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Messaggio del Santo Padre Francesco per la IV Giornata Mondiale dei Poveri (15 novembre 2020), 13.06.2020


Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

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Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Francesco per la IV Giornata Mondiale dei Poveri che si celebra la XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – quest’anno il 15 novembre 2020 – sul tema “Tendi la tua mano al povero” (Sir 7,32):

Messaggio del Santo Padre

“Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32)

“Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32). La sapienza antica ha posto queste parole come un codice sacro da seguire nella vita. Esse risuonano oggi con tutta la loro carica di significato per aiutare anche noi a concentrare lo sguardo sull’essenziale e superare le barriere dell’indifferenza. La povertà assume sempre volti diversi, che richiedono attenzione ad ogni condizione particolare: in ognuna di queste possiamo incontrare il Signore Gesù, che ha rivelato di essere presente nei suoi fratelli più deboli (cfr Mt 25,40).

1. Prendiamo tra le mani il Siracide, uno dei libri dell’Antico Testamento. Qui troviamo le parole di un maestro di saggezza vissuto circa duecento anni prima di Cristo. Egli andava in cerca della sapienza che rende gli uomini migliori e capaci di scrutare a fondo le vicende della vita. Lo faceva in un momento di dura prova per il popolo d’Israele, un tempo di dolore, lutto e miseria a causa del dominio di potenze straniere. Essendo un uomo di grande fede, radicato nelle tradizioni dei padri, il suo primo pensiero fu di rivolgersi a Dio per chiedere a Lui il dono della sapienza. E il Signore non gli fece mancare il suo aiuto.

Fin dalle prime pagine del libro, il Siracide espone i suoi consigli su molte concrete situazioni di vita, e la povertà è una di queste. Egli insiste sul fatto che nel disagio bisogna avere fiducia in Dio: «Non ti smarrire nel tempo della prova. Stai unito a lui senza separartene, perché tu sia esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore. Nelle malattie e nella povertà confida in lui. Affidati a lui ed egli ti aiuterà, raddrizza le tue vie e spera in lui. Voi che temete il Signore, aspettate la sua misericordia e non deviate, per non cadere» (2,2-7).

2. Pagina dopo pagina, scopriamo un prezioso compendio di suggerimenti sul modo di agire alla luce di un’intima relazione con Dio, creatore e amante del creato, giusto e provvidente verso tutti i suoi figli. Il costante riferimento a Dio, tuttavia, non distoglie dal guardare all’uomo concreto, al contrario, le due cose sono strettamente connesse.

Lo dimostra chiaramente il brano da cui è tratto il titolo di questo Messaggio (cfr 7,29-36). La preghiera a Dio e la solidarietà con i poveri e i sofferenti sono inseparabili. Per celebrare un culto che sia gradito al Signore, è necessario riconoscere che ogni persona, anche quella più indigente e disprezzata, porta impressa in sé l’immagine di Dio. Da tale attenzione deriva il dono della benedizione divina, attirata dalla generosità praticata nei confronti del povero. Pertanto, il tempo da dedicare alla preghiera non può mai diventare un alibi per trascurare il prossimo in difficoltà. È vero il contrario: la benedizione del Signore scende su di noi e la preghiera raggiunge il suo scopo quando sono accompagnate dal servizio ai poveri.

3. Quanto è attuale questo antico insegnamento anche per noi! Infatti la Parola di Dio oltrepassa lo spazio, il tempo, le religioni e le culture. La generosità che sostiene il debole, consola l’afflitto, lenisce le sofferenze, restituisce dignità a chi ne è privato, è condizione di una vita pienamente umana. La scelta di dedicare attenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati. Non si può soffocare la forza della grazia di Dio per la tendenza narcisistica di mettere sempre sé stessi al primo posto.

Tenere lo sguardo rivolto al povero è difficile, ma quanto mai necessario per imprimere alla nostra vita personale e sociale la giusta direzione. Non si tratta di spendere tante parole, ma piuttosto di impegnare concretamente la vita, mossi dalla carità divina. Ogni anno, con la Giornata Mondiale dei Poveri, ritorno su questa realtà fondamentale per la vita della Chiesa, perché i poveri sono e saranno sempre con noi (cfr Gv 12,8) per aiutarci ad accogliere la compagnia di Cristo nell’esistenza quotidiana.

4. Sempre l’incontro con una persona in condizione di povertà ci provoca e ci interroga. Come possiamo contribuire ad eliminare o almeno alleviare la sua emarginazione e la sua sofferenza? Come possiamo aiutarla nella sua povertà spirituale? La comunità cristiana è chiamata a coinvolgersi in questa esperienza di condivisione, nella consapevolezza che non le è lecito delegarla ad altri. E per essere di sostegno ai poveri è fondamentale vivere la povertà evangelica in prima persona. Non possiamo sentirci “a posto” quando un membro della famiglia umana è relegato nelle retrovie e diventa un’ombra. Il grido silenzioso dei tanti poveri deve trovare il popolo di Dio in prima linea, sempre e dovunque, per dare loro voce, per difenderli e solidarizzare con essi davanti a tanta ipocrisia e tante promesse disattese, e per invitarli a partecipare alla vita della comunità.

È vero, la Chiesa non ha soluzioni complessive da proporre, ma offre, con la grazia di Cristo, la sua testimonianza e gesti di condivisione. Essa, inoltre, si sente in dovere di presentare le istanze di quanti non hanno il necessario per vivere. Ricordare a tutti il grande valore del bene comune è per il popolo cristiano un impegno di vita, che si attua nel tentativo di non dimenticare nessuno di coloro la cui umanità è violata nei bisogni fondamentali.

5. Tendere la mano fa scoprire, prima di tutto a chi lo fa, che dentro di noi esiste la capacità di compiere gesti che danno senso alla vita. Quante mani tese si vedono ogni giorno! Purtroppo, accade sempre più spesso che la fretta trascina in un vortice di indifferenza, al punto che non si sa più riconoscere il tanto bene che quotidianamente viene compiuto nel silenzio e con grande generosità. Accade così che, solo quando succedono fatti che sconvolgono il corso della nostra vita, gli occhi diventano capaci di scorgere la bontà dei santi “della porta accanto”, «di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 7), ma di cui nessuno parla. Le cattive notizie abbondano sulle pagine dei giornali, nei siti internet e sugli schermi televisivi, tanto da far pensare che il male regni sovrano. Non è così. Certo, non mancano la cattiveria e la violenza, il sopruso e la corruzione, ma la vita è intessuta di atti di rispetto e di generosità che non solo compensano il male, ma spingono ad andare oltre e ad essere pieni di speranza.

6. Tendere la mano è un segno: un segno che richiama immediatamente alla prossimità, alla solidarietà, all’amore. In questi mesi, nei quali il mondo intero è stato come sopraffatto da un virus che ha portato dolore e morte, sconforto e smarrimento, quante mani tese abbiamo potuto vedere! La mano tesa del medico che si preoccupa di ogni paziente cercando di trovare il rimedio giusto. La mano tesa dell’infermiera e dell’infermiere che, ben oltre i loro orari di lavoro, rimangono ad accudire i malati. La mano tesa di chi lavora nell’amministrazione e procura i mezzi per salvare quante più vite possibile. La mano tesa del farmacista esposto a tante richieste in un rischioso contatto con la gente. La mano tesa del sacerdote che benedice con lo strazio nel cuore. La mano tesa del volontario che soccorre chi vive per strada e quanti, pur avendo un tetto, non hanno da mangiare. La mano tesa di uomini e donne che lavorano per offrire servizi essenziali e sicurezza. E altre mani tese potremmo ancora descrivere fino a comporre una litania di opere di bene. Tutte queste mani hanno sfidato il contagio e la paura pur di dare sostegno e consolazione.

7. Questa pandemia è giunta all’improvviso e ci ha colto impreparati, lasciando un grande senso di disorientamento e impotenza. La mano tesa verso il povero, tuttavia, non è giunta improvvisa. Essa, piuttosto, offre la testimonianza di come ci si prepara a riconoscere il povero per sostenerlo nel tempo della necessità. Non ci si improvvisa strumenti di misericordia. È necessario un allenamento quotidiano, che parte dalla consapevolezza di quanto noi per primi abbiamo bisogno di una mano tesa verso di noi.

Questo momento che stiamo vivendo ha messo in crisi tante certezze. Ci sentiamo più poveri e più deboli perché abbiamo sperimentato il senso del limite e la restrizione della libertà. La perdita del lavoro, degli affetti più cari, come la mancanza delle consuete relazioni interpersonali hanno di colpo spalancato orizzonti che non eravamo più abituati a osservare. Le nostre ricchezze spirituali e materiali sono state messe in discussione e abbiamo scoperto di avere paura. Chiusi nel silenzio delle nostre case, abbiamo riscoperto quanto sia importante la semplicità e il tenere gli occhi fissi sull’essenziale. Abbiamo maturato l’esigenza di una nuova fraternità, capace di aiuto reciproco e di stima vicendevole. Questo è un tempo favorevole per «sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo […]. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà […]. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente» (Lett. enc. Laudato si’, 229). Insomma, le gravi crisi economiche, finanziarie e politiche non cesseranno fino a quando permetteremo che rimanga in letargo la responsabilità che ognuno deve sentire verso il prossimo ed ogni persona.

8. “Tendi la mano al povero”, dunque, è un invito alla responsabilità come impegno diretto di chiunque si sente partecipe della stessa sorte. È un incitamento a farsi carico dei pesi dei più deboli, come ricorda San Paolo: «Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. […] Portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 5,13-14; 6,2). L’Apostolo insegna che la libertà che ci è stata donata con la morte e risurrezione di Gesù Cristo è per ciascuno di noi una responsabilità per mettersi al servizio degli altri, soprattutto dei più deboli. Non si tratta di un’esortazione facoltativa, ma di una condizione dell’autenticità della fede che professiamo.

Il libro del Siracide ritorna in nostro aiuto: suggerisce azioni concrete per sostenere i più deboli e usa anche alcune immagini suggestive. Dapprima prende in considerazione la debolezza di quanti sono tristi: «Non evitare coloro che piangono» (7,34). Il periodo della pandemia ci ha costretti a un forzato isolamento, impedendoci perfino di poter consolare e stare vicino ad amici e conoscenti afflitti per la perdita dei loro cari. E ancora afferma l’autore sacro: «Non esitare a visitare un malato» (7,35). Abbiamo sperimentato l’impossibilità di stare accanto a chi soffre, e al tempo stesso abbiamo preso coscienza della fragilità della nostra esistenza. Insomma, la Parola di Dio non ci lascia mai tranquilli e continua a stimolarci al bene.

9. “Tendi la mano al povero” fa risaltare, per contrasto, l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici. L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano. Che differenza rispetto alle mani generose che abbiamo descritto! Ci sono, infatti, mani tese per sfiorare velocemente la tastiera di un computer e spostare somme di denaro da una parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere nazioni. Ci sono mani tese ad accumulare denaro con la vendita di armi che altre mani, anche di bambini, useranno per seminare morte e povertà. Ci sono mani tese che nell’ombra scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco scambiano favori illegali per un guadagno facile e corrotto. E ci sono anche mani tese che nel perbenismo ipocrita stabiliscono leggi che loro stessi non osservano.

In questo panorama, «gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 54). Non potremo essere contenti fino a quando queste mani che seminano morte non saranno trasformate in strumenti di giustizia e di pace per il mondo intero.

10. «In tutte le tue azioni, ricordati della tua fine» (Sir 7,36). È l’espressione con cui il Siracide conclude questa sua riflessione. Il testo si presta a una duplice interpretazione. La prima fa emergere che abbiamo bisogno di tenere sempre presente la fine della nostra esistenza. Ricordarsi il destino comune può essere di aiuto per condurre una vita all’insegna dell’attenzione a chi è più povero e non ha avuto le stesse nostre possibilità. Esiste anche una seconda interpretazione, che evidenzia piuttosto il fine, lo scopo verso cui ognuno tende. È il fine della nostra vita che richiede un progetto da realizzare e un cammino da compiere senza stancarsi. Ebbene, il fine di ogni nostra azione non può essere altro che l’amore. È questo lo scopo verso cui siamo incamminati e nulla ci deve distogliere da esso. Questo amore è condivisione, dedizione e servizio, ma comincia dalla scoperta di essere noi per primi amati e risvegliati all’amore. Questo fine appare nel momento in cui il bambino si incontra con il sorriso della mamma e si sente amato per il fatto stesso di esistere. Anche un sorriso che condividiamo con il povero è sorgente di amore e permette di vivere nella gioia. La mano tesa, allora, possa sempre arricchirsi del sorriso di chi non fa pesare la propria presenza e l’aiuto che offre, ma gioisce solo di vivere lo stile dei discepoli di Cristo.

In questo cammino di incontro quotidiano con i poveri ci accompagna la Madre di Dio, che più di ogni altra è la Madre dei poveri. La Vergine Maria conosce da vicino le difficoltà e le sofferenze di quanti sono emarginati, perché lei stessa si è trovata a dare alla luce il Figlio di Dio in una stalla. Per la minaccia di Erode, con Giuseppe suo sposo e il piccolo Gesù è fuggita in un altro paese, e la condizione di profughi ha segnato per alcuni anni la santa Famiglia. Possa la preghiera alla Madre dei poveri accomunare questi suoi figli prediletti e quanti li servono nel nome di Cristo. E la preghiera trasformi la mano tesa in un abbraccio di condivisione e di fraternità ritrovata.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2020, Memoria liturgica di Sant’Antonio di Padova.

