Recentemente la Congregazione per la Dottrina della Fede ha trattato alcuni casi di amministrazione del sacramento del Battesimo nei quali è stata arbitrariamente modificata la formula sacramentale stabilita dalla Chiesa nei libri liturgici.
Per tale motivo, il Dicastero ha preparato “Risposte a quesiti proposti”, con relativa “Nota dottrinale” che ne spiega il contenuto, per richiamare la dottrina circa la validità dei sacramenti connessa alla forma stabilita dalla Chiesa con l’uso delle formule sacramentali approvate, al fine di sottrarre la questione ad interpretazioni e prassi devianti e offrire un chiaro orientamento.
Testo in lingua italiana
Traduzione in lingua francese
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Traduzione in lingua tedesca
Traduzione in lingua spagnola
Traduzione in lingua portoghese
Testo in lingua italiana
RISPOSTE A QUESITI PROPOSTI
sulla validità del Battesimo conferito con la formula
«Noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»
QUESITI
Primo: È valido il Battesimo conferito con la formula: «Noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»?
Secondo: Coloro per i quali è stato celebrato il Battesimo con la suddetta formula devono essere battezzati in forma assoluta?
RISPOSTE
Al primo: Negativamente.
Al secondo: Affermativamente.
Il Sommo Pontefice Francesco, nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, in data 8 giugno 2020, ha approvato queste Risposte e ne ha ordinato la pubblicazione.
Dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 giugno 2020, nella Solennità della Natività di san Giovanni Battista.
Luis F. Card. Ladaria, S.I.
Prefetto
✠ Giacomo Morandi
Arcivescovo tit. di Cerveteri
Segretario
* * *
NOTA DOTTRINALE
circa la modifica della formula sacramentale del Battesimo
Recentemente vi sono state celebrazioni del Sacramento del Battesimo amministrato con le parole: «A nome del papà e della mamma, del padrino e della madrina, dei nonni, dei familiari, degli amici, a nome della comunità noi ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». A quanto sembra, la deliberata modifica della formula sacramentale è stata introdotta per sottolineare il valore comunitario del Battesimo, per esprimere la partecipazione della famiglia e dei presenti e per evitare l’idea della concentrazione di un potere sacrale nel sacerdote a discapito dei genitori e della comunità, che la formula presente nel Rituale Romano veicolerebbe[1]. Riaffiora qui, con discutibili motivazioni di ordine pastorale[2], un’antica tentazione di sostituire la formula consegnata dalla Tradizione con altri testi giudicati più idonei. A tale riguardo già San Tommaso d’Aquino si era posto la questione «utrum plures possint simul baptizare unum et eundem» alla quale aveva risposto negativamente in quanto prassi contraria alla natura del ministro[3].
Il Concilio Vaticano II asserisce che: «Quando uno battezza è Cristo stesso che battezza»[4]. L’affermazione della Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, ispirata a un testo di sant’Agostino[5], vuole ricondurre la celebrazione sacramentale alla presenza di Cristo, non solo nel senso che egli vi trasfonde la sua virtus per donarle efficacia, ma soprattutto per indicare che il Signore è il protagonista dell’evento che si celebra.
La Chiesa infatti, quando celebra un Sacramento, agisce come Corpo che opera inseparabilmente dal suo Capo, in quanto è Cristo-Capo che agisce nel Corpo ecclesiale da lui generato nel mistero della Pasqua[6]. La dottrina dell’istituzione divina dei Sacramenti, solennemente affermata dal Concilio di Trento[7], vede così il suo naturale sviluppo e la sua autentica interpretazione nella citata affermazione di Sacrosanctum Concilium. I due Concili si trovano quindi in complementare sintonia nel dichiarare l’assoluta indisponibilità del settenario sacramentale all’azione della Chiesa. I Sacramenti, infatti, in quanto istituiti da Gesù Cristo, sono affidati alla Chiesa perché siano da essa custoditi. Appare qui evidente che la Chiesa, sebbene sia costituita dallo Spirito Santo interprete della Parola di Dio e possa in una certa misura determinare i riti che esprimono la grazia sacramentale offerta da Cristo, non dispone dei fondamenti stessi del suo esistere: la Parola di Dio e i gesti salvifici di Cristo.
Risulta pertanto comprensibile come nel corso dei secoli la Chiesa abbia custodito con cura la forma celebrativa dei Sacramenti, soprattutto in quegli elementi che la Scrittura attesta e che permettono di riconoscere con assoluta evidenza il gesto di Cristo nell’azione rituale della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha inoltre stabilito che nessuno «anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica»[8]. Modificare di propria iniziativa la forma celebrativa di un Sacramento non costituisce un semplice abuso liturgico, come trasgressione di una norma positiva, ma un vulnus inferto a un tempo alla comunione ecclesiale e alla riconoscibilità dell’azione di Cristo, che nei casi più gravi rende invalido il Sacramento stesso, perché la natura dell’azione ministeriale esige di trasmettere con fedeltà quello che si è ricevuto (cfr. 1 Cor 15, 3).
Nella celebrazione dei Sacramenti, infatti, il soggetto è la Chiesa-Corpo di Cristo insieme al suo Capo, che si manifesta nella concreta assemblea radunata[9]. Tale assemblea però agisce ministerialmente – non collegialmente – perché nessun gruppo può fare di se stesso Chiesa, ma diviene Chiesa in virtù di una chiamata che non può sorgere dall’interno dell’assemblea stessa. Il ministro è quindi segno-presenza di Colui che raduna e, al tempo stesso, luogo di comunione di ogni assemblea liturgica con la Chiesa tutta. In altre parole, il ministro è un segno esteriore della sottrazione del Sacramento al nostro disporne e del suo carattere relativo alla Chiesa universale.
In questa luce va compreso il dettato tridentino sulla necessità del ministro di avere l’intenzione almeno di fare quello che fa la Chiesa[10]. L’intenzione non può però rimanere solo a livello interiore, con il rischio di derive soggettivistiche, ma si esprime nell’atto esteriore che viene posto, con l’utilizzo della materia e della forma del Sacramento. Tale atto non può che manifestare la comunione tra ciò che il ministro compie nella celebrazione di ogni singolo Sacramento con ciò che la Chiesa svolge in comunione con l’azione di Cristo stesso: è perciò fondamentale che l’azione sacramentale sia compiuta non in nome proprio, ma nella persona di Cristo, che agisce nella sua Chiesa, e in nome della Chiesa.
Pertanto, nel caso specifico del Sacramento del Battesimo, il ministro non solo non ha l’autorità di disporre a suo piacimento della formula sacramentale, per i motivi di natura cristologica ed ecclesiologica sopra esposti, ma non può nemmeno dichiarare di agire a nome dei genitori, dei padrini, dei familiari o degli amici, e nemmeno a nome della stessa assemblea radunata per la celebrazione, perché il ministro agisce in quanto segno-presenza dell’azione stessa di Cristo che si compie nel gesto rituale della Chiesa. Quando il ministro dice «Io ti battezzo…» non parla come un funzionario che svolge un ruolo affidatogli, ma opera ministerialmente come segno-presenza di Cristo, che agisce nel suo Corpo, donando la sua grazia e rendendo quella concreta assemblea liturgica manifestazione «della genuina natura della vera Chiesa»[11], in quanto «le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è sacramento di unità, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi»[12].
