Gebet so vieler Leidender, die viel zu oft ohne Namen und ohne Stimme sind. Aus diesem Grunde fühlen wir uns verpflichtet, diesen Friedensappell zu leben und ihn den Verantwortlichen der Staaten wie auch den Bürgerinnen und Bürgern der ganzen Welt feierlich zu unterbreiten.
Auf diesem Kapitolsplatz haben kurz nach dem Ende des größten kriegerischen Konflikts, den die Geschichte je gekannt hat, die einst kriegführenden Nationen ein Bündnis geschlossen, das auf einer Vision der Einheit gründete und im vereinten Europa Wirklichkeit wurde. Heute, in dieser Zeit der Orientierungslosigkeit und getroffen von den Folgen der Covid-19- Pandemie, die den Frieden durch die Ausbreitung von Ungleichheit und Angst bedroht, sagen wir mit Nachdruck: Keiner kann sich allein retten, kein Volk, niemand!
Die Kriege und der Frieden, die Pandemien und die Gesundheit, der Hunger und der Zugang zur Nahrung, die globale Erwärmung und die Nachhaltigkeit der Entwicklung, die Wanderung von Bevölkerungsgruppen, die Beseitigung der nuklearen Gefahr und die Verringerung der Ungleichheit betreffen nicht nur einzelne Nationen. Das verstehen wir heute besser, in einer Welt, die total verbunden ist, aber oft den Sinn für die Geschwisterlichkeit verliert. Wir alle sind Brüder und Schwestern! Wir bitten den Höchsten, dass es nach dieser Zeit der Prüfung nicht mehr „die anderen“, sondern ein großes, vielfältiges „Wir“ gibt. Es ist erneut Zeit für die kühne Vision, dass der Friede möglich ist, dass eine Welt ohne Krieg keine Illusion ist. Deshalb wollen wir noch einmal sagen: „Nie wieder Krieg!“.
Leider scheint der Krieg für viele wieder ein möglicher Weg zur Lösung internationaler Streitigkeiten zu sein. Das ist aber nicht so. Bevor es zu spät ist, wollen wir alle daran erinnern, dass die Welt nach einem Krieg immer schlechter sein wird, als sie vorher war. Der Krieg ist ein Scheitern der Politik und der Menschlichkeit.
Wir appellieren an die Regierenden, dass sie die Sprache der Spaltung zurückweisen, die sich oft aus Gefühlen der Angst und des Misstrauens nährt. Sie mögen sich nicht auf Wege begeben, die keine Umkehr kennen. Schauen wir gemeinsam auf die Opfer. Es gibt so viele, zu viele noch offene Konflikte.
Den Verantwortlichen der Staaten sagen wir: Lasst uns gemeinsam an einer neuen Architektur des Friedens arbeiten. Vereinen wir unsere Kräfte für das Leben, für die Gesundheit, für die Erziehung und für den Frieden! Der Zeitpunkt ist gekommen, dass die Ressourcen, die eingesetzt wurden, um immer zerstörerischere, todbringende Waffen herzustellen, jetzt genutzt werden, um für das Leben einzutreten und für die Menschen sowie für unser gemeinsames Haus Sorge zu tragen. Verlieren wir keine Zeit! Beginnen wir mit erreichbaren Zielen: vereinen wir fortan unsere Anstrengungen, um der Verbreitung des Virus Einhalt zu gebieten, solange es noch keinen geeigneten, allgemein verfügbaren Impfstoff gibt! Diese Pandemie macht uns deutlich, dass wir alle blutsverwandt, Schwestern und Brüder sind.
Zu allen Glaubenden und zu den Frauen und Männern guten Willens sagen wir: Seien wir kreativ und werden wir zu Handwerkern des Friedens; bauen wir soziale Freundschaft auf; machen wir uns eine Kultur des Dialogs zu eigen! Der aufrichtige, beharrliche und mutige Dialog ist das Heilmittel gegen das Misstrauen, gegen die Spaltungen und gegen die Gewalt. Der Dialog löst von der Wurzel her die Ursachen der Kriege auf, die das Projekt der Geschwisterlichkeit zerstören, das zutiefst zur Berufung der Menschheitsfamilie gehört.
Keiner kann sich dem entziehen. Wir sind alle mitverantwortlich. Wir alle haben es nötig, zu vergeben und um Vergebung bitten. Die Ungerechtigkeiten der Welt und der Geschichte heilen nicht durch Hass und Rache, sondern durch Dialog und Vergebung.