FRANCESCO

[00754-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

«Tends ta main au pauvre» (Si 7, 32)

«Tends ta main au pauvre» (Si 7, 32). La sagesse antique a fait de ces mots comme un code sacré à suivre dans la vie. Ils résonnent encore aujourd’hui, avec tout leur poids de signification, pour nous aider, nous aussi, à concentrer notre regard sur l’essentiel et à surmonter les barrières de l’indifférence. La pauvreté prend toujours des visages différents qui demandent une attention à chaque condition particulière : dans chacune d’elles, nous pouvons rencontrer le Seigneur Jésus qui a révélé sa présence dans ses frères les plus faibles (cf. Mt 25, 40).

1. Prenons entre les mains le texte du Livre de Ben Sira, un des livres de l’Ancien Testament. Nous y trouvons les paroles d’un maître de sagesse qui a vécu environ deux cents ans avant le Christ. Il était en recherche de la sagesse, celle qui rend les hommes meilleurs et capables de scruter à fond les événements de la vie. Il le faisait à un moment de dure épreuve pour le peuple d’Israël, un temps de douleur, de deuil et de misère, à cause de la domination de puissances étrangères. Étant un homme de grande foi, enraciné dans les traditions des pères, sa première pensée était de s’adresser à Dieu pour lui demander le don de la sagesse. Et l’aide du Seigneur ne lui manqua pas.

Dès les premières pages, le Livre de Ben Sira donne des conseils sur de nombreuses situations concrètes de la vie, et la pauvreté en est une. Il insiste sur le fait que, dans le besoin, il faut avoir confiance en Dieu : « Ne t’agite pas à l’heure de l’adversité. Attache-toi au Seigneur, ne l’abandonne pas, afin d’être comblé dans tes derniers jours. Toutes les adversités, accepte-les; dans les revers de ta pauvre vie, sois patient; car l’or est vérifié par le feu, et les hommes agréables à Dieu par le creuset de l’humiliation. Dans les maladies comme dans le dénuement, aie foi en lui. Mets ta confiance en lui, et il te viendra en aide; rends tes chemins droits, et mets en lui ton espérance. Vous qui craignez le Seigneur, comptez sur sa miséricorde, ne vous écartez pas du chemin, de peur de tomber. » (2, 2-7).

2. Page après page, nous découvrons un précieux recueil de suggestions sur la façon d’agir à la lumière d’une relation intime avec Dieu, créateur et amant de sa création, juste et providentiel envers tous ses enfants. La référence constante à Dieu, cependant, n’empêche pas de regarder l’homme concret, bien au contraire, les deux choses sont étroitement liées.

Ceci est clairement démontré par l’extrait biblique dont le titre de ce Message est tiré (cf. 7, 29-36). La prière à Dieu et la solidarité avec les pauvres et les souffrants sont inséparables. Pour célébrer un culte qui soit agréable au Seigneur, il est nécessaire de reconnaître que toute personne, même la plus indigente et la plus méprisée, porte l’image de Dieu imprimée en elle. De cette attention découle le don de la bénédiction divine, attirée par la générosité pratiquée à l’égard du pauvre. Par conséquent, le temps consacré à la prière ne peut jamais devenir un alibi pour négliger le prochain en difficulté. Le contraire est vrai: la bénédiction du Seigneur descend sur nous et la prière atteint son but quand elles sont accompagnées par le service aux pauvres.

3. Cet antique enseignement est combien actuel pour chacun de nous ! En effet, la parole de Dieu dépasse l’espace, le temps, les religions et les cultures. La générosité qui soutient le faible, console l’affligé, apaise les souffrances, restitue la dignité à ceux qui en sont privés, est en fait la condition d’une vie pleinement humaine. Le choix de consacrer une attention aux pauvres, à leurs nombreux et divers besoins, ne peut être conditionné seulement par le temps disponible ou par des intérêts privés, ni par des projets pastoraux ou sociaux désincarnés. On ne peut étouffer la force de la grâce de Dieu par la tendance narcissique de toujours se mettre à la première place.

Avoir le regard tourné vers le pauvre est difficile, mais plus que jamais nécessaire pour donner à notre vie personnelle et sociale la bonne direction. Il ne s’agit pas d’exprimer beaucoup de paroles, mais plutôt d’engager concrètement la vie, animée par la charité divine. Chaque année, avec la Journée Mondiale des Pauvres, je reviens sur cette réalité fondamentale pour la vie de l’Église, parce que les pauvres sont et seront toujours avec nous (cf. Jn 12, 8) pour nous aider à accueillir la présence du Christ dans l’espace du quotidien.

4. Chaque rencontre avec une personne en situation de pauvreté nous provoque et nous interroge. Comment pouvons-nous contribuer à éliminer ou, du moins, à soulager sa marginalisation et sa souffrance? Comment pouvons-nous l’aider dans sa pauvreté spirituelle ? La communauté chrétienne est appelée à s’impliquer dans cette expérience de partage, sachant qu’il ne lui est pas permis de la déléguer à qui que ce soit. Et pour être un soutien aux pauvres, il est fondamental de vivre personnellement la pauvreté évangélique. Nous ne pouvons pas nous sentir "bien" quand un membre de la famille humaine est relégué dans les coulisses et devient une ombre. Le cri silencieux des nombreux pauvres doit trouver le peuple de Dieu en première ligne, toujours et partout, afin de leur donner une voix, de les défendre et de se solidariser avec eux devant tant d’hypocrisie et devant tant de promesses non tenues, pour les inviter à participer à la vie de la communauté.

Il est vrai que l’Église n’a pas de solutions globales à proposer, mais elle offre, avec la grâce du Christ, son témoignage et ses gestes de partage. Elle se sent en outre le devoir de présenter les instances de ceux qui n’ont pas le nécessaire pour vivre. Rappeler à tous la grande valeur du bien commun est, pour le peuple chrétien, un engagement de vie qui se réalise dans la tentative de n’oublier aucun de ceux dont l’humanité est violée dans ses besoins fondamentaux.

5. Tendre la main fait découvrir, avant tout à celui qui le fait, qu’existe en nous la capacité d’accomplir des gestes qui donnent un sens à la vie. Que de mains tendues pouvons-nous voir tous les jours ! Malheureusement, il arrive de plus en plus souvent que la hâte entraîne dans un tourbillon d'indifférence, au point que l'on ne sait plus reconnaître tout le bien qui se fait quotidiennement, en silence et avec grande générosité. C’est souvent lorsque surviennent des événements qui bouleversent le cours de notre vie que nos yeux deviennent capables de voir la bonté des saints "de la porte d’à côté", « de ceux qui vivent proches de nous et sont un reflet de la présence de Dieu » (Exhort. ap. Gaudete et Exultate, n. 7), mais dont personne ne parle. Les mauvaises nouvelles abondent sur les pages des journaux, sur les sites internet et sur les écrans de télévision, au point de laisser croire que le mal règne en maître. Pourtant il n’en est pas ainsi. Certes, la méchanceté et la violence, l’abus et la corruption ne manquent pas, mais la vie est tissée d’actes de respect et de générosité qui, non seulement compensent le mal, mais poussent à aller au-delà et à être remplis d’espérance.

6. Tendre la main est un signe: un signe qui rappelle immédiatement la proximité, la solidarité, l’amour. En ces mois où le monde entier a été submergé par un virus qui a apporté douleur et mort, détresse et égarement, combien de mains tendues nous avons pu voir ! La main tendue du médecin qui se soucie de chaque patient en essayant de trouver le bon remède. La main tendue de l’infirmière et de l’infirmier qui, bien au-delà de leurs horaires de travail, sont restés pour soigner les malades. La main tendue de ceux qui travaillent dans l’administration et procurent les moyens de sauver le plus de vies possibles. La main tendue du pharmacien exposé à tant de demandes dans un contact risqué avec les gens. La main tendue du prêtre qui bénit avec le déchirement au cœur. La main tendue du bénévole qui secourt ceux qui vivent dans la rue et qui, en plus de ne pas avoir un toit, n’ont rien à manger. La main tendue des hommes et des femmes qui travaillent pour offrir des services essentiels et la sécurité. Et combien d’autres mains tendues que nous pourrions décrire jusqu’à en composer une litanie des œuvres de bien. Toutes ces mains ont défié la contagion et la peur pour apporter soutien et consolation.

7. Cette pandémie est arrivée à l’improviste et nous a pris au dépourvu, laissant un grand sentiment de désorientation et d’impuissance. Cependant, la main tendue aux pauvres ne vient pas à l’improviste. Elle témoigne de la manière dont on se prépare à reconnaître le pauvre afin de le soutenir dans les temps de nécessité. On n’improvise pas les instruments de miséricorde. Un entraînement quotidien est nécessaire, à partir d’une prise de conscience que nous, les premiers, avons combien besoin d’une main tendue vers nous.

Ce moment que nous vivons a mis en crise beaucoup de certitudes. Nous nous sentons plus pauvres et plus faibles parce que nous avons fait l’expérience de la limite et de la restriction de la liberté. La perte du travail, des relations affectives les plus chères, comme l’absence des relations interpersonnelles habituelles, a tout d’un coup ouvert des horizons que nous n’étions plus habitués à observer. Nos richesses spirituelles et matérielles ont été remises en question et nous avons découvert que nous avions peur. Enfermés dans le silence de nos maisons, nous avons redécouvert l’importance de la simplicité et d’avoir le regard fixé sur l’essentiel. Nous avons mûri l’exigence d’une nouvelle fraternité, capable d’entraide et d’estime réciproque. C’est un temps favorable pour « reprendre conscience que nous avons besoin les uns des autres, que nous avons une responsabilité vis-à-vis des autres et du monde […]. Depuis trop longtemps, déjà, nous avons été dans la dégradation morale, en nous moquant de l’éthique, de la bonté, de la foi, de l’honnêteté. […] Cette destruction de tout fondement de la vie sociale finit par nous opposer les uns aux autres, chacun cherchant à préserver ses propres intérêts ; elle provoque l’émergence de nouvelles formes de violence et de cruauté, et empêche le développement d’une vraie culture de protection de l’environnement » (Lett. enc. Laudato Si’, n. 229). En somme, les graves crises économiques, financières et politiques ne cesseront pas tant que nous laisserons en état de veille la responsabilité que chacun doit sentir envers le prochain et chaque personne.

8. «Tends la main au pauvre», est donc une invitation à la responsabilité comme engagement direct de quiconque se sent participant du même sort. C’est une incitation à prendre en charge le poids des plus faibles, comme le rappelle saint Paul: « Mettez-vous, par amour au service les uns des autres. Car toute la Loi est accomplie dans l’unique parole que voici : Tu aimeras ton prochain comme toi-même. (…) Portez les fardeaux des uns les autres » (Ga 5,13-14 ; 6,2). L’Apôtre enseigne que la liberté qui nous a été donnée par la mort et la résurrection de Jésus Christ est pour chacun de nous une responsabilité pour se mettre au service des autres, surtout des plus faibles. Il ne s’agit pas d’une exhortation facultative, mais d’une condition de l’authenticité de la foi que nous professons.

Le Livre de Ben Sira vient une fois de plus à notre aide: il suggère des actions concrètes pour soutenir les plus faibles et il utilise également quelques images suggestives. Tout d’abord, il prend en considération la faiblesse de ceux qui sont tristes: « Ne te détourne pas ceux qui pleurent » (7, 34). La période de la pandémie nous a obligés à un isolement forcé, nous empêchant même de pouvoir consoler et d’être près d’amis et de connaissances affligés par la perte de leurs proches. Et l’auteur sacré affirme encore: « N’hésite pas à visiter un malade » (7, 35). Nous avons fait l’expérience de l’impossibilité d’être aux côtés de ceux qui souffrent, et en même temps, nous avons pris conscience de la fragilité de notre existence. En somme, la Parole de Dieu ne nous laisse jamais tranquilles, elle continue à nous stimuler au bien.

9. «Tends la main au pauvre» fait ressortir, par contraste, l’attitude de ceux qui tiennent leurs mains dans leurs poches et ne se laissent pas émouvoir par la pauvreté, dont ils sont souvent complices. L’indifférence et le cynisme sont leur nourriture quotidienne. Quelle différence par rapport aux mains généreuses que nous avons décrites! Il y a, en effet, des mains tendues qui touchent rapidement le clavier d’un ordinateur pour déplacer des sommes d’argent d’une partie du monde à l’autre, décrétant la richesse des oligarchies et la misère de multitudes ou la faillite de nations entières. Il y a des mains tendues pour accumuler de l’argent par la vente d’armes que d’autres mains, même celles d’enfants, utiliseront pour semer la mort et la pauvreté. Il y a des mains tendues qui, dans l’ombre, échangent des doses de mort pour s’enrichir et vivre dans le luxe et le désordre éphémère. Il y a des mains tendues qui, en sous-main, échangent des faveurs illégales contre un gain facile et corrompu. Et il y a aussi des mains tendues de ceux qui, dans l’hypocrisie bienveillante, portent des lois qu’eux-mêmes n’observent pas.