Alterare la formula sacramentale significa, inoltre, non comprendere la natura stessa del ministero ecclesiale, che è sempre servizio a Dio e al suo popolo e non esercizio di un potere che giunge alla manipolazione di ciò che è stato affidato alla Chiesa con un atto che appartiene alla Tradizione. In ogni ministro del Battesimo deve essere quindi radicata non solo la consapevolezza di dover agire nella comunione ecclesiale, ma anche la stessa convinzione che sant’Agostino attribuisce al Precursore, il quale «apprese che ci sarebbe stata in Cristo una proprietà tale per cui, malgrado la moltitudine dei ministri, santi o peccatori, che avrebbero battezzato, la santità del Battesimo non era da attribuirsi se non a colui sopra il quale discese la colomba, e del quale fu detto: “È lui quello che battezza nello Spirito Santo” (Gv 1, 33)». Quindi, commenta Agostino: «Battezzi pure Pietro, è Cristo che battezza; battezzi Paolo, è Cristo che battezza; e battezzi anche Giuda, è Cristo che battezza»[13].
_________________________
[1] In realtà, un’attenta analisi del Rito del Battesimo dei Bambini mostra che nella celebrazione i genitori, i padrini e l’intera comunità sono chiamati a svolgere un ruolo attivo, un vero e proprio ufficio liturgico (cfr. Rituale Romanum ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, Ordo Baptismi Parvulorum, Praenotanda, nn. 4-7), che secondo il dettato conciliare comporta però che «ciascuno, ministro o fedele, svolgendo il proprio ufficio, compia soltanto e tutto quello che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza»: Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 28.
[2] Spesso il ricorso alla motivazione pastorale maschera, anche inconsapevolmente, una deriva soggettivistica e una volontà manipolatrice. Già nel secolo scorso Romano Guardini ricordava che se nella preghiera personale il credente può seguire l’impulso del cuore, nell’azione liturgica «deve aprirsi a un altro impulso, di più possente e profonda origine, venuto dal cuore della Chiesa che batte attraverso i secoli. Qui non conta ciò che personalmente gli piace o in quel momento gli sembra desiderabile…» (R. Guardini, Vorschule des Betens, Einsiedeln/Zürich, 19482, p. 258; trad. it.: Introduzione alla preghiera, Brescia 2009, p. 196).
[3] Summa Theologiae, III, q. 67, a. 6 c.
[4] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 7.
[5] S. Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[6] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 5.
[7] Cfr. DH, n. 1601.
[8] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 22 § 3.
[9] Cfr. Catechismus Catholicae Ecclesiae, n. 1140: «Tota communitas, corpus Christi suo Capiti unitum, celebrat» e n. 1141: «Celebrans congregatio communitas est baptizatorum».
[10] Cfr. DH, n. 1611.
[11] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 2.
[12] Ibidem, n. 26.
[13] S. Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[00923-IT.01] [Testo originale: Italiano]
Traduzione in lingua francese
RÉPONSES AUX QUESTIONS
sur la validité du Baptême conféré avec la formule:
«Nous te baptisons au nom du Père et du Fils et du Saint-Esprit»
QUESTIONS
1) Le Baptême conféré avec la formule: «Nous te baptisons au nom du Père et du Fils et du Saint-Esprit» est-il valide?
2) Les personnes dont on a célébré le Baptême avec la formule ci-dessus doivent-elles être baptisées de manière absolue?
RÉPONSES
- À la première question: Non
- À la deuxième question: Oui
Le Souverain Pontife François, au cours de l’Audience accordée au Cardinal Préfet soussigné le 8 juin 2020, a approuvé les présentes Réponses et en a ordonné la publication.
Donné à Rome, le 24 juin 2020, en la solennité de la Nativité de Saint Jean-Baptiste, au Siège de la Congrégation pour la Doctrine de la Foi.
Luis F. Card. Ladaria, S.I.
Préfet
✠ Giacomo Morandi
Archevêque tit. de Cerveteri
Secrétaire
* * *
NOTE DOCTRINALE
sur la modification de la formule sacramentelle du Baptême
Au cours de récentes célébrations, le sacrement du Baptême a été administré avec les paroles suivantes: «Au nom du papa et de la maman, du parrain et de la marraine, des grands-parents, des membres de la famille, des amis, au nom de la communauté, nous te baptisons au nom du Père et du Fils et du Saint-Esprit». Apparemment, la modification délibérée de la formule sacramentelle a été introduite pour souligner la valeur communautaire du Baptême, exprimer la participation de la famille et des personnes présentes, et éviter l’idée d’une concentration du pouvoir sacré dans le prêtre, au détriment des parents et de la communauté, ce que véhiculerait la formule du Rituel romain[1]. Avec des motivations douteuses de nature pastorale[2], ressurgit ici la vieille tentation de remplacer la formule traditionnelle par d’autres textes jugés plus adaptés. À ce sujet, saint Thomas d’Aquin s’était déjà posé la question «utrum plures possint simul baptizare unum et eundem», à laquelle il avait répondu négativement, au motif qu’il s’agissait d’une pratique contraire à la nature du ministre[3].
Le Concile Œcuménique Vatican II affirme: «Quand on baptise, c’est le Christ lui-même qui baptise»[4]. L’affirmation de la Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium, inspirée d’un texte de saint Augustin[5], vise à ramener la célébration sacramentelle à la présence du Christ, non seulement au sens où il y transfuse sa virtus pour lui donner de l’efficacité, mais surtout pour indiquer que le Seigneur est le protagoniste de l’événement célébré.
En effet, lorsque l’Église célèbre un sacrement, elle agit comme un Corps qui opère sans se séparer de sa Tête, dans la mesure où c’est le Christ Tête qui agit dans le Corps ecclésial qu’il a engendré dans le mystère de la Pâque[6]. La doctrine de l’institution divine des sacrements, solennellement affirmée par le Concile de Trente[7], trouve ainsi son développement naturel et son interprétation authentique dans l’affirmation déjà citée de Sacrosanctum Concilium. Les deux Conciles sont donc en harmonie complémentaire, quand ils déclarent l’indisponibilité absolue du septénaire sacramentel à l’action de l’Église. Les sacrements, en effet, dans la mesure où ils ont été institués par Jésus-Christ, sont confiés à l’Église afin qu’elle les préserve. Il est évident que l’Église a beau être établie par l’Esprit Saint, interprète de la Parole de Dieu, avec le pouvoir de déterminer dans une certaine mesure les rites qui expriment la grâce sacramentelle offerte par le Christ, elle ne dispose pas des fondements mêmes de son existence : la Parole de Dieu et les actes salvifiques du Christ.
On comprend donc comment, au cours des siècles, l’Église a soigneusement préservé la forme de célébration des sacrements, surtout les éléments qu’atteste l’Écriture et qui permettent de reconnaître avec une clarté absolue le geste du Christ dans l’action rituelle de l’Église. Le Concile Vatican II a également établi que «personne, fût-ce un prêtre, n’ajoutera, n’enlèvera, ou ne changera rien, de sa propre initiative, dans la liturgie»[8]. Modifier de sa propre initiative la forme de célébration d’un sacrement ne constitue pas un simple abus liturgique, la transgression d’une norme positive, mais un vulnus infligé à la fois à la communion ecclésiale et à la reconnaissance de l’action du Christ, ce qui, dans les cas les plus graves, rend le sacrement lui-même invalide, car la nature de l’action ministérielle est de transmettre fidèlement ce qui a été reçu (cf. 1 Co 15, 3).
En effet, dans la célébration des sacrements, le sujet est l’Église-Corps du Christ avec sa Tête, qui se manifeste dans l’assemblée concrète réunie[9]. Cette assemblée, cependant, agit de façon ministérielle − et non collégiale − car aucun groupe ne peut se faire Église par lui-même, mais elle devient Église en vertu d’un appel qui ne peut surgir de l’intérieur de l’assemblée elle-même. Le ministre est donc un signe-présence de Celui qui rassemble et, en même temps, le lieu de communion de toute assemblée liturgique avec toute l’Église. En d’autres termes, le ministre est un signe extérieur du fait que le sacrement n’est pas soumis à l’action arbitraire d’une personne ou d’une communauté, et que le sacrement appartient à l’Église universelle.