Gott gebe uns allen diese Ideale ein für den Weg, den wir gemeinsam gehen; er berühre die Herzen aller und mache uns zu Boten des Friedens.
Rom, auf dem Kapitol, 20. Oktober 2020.
[01242-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
Congregados en Roma en el «espíritu de Asís», espiritualmente unidos a los creyentes de todo el mundo y a las mujeres y a los hombres de buena voluntad, hemos rezado todos juntos para implorar el don de la paz en nuestra tierra. Hemos recordado las heridas de la humanidad, tenemos en el corazón la oración silenciosa de tantas personas que sufren, frecuentemente sin nombre y sin voz. Por esto nos comprometemos a vivir y a proponer solemnemente a los responsables de los Estados y a los ciudadanos del mundo este llamamiento a la paz.
En esta plaza del Campidoglio, poco después del mayor conflicto bélico que la historia recuerde, las naciones que se habían enfrentado estipularon un pacto, fundado sobre un sueño de unidad, que posteriormente se llevó a cabo: la Europa unida. Hoy, en este tiempo de desorientación, golpeados por las consecuencias de la pandemia de Covid-19, que amenaza la paz aumentando las desigualdades y los miedos, decimos con fuerza: nadie puede salvarse solo, ningún pueblo, nadie.
Las guerras y la paz, las pandemias y el cuidado de la salud, el hambre y el acceso al alimento, el calentamiento global y la sostenibilidad del desarrollo, los desplazamientos de las poblaciones, la eliminación del peligro nuclear y la reducción de las desigualdades no afectan únicamente a cada nación. Lo entendemos mejor hoy, en un mundo lleno de conexiones, pero que frecuentemente pierde el sentido de la fraternidad. Somos hermanas y hermanos, ¡todos! Recemos al Altísimo que, después de este tiempo de prueba, no haya más un “los otros”, sino un gran “nosotros” rico de diversidad. Es tiempo de soñar de nuevo, con valentía, que la paz es posible, que la paz es necesaria, que un mundo sin guerras no es una utopía. Por eso queremos decir una vez más: «¡Nunca más la guerra!».
Desgraciadamente, la guerra ha vuelto a parecerle a muchos un camino posible para la solución de las controversias internacionales. No es así. Antes de que sea demasiado tarde, queremos recordar a todos que la guerra deja siempre el mundo peor de como lo había encontrado. La guerra es un fracaso de la política y de la humanidad.
Requerimos a los gobernantes que rechacen el lenguaje de la división, que está sostenida frecuentemente por sentimientos de miedo y de desconfianza, y para que no se emprendan caminos de vuelta atrás. Miremos juntos a las víctimas. Hay muchos, demasiados conflictos todavía abiertos.
A los responsables de los Estados les decimos: trabajemos juntos por una nueva arquitectura de la paz. Unamos las fuerzas por la vida, la salud, la educación y la paz. Ha llegado el momento de utilizar los recursos empleados en producir armas cada vez más destructivas, promotoras de muerte, para elegir la vida, curar la humanidad y nuestra casa común. ¡No perdamos el tiempo! Comencemos por objetivos alcanzables: unamos desde hoy los esfuerzos para contener la difusión del virus hasta que tengamos una vacuna que sea idónea e accesible a todos. Esta pandemia nos está recordando que somos hermanas y hermanos de sangre.
A todos los creyentes, a las mujeres y a los hombres de buena voluntad, les decimos: seamos con creatividad artesanos de la paz, construyamos amistad social, hagamos nuestra la cultura del diálogo. El diálogo leal, perseverante y valiente es el antídoto contra la desconfianza, la división y la violencia. El diálogo disuelve desde la raíz las razones de las guerras, que destruyen el proyecto de fraternidad inscrito en la vocación de la familia humana.
Nadie puede sentirse que debe lavarse las manos. Somos todos corresponsables. Todos necesitamos perdonar y ser perdonados. Las injusticias del mundo y de la historia se sanan no con el odio y la venganza, sino con el diálogo y el perdón.
Que Dios inspire estos ideales en todos nosotros y este camino que hacemos juntos, plasmando los corazones de cada uno y haciéndonos mensajeros de paz.
Roma, Campidoglio, 20 de octubre de 2020.