Dans ce panorama, « les exclus continuent à attendre. Pour pouvoir soutenir un style de vie qui exclut les autres, ou pour pouvoir s’enthousiasmer avec cet idéal égoïste, on a développé une mondialisation de l’indifférence. Presque sans nous en apercevoir, nous devenons incapables d’éprouver de la compassion devant le cri de douleur des autres, nous ne pleurons plus devant le drame des autres, leur prêter attention ne nous intéresse pas, comme si tout nous était une responsabilité étrangère qui n’est pas de notre ressort. » (Exhort. ap. Evangelii Gaudium, n. 54). Nous ne pourrons pas être heureux tant que ces mains qui sèment la mort ne seront pas transformées en instruments de justice et de paix pour le monde entier.

10. « Quoi que tu fasses, souviens-toi que ta vie a une fin » (Si 7, 36). C’est l’expression par laquelle le Livre de Ben Sira conclut sa réflexion. Le texte se prête à une double interprétation. La première fait ressortir que nous devons toujours garder à l’esprit la fin de notre existence. Se souvenir du destin commun peut aider à mener une vie sous le signe de l’attention à ceux qui sont les plus pauvres et qui n’ont pas eu les mêmes possibilités que nous. Il y a aussi une deuxième interprétation, qui souligne plutôt le but vers lequel chacun tend. C’est la fin de notre vie qui demande un projet à réaliser et un chemin à accomplir sans se lasser. Or, le but de chacune de nos actions ne peut être autre que l’amour. Tel est le but vers lequel nous nous dirigeons, et rien ne doit nous en détourner. Cet amour est partagé, dévouement et service, mais il commence par la découverte que nous sommes les premiers aimés et éveillés à l’amour. Cette fin apparaît au moment où l’enfant rencontre le sourire de sa mère et se sent aimé par le fait même d’exister. Même un sourire que nous partageons avec le pauvre est source d’amour et permet de vivre dans la joie. Que la main tendue, alors, puisse toujours s’enrichir du sourire de celui qui ne fait pas peser sa présence et l’aide qu’il offre, mais ne se réjouit que de vivre à la manière des disciples du Christ.

Que sur ce chemin quotidien de rencontre avec les pauvres nous accompagne la Mère de Dieu, qui plus que tout autre est la Mère des pauvres. La Vierge Marie connaît de près les difficultés et les souffrances de ceux qui sont marginalisés, parce qu’elle-même s’est trouvée à donner naissance au Fils de Dieu dans une étable. Sous la menace d’Hérode, avec Joseph son époux et l’Enfant Jésus, ils se sont enfuis dans un autre pays, et la condition de réfugié a marqué, pendant quelques années, la Sainte Famille. Puisse la prière à la Mère des pauvres rassembler ses enfants favoris et tous ceux qui les servent au nom du Christ. Que la prière transforme la main tendue en une étreinte de partage et de fraternité retrouvée.

Donné à Rome, Saint Jean du Latran, le 13 juin 2020, mémoire liturgique de saint Antoine de Padoue, huitième année de mon Pontificat.

FRANÇOIS

[00754-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Stretch forth your hand to the poor” (Sir 7:32)

“Stretch forth your hand to the poor” (Sir 7:32). Age-old wisdom has proposed these words as a sacred rule to be followed in life. Today these words remain as timely as ever. They help us fix our gaze on what is essential and overcome the barriers of indifference. Poverty always appears in a variety of guises, and calls for attention to each particular situation. In all of these, we have an opportunity to encounter the Lord Jesus, who has revealed himself as present in the least of his brothers and sisters (cf. Mt 25:40).

1. Let us take up the Old Testament book of Sirach, in which we find the words of a sage who lived some two hundred years before Christ. He sought out the wisdom that makes men and women better and more capable of insight into the affairs of life. He did this at a time of severe testing for the people of Israel, a time of suffering, grief and poverty due to the domination of foreign powers. As a man of great faith, rooted in the traditions of his forebears, his first thought was to turn to God and to beg from him the gift of wisdom. The Lord did not refuse his help.

From the book’s first pages, its author presents his advice concerning many concrete situations in life, one of which is poverty. He insists that even amid hardship we must continue to trust in God: “Do not be alarmed when disaster comes. Cling to him and do not leave him, so that you may be honoured at the end of your days. Whatever happens to you, accept it, and in the uncertainties of your humble state, be patient, since gold is tested in the fire, and chosen men in the furnace of humiliation. Trust him and he will uphold you, follow a straight path and hope in him. You who fear the Lord, wait for his mercy; do not turn aside in case you fall” (2:2-7).

2. In page after page, we discover a precious compendium of advice on how to act in the light of a close relationship with God, creator and lover of creation, just and provident towards all his children. This constant reference to God, however, does not detract from a concrete consideration of mankind. On the contrary, the two are closely connected.

This is clearly demonstrated by the passage from which the theme of this year’s Message is taken (cf. 7:29-36). Prayer to God and solidarity with the poor and suffering are inseparable. In order to perform an act of worship acceptable to the Lord, we have to recognize that each person, even the poorest and most contemptible, is made in the image of God. From this awareness comes the gift of God’s blessing, drawn by the generosity we show to the poor. Time devoted to prayer can never become an alibi for neglecting our neighbour in need. In fact the very opposite is true: the Lord’s blessing descends upon us and prayer attains its goal when accompanied by service to the poor.

3. How timely too, for ourselves, is this ancient teaching! Indeed, the word of God transcends space and time, religions and cultures. Generosity that supports the weak, consoles the afflicted, relieves suffering and restores dignity to those stripped of it, is a condition for a fully human life. The decision to care for the poor, for their many different needs, cannot be conditioned by the time available or by private interests, or by impersonal pastoral or social projects. The power of God’s grace cannot be restrained by the selfish tendency to put ourselves always first.

Keeping our gaze fixed on the poor is difficult, but more necessary than ever if we are to give proper direction to our personal life and the life of society. It is not a matter of fine words but of a concrete commitment inspired by divine charity. Each year, on the World Day of the Poor, I reiterate this basic truth in the life of the Church, for the poor are and always will be with us to help us welcome Christ’s presence into our daily lives (cf. Jn 12:8).

4. Encountering the poor and those in need constantly challenges us and forces us to think. How can we help to eliminate or at least alleviate their marginalization and suffering? How can we help them in their spiritual need? The Christian community is called to be involved in this kind of sharing and to recognize that it cannot be delegated to others. In order to help the poor, we ourselves need to live the experience of evangelical poverty. We cannot feel “alright” when any member of the human family is left behind and in the shadows. The silent cry of so many poor men, women and children should find the people of God at the forefront, always and everywhere, in efforts to give them a voice, to protect and support them in the face of hypocrisy and so many unfulfilled promises, and to invite them to share in the life of the community.

The Church certainly has no comprehensive solutions to propose, but by the grace of Christ she can offer her witness and her gestures of charity. She likewise feels compelled to speak out on behalf of those who lack life’s basic necessities. For the Christian people, to remind everyone of the great value of the common good is a vital commitment, expressed in the effort to ensure that no one whose human dignity is violated in its basic needs will be forgotten.

5. The ability to stretch forth our hand shows that we possess an innate capacity to act in ways that give meaning to life. How many outstretched hands do we see every day! Sadly, it is more and more the case that the frenetic pace of life sucks us into a whirlwind of indifference, to the point that we no longer know how to recognize the good silently being done each day and with great generosity all around us. Only when something happens that upsets the course of our lives do our eyes become capable of seeing the goodness of the saints “next door”, of “those who, living in our midst, reflect God’s presence” (Gaudete et Exsultate, 7), but without fanfare. Bad news fills the pages of newspapers, websites and television screens, to the point that evil seems to reign supreme. But that is not the case. To be sure, malice and violence, abuse and corruption abound, but life is interwoven too with acts of respect and generosity that not only compensate for evil, but inspire us to take an extra step and fill our hearts with hope.

6. A hand held out is a sign; a sign that immediately speaks of closeness, solidarity and love. In these months, when the whole world was prey to a virus that brought pain and death, despair and bewilderment, how many outstretched hands have we seen! The outstretched hands of physicians who cared about each patient and tried to find the right cure. The outstretched hands of nurses who worked overtime, for hours on end, to look after the sick. The outstretched hands of administrators who procured the means to save as many lives as possible. The outstretched hands of pharmacists who at personal risk responded to people’s pressing needs. The outstretched hands of priests whose hearts broke as they offered a blessing. The outstretched hands of volunteers who helped people living on the streets and those with a home yet nothing to eat. The outstretched hands of men and women who worked to provide essential services and security. We could continue to speak of so many other outstretched hands, all of which make up a great litany of good works. Those hands defied contagion and fear in order to offer support and consolation.

7. This pandemic arrived suddenly and caught us unprepared, sparking a powerful sense of bewilderment and helplessness. Yet hands never stopped reaching out to the poor. This has made us all the more aware of the presence of the poor in our midst and their need for help. Structures of charity, works of mercy, cannot be improvised. Constant organization and training is needed, based on the realization of our own need for an outstretched hand.

The present experience has challenged many of our assumptions. We feel poorer and less self-sufficient because we have come to sense our limitations and the restriction of our freedom. The loss of employment, and of opportunities to be close to our loved ones and our regular acquaintances, suddenly opened our eyes to horizons that we had long since taken for granted. Our spiritual and material resources were called into question and we found ourselves experiencing fear. In the silence of our homes, we rediscovered the importance of simplicity and of keeping our eyes fixed on the essentials. We came to realize how much we need a new sense of fraternity, for mutual help and esteem. Now is a good time to recover “the conviction that we need one another, that we have a shared responsibility for others and the world… We have had enough of immorality and the mockery of ethics, goodness, faith and honesty… When the foundations of social life are corroded, what ensues are battles over conflicting interests, new forms of violence and brutality, and obstacles to the growth of a genuine culture of care for the environment” (Laudato Si’, 229). In a word, until we revive our sense of responsibility for our neighbour and for every person, grave economic, financial and political crises will continue.

8. This year’s theme – “Stretch forth your hand to the poor” – is thus a summons to responsibility and commitment as men and women who are part of our one human family. It encourages us to bear the burdens of the weakest, in accord with the words of Saint Paul: “Through love serve one another. For the whole law is fulfilled in one word: ‘You shall love your neighbour as yourself’… Bear one another’s burdens, and so fulfil the law of Christ” (Gal 5:13-14; 6:2). The Apostle teaches that the freedom bestowed through the death and resurrection of Jesus Christ makes us individually responsible for serving others, especially the weakest. This is not an option, but rather a sign of the authenticity of the faith we profess.

Here again, the book of Sirach can help us. It suggests concrete ways to support the most vulnerable and it uses striking images. First, it asks us to sympathize with those who are sorrowing: “Do not fail those who weep” (7:34). The time of pandemic forced us into strict isolation, making it impossible even to see and console friends and acquaintances grieving the loss of their loved ones. The sacred author also says: “Do not shrink from visiting the sick” (7:35). We have been unable to be close to those who suffer, and at the same time we have become more aware of the fragility of our own lives. The word of God allows for no complacency; it constantly impels us to acts of love.

9. At the same time, the command: “Stretch forth your hand to the poor” challenges the attitude of those who prefer to keep their hands in their pockets and to remain unmoved by situations of poverty in which they are often complicit. Indifference and cynicism are their daily food. What a difference from the generous hands we have described! If they stretch out their hands, it is to touch computer keys to transfer sums of money from one part of the world to another, ensuring the wealth of an elite few and the dire poverty of millions and the ruin of entire nations. Some hands are outstretched to accumulate money by the sale of weapons that others, including those of children, use to sow death and poverty. Other hands are outstretched to deal doses of death in dark alleys in order to grow rich and live in luxury and excess, or to quietly pass a bribe for the sake of quick and corrupt gain. Others still, parading a sham respectability, lay down laws which they themselves do not observe.

Amid all these scenarios, “the excluded are still waiting. To sustain a lifestyle which excludes others, or to sustain enthusiasm for that selfish ideal, a globalization of indifference has developed. Almost without being aware of it, we end up being incapable of feeling compassion at the outcry of the poor, weeping for other people’s pain, and feeling a need to help them, as though all this were someone else’s responsibility and not our own” (Evangelii Gaudium, 54). We cannot be happy until these hands that sow death are transformed into instruments of justice and peace for the whole world.

10. “In everything you do, remember your end” (Sir 7:36). These are the final words of this chapter of the book of Sirach. They can be understood in two ways. First, our lives will sooner or later come to an end. Remembering our common destiny can help lead to a life of concern for those poorer than ourselves or lacking the opportunities that were ours. But second, there is also an end or goal towards which each of us is tending. And this means that our lives are a project and a process. The “end” of all our actions can only be love. This is the ultimate goal of our journey, and nothing should distract us from it. This love is one of sharing, dedication and service, born of the realization that we were first loved and awakened to love. We see this in the way children greet their mother’s smile and feel loved simply by virtue of being alive. Even a smile that we can share with the poor is a source of love and a way of spreading love. An outstretched hand, then, can always be enriched by the smile of those who quietly and unassumingly offer to help, inspired only by the joy of living as one of Christ’s disciples.