C’est dans cette optique qu’il faut comprendre la règle tridentine de la nécessité, pour le ministre, d’avoir au moins l’intention de faire ce que fait l’Église[10]. L’intention ne peut cependant pas rester uniquement à un niveau intérieur, avec le risque d’une dérive subjective, mais elle s’exprime dans l’acte extérieur qui est posé, avec l’utilisation de la matière et de la forme du sacrement. Un tel acte ne peut que manifester la communion entre ce que le ministre accomplit dans la célébration de chaque sacrement individuel et ce que l’Église accomplit en communion avec l’action du Christ lui-même : il est donc fondamental que l’action sacramentelle soit accomplie non pas en son propre nom, mais dans la personne du Christ, qui agit dans son Église, et au nom de l’Église.
Par conséquent, dans le cas spécifique du sacrement du Baptême, non seulement le ministre n’a pas l’autorité de disposer à son gré de la formule sacramentelle, pour les raisons de nature christologique et ecclésiologique exposées ci-dessus, mais il ne peut même pas déclarer qu’il agit au nom des parents, des parrains, des membres de la famille ou des amis, ni même au nom de l’assemblée elle-même réunie pour la célébration, car le ministre agit comme un signe-présence de l’action même du Christ qui s’accomplit dans le geste rituel de l’Église. Lorsque le ministre dit: «Je te baptise...», il ne parle pas comme un fonctionnaire qui joue un rôle qui lui a été confié, mais il agit ministériellement comme un signe-présence du Christ, qui agit dans son Corps, donnant sa grâce et faisant de cette assemblée liturgique concrète une manifestation «de la nature authentique de la véritable Église»[11], parce que «les actions liturgiques ne sont pas des actions privées, mais des célébrations de l’Église, qui est “le sacrement de l’unité”, c’est-à-dire le peuple saint réuni et ordonné sous l’autorité des évêques»[12].
Modifier la formule sacramentelle signifie aussi ne pas comprendre la nature même du ministère ecclésial, qui est toujours le service de Dieu et de son peuple, et non l’exercice d’un pouvoir qui va jusqu’à manipuler ce qui a été confié à l’Église par un acte qui appartient à la Tradition. En tout ministre du Baptême doit donc s’enraciner non seulement la conscience de devoir agir dans la communion ecclésiale, mais aussi la conviction que saint Augustin attribue au Précurseur, qui «a appris qu’il y aurait dans le Christ une propriété telle que, malgré la multitude de ministres, saints ou pécheurs, qui baptiseraient, la sainteté du Baptême ne pourrait être attribuée qu’à celui dont descendit la colombe et dont il a été dit: “C’est lui qui baptise dans l’Esprit Saint” (Jn 1, 33)». Augustin commente donc: «Si Pierre baptise, c’est le Christ qui baptise; si Paul baptise, c’est le Christ qui baptise; et même si Judas baptise, c’est le Christ qui baptise»[13].
_________________________
[1] En réalité, une analyse attentive du Rituel du Baptême des Enfants montre que, dans la célébration, les parents, les parrains et toute la communauté sont appelés à jouer un rôle actif, un véritable office liturgique (cf. Rituale Romanum ex Decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, Ordo Baptismi Parvulorum, Prænotanda, nn. 4-7), qui, selon la demande conciliaire, implique que «chacun, qu’il soit ministre ou fidèle, en s’acquittant de sa fonction, fera seulement, mais intégralement ce qui lui revient de par la nature de la chose et les normes liturgiques» (Concile Œcuménique Vatican II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 28).
[2] Le recours à la motivation pastorale masque souvent, même inconsciemment, une dérive subjective et une volonté manipulatrice. Déjà au siècle dernier, Romano Guardini rappelait que si, dans la prière personnelle, le croyant peut suivre l’impulsion de son cœur, dans l'action liturgique, «il doit s’ouvrir à une autre impulsion, d’origine plus puissante et plus profonde, venant du cœur de l’Église qui bat à travers les siècles. Ici, peu importe ce qui lui plaît personnellement ou lui semble souhaitable à ce moment...» (R. Guardini, Vorschule des Betens, Einsiedeln/Zürich, 19482, p. 258).
[3] Summa Theologiæ, III, q. 67, a. 6 c.
[4] Concile Œcuménique Vatican II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 7.
[5] S. Augustin, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[6] Cf. Concile Œcuménique Vatican II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 5.
[7] Cf. DH, n. 1601.
[8] Concile Œcuménique Vatican II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 22 § 3.
[9] Cf. Catechismus Catholicae Ecclesiae, n. 1140: «Tota communitas, corpus Christi suo Capiti unitum, celebrat» et n. 1141: «Celebrans congregatio communitas est baptizatorum».
[10] Cf. DH, n. 1611.
[11] Concile Œcuménique Vatican II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 2.
[12] Ibid., n. 26 § 3.
[13] S. Augustin, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[00923-FR.01] [Texte original: Italien]
Traduzione in lingua inglese
RESPONSES TO QUESTIONS PROPOSED
on the validity of Baptism conferred with the formula
«We baptize you in the name of the Father and of the Son and of the Holy Spirit»
QUESTIONS
First question: Whether the Baptism conferred with the formula «We baptize you in the name of the Father and of the Son and of the Holy Spirit» is valid?
Second question: Whether those persons for whom baptism was celebrated with this formula must be baptized in forma absoluta?
RESPONSES
To the first question: Negative.
To the second question: Affirmative.
The Supreme Pontiff Francis, at the Audience granted to the undersigned Cardinal Prefect of the Congregation for the Doctrine of the Faith, On June 8, 2020, approved these Responses and ordered their publication.
Rome, from the Offices of the Congregation for the Doctrine of the Faith, June 24, 2020, on the Solemnity of the Nativity of Saint John the Baptist.
Luis F. Card. Ladaria, S.I.
Prefect
✠ Giacomo Morandi
Titular Archbishop of Cerveteri
Secretary
* * *
DOCTRINAL NOTE
on the modification of the sacramental formula of Baptism
Recently there have been celebrations of the Sacrament of Baptism administered with the words: “In the name of the father and of the mother, of the godfather and of the godmother, of the grandparents, of the family members, of the friends, in the name of the community we baptize you in the name of the Father and of the Son and of the Holy Spirit”. Apparently, the deliberate modification of the sacramental formula was introduced to emphasize the communitarian significance of Baptism, in order to express the participation of the family and of those present, and to avoid the idea of the concentration of a sacred power in the priest to the detriment of the parents and the community that the formula in the Rituale Romano might seem to imply[1]. With debatable pastoral motives[2], here resurfaces the ancient temptation to substitute for the formula handed down by Tradition other texts judged more suitable. In this regard, St. Thomas Aquinas had already asked himself the question “utrum plures possint simul baptizare unum et eundem” to which he had replied negatively, insofar as this practice is contrary to the nature of the minister[3].
The Second Vatican Council states that: “when a man baptizes it is really Christ Himself who baptizes”[4]. The affirmation of the Constitution on the Sacred Liturgy Sacrosanctum Concilium, inspired by a text of Saint Augustine[5], wants to return the sacramental celebration to the presence of Christ, not only in the sense that he infuses his virtus to give it efficacy, but above all to indicate that the Lord has the principal role in the event being celebrated.
When celebrating a Sacrament, the Church in fact functions as the Body that acts inseparably from its Head, since it is Christ the Head who acts in the ecclesial Body generated by him in the Paschal mystery[6]. The doctrine of the divine institution of the Sacraments, solemnly affirmed by the Council of Trent[7], thus sees its natural development and authentic interpretation in the above-mentioned affirmation of Sacrosanctum Concilium. The two Councils are therefore in harmony in declaring that they do not have the authority to subject the seven sacraments to the action of the Church. The Sacraments, in fact, inasmuch as they were instituted by Jesus Christ, are entrusted to the Church to be preserved by her. It is evident here that although the Church is constituted by the Holy Spirit, who is the interpreter of the Word of God, and can, to a certain extent, determine the rites which express the sacramental grace offered by Christ, does not establish the very foundations of her existence: the Word of God and the saving acts of Christ.