[01242-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
Congregados em Roma no «espírito de Assis», unidos espiritualmente aos crentes de todo o mundo e às mulheres e homens de boa vontade, rezamos uns ao lado dos outros para implorar sobre esta nossa terra o dom da paz. Lembramos as feridas da humanidade, trazemos no coração a oração silenciosa de tantos atribulados, muitas vezes sem nome nem voz. Por isso comprometemo-nos a viver e propor solenemente aos responsáveis dos Estados e aos cidadãos do mundo inteiro este Apelo de Paz.
Nesta Praça do Capitólio, pouco tempo depois do maior conflito bélico de que há memória na história, as nações que se guerrearam estabeleceram um Pacto, fundado sobre um sonho de unidade que em seguida se realizou: uma Europa unida. Hoje, neste tempo de desorientação, açoitados pelas consequências da pandemia Covid-19, que ameaça a paz ao aumentar as desigualdades e os medos, digamos com força: Ninguém pode salvar-se sozinho, nenhum povo, ninguém!
A guerra e a paz, as pandemias e os cuidados da saúde, a fome e o acesso aos alimentos, o aquecimento global e a sustentabilidade do desenvolvimento, os deslocamentos de populações, a eliminação do risco nuclear e a redução das desigualdades não dizem respeito apenas a cada nação individualmente. Compreendemo-lo melhor hoje, num mundo cheio de conexões, mas onde muitas vezes se perde o sentido da fraternidade. Somos irmãs e irmãos, todos! Peçamos ao Altíssimo que, depois deste tempo de provação, deixe de haver «os outros» para existir apenas um grande «nós» rico de diversidade. É tempo de voltar a sonhar, com ousadia, que a paz é possível, a paz é necessária, um mundo sem guerras não é uma utopia. Por isso queremos dizer mais uma vez: «Nunca mais guerra!»
Infelizmente, aos olhos de muitos, a guerra voltou a aparecer como uma via possível para a solução das disputas internacionais. Não é assim. Antes que seja demasiado tarde, queremos lembrar a todos que a guerra sempre deixa o mundo pior do que o encontrou. A guerra é um falimento da política e da humanidade.
Apelamos aos governantes para que rejeitem a linguagem da divisão, frequentemente apoiada por sentimentos de medo e desconfiança, e não adotem caminhos sem retorno. Pensemos conjuntamente nas vítimas. Existem tantos, demasiados conflitos ainda em aberto.
Aos responsáveis dos Estados, dizemos: Trabalhemos juntos numa nova arquitetura da paz. Unamos as forças em prol da vida, da saúde, da educação, da paz. Quanto aos recursos empregues na produção de armas cada vez mais destrutivas, fautoras de morte, chegou a hora de os utilizar para corroborar a vida, cuidar da humanidade e da nossa casa comum. Não percamos tempo! Comecemos por objetivos atingíveis: unamos, já hoje, os esforços para conter a propagação do vírus até termos uma vacina que seja apropriada e acessível a todos. Esta pandemia veio lembrar-nos que somos irmãs e irmãos de sangue.
A todos os crentes, às mulheres e aos homens de boa vontade, dizemos: Com criatividade façamo-nos artesãos da paz, construamos amizade social, assumamos a cultura do diálogo. O diálogo leal, perseverante e corajoso é o antídoto contra a desconfiança, as divisões e a violência. O diálogo dissolve, pela raiz, as razões das guerras, que destroem o projeto de fraternidade inscrito na vocação da família humana.
Ninguém pode deixar de se sentir envolvido. Todos somos corresponsáveis. Todos temos necessidade de perdoar e ser perdoados. As injustiças do mundo e da história curam-se, não com o ódio e a vingança, mas com o diálogo e o perdão.
Que Deus inspire estes ideais a todos nós e este caminho que percorremos juntos, plasmando o coração de cada um e fazendo-nos mensageiros de paz!
Roma, Capitólio, 20 de outubro de 2020.
[01242-PO.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua polacca
Zgromadzeni w Rzymie w „duchu Asyżu”, duchowo zjednoczeni z ludźmi wierzącymi całego świata oraz z ludźmi dobrej woli, modliliśmy się jedni obok drugich, aby błagać o dar pokoju na tej ziemi. Przypomnieliśmy o ranach ludzkości, nosimy w sercach cichą modlitwę wielu osób cierpiących, nazbyt często bez imienia i głosu. Dlatego podejmujemy się żyć i uroczyście proponować przywódcom państw i obywatelom świata niniejszy Apel o pokój.