In this journey of daily encounter with the poor, the Mother of God is ever at our side. More than any other, she is the Mother of the Poor. The Virgin Mary knows well the difficulties and sufferings of the marginalized, for she herself gave birth to the Son of God in a stable. Due to the threat of Herod, she fled to another country with Joseph her spouse and the child Jesus. For several years, the Holy Family lived as refugees. May our prayer to Mary, Mother of the Poor, unite these, her beloved children, with all those who serve them in Christ’s name. And may that prayer enable outstretched hands to become an embrace of shared and rediscovered fraternity.

Rome, Saint John Lateran, 13 June 2020, Memorial of Saint Anthony of Padua

FRANCIS

[00754-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

„Streck dem Armen deine Hand entgegen“ (vgl. Sir 7,32)

„Streck dem Armen deine Hand entgegen“ (vgl. Sir 7,32). Die altehrwürdige Weisheit hat diese Worte gleichsam als einen heiligen Verhaltenskodex für das Leben aufgestellt. Sie erklingen heute mit ihrer ganzen Bedeutungsschwere, um auch uns zu helfen, den Blick auf das Wesentliche zu konzentrieren und die Schranken der Gleichgültigkeit zu überwinden. Die Armut tritt immer in verschiedenen Formen auf, die für jede besondere Situation Aufmerksamkeit verlangen: In jeder von ihnen können wir dem Herrn Jesus begegnen, der offenbart hat, in seinen geringsten Brüdern anwesend zu sein (vgl. Mt 25,40).

1. Nehmen wir das Buch Jesus Sirach aus dem Alten Testament zur Hand. Hier finden wir die Worte eines Weisheitslehrers, der circa zweihundert Jahre vor Christus gelebt hat. Er suchte nach der Weisheit, die die Menschen besser macht und befähigt, die Begebenheiten des Lebens tiefer zu ergründen. Er tat dies in einer Zeit harter Prüfung für das Volk Israel, einer Zeit des Schmerzes, der Trauer und des Elends aufgrund der Herrschaft fremder Mächte. Als Mann großen Glaubens, der in der Tradition der Väter verwurzelt ist, war sein erster Gedanke, sich an Gott zu wenden, um ihn um die Gabe der Weisheit zu bitten. Und der Herr ließ es ihm an seiner Hilfe nicht fehlen.

Von den ersten Seiten des Buches an legt Jesus Sirach seine Ratschläge zu vielen konkreten Lebenssituationen dar, darunter auch die Armut. Er besteht darauf, dass man in der Not Gottvertrauen haben muss: »Überstürze nichts zur Zeit der Bedrängnis! Binde dich an den Herrn und lass nicht von ihm, damit du am Ende erhöht wirst! Nimm alles an, was über dich kommen mag, und in den Wechselfällen deiner Erniedrigung halt aus! Denn im Feuer wird Gold geprüft und die anerkannten Menschen im Schmelzofen der Erniedrigung. In Krankheiten und Armut setze auf ihn dein Vertrauen! Vertrau ihm und er wird sich deiner annehmen! Richte deine Wege aus und hoffe auf ihn! Die ihr den Herrn fürchtet, wartet auf sein Erbarmen! Weicht nicht ab, damit ihr nicht zu Fall kommt!« (2,2-7).

2. Seite für Seite entdecken wir ein kostbares Kompendium von Empfehlungen für ein Handeln im Licht einer engen Beziehung zu Gott, dem Schöpfer, der die Schöpfung liebt, der gegenüber all seinen Kindern gerecht ist und für sie sorgt. Der beständige Bezug auf Gott lenkt jedoch nicht davon ab, auf den konkreten Menschen zu schauen, vielmehr sind die beiden Dinge eng miteinander verbunden.

Die Stelle, der der Titel dieser Botschaft entnommen ist (vgl. 7,29-36), zeigt dies deutlich. Das Gebet zu Gott und die Solidarität mit den Armen und Leidenden können nicht voneinander getrennt werden. Um einen dem Herrn wohlgefälligen Gottesdienst zu feiern, ist es notwendig anzuerkennen, dass jeder Mensch, mag er noch so bedürftig und verachtet sein, Gottes Abbild in sich trägt. Aus dieser Aufmerksamkeit erwächst die Gabe des göttlichen Segens, der von der gegenüber dem Armen geübten Großzügigkeit angezogen wird. Daher kann die dem Gebet gewidmete Zeit niemals zum Vorwand werden, um den Nächsten in seiner Not zu vernachlässigen. Das Gegenteil ist wahr: Der Segen des Herrn kommt auf uns herab, und das Gebet erreicht seinen Zweck, wenn diese vom Dienst an den Armen begleitet werden.

3. Wie aktuell ist diese alte Lehre auch für uns! Das Wort Gottes überschreitet nämlich Raum, Zeit, Religionen und Kulturen. Die Großzügigkeit, die den Armen unterstützt, den Betrübten tröstet, die Leiden lindert, gibt dem die Würde zurück, der ihrer beraubt ist, sie ist Bedingung für ein ganz und gar menschliches Leben. Die Entscheidung, den Armen Aufmerksamkeit zu widmen wie auch ihren vielen verschiedenen Bedürfnissen, darf nicht von der verfügbaren Zeit oder von privaten Interessen abhängen noch von blutleeren Pastoral- oder Sozialprojekten. Man darf die Kraft der Gnade Gottes nicht durch die narzisstische Neigung ersticken, sich selbst immer an die erste Stelle setzen zu wollen.

Den Blick auf den Armen gerichtet zu halten ist schwierig, aber notwendiger denn je, um unserem persönlichen und sozialen Leben die rechte Richtung zu verleihen. Es geht nicht darum, viele Worten zu machen, sondern vielmehr, von der göttlichen Liebe angetrieben, sein Leben konkret einzubringen. Jedes Jahr komme ich mit dem Welttag der Armen auf diese für das Leben der Kirche grundlegende Wirklichkeit zurück, da die Armen immer bei uns sind und sein werden (vgl. Joh 12,8), um uns zu helfen, die Gegenwart Christi im täglichen Leben zu erfassen.

4. Die Begegnung mit einem Menschen in Armut fordert uns stets heraus und stellt Fragen an uns. Wie können wir dazu beitragen, seine Ausgrenzung und sein Leiden zu beseitigen oder zumindest zu erleichtern? Wie können wir ihm in seiner geistlichen Armut helfen? Die christliche Gemeinschaft ist aufgerufen, sich in diese Erfahrung des Teilens einzubringen, und dies in dem Bewusstsein, dass es ihr nicht erlaubt ist, diese Aufgabe an andere zu delegieren. Um den Armen eine Stütze zu sein ist es zudem wesentlich, die evangeliumsgemäße Armut selbst zu leben. Wir können nicht mit ruhigem Gewissen zuschauen, wenn ein Mitglied der menschlichen Familie ins Abseits gestellt wird und zum Schatten wird. Der leise Schrei der vielen Armen muss immer und überall das Volk Gottes an vorderster Front antreffen, damit es ihnen eine Stimme verleiht, sie verteidigt und sich mit ihnen angesichts so vieler Scheinheiligkeit und nicht erfüllter Versprechen solidarisiert und sie am Leben der Gemeinschaft teilhaben lässt.

Es stimmt, die Kirche kann keine Gesamtlösungen vorschlagen, aber mit der Gnade Christi bietet sie ihr Zeugnis und Gesten des Teilens an. Sie fühlt sich darüber hinaus verpflichtet, die Anliegen derer vorzutragen, denen das Lebensnotwendige fehlt. Allen den hohen Wert des Gemeinwohls in Erinnerung zu rufen ist für das christliche Volk eine lebenslange Verpflichtung; sie wird in dem Bemühen umgesetzt, niemanden von denen zu vergessen, deren Menschsein in seinen Grundbedürfnissen missachtet wird.

5. Die Hand entgegenzustrecken lässt vor allem den, der es tut, entdecken, dass wir fähig sind, Dinge zu vollbringen, die dem Leben Sinn verleihen. Wie viele entgegengestreckte Hände sieht man jeden Tag! Leider geschieht es immer öfter, dass die Eile in einen Strudel der Gleichgültigkeit hineinzieht, sodass man das viele Gute, das täglich in Stille und in großer Freigebigkeit vollbracht wird, nicht mehr zu erkennen vermag. So kommt es vor, dass nur bei Ereignissen, die den Lauf unseres Lebens durcheinanderbringen, die Augen fähig werden, die Güte der „Heiligen von nebenan“ zu bemerken, »derer, die in unserer Nähe wohnen und die ein Widerschein der Gegenwart Gottes sind« (Apostolisches Schreiben Gaudete et exsultate, 7), von denen aber niemand spricht. Die schlechten Nachrichten füllen die Seiten der Zeitungen, die Internetseiten und die Fernsehbildschirme im Übermaß, so dass man denkt, das Böse herrsche uneingeschränkt. Dem ist nicht so. Gewiss fehlt es nicht an Bosheit und Gewalt, an Übergriffen und Korruption, doch das Leben besteht aus einem Geflecht von Taten des Respekts und der Großzügigkeit, die nicht nur das Böse ausgleichen, sondern dazu antreiben, darüber hinaus zu gehen und voller Hoffnung zu sein.

6. Die Hand entgegenzustrecken ist ein Zeichen: ein Zeichen, das unmittelbar auf die Nähe, die Solidarität, die Liebe hinweist. Wie viele entgegengestreckte Hände haben wir in diesen Monaten erblicken können, in denen die ganze Welt von einem Virus gleichsam übermannt wurde, das Schmerz und Tod, Verzagtheit und Verwirrung gebracht hat. Die entgegengestreckte Hand des Arztes, der sich um jeden Patienten kümmert und nach dem richtigen Heilmittel sucht. Die entgegengestreckte Hand der Krankenschwester oder des Krankenpflegers, die weit über ihre Arbeitszeiten hinaus dableiben, um die Kranken zu versorgen. Die entgegengestreckte Hand dessen, der in der Verwaltung arbeitet und die Mittel beschafft, um so viele Leben wie möglich zu retten. Die entgegengestreckte Hand des Apothekers, der in einem mit Risiko verbundenem Umgang mit den Menschen vielen Anfragen ausgesetzt ist. Die entgegengestreckte Hand des Priesters, der mit qualerfülltem Herzen segnet. Die entgegengestreckte Hand des Freiwilligen, der denen beisteht, die auf der Straße leben, wie auch denen, die zwar ein Zuhause, aber nichts zu essen haben. Die entgegengestreckte Hand der Männer und Frauen, die arbeiten, um wesentliche Dienste und Sicherheit zu bieten. Und wir könnten noch weitere entgegengestreckte Hände bis zur Zusammenstellung einer Litanei der guten Werke anführen. All diese Hände haben der Ansteckung und der Angst die Stirn geboten, um Unterstützung und Trost zu geben.

7. Diese Pandemie kam unerwartet und hat uns unvorbereitet überrascht, während sie ein großes Gefühl der Verunsicherung und Ohnmacht hinterließ. Die dem Armen entgegengestreckte Hand hingegen kam nicht plötzlich. Sie zeugt vielmehr davon, wie man sich darauf vorbereitet, den Armen zu erkennen, um ihn in der Zeit der Not zu unterstützen. Die Werkzeuge der Barmherzigkeit werden nicht improvisiert. Es braucht ein tägliches Training, das bei dem Bewusstsein beginnt, dass wir als Erste einer Hand bedürfen, die uns entgegengestreckt wird.

Die Zeit, die wir gerade erleben, hat viele Gewissheiten in eine Krise gestürzt. Wir fühlen uns ärmer und schwächer, weil wir Grenzgefühl und Freiheitseinschränkung erfahren haben. Der Verlust der Arbeit und inniger Zuneigung wie auch das Fehlen gewohnter zwischenmenschlicher Beziehungen haben mit einem Schlag Horizonte aufgetan, die wir für gewöhnlich nicht mehr bemerkten. Unsere spirituellen und materiellen Reichtümer wurden zur Diskussion gestellt, und wir haben entdeckt, dass wir Angst haben. In die Stille unserer Häuser eingeschlossen, haben wir neu entdeckt, wie wichtig die Einfachheit ist und dass wir den Blick auf das Wesentliche richten. Wir haben das Bedürfnis nach einer neuen Geschwisterlichkeit vertieft, die zu wechselseitiger Hilfe und gegenseitiger Achtung fähig ist. Es ist dies eine günstige Zeit, um »wieder [zu] spüren, dass wir einander brauchen, dass wir eine Verantwortung für die anderen und für die Welt haben […]. Wir haben schon sehr viel Zeit moralischen Verfalls verstreichen lassen, indem wir die Ethik, die Güte, den Glauben und die Ehrlichkeit bespöttelt haben […]. Diese Zerstörung jeder Grundlage des Gesellschaftslebens bringt uns schließlich um der Wahrung der jeweils eigenen Interessen willen gegeneinander auf, lässt neue Formen von Gewalt und Grausamkeit aufkommen und verhindert die Entwicklung einer wahren Kultur des Umweltschutzes« (Enzyklika Laudato si’, 229). Kurz und gut, die großen Wirtschafts-, Finanz- und politischen Krisen werden nicht aufhören, solange wir zulassen, dass die Verantwortung, der sich ein jeder gegenüber dem Nächsten und allen Menschen bewusst sein muss, in einer Art Winterschlaf verharrt.