It is therefore understandable that in the course of the centuries the Church has safeguarded the form of the celebration of the Sacraments, above all in those elements to which Scripture attests and that make it possible to recognize with absolute clarity the gesture of Christ in the ritual action of the Church. The Second Vatican Council has likewise established that no one “even if he be a priest, may add, remove, or change anything in the liturgy on his own authority”[8]. Modifying on one’s own initiative the form of the celebration of a Sacrament does not constitute simply a liturgical abuse, like the transgression of a positive norm, but a vulnus inflicted upon the ecclesial communion and the identifiability of Christ’s action, and in the most grave cases rendering invalid the Sacrament itself, because the nature of the ministerial action requires the transmission with fidelity of that which has been received (cf. 1 Cor 15:3).
In the celebration of the Sacraments, in fact, the subject is the Church, the Body of Christ together with its Head, that manifests itself in the concrete gathered assembly[9]. Such an assembly therefore acts ministerially – not collegially – because no group can make itself Church, but becomes Church in virtue of a call that cannot arise from within the assembly itself. The minister is therefore the sign-presence of Him who gathers, and is at the same time the locus of the communion of every liturgical assembly with the whole Church. In other words the minister is the visible sign that the Sacrament is not subject to an arbitrary action of individuals or of the community, and that it pertains to the Universal Church.
In this light must be understood the tridentine injunction concerning the necessity of the minister to at least have the intention to do that which the Church does[10]. The intention therefore cannot remain only at the interior level, with the risk of subjective distractions, but must be expressed in the exterior action constituted by the use of the matter and form of the Sacrament. Such an action cannot but manifest the communion between that which the minister accomplishes in the celebration of each individual sacrament with that which the Church enacts in communion with the action of Christ himself: It is therefore fundamental that the sacramental action may not be achieved in its own name, but in the person of Christ who acts in his Church, and in the name of the Church.
Therefore, in the specific case of the Sacrament of Baptism, not only does the minister not have the authority to modify the sacramental formula to his own liking, for the reasons of a christological and ecclesiological nature already articulated, but neither can he even declare that he is acting on behalf of the parents, godparents, relatives or friends, nor in the name of the assembly gathered for the celebration, because he acts insofar as he is the sign-presence of the same Christ that is enacted in the ritual gesture of the Church. When the minister says “I baptize you…” he does not speak as a functionary who carries out a role entrusted to him, but he enacts ministerially the sign-presence of Christ, who acts in his Body to give his grace and to make the concrete liturgical assembly a manifestation of “the real nature of the true Church”[11], insofar as “liturgical services are not private functions, but are celebrations of the Church, which is the ‘sacrament of unity,’ namely the holy people united and ordered under their bishops”[12].
Moreover, to modify the sacramental formula implies a lack of an understanding of the very nature of the ecclesial ministry that is always at the service of God and his people and not the exercise of a power that goes so far as to manipulate what has been entrusted to the Church in an act that pertains to the Tradition. Therefore, in every minister of Baptism, there must not only be a deeply rooted knowledge of the obligation to act in ecclesial communion, but also the same conviction that Saint Augustine attributes to the Precursor, which “was to be a certain peculiarity in Christ, such that, although many ministers, be they righteous or unrighteous, should baptize, the virtue of Baptism would be attributed to Him alone on whom the dove descended, and of whom it was said: ‘It is he who baptizes with the Holy Spirit’ (Jn 1:33)”. Therefore, Augustine comments: “Peter may baptize, but this is He that baptizes; Paul may baptize, yet this is He that baptizes; Judas may baptize, still this is He that baptizes»[13].
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[1] In reality, a careful analysis of the Rite of Baptism of Children shows that in the celebration the parents, godparents and the entire community are called to play an active role, a true liturgical office (cf. Rituale Romanum ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, Ordo Baptismi Parvulorum, Praenotanda, nn. 4-7), which according to the conciliar provisions, however, requires that “each person, minister or layman, who has an office to perform, should do all of, but only, those parts which pertain to his office by the nature of the rite and the principles of liturgy” (Second Vatican Ecumenical Council, Constitution on the Sacred Liturgy Sacrosanctum Concilium, 28).
[2] Often the recourse to pastoral motivation masks, even unconsciously, a subjective deviation and a manipulative will. Already in the last century Romano Guardini recalled that if in personal prayer the believer can follow the impulse of the heart, in liturgical action “he must open himself to a different kind of impulse which comes from a more powerful source: namely, the heart of the Church which beats through the ages. Here it does not matter what personal tastes are, what wants he may have, or what particular cares occupy his mind...” (R. Guardini, Vorschule des Betens, Einsiedeln/Zürich, 19482, p. 258; Eng. trans.: The Art of Praying, Manchester, NH, 1985, 176).
[3] Summa Theologiae, III, q. 67, a. 6 c.
[4] Second Vatican Ecumenical Council, Constitution Sacrosanctum Concilium, 7.
[5] S. Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[6] Cf. Second Vatican Ecumenical Council, Constitution Sacrosanctum Concilium, 5.
[7] Cf. DH 1601.
[8] Second Vatican Ecumenical Council, Constitution Sacrosanctum Concilium, 22 § 3.
[9] Cf. Catechismus Catholicae Ecclesiae, n. 1140: “Tota communitas, corpus Christi suo Capiti unitum, celebrat” and 1141: “Celebrans congregatio communitas est baptizatorum”.
[10] Cf. DH 1611.
[11] Second Vatican Ecumenical Council, Constitution Sacrosanctum Concilium, 2.
[12] Ibid., 26.
[13] S. Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[00923-EN.01] [Original text: Italian]
Traduzione in lingua tedesca
ANTWORT AUF VORGELEGTE DUBIA
über die Gültigkeit der Taufe unter Anwendung der Formel
«Wir taufen dich im Namen des Vaters und des Sohnes und des Heiligen Geistes»
DUBIA
1) Ist die Taufe unter Anwendung der Formel «Wir taufen dich im Namen des Vaters und des Sohnes und des Heiligen Geistes» gültig?
2) Müssen Personen, in deren Tauffeier diese Formel angewendet wurde, in forma absoluta getauft werden?
ANTWORTEN
Zu 1): Nein.
Zu 2): Ja.
Papst Franziskus hat in der dem unterzeichneten Kardinalpräfekten am 8. Juni 2020 gewährten Audienz die vorliegenden Antworten gutgeheißen und deren Veröffentlichung angeordnet.
Rom, am Sitz der Kongregation für die Glaubenslehre, am 24. Juni 2020, dem Hochfest der Geburt des hl. Johannes des Täufers.
Luis F. Kardinal Ladaria, S.I.
Präfekt
✠ Giacomo Morandi
Titularerzbischof von Cerveteri
Sekretär
* * *
LEHRMÄSSIGE NOTE
zur Abänderung der sakramentalen Formel der Taufe
Anlässlich einiger Tauffeiern in jüngerer Zeit wurde das Sakrament der Taufe mit den Worten «Im Namen von Papa und Mamma, des Paten und der Taufpatin, der Großeltern, der Familienmitglieder, der Freunde, im Namen der Gemeinschaft taufen wir dich im Namen des Vaters und des Sohnes und des Heiligen Geistes» gespendet. Offenbar geschah die bewusste Abänderung der sakramentalen Formel, um den Gemeinschaftswert der Taufe zu unterstreichen und die Beteiligung der Familie und der Anwesenden zum Ausdruck zu bringen, sowie um die Vorstellung einer Zentrierung der geistlichen Vollmacht beim Priester zum Nachteil der Eltern und der Gemeinschaft zu vermeiden, wie es die im Rituale Romanum angegebene Taufformel angeblich vermitteln würde[1]. Hier taucht wiederum eine alte Versuchung mit fragwürdigen Beweggründen pastoraler Natur auf[2], nämlich die von der Tradition vorgegebene Formel durch andere Texte zu ersetzen, die für geeigneter erachtet werden. Diesbezüglich stellte sich bereits Thomas von Aquin die Frage, «utrum plures possint simul baptizare unum et eundem», die er als eine dem Wesen des Taufspenders zuwiderlaufende Praxis negativ beantwortete[3].