Tutaj na placu Kapitolu, wkrótce po największym konflikcie wojennym w dziejach, walczące ze sobą państwa zawarły pakt, oparty na marzeniu o jedności, które potem spełniło się: o zjednoczonej Europie. Dzisiaj, w tym czasie dezorientacji, poruszeni następstwami pandemii Covid-19, która zagraża pokojowi, powiększając nierówności i lęki, mówimy z mocą: nikt nie może ocalić się sam, żaden naród, nikt!
Wojny i pokój, pandemie i opieka zdrowotna, głód i dostęp do pożywienia, globalne ocieplenie i zrównoważony rozwój, przemieszczenia ludności, eliminacja zagrożenia nuklearnego oraz zmniejszanie nierówności dotyczą nie tylko poszczególnych państw. Rozumiemy to lepiej dzisiaj, w świecie pełnym powiązań, który jednak często traci zmysł braterstwa. Wszyscy jesteśmy siostrami i braćmi! Modlimy się do Boga Najwyższego, aby po tym czasie próby nie było już „innych”, ale wielkie „my”, bogate różnorodnością. Nadszedł czas, by znów śmiało marzyć, że pokój jest możliwy, że pokój jest konieczny, że świat bez wojen nie jest utopią. Dlatego chcemy ponownie powiedzieć: „Nigdy więcej wojny!”.
Niestety, wojna po raz kolejny wydaje się wielu ludziom możliwym sposobem rozwiązania sporów międzynarodowych. Tak nie jest. Zanim będzie za późno, chcemy przypomnieć wszystkim, że wojna zawsze pozostawia świat w gorszej sytuacji, niż go zastała. Wojna jest porażką polityki i ludzkości.
Apelujemy do rządzących o odrzucenie języka podziałów, często wspartego uczuciami lęku i nieufności, i o niepodejmowanie dróg bez odwrotu. Spójrzmy razem na ofiary. Jest wiele, nazbyt wiele wciąż toczących się konfliktów.
Przywódcom państw mówimy: pracujmy razem nad nową architekturą pokoju. Połączmy siły na rzecz życia, zdrowia, edukacji, pokoju. Nadszedł czas, aby wykorzystać zasoby używane do produkcji coraz bardziej niszczącej broni, niosącej śmierć, aby wybrać życie, zatroszczyć się o ludzkość i nasz wspólny dom. Nie traćmy czasu! Zacznijmy od celów osiągalnych: połączmy już teraz wysiłki na rzecz powstrzymania rozprzestrzeniania się wirusa, dopóki nie będziemy mieli odpowiedniej szczepionki, która będzie dostępna dla wszystkich. Ta pandemia przypomina nam, że wiąże nas braterstwo krwi.
Wszystkim osobom wierzącym, ludziom dobrej woli mówimy: bądźmy twórczymi budowniczymi pokoju, budujmy przyjaźń społeczną, przyswójmy sobie kulturę dialogu. Rzetelny, wytrwały i odważny dialog jest antidotum na nieufność, podziały i przemoc. Dialog radykalnie kładzie kres przyczynom wojen, które niszczą projekt braterstwa wpisany w powołanie rodziny ludzkiej.
Nikt nie może czuć się zwolniony od uczestnictwa. Wszyscy jesteśmy współodpowiedzialni. Wszyscy potrzebujemy przebaczać i by nam przebaczano. Niesprawiedliwości świata i historii nie leczy się poprzez nienawiść i zemstę, ale poprzez dialog i przebaczenie.
Niech Bóg tchnie te ideały w nas wszystkich i w tę drogę, jaką pokonujemy razem, kształtując serca każdego z nas i czyniąc nas posłańcami pokoju.
Rzym, Kapitol, 20 października 2020 r.
[01242-PL.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua araba
نداء
قداسة البابا فرنسيس
في مناسبة
اللقاء من أجل السلام في الكامبيدوليو
20 أكتوبر/تشرين الأوّل 2020
التقينا في روما "بروح أسيزي"، متحدين بالرّوح مع مؤمني العالم أجمع، ومع النساء والرجال ذوي النوايا الحسنة، وصلَّيْنا جنبًا إلى جنب نسأل نعمة السلام على أرضنا هذه. تَذكّرنا جراح البشريّة، وحملنا في قلوبنا الصّلاة الصامتة للعديد من المتألمين، وهم في أكثر الأحيان لا اسم لهم ولا صوت لهم. ولهذا نلتزم بأن نعيش بحسب هذا النداء إلى السلام الذي نوجهه رسميًا إلى مسؤولي الدول ومواطني العالم.