8. „Streck dem Armen deine Hand entgegen“ ist also eine Einladung zur Verantwortung im Sinne eines direkten Einsatzes dessen, der sich bewusst ist, dass er am gleichen Los teilhat. Es ist eine Aufforderung, die Last der Schwächeren zu tragen, wie uns der heilige Paulus in Erinnerung ruft: »Dient einander in Liebe! Denn das ganze Gesetz ist in dem einen Wort erfüllt: Du sollst deinen Nächsten lieben wie dich selbst! […] Einer trage des anderen Last« (Gal 5,13-14; 6,2). Der Apostel lehrt uns, dass die uns durch Jesu Christi Tod und Auferstehung geschenkte Freiheit für einen jeden von uns die Verantwortung bedeutet, sich in den Dienst der anderen zu stellen, vor allem der Schwächsten. Es handelt sich nicht um einen fakultativen Aufruf, sondern um eine Bedingung der Authentizität des Glaubens, den wir bekennen.

Das Buch Jesus Sirach kommt uns hier wieder zu Hilfe. Es schlägt konkrete Taten zur Unterstützung der Schwächsten vor und gebraucht dabei auch einige suggestive Bilder. Zuerst zieht es die Schwachheit der Trauernden in Betracht: »Entzieh dich nicht den Weinenden« (7,34). Die Zeit der Pandemie hat uns eine Zwangsisolation auferlegt; dadurch war es uns sogar verwehrt, Freunden und Bekannten, die über den Verlust eines lieben Menschen trauerten, Trost zu spenden und nahe zu sein. Der biblische Autor sagt weiter: »Zögere nicht, einen Kranken zu besuchen« (7,35). Wir mussten die Erfahrung machen, dass wir den Leidenden nicht zur Seite stehen konnten, und gleichzeitig wurde uns die Zerbrechlichkeit unseres Daseins bewusst. Das Wort Gottes also lässt uns nie in Ruhe und regt uns weiter zum Guten an.

9. „Streck dem Armen deine Hand entgegen“ hebt im Kontrast dazu die Haltung derer hervor, die die Hände eingesteckt und sich nicht von der Armut berühren lassen, an der sie oft auch mitschuldig sind. Gleichgültigkeit und Zynismus sind ihr täglich Brot. Was für ein Unterschied zu den großzügigen Händen, die wir zuvor beschrieben haben! Denn es gibt ausgestreckte Hände, die schnell über eine Computertastatur bewegen und Geldbeträge von einem Teil der Welt in einen anderen verschieben und damit den Reichtum begrenzter Oligarchien wie auch das Elend von Massen oder den Konkurs ganzer Nationen bestimmen. Es gibt ausgestreckte Hände, die Geld anhäufen mit dem Verkauf von Waffen, die andere Hände – auch von Kindern – dann verwenden, um Tod und Armut zu säen. Es gibt ausgestreckte Hände, die heimlich tödliche Dosen reichen, um sich zu bereichern und in Luxus und in vergänglichen Ausschweifungen zu leben. Es gibt ausgestreckte Hände, die für einen einfachen, korrupten Gewinn unter der Hand gesetzwidrige Gefälligkeiten erbringen. Und es gibt viele ausgestreckte Hände, die in Scheinheiligkeit Gesetze festlegen, die sie selbst nicht einhalten.

Mit dieser Aussicht »warten die Ausgeschlossenen weiter. Um einen Lebensstil vertreten zu können, der die anderen ausschließt, oder um sich für dieses egoistische Ideal begeistern zu können, hat sich eine Globalisierung der Gleichgültigkeit entwickelt. Fast ohne es zu merken, werden wir unfähig, Mitleid zu empfinden gegenüber dem schmerzvollen Aufschrei der anderen, wir weinen nicht mehr angesichts des Dramas der anderen, noch sind wir daran interessiert, uns um sie zu kümmern, als sei all das eine uns fernliegende Verantwortung, die uns nichts angeht« (Apostolisches Schreiben Evangelii gaudium, 54). Wir dürfen uns nicht zufriedengeben, solange diese Hände, die Tod säen, nicht zu Werkzeugen der Gerechtigkeit und des Friedens für die ganze Welt geworden sind.

10. »Bei all deinen Worten bedenke dein Ende« (Sir 7,36). Mit dieser Aussage beschließt Jesus Sirach seine Überlegungen. Der Text erlaubt eine zweifache Interpretation. Die erste hebt hervor, dass wir immer das Ende unseres Daseins berücksichtigen müssen. An das gemeinsame Los zu denken kann eine Hilfe sein für ein Leben im Zeichen der Achtsamkeit gegenüber dem, der ärmer ist und nicht die gleichen Möglichkeiten hatte wie wir. Es gibt ebenso eine zweite Deutung, die vielmehr das Ziel, den Zweck unterstreicht, zu dem jeder unterwegs ist. Es geht um das Ziel unseres Lebens, das einen Plan erfordert, den man verwirklichen soll, und einen Weg, den man ohne müde zu werden gehen muss. Das Ziel jeder unserer Handlungen kann nur die Liebe sein. Dies ist der Zweck, warum wir uns auf den Weg gemacht haben, und nichts darf uns davon abbringen. Diese Liebe heißt Teilen, Hingabe und Dienst, beginnt aber bei der Entdeckung, dass wir als Erste geliebt sind und wieder zur Liebe gerufen sind. Dieses Ziel erscheint in dem Moment, da das Kind dem Lächeln seiner Mutter begegnet und sich geliebt weiß aufgrund der Tatsache selbst, dass es existiert. Auch ein Lächeln, das wir mit einem Armen teilen, ist eine Quelle von Liebe und ermöglicht es, in Freude zu leben. Die entgegengestreckte Hand also kann immer durch das Lächeln dessen bereichert werden, der seine Gegenwart und dargebotene Hilfe nicht betont, sondern sich einfach freut, nach dem Stil des Jüngers Christi zu leben.

Auf diesem Weg, täglich den Armen zu begegnen, begleite uns die Mutter Gottes, die mehr als jede andere die Mutter der Armen ist. Die Jungfrau Maria kennt aus nächster Nähe die Schwierigkeiten und Leiden der Ausgegrenzten, denn sie selbst musste den Sohn Gottes in einem Stall zur Welt bringen. Wegen der Bedrohung durch Herodes floh sie mit Josef, ihrem Bräutigam, und dem kleinen Jesuskind in ein anderes Land, und das Leben als Flüchtlinge prägte für einige Jahre die Heilige Familie. Das Gebet zur Mutter der Armen möge diese ihre geliebten Kinder und alle, die ihnen im Namen Christi dienen, verbinden. Und das Gebet verwandle die entgegengestreckte Hand in eine gemeinsame Umarmung wiedergefundener Geschwisterlichkeit.

Rom, St. Johannes im Lateran, 13. Juni 2020, Gedenktag des heiligen Antonius von Padua.

FRANZISKUS

[00754-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

“Tiende tu mano al pobre” (cf. Si 7,32)

“Tiende tu mano al pobre” (cf. Si 7,32). La antigua sabiduría ha formulado estas palabras como un código sagrado a seguir en la vida. Hoy resuenan con todo su significado para ayudarnos también a nosotros a poner nuestra mirada en lo esencial y a superar las barreras de la indiferencia. La pobreza siempre asume rostros diferentes, que requieren una atención especial en cada situación particular; en cada una de ellas podemos encontrar a Jesús, el Señor, que nos reveló estar presente en sus hermanos más débiles (cf. Mt 25,40).

1. Tomemos en nuestras manos el Eclesiástico, también conocido como Sirácida, uno de los libros del Antiguo Testamento. Aquí encontramos las palabras de un sabio maestro que vivió unos doscientos años antes de Cristo. Él buscaba la sabiduría que hace a los hombres mejores y capaces de escrutar en profundidad las vicisitudes de la vida. Lo hizo en un momento de dura prueba para el pueblo de Israel, un tiempo de dolor, luto y miseria causado por el dominio de las potencias extranjeras. Siendo un hombre de gran fe, arraigado en las tradiciones de sus antepasados, su primer pensamiento fue dirigirse a Dios para pedirle el don de la sabiduría. Y el Señor le ayudó.

Desde las primeras páginas del libro, el Sirácida expone sus consejos sobre muchas situaciones concretas de la vida, y la pobreza es una de ellas. Insiste en el hecho de que en la angustia hay que confiar en Dios: «Endereza tu corazón, mantente firme y no te angusties en tiempo de adversidad. Pégate a él y no te separes, para que al final seas enaltecido. Todo lo que te sobrevenga, acéptalo, y sé paciente en la adversidad y en la humillación. Porque en el fuego se prueba el oro, y los que agradan a Dios en el horno de la humillación. En las enfermedades y en la pobreza pon tu confianza en él. Confía en él y él te ayudará, endereza tus caminos y espera en él. Los que teméis al Señor, aguardad su misericordia y no os desviéis, no sea que caigáis» (2,2-7).

2. Página tras página, descubrimos un precioso compendio de sugerencias sobre cómo actuar a la luz de una relación íntima con Dios, creador y amante de la creación, justo y providente con todos sus hijos. Sin embargo, la constante referencia a Dios no impide mirar al hombre concreto; al contrario, las dos cosas están estrechamente relacionadas.

Lo demuestra claramente el pasaje del cual se toma el título de este Mensaje (cf. 7,29-36). La oración a Dios y la solidaridad con los pobres y los que sufren son inseparables. Para celebrar un culto que sea agradable al Señor, es necesario reconocer que toda persona, incluso la más indigente y despreciada, lleva impresa en sí la imagen de Dios. De tal atención deriva el don de la bendición divina, atraída por la generosidad que se practica hacia el pobre. Por lo tanto, el tiempo que se dedica a la oración nunca puede convertirse en una coartada para descuidar al prójimo necesitado; sino todo lo contrario: la bendición del Señor desciende sobre nosotros y la oración logra su propósito cuando va acompañada del servicio a los pobres.

3. ¡Qué actual es esta antigua enseñanza, también para nosotros! En efecto, la Palabra de Dios va más allá del espacio, del tiempo, de las religiones y de las culturas. La generosidad que sostiene al débil, consuela al afligido, alivia los sufrimientos, devuelve la dignidad a los privados de ella, es una condición para una vida plenamente humana. La opción por dedicarse a los pobres y atender sus muchas y variadas necesidades no puede estar condicionada por el tiempo a disposición o por intereses privados, ni por proyectos pastorales o sociales desencarnados. El poder de la gracia de Dios no puede ser sofocado por la tendencia narcisista a ponerse siempre uno mismo en primer lugar.

Mantener la mirada hacia el pobre es difícil, pero muy necesario para dar a nuestra vida personal y social la dirección correcta. No se trata de emplear muchas palabras, sino de comprometer concretamente la vida, movidos por la caridad divina. Cada año, con la Jornada Mundial de los Pobres, vuelvo sobre esta realidad fundamental para la vida de la Iglesia, porque los pobres están y estarán siempre con nosotros (cf. Jn 12,8) para ayudarnos a acoger la compañía de Cristo en nuestra vida cotidiana.

4. El encuentro con una persona en condición de pobreza siempre nos provoca e interroga. ¿Cómo podemos ayudar a eliminar o al menos aliviar su marginación y sufrimiento? ¿Cómo podemos ayudarla en su pobreza espiritual? La comunidad cristiana está llamada a involucrarse en esta experiencia de compartir, con la conciencia de que no le está permitido delegarla a otros. Y para apoyar a los pobres es fundamental vivir la pobreza evangélica en primera persona. No podemos sentirnos “bien” cuando un miembro de la familia humana es dejado al margen y se convierte en una sombra. El grito silencioso de tantos pobres debe encontrar al pueblo de Dios en primera línea, siempre y en todas partes, para darles voz, defenderlos y solidarizarse con ellos ante tanta hipocresía y tantas promesas incumplidas, e invitarlos a participar en la vida de la comunidad.

Es cierto, la Iglesia no tiene soluciones generales que proponer, pero ofrece, con la gracia de Cristo, su testimonio y sus gestos de compartir. También se siente en la obligación de presentar las exigencias de los que no tienen lo necesario para vivir. Recordar a todos el gran valor del bien común es para el pueblo cristiano un compromiso de vida, que se realiza en el intento de no olvidar a ninguno de aquellos cuya humanidad es violada en las necesidades fundamentales.

5. Tender la mano hace descubrir, en primer lugar, a quien lo hace, que dentro de nosotros existe la capacidad de realizar gestos que dan sentido a la vida. ¡Cuántas manos tendidas se ven cada día! Lamentablemente, sucede cada vez más a menudo que la prisa nos arrastra a una vorágine de indiferencia, hasta el punto de que ya no se sabe más reconocer todo el bien que cotidianamente se realiza en el silencio y con gran generosidad. Así sucede que, sólo cuando ocurren hechos que alteran el curso de nuestra vida, nuestros ojos se vuelven capaces de vislumbrar la bondad de los santos “de la puerta de al lado”, «de aquellos que viven cerca de nosotros y son un reflejo de la presencia de Dios» (Exhort. ap. Gaudete et exsultate, 7), pero de los que nadie habla. Las malas noticias son tan abundantes en las páginas de los periódicos, en los sitios de internet y en las pantallas de televisión, que nos convencen que el mal reina soberano. No es así. Es verdad que está siempre presente la maldad y la violencia, el abuso y la corrupción, pero la vida está entretejida de actos de respeto y generosidad que no sólo compensan el mal, sino que nos empujan a ir más allá y a estar llenos de esperanza.