Das Ökumenische Zweite Vatikanische Konzil erklärt, dass, «wenn immer einer tauft, Christus selber tauft»[4]. Diese Aussage der Liturgiekonstitution Sacrosanctum Concilium, inspiriert von einen Text des heiligen Augustinus[5], zielt darauf ab, die sakramentale Feier in der Gegenwart Christi zu verankern, nicht nur in dem Sinne, dass er seine virtus in sie eingießt, um ihr Wirksamkeit zu verleihen, sondern vor allem, um anzuzeigen, dass der Herr der Haupthandelnde des gefeierten Ereignisses ist.
Denn in der Tat handelt die Kirche in der Feier der Sakramente als der von ihrem Haupt untrennbare Leib, da Christus das Haupt im von ihm durch das Ostergeheimnis hervorgebrachten Leib der Kirche wirkt[6]. Die Lehre von der göttlichen Einsetzung der Sakramente, die vom Konzil von Trient feierlich bekräftigt wurde[7], sieht also ihre natürliche Entwicklung und ihre authentische Auslegung in der bereits erwähnten Feststellung in Sacrosanctum Concilium. Die beiden Konzile befinden sich daher in sich ergänzender Übereinstimmung, wenn beide erklären, keinerlei Verfügungsgewalt über das Septenarium der Sakramente für das Handeln der Kirche zu besitzen. Die Sakramente sind in der Tat, als von Jesus Christus eingesetzt und der Kirche anvertraut, damit diese von ihr behütet und bewahrt werden. Hier zeigt sich, auch wenn die Kirche durch den Heiligen Geist zur Auslegerin des Wortes Gottes bestellt ist und bis zu einem gewissen Grad die Riten festlegen kann, die die von Christus angebotene sakramentale Gnade zum Ausdruck bringen, dass sie selber aber nicht über die eigentlichen Grundlagen ihrer Existenz verfügen kann, nämlich über das Wort Gottes und das Erlösungswerk Christi.
Es ist daher einsichtig, dass die Kirche im Laufe der Jahrhunderte die Form der Feier der Sakramente sorgfältig überliefert und bewahrt hat, insbesondere jene in der hl. Schrift bezeugten Elemente, die es ermöglichen, mit absoluter Klarheit die Handlung Christi im rituellen Handeln der Kirche zu erkennen. Das Zweite Vatikanische Konzil legte zudem fest: «Deshalb darf durchaus niemand sonst, auch wenn er Priester wäre, nach eigenem Gutdünken in der Liturgie etwas hinzufügen, wegnehmen oder ändern»[8]. Das Modifizieren der Form der Feier eines Sakramentes aus eigener Initiative stellt nicht einfach einen liturgischen Missbrauch als Überschreitung einer positiven Norm dar. Ein solcher Eingriff ist ein der kirchlichen Gemeinschaft als auch der Erkennbarkeit des Handelns Christi zugefügter vulnus, der in den schwerwiegendsten Fällen das Sakrament selbst ungültig macht, weil das Wesen der sakramentalen Handlung das treue Weitergeben des vom Herrn Empfangenen verlangt (vgl. 1 Kor 15,3).
In der Feier der Sakramente ist tatsächlich die Kirche mit ihrem Haupt als Leib Christi das Subjekt, das sich in der versammelten Gemeinschaft manifestiert[9]. Diese feiernde Gemeinschaft versieht einen amtlichen Auftrag, jedoch nicht kollegial, denn keine Gruppierung kann sich selbst zu Kirche machen, sondern sie wird Kirche kraft eines Rufes, der nicht aus dem Inneren dieser Versammlung selbst hervorgehen kann. Der Taufspender ist daher ein Präsenzzeichen desjenigen, der zusammenruft, und ist der sichtbare Bezugspunkt der Communio jeder liturgischen Versammlung mit der ganzen Kirche.
Mit anderen Worten, der Taufspender ist ein äußeres Zeichen dafür, dass das Sakrament nicht der Verfügungsgewalt eines Einzelnen oder einer Gemeinschaft unterworfen ist, sondern der ganzen Kirche gehört.
In dieser Hinsicht ist die Konzilsaussage von Trient zu verstehen, dass der Spender zumindest die Absicht haben muss, das zu tun, was die Kirche tut[10]. Diese Intention kann jedoch nicht nur auf eine innere Ebene mit dem Risiko subjektiver Abweichungen beschränkt bleiben, sondern sie drückt sich im gesetzten äußeren Akt unter Anwendung von Materie und Form des Sakramentes aus. Lediglich ein solcher Akt kann die gemeinsame Beziehung zwischen dem, was der Spender in der Feier eines jeden Sakramentes vollzieht, und dem, was die Kirche in Verbindung mit dem Handeln Christi selbst vollzieht, zum Ausdruck bringen. Es ist daher von grundlegender Bedeutung, dass die sakramentale Handlung nicht im eigenen Namen geschieht, sondern im Namen der in seiner Kirche handelnden Person Christi und im Namen der Kirche.
Deshalb ist, wie im spezifischen Fall des Taufsakraments, der Spender, und zwar aus den oben dargelegten christologischen und ekklesiologischen Gründen, nicht nur nicht befugt, über die sakramentale Spendeformel nach Belieben zu verfügen, sondern er kann noch weniger erklären, dass er im Namen der Eltern, der Taufpaten, der Familienmitglieder oder Freunde, und nicht einmal im Namen der feiernden Gemeinde selbst, handelt. Denn der Spender handelt als Präsenzzeichen des eigentlichen Handelns Christi, das sich in der Ritushandlung der Kirche vollzieht. Während der Spender ausspricht: «Ich taufe dich... », spricht er nicht als ein Funktionär, der eine ihm anvertraute Rolle spielt. Er handelt vielmehr amtlich als Präsenzzeichen des in seinem Leibe handelnden Christus, der seine Gnade schenkt und die konkrete liturgische Versammlung zu einer Manifestation «des eigentlichen Wesens der wahren Kirche»[11] macht. Denn «die liturgischen Handlungen sind nicht privater Natur, sondern Feiern der Kirche, die das „Sakrament der Einheit“ ist; sie ist nämlich das heilige Volk, geeint und geordnet unter den Bischöfen»[12].
Das Verändern der sakramentalen Formel bedeutet auch, das Wesen des kirchlichen Amtes nicht zu verstehen, das immer Dienst an Gott und seinem Volk ist und nicht die Ausübung einer Macht, die bis zur Manipulation dessen geht, was der Kirche in einer Handlung, die der Tradition angehört, anvertraut worden ist. In jedem Taufspender muss daher nicht nur das Bewusstsein der Verpflichtung zum Handeln in kirchlicher Gemeinschaft verwurzelt sein, sondern auch dieselbe Überzeugung, die der heilige Augustinus dem Vorläufer zuschreibt, der gelernt hat, «dass eine besondere Eigentümlichkeit an Christus darin besteht, nämlich, obwohl viele Diener taufen, Gerechte und Ungerechte, dass die Heiligkeit der Taufe nur dem zugeschrieben werden kann, auf den die Taube herabstieg, von dem es heißt: „Dieser ist es, welcher im Heiligen Geiste tauft“ (Joh 1,33)». Abschließend kommentiert Augustinus: «Mag Petrus taufen, er ist es, der tauft; mag Paulus taufen, er ist es, der tauft; mag Judas taufen, er ist es, der tauft»[13].