في ساحة الكامبيدوليو هذه، أيامًا قليلة بعد أعظم صراع عرفه التاريخ، أبرمت الدول التي تقاتلت ميثاقًا قام على حِلم الوَحدة، الذي تحقق في ما بعد: أوروبا الموحدة. اليوم، في هذا الوقت من البلبلة، والمُبتلَى بنتائج جائحة كوفيد -19، التي تهدد السلام إذ تزيد من عدم المساواة والمخاوف، إننا نقول بقوة: لا أحد يستطيع أن يخلُص وحده، لا شعب، ولا أحد!
الحروب والسلام، والجائحة ومعالجتها، والجوع والحصول على الغذاء، والاحترار العالمي والتنمية القابلة للبقاء، وهجرة السكان، والقضاء على الخطر النووي، والحد من عدم المساواة، كل ذلك لا يهم كلّ دولة وحدها فقط. نحن نفهم هذا بشكل أفضل اليوم، في عالم مليء بالروابط، لكنه يفقد مرارًا معنى الأخوّة. نحن، كلّنا، إخوة وأخوات! لنصلِّ إلى الله العلي لكي يعبر زمن المحنة هذا، ولا يبقى بعده مَن نرى فيهم أنّهم "الآخرون"، بل نبقى كلُّنا "نحن"، كبارًا معًا وأغنياء بتنوعنا. هذا وقت لكي نحلم فيه من جديد، ونحلم بجرأة أنّ السلام ممكن، وأنّ السلام ضروري، وأنّ العالم بدون حروب ليس يوتوبيا. لهذا السبب نريد أن نقول مرة أخرى: "لا حرب بعد الآن!".
للأسف، عادت الحرب وبدت للكثيرين أنّها وسيلة ممكنة لحل النزاعات الدوليّة. الأمر ليس هكذا. نريد أن نذكّر الجميع، قبل فوات الأوان، بأنّ الحرب تجعل العالم دائمًا أسوأ مما كان. الحرب هي فشل السياسة والإنسانيّة.
نناشد الحكام لكي يرفضوا لغة الانقسام التي غالبًا ما تدعمها مشاعر الخوف وانعدام الثقة، ولا يسلكوا طرقًا لا رجعة منها. لننظر معًا إلى الضحايا. ما زال هناك الكثير الكثير من الصراعات التي ما زالت مفتوحة.
إلى قادة الدول نقول: لنعمل معًا على بناء هندسة جديدة للسلام. لنوحّد قوانا من أجل الحياة والصحة والتربية والسلام. حان الوقت أن نستخدم الموارد المسخرة لإنتاج أسلحة فيها مزيد من الدمار، صانعة الموت، من أجل خيار الحياة، والعنايّة بالبشريّة، وببيتنا المشترك. لا نضيِّعْ الوقت! لنبدأ بأهداف قابلة للتحقيق: لنوحّد الجهود اليوم لاحتواء انتشار الفيروس إلى أن نجد اللقاح المناسب وعلى متناول من الجميع. تُذكرنا هذه الجائحة بأننا أخوات وإخوة بالدم.
إلى جميع المؤمنين، إلى النساء والرجال ذوي النوايا الحسنة، نقول: لنكن صناع سلام مبدعين، ولنبنِ صداقة اجتماعيّة، ولنجعل ثقافتنا ثقافة حوار. إنّ الحوار الصادق والمثابر والشجاع هو مضاد لانعدام الثقة والانقسامات والعنف. الحوار يقضي على الجذور وأسباب الحروب التي تدمر مشروع الأخوّة المثبَّت في دعوة العائلة البشريّة.
لا أحد يستطيع أن يشعر بأنه خارج الموضوع. جميعنا مسؤولون معًا. جميعنا بحاجة إلى أن نغفر وأن يُغفَر لنا. لا تتعافى المظالم في العالم والتاريخ بالكراهية والانتقام، بل بالحوار والمغفرة.
ليلهمنا الله جميعًا هذه المُثل وهذه الطريق التي نسيرها معًا، وليصوِّر قلب كلّ واحد منا، وليجعلنا رسل سلام.
روما، الكامبيدوليو، 20 أكتوبر/تشرين الأوّل 2020
[01242-AR.01] [Testo originale: Italiano]
[B0538-XX.02]