6. Tender la mano es un signo: un signo que recuerda inmediatamente la proximidad, la solidaridad, el amor. En estos meses, en los que el mundo entero ha estado como abrumado por un virus que ha traído dolor y muerte, desaliento y desconcierto, ¡cuántas manos tendidas hemos podido ver! La mano tendida del médico que se preocupa por cada paciente tratando de encontrar el remedio adecuado. La mano tendida de la enfermera y del enfermero que, mucho más allá de sus horas de trabajo, permanecen para cuidar a los enfermos. La mano tendida del que trabaja en la administración y proporciona los medios para salvar el mayor número posible de vidas. La mano tendida del farmacéutico, quién está expuesto a tantas peticiones en un contacto arriesgado con la gente. La mano tendida del sacerdote que bendice con el corazón desgarrado. La mano tendida del voluntario que socorre a los que viven en la calle y a los que, a pesar de tener un techo, no tienen comida. La mano tendida de hombres y mujeres que trabajan para proporcionar servicios esenciales y seguridad. Y otras manos tendidas que podríamos describir hasta componer una letanía de buenas obras. Todas estas manos han desafiado el contagio y el miedo para dar apoyo y consuelo.

7. Esta pandemia llegó de repente y nos tomó desprevenidos, dejando una gran sensación de desorientación e impotencia. Sin embargo, la mano tendida hacia el pobre no llegó de repente. Ella, más bien, ofrece el testimonio de cómo nos preparamos a reconocer al pobre para sostenerlo en el tiempo de la necesidad. Uno no improvisa instrumentos de misericordia. Es necesario un entrenamiento cotidiano, que proceda de la conciencia de lo mucho que necesitamos, nosotros los primeros, de una mano tendida hacia nosotros.

Este momento que estamos viviendo ha puesto en crisis muchas certezas. Nos sentimos más pobres y débiles porque hemos experimentado el sentido del límite y la restricción de la libertad. La pérdida de trabajo, de los afectos más queridos y la falta de las relaciones interpersonales habituales han abierto de golpe horizontes que ya no estábamos acostumbrados a observar. Nuestras riquezas espirituales y materiales fueron puestas en tela de juicio y descubrimos que teníamos miedo. Encerrados en el silencio de nuestros hogares, redescubrimos la importancia de la sencillez y de mantener la mirada fija en lo esencial. Hemos madurado la exigencia de una nueva fraternidad, capaz de ayuda recíproca y estima mutua. Este es un tiempo favorable para «volver a sentir que nos necesitamos unos a otros, que tenemos una responsabilidad por los demás y por el mundo [...]. Ya hemos tenido mucho tiempo de degradación moral, burlándonos de la ética, de la bondad, de la fe, de la honestidad [...]. Esa destrucción de todo fundamento de la vida social termina enfrentándonos unos con otros para preservar los propios intereses, provoca el surgimiento de nuevas formas de violencia y crueldad e impide el desarrollo de una verdadera cultura del cuidado del ambiente» (Carta enc. Laudato si’, 229). En definitiva, las graves crisis económicas, financieras y políticas no cesarán mientras permitamos que la responsabilidad que cada uno debe sentir hacia al prójimo y hacia cada persona permanezca aletargada.

8. “Tiende la mano al pobre” es, por lo tanto, una invitación a la responsabilidad y un compromiso directo de todos aquellos que se sienten parte del mismo destino. Es una llamada a llevar las cargas de los más débiles, como recuerda san Pablo: «Mediante el amor, poneos al servicio los unos de los otros. Porque toda la Ley encuentra su plenitud en un solo precepto: Amarás a tu prójimo como a ti mismo. [...] Llevad las cargas los unos de los otros» (Ga 5,13-14; 6,2). El Apóstol enseña que la libertad que nos ha sido dada con la muerte y la resurrección de Jesucristo es para cada uno de nosotros una responsabilidad para ponernos al servicio de los demás, especialmente de los más débiles. No se trata de una exhortación opcional, sino que condiciona de la autenticidad de la fe que profesamos.

El libro del Eclesiástico viene otra vez en nuestra ayuda: sugiere acciones concretas para apoyar a los más débiles y también utiliza algunas imágenes evocadoras. En un primer momento toma en consideración la debilidad de cuantos están tristes: «No evites a los que lloran» (7,34). El período de la pandemia nos obligó a un aislamiento forzoso, incluso impidiendo que pudiéramos consolar y permanecer cerca de amigos y conocidos afligidos por la pérdida de sus seres queridos. Y sigue diciendo el autor sagrado: «No dejes de visitar al enfermo» (7,35). Hemos experimentado la imposibilidad de estar cerca de los que sufren, y al mismo tiempo hemos tomado conciencia de la fragilidad de nuestra existencia. En resumen, la Palabra de Dios nunca nos deja tranquilos y continúa estimulándonos al bien.

9. “Tiende la mano al pobre” destaca, por contraste, la actitud de quienes tienen las manos en los bolsillos y no se dejan conmover por la pobreza, de la que a menudo son también cómplices. La indiferencia y el cinismo son su alimento diario. ¡Qué diferencia respecto a las generosas manos que hemos descrito! De hecho, hay manos tendidas para rozar rápidamente el teclado de una computadora y mover sumas de dinero de una parte del mundo a otra, decretando la riqueza de estrechas oligarquías y la miseria de multitudes o el fracaso de naciones enteras. Hay manos tendidas para acumular dinero con la venta de armas que otras manos, incluso de niños, usarán para sembrar muerte y pobreza. Hay manos tendidas que en las sombras intercambian dosis de muerte para enriquecerse y vivir en el lujo y el desenfreno efímero. Hay manos tendidas que por debajo intercambian favores ilegales por ganancias fáciles y corruptas. Y también hay manos tendidas que, en el puritanismo hipócrita, establecen leyes que ellos mismos no observan.

En este panorama, «los excluidos siguen esperando. Para poder sostener un estilo de vida que excluye a otros, o para poder entusiasmarse con ese ideal egoísta, se ha desarrollado una globalización de la indiferencia. Casi sin advertirlo, nos volvemos incapaces de compadecernos ante los clamores de los otros, ya no lloramos ante el drama de los demás ni nos interesa cuidarlos, como si todo fuera una responsabilidad ajena que no nos incumbe» (Exhort. ap. Evangelii gaudium, 54). No podemos ser felices hasta que estas manos que siembran la muerte se transformen en instrumentos de justicia y de paz para el mundo entero.

10. «En todas tus acciones, ten presente tu final» (Si 7,36). Esta es la expresión con la que el Sirácida concluye su reflexión. El texto se presta a una doble interpretación. La primera hace evidente que siempre debemos tener presente el fin de nuestra existencia. Acordarse de nuestro destino común puede ayudarnos a llevar una vida más atenta a quien es más pobre y no ha tenido las mismas posibilidades que nosotros. Existe también una segunda interpretación, que evidencia más bien el propósito, el objetivo hacia el que cada uno tiende. Es el fin de nuestra vida que requiere un proyecto a realizar y un camino a recorrer sin cansarse. Y bien, la finalidad de cada una de nuestras acciones no puede ser otro que el amor. Este es el objetivo hacia el que nos dirigimos y nada debe distraernos de él. Este amor es compartir, es dedicación y servicio, pero comienza con el descubrimiento de que nosotros somos los primeros amados y movidos al amor. Este fin aparece en el momento en que el niño se encuentra con la sonrisa de la madre y se siente amado por el hecho mismo de existir. Incluso una sonrisa que compartimos con el pobre es una fuente de amor y nos permite vivir en la alegría. La mano tendida, entonces, siempre puede enriquecerse con la sonrisa de quien no hace pesar su presencia y la ayuda que ofrece, sino que sólo se alegra de vivir según el estilo de los discípulos de Cristo.

En este camino de encuentro cotidiano con los pobres, nos acompaña la Madre de Dios que, de modo particular, es la Madre de los pobres. La Virgen María conoce de cerca las dificultades y sufrimientos de quienes están marginados, porque ella misma se encontró dando a luz al Hijo de Dios en un establo. Por la amenaza de Herodes, con José su esposo y el pequeño Jesús huyó a otro país, y la condición de refugiados marcó a la sagrada familia durante algunos años. Que la oración a la Madre de los pobres pueda reunir a sus hijos predilectos y a cuantos les sirven en el nombre de Cristo. Y que esta misma oración transforme la mano tendida en un abrazo de comunión y de renovada fraternidad.

Roma, en San Juan de Letrán, 13 de junio de 2020, memoria litúrgica de san Antonio de Padua.

FRANCISCO

[00754-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«Estende a tua mão ao pobre» (Sir 7, 32)

«Estende a tua mão ao pobre» (Sir 7, 32): a sabedoria antiga dispôs estas palavras como um código sacro que se deve seguir na vida. Hoje ressoam com toda a densidade do seu significado para nos ajudar, também a nós, a concentrar o olhar no essencial e superar as barreiras da indiferença. A pobreza assume sempre rostos diferentes, que exigem atenção a cada condição particular: em cada uma destas, podemos encontrar o Senhor Jesus, que revelou estar presente nos seus irmãos mais frágeis (cf. Mt 25, 40).

1. Tomemos nas mãos o Ben-Sirá, um dos livros do Antigo Testamento. Nele encontramos as palavras dum mestre da sabedoria que viveu cerca de duzentos anos antes de Cristo. Andava à procura da sabedoria que torna os homens melhores e capazes de perscrutar profundamente as vicissitudes da vida. E fê-lo num período de dura prova para o povo de Israel, um tempo de dor, luto e miséria por causa da dominação de potências estrangeiras. Sendo um homem de grande fé, enraizado nas tradições dos pais, o seu primeiro pensamento foi dirigir-se a Deus para Lhe pedir o dom da sabedoria. E o Senhor não lhe deixou faltar a sua ajuda.

Desde as primeiras páginas do livro, Ben-Sirá propõe os seus conselhos sobre muitas situações concretas da vida, sendo a pobreza uma delas. Insiste que, na contrariedade, é preciso ter confiança em Deus: «Não te perturbes no tempo do infortúnio. Conserva-te unido a Ele e não te separes, para teres bom êxito no teu momento derradeiro. Aceita tudo o que te acontecer e tem paciência nas vicissitudes da tua humilhação, porque no fogo se prova o ouro, e os eleitos de Deus no cadinho da humilhação. Nas doenças e na pobreza, confia n’Ele. Confia em Deus e Ele te salvará, endireita os teus caminhos e espera n’Ele. Vós que temeis o Senhor, esperai na sua misericórdia, e não vos afasteis, para não cairdes» (2, 2-7).

2. Página a página, descobrimos um precioso compêndio de sugestões sobre o modo de agir à luz duma relação íntima com Deus, criador e amante da criação, justo e providente para com todos os seus filhos. Mas, a constante referência a Deus não impede de olhar para o homem concreto; pelo contrário, as duas realidades estão intimamente conexas.

Demonstra-o claramente o texto donde se tirou o título desta Mensagem (cf. 7, 29-36). São inseparáveis a oração a Deus e a solidariedade com os pobres e os enfermos. Para celebrar um culto agradável ao Senhor, é preciso reconhecer que toda a pessoa, mesmo a mais indigente e desprezada, traz gravada em si mesma a imagem de Deus. De tal consciência deriva o dom da bênção divina, atraída pela generosidade praticada para com os pobres. Por isso, o tempo que se deve dedicar à oração não pode tornar-se jamais um álibi para descuidar o próximo em dificuldade. É verdade o contrário: a bênção do Senhor desce sobre nós e a oração alcança o seu objetivo, quando são acompanhadas pelo serviço dos pobres.

3. Como permanece atual, também para nós, este ensinamento! Na realidade, a Palavra de Deus ultrapassa o espaço, o tempo, as religiões e as culturas. A generosidade que apoia o vulnerável, consola o aflito, mitiga os sofrimentos, devolve dignidade a quem dela está privado, é condição para uma vida plenamente humana. A opção de prestar atenção aos pobres, às suas muitas e variadas carências, não pode ser condicionada pelo tempo disponível ou por interesses privados, nem por projetos pastorais ou sociais desencarnados. Não se pode sufocar a força da graça de Deus pela tendência narcisista de se colocar sempre a si mesmo no primeiro lugar.

Manter o olhar voltado para o pobre é difícil, mas tão necessário para imprimir a justa direção à nossa vida pessoal e social. Não se trata de gastar muitas palavras, mas antes de comprometer concretamente a vida, impelidos pela caridade divina. Todos os anos, com o Dia Mundial dos Pobres, volto a esta realidade fundamental para a vida da Igreja, porque os pobres estão e sempre estarão connosco (cf. Jo 12, 8) para nos ajudar a acolher a companhia de Cristo na existência do dia a dia.