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[1] In Wirklichkeit zeigt eine sorgfältige Analyse des Ritus der Kindertaufe, dass in der Feier Eltern, Taufpaten und die ganze Gemeinschaft aufgerufen sind, aktiv an der Feier teilzunehmen in Ausübung eines wirklichen liturgischen Amtes (cfr. Rituale Romanum ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, Ordo Baptismi Parvulorum, Praenotanda, nn. 4-7), was jedoch gemäß der Aussage des Konzils impliziert, dass ein «jeder, sei er Liturge oder Gläubiger, in der Ausübung seiner Aufgabe nur das und all das tun soll, was ihm aus der Natur der Sache und gemäß den liturgischen Regeln zukommt» (II. Vatikanisches Konzil, Konst. Sacrosanctum Concilium, Nr. 28).
[2] Oft verbirgt sich hinter dem Rückgriff auf pastorale Beweggründe, auch unbewusst, ein subjektives Abdriften und ein manipulativer Wille. Bereits im letzten Jahrhundert erinnerte Romano Guardini daran, dass der Gläubige im persönlichen Beten auch dem Impuls des Herzens folgen darf; „wenn er aber an der Liturgie teilnimmt, soll er sich einem anderen Antrieb öffnen, der aus mächtigerer Tiefe entspringt; aus dem Herzen der Kirche, welches durch die Jahrtausende hin pulst. Hier kommt es nicht darauf an, was ihm persönlich gefällt, wonach ihm gerade der Sinn steht…» (Guardini R., Vorschule des Betens, Einsiedeln/Zürich 19482, S. 258).
[3] Summa Theologiae, III, q. 67, a. 6 c.
[4] II. Vatikanisches Konzil, Konst. Sacrosanctum Concilium, Nr. 7.
[5] Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus VI, 7.
[6] Cfr. II. Vatikanisches Konzil, Konst. Sacrosanctum Concilium, Nr. 5.
[7] Cfr. Denzinger-Hünermann, Nr. 1601.
[8] II. Vatikanisches Konzil, Konst. Sacrosanctum Concilium, Nr. 22, §3.
[9] Cfr. Catechismus Catholicae Ecclesiae, Nr. 1140: «Tota communitas, corpus Christi suo Capiti unitum, celebrat» und Nr. 1141: «Celebrans congregatio communitas est baptizatorum».
[10] Cfr. Denzinger-Hünermann, Nr. 1611.
[11] II. Vatikanisches Konzil, Konst. Sacrosanctum Concilium, Nr. 2.
[12] Ibidem, Nr. 26.
[13] Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[00923-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]
Traduzione in lingua spagnola
RESPUESTAS A LAS DUDAS PROPUESTAS
sobre la validez del Bautismo conferido con la fórmula
«Nosotros te bautizamos en el nombre del Padre y del Hijo y del Espíritu Santo»
PREGUNTAS
Primera: ¿Es válido el Bautismo conferido con la fórmula «Nosotros te bautizamos en el nombre del Padre y del Hijo y del Espíritu Santo»?
Segunda: Las personas para las cuales se ha celebrado el Bautismo con esta fórmula, ¿deben ser bautizadas en forma absoluta?
RESPUESTAS
A la primera: Negativo.
A la segunda: Afirmativo.
El Sumo Pontífice Francisco, en la audiencia concedida al infrascrito Cardenal Prefecto el 8 de junio de 2020, ha aprobado las presentes Respuestas y ha ordenado que sean publicadas.
Dado en Roma, en la sede de la Congregación para la Doctrina de la Fe, el 24 de junio de 2020, Solemnidad de la Natividad de San Juan Bautista.
Luis F. Card. Ladaria, S.I.
Prefecto
✠ Giacomo Morandi
Arzobispo titular de Cerveteri
Secretario
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NOTA DOCTRINAL
sobre la modificación de la fórmula sacramental del Bautismo
Recientemente se han visto celebraciones del Sacramento del Bautismo administrado con las palabras: «Nosotros, el padre y la madre, el padrino y la madrina, los abuelos, los familiares, los amigos, la comunidad, te bautizamos en el nombre del Padre y del Hijo y del Espíritu Santo». Al parecer, la deliberada modificación de la fórmula sacramental se ha introducido para subrayar el valor comunitario del Bautismo, para expresar la participación de la familia y de los presentes y para evitar la idea de la concentración de un poder sagrado en el sacerdote, en detrimento de los progenitores y de la comunidad, que la fórmula presente en el Ritual Romano implicaría[1]. Reaparece aquí, con discutibles motivos de orden pastoral[2], una antigua tentación de sustituir la fórmula tradicional con otros textos juzgados más idóneos. Al respecto ya Santo Tomás de Aquino se había planteado la cuestión «utrum plures possint simul baptizare unum et eundem», a la cual había respondido negativamente en cuanto praxis contraria a la naturaleza del ministro[3].
El Concilio Vaticano II declara que: «cuando alguien bautiza, es Cristo quien bautiza»[4]. La afirmación de la Constitución sobre la Sagrada Liturgia Sacrosancum Concilium, inspirada en un texto de San Agustín[5], quiere reconducir la celebración sacramental a la presencia de Cristo, no solo en el sentido de que él le infunde su virtus para darle eficacia, sino sobre todo para indicar que el Señor es el protagonista del evento que se celebra.
La Iglesia en efecto, cuando celebra un sacramento, actúa como Cuerpo que opera inseparablemente de su Cabeza, en cuanto es Cristo-Cabeza el que actúa en el Cuerpo eclesial generado por él en el misterio de la Pascua[6]. La doctrina de la institución divina de los sacramentos, solemnemente afirmada por el Concilio de Trento[7], ve así su natural desarrollo y su auténtica interpretación en la citada afirmación de Sacrosanctum Concilium. Los dos concilios se hallan, por tanto, en complementaria sintonía al declarar la absoluta indisponibilidad del septenario sacramental a la discreción de la Iglesia. Los sacramentos, en efecto, en cuanto instituidos por Jesucristo, se le entregan a la Iglesia para que los salvaguarde. Aparece aquí evidente que la Iglesia, aunque esté constituida por el Espíritu Santo como intérprete de la Palabra de Dios y pueda, en cierta medida, determinar los ritos que expresan la gracia sacramental ofrecida por Cristo, no dispone de los fundamentos mismos de su existencia: la Palabra de Dios y los gestos salvíficos de Cristo.
Resulta, por tanto, comprensible que, a lo largo de los siglos, la Iglesia haya custodiado con atención la forma celebrativa de los sacramentos, sobre todo en aquellos elementos que la Escritura refrenda y que permiten reconocer con absoluta evidencia el gesto de Cristo en la acción ritual de la Iglesia. El Concilio Vaticano II ha establecido, además, que «nadie, aunque sea sacerdote, añada, quite o cambie cosa alguna por iniciativa propia en la Liturgia»[8]. Modificar al propio arbitrio la forma celebrativa de un sacramento no constituye un simple abuso litúrgico, en cuanto transgresión de una norma positiva, sino también un vulnus infligido tanto a la comunión eclesial como a la posibilidad de reconocer en ella la obra de Cristo, que en los casos más graves hace inválido el sacramento mismo, porque la naturaleza de la acción ministerial exige transmitir con fidelidad lo que se ha recibido (cf. 1Cor 15, 3).