4. O encontro com uma pessoa em condições de pobreza não cessa de nos provocar e questionar. Como podemos contribuir para eliminar ou pelo menos aliviar a sua marginalização e o seu sofrimento? Como podemos ajudá-la na sua pobreza espiritual? A comunidade cristã é chamada a coenvolver-se nesta experiência de partilha, ciente de que não é lícito delegá-la a outros. E, para servir de apoio aos pobres, é fundamental viver pessoalmente a pobreza evangélica. Não podemos sentir-nos tranquilos, quando um membro da família humana é relegado para a retaguarda, reduzindo-se a uma sombra. O clamor silencioso de tantos pobres deve encontrar o povo de Deus na vanguarda, sempre e em toda parte, para lhes dar voz, defendê-los e solidarizar-se com eles face a tanta hipocrisia e tantas promessas não cumpridas, e para os convidar a participar na vida da comunidade.

É verdade que a Igreja não tem soluções globais a propor, mas oferece, com a graça de Cristo, o seu testemunho e gestos de partilha. Além disso, sente-se obrigada a apresentar os pedidos de quantos não têm o necessário para viver. Lembrar a todos o grande valor do bem comum é, para o povo cristão, um compromisso vital, que se concretiza na tentativa de não esquecer nenhum daqueles cuja humanidade é violada nas suas necessidades fundamentais.

5. Estender a mão leva a descobrir, antes de tudo a quem o faz, que dentro de nós existe a capacidade de realizar gestos que dão sentido à vida. Quantas mãos estendidas se veem todos os dias! Infelizmente, sucede sempre com maior frequência que a pressa faz cair num turbilhão de indiferença, a tal ponto que se deixa de reconhecer todo o bem que se realiza diariamente no silêncio e com grande generosidade. Assim, só quando acontecem factos que transtornam o curso da nossa vida é que os olhos se tornam capazes de vislumbrar a bondade dos santos «ao pé da porta», «daqueles que vivem perto de nós e são um reflexo da presença de Deus» (Francisco, Exort. ap. Gaudete et exsultate, 7), mas dos quais ninguém fala. As más notícias abundam de tal modo nas páginas dos jornais, nos sites da internet e nos visores da televisão, que faz pensar que o mal reine soberano. Mas não é assim. Certamente não faltam a malvadez e a violência, a prepotência e a corrupção, mas a vida está tecida por atos de respeito e generosidade que não só compensam o mal, mas impelem a ultrapassá-lo permanecendo cheios de esperança.

6. Estender a mão é um sinal: um sinal que apela imediatamente à proximidade, à solidariedade, ao amor. Nestes meses, em que o mundo inteiro foi dominado por um vírus que trouxe dor e morte, desconforto e perplexidade, pudemos ver tantas mãos estendidas! A mão estendida do médico que se preocupa de cada paciente, procurando encontrar o remédio certo. A mão estendida da enfermeira e do enfermeiro que permanece, muito para além dos seus horários de trabalho, a cuidar dos doentes. A mão estendida de quem trabalha na administração e providencia os meios para salvar o maior número possível de vidas. A mão estendida do farmacêutico exposto a inúmeros pedidos num arriscado contacto com as pessoas. A mão estendida do sacerdote que, com o coração partido, continua a abençoar. A mão estendida do voluntário que socorre quem mora na rua e a quantos, embora possuindo um teto, não têm nada para comer. A mão estendida de homens e mulheres que trabalham para prestar serviços essenciais e segurança. E poderíamos enumerar ainda outras mãos estendidas, até compor uma ladainha de obras de bem. Todas estas mãos desafiaram o contágio e o medo, a fim de dar apoio e consolação.

7. Esta pandemia chegou de improviso e apanhou-nos impreparados, deixando uma grande sensação de desorientamento e impotência. Mas, a mão estendida ao pobre não chegou de improviso. Antes, dá testemunho de como nos preparamos para reconhecer o pobre a fim de o apoiar no tempo da necessidade. Não nos improvisamos instrumentos de misericórdia. Requer-se um treino diário, que parte da consciência de quanto nós próprios, em primeiro lugar, precisamos duma mão estendida em nosso favor.

Este período que estamos a viver colocou em crise muitas certezas. Sentimo-nos mais pobres e mais vulneráveis, porque experimentamos a sensação da limitação e a restrição da liberdade. A perda do emprego, dos afetos mais queridos, como a falta das relações interpessoais habituais, abriu subitamente horizontes que já não estávamos acostumados a observar. As nossas riquezas espirituais e materiais foram postas em questão e descobrimo-nos amedrontados. Fechados no silêncio das nossas casas, descobrimos como é importante a simplicidade e o manter os olhos fixos no essencial. Amadureceu em nós a exigência duma nova fraternidade, capaz de ajuda recíproca e estima mútua. Este é um tempo favorável para «voltar a sentir que precisamos uns dos outros, que temos uma responsabilidade para com os outros e o mundo (...). Vivemos já muito tempo na degradação moral, baldando-nos à ética, à bondade, à fé, à honestidade (...). Uma tal destruição de todo o fundamento da vida social acaba por colocar-nos uns contra os outros na defesa dos próprios interesses, provoca o despertar de novas formas de violência e crueldade e impede o desenvolvimento duma verdadeira cultura do cuidado do meio ambiente» (Francisco, Carta enc. Laudato si’, 229). Enfim, as graves crises económicas, financeiras e políticas não cessarão enquanto permitirmos que permaneça em letargo a responsabilidade que cada um deve sentir para com o próximo e toda a pessoa.

8. «Estende a mão ao pobre» é, pois, um convite à responsabilidade, sob forma de empenho direto, de quem se sente parte do mesmo destino. É um encorajamento a assumir os pesos dos mais vulneráveis, como recorda São Paulo: «Pelo amor, fazei-vos servos uns dos outros. É que toda a Lei se cumpre plenamente nesta única palavra: ama o teu próximo como a ti mesmo. (...) Carregai as cargas uns dos outros» (Gal 5, 13-14; 6, 2). O Apóstolo ensina que a liberdade que nos foi dada com a morte e ressurreição de Jesus Cristo é, para cada um de nós, uma responsabilidade para colocar-se ao serviço dos outros, sobretudo dos mais frágeis. Não se trata duma exortação facultativa, mas duma condição da autenticidade da fé que professamos.

E aqui volta o livro de Ben-Sirá em nossa ajuda: sugere ações concretas para apoiar os mais vulneráveis e usa também algumas imagens sugestivas. Primeiro, toma em consideração a debilidade de quantos estão tristes: «Não fujas dos que choram» (7, 34). O período da pandemia constrangeu-nos a um isolamento forçado, impedindo-nos até de poder consolar e estar junto de amigos e conhecidos atribulados com a perda dos seus entes queridos. E, depois, afirma o autor sagrado: «Não sejas preguiçoso em visitar um doente» (7, 35). Experimentamos a impossibilidade de estar junto de quem sofre e, ao mesmo tempo, tomamos consciência da fragilidade da nossa existência. Enfim, a Palavra de Deus nunca nos deixa tranquilos e continua a estimular-nos para o bem.

9. «Estende a mão ao pobre» faz ressaltar, por contraste, a atitude de quantos conservam as mãos nos bolsos e não se deixam comover pela pobreza, da qual frequentemente são cúmplices também eles. A indiferença e o cinismo são o seu alimento diário. Que diferença relativamente às mãos generosas que acima descrevemos! Com efeito, existem mãos estendidas para premer rapidamente o teclado dum computador e deslocar somas de dinheiro duma parte do mundo para outra, decretando a riqueza de restritas oligarquias e a miséria de multidões ou a falência de nações inteiras. Há mãos estendidas a acumular dinheiro com a venda de armas que outras mãos, incluindo mãos de crianças, utilizarão para semear morte e pobreza. Existem mãos estendidas que, na sombra, trocam doses de morte para se enriquecer e viver no luxo e num efémero desregramento. Existem mãos estendidas que às escondidas trocam favores ilegais para um lucro fácil e corruto. E há também mãos estendidas que, numa hipócrita respeitabilidade, estabelecem leis que eles mesmos não observam.

Neste cenário, «os excluídos continuam a esperar. Para se poder apoiar um estilo de vida que exclui os outros ou mesmo entusiasmar-se com este ideal egoísta, desenvolveu-se uma globalização da indiferença. Quase sem nos dar conta, tornamo-nos incapazes de nos compadecer ao ouvir os clamores alheios, já não choramos à vista do drama dos outros, nem nos interessamos por cuidar deles, como se tudo fosse uma responsabilidade de outrem, que não nos incumbe» (Francisco, Exort. ap Evangelii gaudium, 54). Não poderemos ser felizes enquanto estas mãos que semeiam morte não forem transformadas em instrumentos de justiça e paz para o mundo inteiro.

10. «Em todas as tuas obras, lembra-te do teu fim» (Sir 7, 36): tal é a frase com que Ben-Sirá conclui a sua reflexão. O texto presta-se a uma dupla interpretação. A primeira destaca que precisamos de ter sempre presente o fim da nossa existência. A lembrança do nosso destino comum pode ajudar a conduzir uma vida sob o signo da atenção a quem é mais pobre e não teve as mesmas possibilidades que nós. Mas existe também uma segunda interpretação, que evidencia principalmente a finalidade, o objetivo para o qual tende cada um. É a finalidade da nossa vida que exige um projeto a realizar e um caminho a percorrer sem se cansar. Pois bem! O objetivo de cada ação nossa só pode ser o amor: tal é o objetivo para onde caminhamos, e nada deve distrair-nos dele. Este amor é partilha, dedicação e serviço, mas começa pela descoberta de que primeiro fomos nós amados e despertados para o amor. Esta finalidade aparece no momento em que a criança se cruza com o sorriso da mãe, sentindo-se amada pelo próprio facto de existir. De igual modo um sorriso que partilhamos com o pobre é fonte de amor e permite viver na alegria. Possa então a mão estendida enriquecer-se sempre com o sorriso de quem não faz pesar a sua presença nem a ajuda que presta, mas alegra-se apenas em viver o estilo dos discípulos de Cristo.

Neste caminho de encontro diário com os pobres, acompanha-nos a Mãe de Deus que é, mais do que qualquer outra, a Mãe dos pobres. A Virgem Maria conhece de perto as dificuldades e os sofrimentos de quantos estão marginalizados, porque Ela mesma Se viu a dar à luz o Filho de Deus num estábulo. Devido à ameaça de Herodes, fugiu, juntamente com José, seu esposo, e o Menino Jesus, para outro país e, durante alguns anos, a Sagrada Família conheceu a condição de refugiados. Possa a oração à Mãe dos pobres acomunar estes seus filhos prediletos e quantos os servem em nome de Cristo. E a oração transforme a mão estendida num abraço de partilha e reconhecida fraternidade.

Roma, em São João de Latrão, na Memória litúrgica de Santo António, 13 de junho de 2020.

FRANCISCO

[00754-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Wyciągnij rękę do ubogiego(Syr 7, 32)

“Wyciągnij rękę do ubogiego” (Syr 7, 32). Starożytna mądrość postawiła przed nami te słowa jako uświęcony kodeks do wprowadzania w życie. Brzmią one dziś z całą swoją znaczeniową mocą, pomagając nam skoncentrować wzrok na tym, co istotne i przekroczyć barierę obojętności. Ubóstwo ma różne twarze, które domagają się uwagi pod jednym, szczególnym względem: w każdej z nich możemy spotkać Pana Jezusa, który objawił nam, że jest obecny w swoich najmniejszych braciach (por. Mt 25, 40).

1. Weźmy do rąk Księgę Syracydesa ze Starego Testamentu. Znajdujemy tu słowa jednego z mistrzów mądrości, który żył prawie dwieście lat przed przyjściem Chrystusa. Poszukiwał on mądrości, która czyni ludzi lepszymi i zdolniejszymi do dogłębnej obserwacji wydarzeń życiowych. Czynił to w chwilach ciężkich prób, przez które przechodził lud Izraela, w czasie bólu, żałoby oraz biedy z powodu obcej dominacji. Będąc człowiekiem wielkiej wiary, zakorzenionym w tradycji przodków, Syracydes pomyślał najpierw o tym, by zwrócić się do Boga i poprosić Go o dar mądrości. A Pan nie pozbawił go tej pomocy.

Już od pierwszych stron Księgi, Syracydes przedstawia rady dotyczące wielu konkretnych sytuacji życiowych, a wśród nich ubóstwa. Nalega on, aby w niebezpieczeństwie pokładać ufność w Bogu: „Zachowaj spokój serca i bądź cierpliwy, a nie trać równowagi w czasie utrapienia! Przylgnij do Niego, a nie odstępuj, abyś był wywyższony w twoim dniu ostatnim. Przyjmij wszystko, co przyjdzie na ciebie, a w zmiennych losach utrapienia bądź wytrzymały! Bo w ogniu doświadcza się złoto, a ludzi miłych Bogu - w piecu poniżenia. Bądź Mu wierny, a On zajmie się tobą, prostuj swe drogi i Jemu zaufaj! Którzy boicie się Pana, oczekujcie Jego zmiłowania, nie zbaczajcie z drogi, abyście nie upadli” (Syr 2, 2-7).