En la celebración de los sacramentos, en efecto, el sujeto es la Iglesia-Cuerpo de Cristo junto con su Cabeza, que se manifiesta en la concreta asamblea reunida[9]. Tal asamblea, sin embargo, actúa ministerialmente —no colegialmente— porque ningún grupo puede hacerse a sí mismo Iglesia, sino que se hace Iglesia en virtud de una llamada, que no puede surgir desde dentro de la asamblea misma. El ministro es, por consiguiente, signo-presencia de Aquel que reúne y, al mismo tiempo, lugar de comunión de la asamblea litúrgica con toda la Iglesia. En otras palabras, el ministro es un signo exterior de que el sacramento no está a nuestra disposición, así como de su carácter relativo a la Iglesia universal.
A la luz de todo ello se ha de entender cuanto enseña el Concilio Tridentino sobre la necesidad de que el ministro tenga la intención al menos de hacer lo que hace la Iglesia[10]. La intención, sin embargo, no puede quedarse solo a nivel interior, con el riesgo de derivas subjetivas, sino que se expresa en el acto exterior que se pone, mediante el uso de la materia y de la forma del sacramento. Tal acto no puede por menos de manifestar la comunión entre lo que hace el ministro en la celebración de cada sacramento y lo que la Iglesia hace en comunión con la acción de Cristo mismo: por eso es fundamental que la acción sacramental sea realizada no en nombre propio, sino en la persona de Cristo, que actúa en su Iglesia, y en nombre de la Iglesia.
Por tanto, en el caso específico del Sacramento del Bautismo, el ministro no solo carece de autoridad para disponer a su gusto de la fórmula sacramental, por los motivos de naturaleza cristológica y eclesiológica más arriba expuestos, sino que tampoco puede declarar que actúa en nombre de los padres, los padrinos, los familiares o los amigos, y ni siquiera en nombre de la misma asamblea reunida para la celebración, porque el ministro actúa en cuanto signo-presencia de la acción misma de Cristo, que se realiza en el gesto ritual de la Iglesia. Cuando el ministro dice «Yo te bautizo…», no habla como un funcionario que ejerce un papel que se le ha asignado, sino que opera ministerialmente como signo-presencia de Cristo, que actúa en su Cuerpo, donando su gracia y haciendo de aquella concreta asamblea litúrgica una manifestación de «la naturaleza auténtica de la verdadera Iglesia»[11], en cuanto «las acciones litúrgicas no son acciones privadas, sino celebraciones de la Iglesia, que es “sacramento de unidad”, es decir, pueblo santo congregado y ordenado bajo la dirección de los obispos»[12].
Alterar la fórmula sacramental significa, además, no comprender la naturaleza misma del ministerio eclesial, que es siempre servicio a Dios y a su pueblo, y no ejercicio de un poder que llega hasta la manipulación de lo que ha sido confiado a la Iglesia con un acto que pertenece a la Tradición. En todo ministro del Bautismo, por lo tanto, debe estar bien enraizada no solo la conciencia del deber de actuar en comunión con la Iglesia, sino también la misma convicción que San Agustín atribuye al Precursor, el cual aprendió «que en Cristo habría cierta propiedad tal, que, aunque muchos ministros, justos o injustos, iban a bautizar, la santidad del bautismo no se atribuiría sino a aquel sobre quien descendió la paloma, del cual está dicho “este es el que bautiza en el Espíritu Santo” (Gv 1, 33)». Comenta, por tanto, Agustín: «Bautice Pedro, este [Cristo] es quien bautiza; bautice Pablo, este es quien bautiza; bautice Judas, este es quien bautiza»[13].
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[1] En realidad, un análisis atento del Rito del Bautismo de los Niños muestra que en la celebración los padres, los padrinos y la entera comunidad son llamados a tener un papel activo, un verdadero y propio oficio litúrgico (cf. Rituale Romanum ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, Ordo Baptismi Parvulorum, Praenotanda, nn. 4-7), que, según la norma conciliar, comporta empero que «cada cual, ministro o simple fiel, al desempeñar su oficio, hará todo y sólo aquello que le corresponde por la naturaleza de la acción y las normas litúrgicas»: Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 28.
[2] A menudo el recurso a la motivación pastoral oculta, a veces de forma inconsciente, una deriva subjetiva y una voluntad manipuladora. Ya en el siglo pasado Romano Guardini recordaba que, mientras en la oración personal el creyente puede seguir el impulso del corazón, «cuando participa en la acción litúrgica, debe abrirse a una fuente de vida que procede de un plano más profundo y poderoso: el corazón de la Iglesia, cuyo pulso late a través de los siglos. Lo decisivo aquí no es lo que le gusta a él, lo que le preocupa en cada momento, sus cuitas personales» (R. Guardini, Vorschule des Betens, Einsiedeln/Zürich, 19482, p. 258; trad. esp.: Introducción a la vida de oración, Madrid 2006, p. 208).
[3] Summa Theologiae, III, q. 67, a. 6 c.
[4] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 7.
[5] S. Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[6] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 5.
[7] Cf. DH, n. 1601.
[8] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 22 § 3.
[9] Cf. Catechismus Catholicae Ecclesiae, n. 1140: «Tota communitas, corpus Christi suo Capiti unitum, celebrat» y n. 1141: «Celebrans congregatio communitas est baptizatorum».
[10] Cf. DH, n. 1611.
[11] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 2.
[12] Ibidem, n. 26.
[13] «Hic est qui baptizat in Spiritu sancto. Petrus baptizet, hic est qui baptizat; Paulus baptizet, hic est qui baptizat; Judas baptizet, hic est qui baptizat». S. Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[00923-ES.01] [Texto original: Italiano]
Traduzione in lingua portoghese
RESPOSTA A DÚVIDAS PROPOSTAS
sobre a validade do Batismo conferido com a fórmula
«Nós te batizamos em nome do Pai e do Filho e do Espírito Santo»
DÚVIDAS
Primeira: É válido o Batismo conferido com a fórmula «Nós te batizamos em nome do Pai e do Filho e do Espírito Santo»?
Segunda: Aquelas pessoas para quem foi celebrado o Batismo com esta fórmula devem ser batizadas de modo absoluto?
RESPOSTAS
À primeira: Negativamente.
À segunda: Afirmativamente.
O Sumo Pontífice Francisco, durante a Audiência concedida ao abaixo assinado Cardeal Prefeito, em data de 8 de junho de 2020, aprovou estas Respostas e ordenou a sua publicação.
Da sede da Congregação para a Doutrina da Fé, aos 24 de junho de 2020, na Solenidade da Natividade de São João Batista.
Luis F. Card. Ladaria, S.I.
Prefeito
✠ Giacomo Morandi
Arcebispo titular de Cerveteri
Secretário
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NOTA DOUTRINAL
Sobre a modificação da fórmula sacramental do Batismo
Recentemente, houve celebrações do Sacramento do Batismo administrado com as palavras: “Em nome do papai e da mamãe, do padrinho e da madrina, dos avós, dos familiares, dos amigos, em nome da comunidade, nós te batizamos em nome do Pai e do Filho e do Espírito Santo”. Aparentemente, a modificação deliberada da fórmula sacramental foi introduzida para sublinhar o valor comunitário do Batismo, para exprimir a participação da família e dos presentes e para evitar a ideia da concentração de um poder sacral no sacerdote, em detrimento dos pais e da comunidade, que a fórmula presente no Ritual Romano transmitiria[1]. Reaparece aqui, com discutíveis motivações de ordem pastoral[2], uma antiga tentação de substituir a fórmula transmitida pela Tradição com outros textos julgados mais idôneos. A este propósito, já Santo Tomás de Aquino havia colocado a questão «utrum plures possint simul baptizare unum et eundem», à qual havia respondido negativamente, enquanto praxe contrária à natureza do ministro[3].
O Concílio Vaticano II afirma que: «Quando alguém batiza, é Cristo mesmo que batiza»[4]. A afirmação da Constituição litúrgica Sacrosanctum Concilium, inspirada em um texto de Santo Agostinho[5], quer reconduzir a celebração sacramental à presença de Cristo, não só no sentido de que ele lhe transfere a sua virtus para dar-lhe eficácia, mas sobretudo para indicar que o Senhor é o protagonista do evento que se celebra.
A Igreja, com efeito, quando celebra um Sacramento, age como Corpo que opera inseparavelmente da sua Cabeça, enquanto é o Cristo-Cabeça que age no Corpo eclesial por ele gerado no mistério da Páscoa[6]. A doutrina da instituição divina dos Sacramentos, solenemente afirmada pelo Concílio de Trento[7], vê assim o seu natural desenvolvimento e a sua autêntica interpretação na citada afirmação da Sacrosanctum Concilium. Os dois Concílios se encontram, portanto, em sintonia complementar, ao declararem a absoluta indisponibilidade do setenário sacramental à ação da Igreja. Os Sacramentos, de fato, enquanto instituídos por Jesus Cristo, são confiados à Igreja para que sejam por ela conservados. Aparece aqui evidente que a Igreja, ainda que seja constituída pelo Espírito Santo como intérprete da Palavra de Deus e possa, em certa medida, determinar os ritos que exprimem a graça sacramental oferecida por Cristo, não dispõe dos fundamentos mesmos do seu existir: a Palavra de Deus e os gestos salvíficos de Cristo.
Torna-se, portanto, compreensível como no curso dos séculos a Igreja tenha conservado com zelo a forma celebrativa dos Sacramentos, sobretudo naqueles elementos que a Escritura atesta e que permitem reconhecer com absoluta evidência o gesto de Cristo na ação ritual da Igreja. O Concílio Vaticano II estabeleceu ainda que ninguém, «mesmo que seja sacerdote, ouse, por sua iniciativa, acrescentar, suprimir ou mudar seja o que for em matéria litúrgica»[8]. Modificar por própria iniciativa a forma celebrativa de um Sacramento não constitui um simples abuso litúrgico, como transgressão de uma norma positiva, mas um vulnus infligido, ao mesmo tempo, à comunhão eclesial e à possibilidade de reconhecimento da ação de Cristo, que nos casos mais graves torna inválido o próprio Sacramento, já que a natureza da ação ministerial exige transmitir com fidelidade aquilo que se recebeu (cfr. 1 Cor 15, 3).
Na celebração dos Sacramentos, com efeito, o sujeito é a Igreja-Corpo de Cristo juntamente com sua Cabeça, que se manifesta na concreta assembleia reunida[9]. Tal assembleia porém age ministerialmente – não colegialmente – porque nenhum grupo pode fazer de si mesmo Igreja, mas se torna Igreja em virtude de um chamado, que não pode surgir do interno da própria assembleia. O ministro é, portanto, sinal-presença d’Aquele que reúne e, ao mesmo tempo, é lugar de comunhão de cada assembleia litúrgica com a Igreja inteira. Em outras palavras, o ministro é um sinal exterior da subtração do Sacramento ao nosso arbítrio e da sua pertença à Igreja universal.
Nesta perspectiva é que se deve compreender quanto afirmado pelo Concílio de Trento sobre a necessidade de o ministro ter ao menos a intenção de fazer o que a Igreja faz[10]. A intenção, porém, não pode permanecer somente no nível interior, com o risco de derivas subjetivistas, mas se exprime no ato exterior que se cumpre, com a utilização da matéria e da forma do Sacramento. Tal ato só pode manifestar a comunhão entre aquilo que o ministro realiza na celebração de cada Sacramento com aquilo que a Igreja faz, unida à ação do próprio Cristo: é por isso fundamental que a ação sacramental seja realizada não em nome próprio, mas na pessoa de Cristo, que age na sua Igreja, e em nome da Igreja.
Portanto, no caso específico do Sacramento do Batismo, o ministro não só não tem autoridade de dispor à vontade da fórmula sacramental, pelos motivos de natureza cristológica e eclesiológica acima expostos, mas não pode sequer declarar que age em nome dos pais, dos padrinhos, dos familiares ou dos amigos, e nem mesmo em nome da assembleia reunida para a celebração, porque o ministro age enquanto sinal-presença da ação de Cristo, que se realiza no gesto ritual da Igreja. Quando o ministro diz «Eu te batizo…», não fala como um funcionário que cumpre um papel a ele confiado, mas opera ministerialmente como sinal-presença de Cristo, que age no seu Corpo, doando a sua graça e tornando aquela concreta assembleia litúrgica manifestação «da genuína natureza da verdadeira Igreja»[11], enquanto «as ações litúrgicas não são ações privadas, mas celebrações da Igreja, que é sacramento de unidade, isto é, povo santo, reunido e ordenado sob a direção dos bispos»[12].
Alterar a fórmula sacramental significa, ainda, não compreender a natureza mesma do ministério eclesial, que é sempre serviço a Deus e ao seu povo e não exercício de um poder que chega à manipulação daquilo que foi confiado à Igreja com um ato que pertence à Tradição. Em cada ministro do Batismo deve ser, pois, radicada não só a consciência de dever agir na comunhão eclesial, mas também a mesma convicção que Santo Agostinho atribui ao Precursor, o qual «percebeu que haveria em Cristo uma propriedade tal que, malgrado a multiplicidade dos ministros, santos ou pecadores, que batizariam, a santidade do Batismo só seria atribuída Àquele ao qual sobreveio a pomba e do qual foi dito: “é Ele que batiza no Espírito Santo” (Jo 1, 33)». Comenta, pois, Agostinho: «Batize Pedro, é Cristo que batiza; batize Paulo, é Cristo que batiza; batize até mesmo Judas, é Cristo que batiza»[13].
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[1] Na realidade, uma atenta análise do Ritual do Batismo de Crianças mostra que na celebração os pais, os padrinhos e a inteira comunidade são chamados a desempenhar um papel ativo, um verdadeiro e próprio ofício litúrgico (cfr. Rituale Romanum ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli PP. VI promulgatum, Ordo Baptismi Parvulorum, Praenotanda, nn. 4-7) que, segundo a afirmação conciliar, comporta, porém, que «cada um, ministro ou fiel, desempenhando o próprio ofício, realize somente e tudo aquilo que, segundo a natureza do rito e das normas litúrgicas, é de sua competência»: Concílio Ecumênico Vaticano II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 28.
[2] Frequentemente, o recurso à motivação pastoral mascara, ainda que inconscientemente, uma deriva subjetivista e uma vontade manipuladora. Já no século passado, Romano Guardini recordava que, se na oração pessoal a pessoa de fé pode seguir o impulso do coração, na ação litúrgica «deve abrir-se a um outro impulso, de mais potente e profunda origem, vindo do coração da Igreja que bate através dos séculos. Aqui não conta aquilo que pessoalmente lhe agrada ou naquele momento lhe parece desejável…» (R. Guardini, Vorschule des Betens, Einsiedeln/Zürich, 19482, p. 258).
[3] Summa Theologiae, III, q. 67, a. 6 c.
[4] Concílio Ecumênico Vaticano II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 7.
[5] S. Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[6] Cfr. Concílio Ecumênico Vaticano II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 5.
[7] Cfr. Denzinger-Hünermann, n. 1601.
[8] Concílio Ecumênico Vaticano II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 22 §3.
[9] Cfr. Catechismus Catholicae Ecclesiae, n. 1140: «Tota communitas, corpus Christi suo Capite unitum, celebrat» e n. 1141: «Celebrans congregatio communitas est baptizatorum».
[10] Cfr. Denzinger-Hünermann, n. 1611.
[11] Concílio Ecumênico Vaticano II, Const. Sacrosanctum Concilium, n. 2.
[12] Ibidem, n. 26.
[13] S. Augustinus, In Evangelium Ioannis tractatus, VI, 7.
[00923-PO.01] [Texto original: Italiano]
[B0406-XX.02]