2. Strona po stronie odkrywamy cenny zbiór rad odnośnie do sposobu postępowania w świetle intymnej relacji z Bogiem Stworzycielem, który kocha swoje stworzenie, jest sprawiedliwy i opatrznościowy dla swoich synów. Ciągłe odnoszenie się do Boga nie odwraca jednak wzroku od konkretnego człowieka, przeciwnie, te dwie rzeczy są ze sobą ściśle połączone.

Ukazuje to jasno fragment, z którego zaczerpnięty jest tytuł niniejszego Orędzia (zob. Syr 7, 29-36). Modlitwa do Boga i solidarność z ubogimi i cierpiącymi są nierozłączne. Aby sprawować kult Panu przyjemny, konieczne jest, żeby rozpoznać w każdej osobie, również w tej najbardziej potrzebującej i odrzuconej, obraz Boga, który w niej jest odciśnięty. Dzięki temu otrzymujemy dar błogosławieństwa Bożego, który jest przyciągnięty szczodrością okazywaną potrzebującemu. Z tego też powodu czas poświęcany na modlitwę, nie może nigdy stać się wymówką dla zaniedbania bliźniego w trudnościach. Wręcz przeciwnie: błogosławieństwo Pana spływa na nas, a nasza modlitwa osiąga swój cel wtedy, gdy towarzyszy im służba ubogim.

3. Jakże aktualne jest to starotestamentalne nauczanie również dla nas! Słowo Boga przekracza czas, przestrzeń, religie i kultury. Szczodrość, która wspiera słabego, pociesza uciśnionego, łagodzi cierpienia i przywraca godność temu, kto został jej pozbawiony, jest warunkiem życia w pełni ludzkiego. Poświęcenie naszej uwagi ubogim oraz ich wielorakim potrzebom, nie może być uwarunkowane posiadanym czasem lub prywatnymi zainteresowaniami, ani bezdusznymi projektami pastoralnymi czy społecznymi. Siły, która jest w łasce Boga, nie można zdławić tendencją narcystyczną, która zawsze stawia nas samych na pierwszym miejscu.

Trudno jest utrzymać wzrok na ubogim, ale jest to konieczne, aby obrać w naszym życiu osobistym i społecznym słuszny kierunek. Nie chodzi tu o wielomówstwo, ale przede wszystkim o konkretne zaangażowanie życia poruszonego przez miłość Boga. Co roku, podczas Światowego Dnia Ubogich, powracam do tej fundamentalnej dla życia Kościoła rzeczywistości, ponieważ ubodzy są i zawsze będą z nami (por. J 12, 8), aby pomóc nam przyjąć towarzystwo Chrystusa w codzienności.

4. Zawsze spotkanie osoby ubogiej jest dla nas wyzwaniem i pytaniem. Co możemy zrobić, aby wyeliminować lub przynajmniej zmniejszyć jej marginalizację i cierpienie? Jak możemy pomóc jej w ubóstwie duchowym? Wspólnota chrześcijańska jest wezwana do zaangażowania się w to doświadczenie dzielenia się, mając świadomość tego, że nie może ona delegować tego zadania innym. Aby być wsparciem dla ubogich, fundamentalną rzeczą jest osobiste życie ubóstwem ewangelicznym. Nie możemy czuć się „w porządku”, kiedy członek naszej rodziny ludzkiej jest zepchnięty na tyły i staje się cieniem. Krzyk milczenia wielu ubogich musi docierać do Ludu Bożego będącego zawsze i wszędzie w gotowości, by dać im głos, aby solidaryzować się z nimi i bronić ich przed hipokryzją oraz wieloma obietnicami bez pokrycia, a także by zaprosić ich do udziału w życiu wspólnoty.

Prawdą jest, że Kościół nie ma do zaproponowania rozwiązań kompleksowych, ale oferuje, z łaską Pana, swoje świadectwo oraz gesty współdziałania. Ponadto, Kościół czuje się w obowiązku wskazywać na potrzeby tych, którzy nie mają tego, co jest konieczne do życia. Przypominanie wszystkim o wielkiej wartości dobra wspólnego jest życiowym zobowiązaniem ludu chrześcijańskiego, które realizuje się w próbie ocalenia od zapomnienia tych wszystkich, których człowieczeństwo jest naruszone w ich podstawowych potrzebach.

5. Wyciąganie ręki pozwala odkryć przede wszystkim temu, który to robi, że istnieje w nas zdolność do wykonywania gestów, które nadają życiu sens. Ileż wyciągniętych rąk widzimy codziennie! Niestety, coraz częściej zdarza się, że pośpiech wciąga nas w wir obojętności do takiego stopnia, że nie potrafimy docenić ogromu dobra, które codziennie dokonuje się w ciszy i z wielką szczodrością. Zdarza się, iż dopiero wtedy, gdy dzieją się rzeczy wywracające kurs naszego życia, nasze oczy stają się zdolne do zobaczenia dobroci „świętych z sąsiedztwa”, którzy „żyją blisko nas i są odblaskiem obecności Boga” (Adhort. apost. Gaudete et esultate, 7), ale o których nikt nie mówi. Złe wiadomości są obficie obecne na stronach gazet, w internecie, na ekranach telewizorów, do tego stopnia, że wydaje się, iż zło króluje niezwyciężone. Tak jednak nie jest. Z pewnością nie brakuje złości i przemocy, nadużywania władzy oraz korupcji, ale życie jest utkane przede wszystkim aktami szacunku i szczodrości, które nie tylko równoważą zło, ale popychają do wzniesienia się ponad i do bycia pełnymi nadziei.

6. Wyciągnięcie ręki jest znakiem: to znak, który natychmiast przywołuje do bliskości, solidarności i miłości. W ostatnich miesiącach, w których cały świat był jakby przytłoczony przez wirusa przynoszącego ból i śmierć, zniechęcenie oraz zagubienie, ileż wyciągniętych rąk mogliśmy widzieć! Wyciągnięta ręka lekarza, który przejmuje się każdym pacjentem, starając się znaleźć właściwe lekarstwo. Wyciągnięta ręka pielęgniarki i pielęgniarza, którzy nie patrząc na godziny pracy, zostają, aby troszczyć się o chorych. Wyciągnięta ręka tych, którzy pracują w administracji i organizują środki, aby ocalić jak najwięcej ludzkich istnień. Wyciągnięta ręka aptekarza, realizującego tak wiele próśb, wystawiając się jednocześnie na ryzykowny kontakt z ludźmi. Wyciągnięta ręka kapłana, który błogosławi ze ściśniętym sercem. Wyciągnięta ręka wolontariusza, który pomaga tym, którzy żyją na ulicy, ale też i tym, którzy mają dach nad głową, ale nie mają co jeść. Wyciągnięta ręka kobiet i mężczyzn, którzy pracują, aby zapewnić konieczne usługi i bezpieczeństwo. I jeszcze wiele innych wyciągniętych rąk, które moglibyśmy tu wyliczać, aż do skomponowania litanii dobrych dzieł. Wszystkie te ręce rzuciły wyzwanie zarazie oraz strachowi, aby dać wsparcie i pociechę.

7. Ta pandemia nadeszła nagle i zastała nas nieprzygotowanych, pozostawiając wielkie poczucie dezorientacji i niemocy. Wyciągnięta ręka w stronę ubogiego nie pojawiła się jednak znikąd i niespodziewanie. Ten gest zaświadcza raczej o tym, iż przygotowujemy się do rozpoznania ubogiego i do wsparcia go wtedy, gdy zacznie potrzebować pomocy. Nie improwizuje się narzędzi miłosierdzia. Konieczny jest codzienny trening, który rozpoczyna się od świadomości tego, jak bardzo my sami, jako pierwsi, potrzebujemy wyciągniętej ręki w naszą stronę.

Ta chwila, którą teraz przeżywamy, podała w wątpliwość wiele pewników. Czujemy się biedniejsi i słabsi, ponieważ doświadczyliśmy poczucia granic własnych możliwości oraz ograniczenia wolności. Utrata pracy, czułości naszych bliskich, jak również brak zwyczajnych relacji międzyosobowych, otwarły nagle horyzonty, które odzwyczailiśmy się już dostrzegać. Nasze bogactwa duchowe i materialne zostały postawione pod znakiem zapytania, i odkryliśmy strach. Zamknięci w ciszy naszych domów, odkryliśmy, jak bardzo jest ważna prostota oraz zwrócenie oczu na to, co istotne. Dojrzeliśmy do potrzeby nowego braterstwa, zdolnego do wzajemnej pomocy i szacunku. Teraz jest czas pomyślny, aby „odczuć, że potrzebujemy siebie nawzajem, że jesteśmy odpowiedzialni za innych i za świat, […]. Zbyt długo pozostawaliśmy w stanie degradacji moralnej, drwiąc z etyki, dobroci, wierności, uczciwości. [...] To zniszczenie wszelkich podstaw życia społecznego prowadzi do wzajemnej konfrontacji w imię obrony swoich interesów. Powoduje pojawienie się nowych form przemocy i okrucieństwa oraz uniemożliwia rozwój prawdziwej kultury troski o środowisko naturalne” (Enc. Laudato si’, 229). W końcu, ciężkie kryzysy ekonomiczne, finansowe i polityczne nie ustąpią dotąd, dopóki pozwolimy, że będzie pozostawać w letargu odpowiedzialność, którą każdy powinien odczuwać w odniesieniu do bliźniego i każdej osoby ludzkiej.

8. “Wyciągnij rękę do ubogiego” jest zatem zaproszeniem do odpowiedzialności będącej bezpośrednim zaangażowaniem tych, którzy czują, że dzielą ten sam los. To jest wezwanie do wzięcia na siebie ciężarów osób najsłabszych, jak przypomina św. Paweł: „Miłością ożywieni służcie sobie wzajemnie! Bo całe Prawo wypełnia się w tym jednym nakazie: Będziesz miłował bliźniego swego jak siebie samego. […] Jeden drugiego brzemiona noście” (Ga 5, 13-14; 6, 2). Apostoł Paweł naucza, że wolność, która została nam dana przez śmierć i zmartwychwstanie Jezusa Chrystusa, jest dla każdego z nas odpowiedzialnością, by zaangażować się w służbie innym, przede wszystkim najsłabszym. Nie jest to jakaś opcjonalna zachęta, ale warunek autentyczności wiary, którą wyznajemy.

Księga Syracydesa przychodzi nam tu z pomocą: sugeruje konkretne działania na rzecz najuboższych i przywołuje również pewne sugestywne obrazy. Najpierw rozważa słabość tych, którzy są smutni: „Nie usuwaj się od płaczących” (Syr 7, 34). Czas pandemii zmusił nas do izolacji, uniemożliwiając nam nawet niesienie pociechy i przebywanie blisko naszych przyjaciół i znajomych cierpiących z powodu straty swoich bliskich. Dalej kontynuuje autor natchniony: „Nie ociągaj się z odwiedzeniem chorego człowieka” (Syr 7, 35). Doświadczyliśmy niemożliwości przebywania obok tego, kto cierpi, jednocześnie uświadomiliśmy sobie kruchość naszej egzystencji. Zatem, Słowo Boże nigdy nie daje nam spokoju i pobudza nas do dobra.

9. “Wyciągnij rękę do ubogiego” uwydatnia, przez kontrast, zachowanie tych, którzy trzymają ręce w kieszeni i nie pozwalają sobie na współczucie spowodowane widokiem ubóstwa, do którego często także i oni przyczyniają się. Obojętność i cynizm są ich chlebem powszednim. Jakaż różnica w porównaniu do szczodrych rąk, które opisaliśmy! Są bowiem ręce wyciągnięte, aby pisać szybko na klawiaturze komputera i przesuwać sumy pieniędzy z jednej strony świata na drugą, dekretując bogactwo wąskich grup oligarchów i biedę mas, a nawet upadek całych narodów. Są ręce wyciągnięte do zagarniania pieniędzy poprzez sprzedaż broni, której inne ręce, również te dziecięce, użyją do siania śmierci i ubóstwa. Są wyciągnięte ręce, które w cieniu wymieniają dawki śmierci, aby wzbogacić się i żyć w luksusie oraz ulotnym nieuporządkowaniu. Są też ręce wyciągnięte, które w ukryciu wymieniają nielegalne przysługi, aby zarobić łatwo dzięki korupcji. Są także wyciągnięte ręce tych, którzy z poważną twarzą hipokrytów uchwalają prawa, których sami nie przestrzegają.

W tym przeglądzie ludzkich zachowań „wykluczeni nadal czekają. W celu utrzymania stylu życia wykluczającego innych, albo żeby móc entuzjazmować się tym egoistycznym ideałem, rozwinęła się globalizacja obojętności. Nie zdając sobie z tego sprawy, stajemy się niezdolni do współczucia wobec krzyku boleści innych, nie płaczemy już wobec dramatu innych, ani nie interesuje nas troska o nich, tak jakby odpowiedzialność za to nie dotyczyła nas” (Adhort. apost. Evangelii gaudium, 54). Nie możemy być zadowoleni, dopóki ręce, które sieją śmierć, nie przemienią się w narzędzia sprawiedliwości i pokoju dla całego świata.

10. „We wszystkich sprawach pamiętaj o swym kresie” (Syr 7, 36). Tym zdaniem Syracydes kończy swoją refleksję. Tekst ten pozwala na dwojaką interpretację. Po pierwsze ukazuje, że potrzebujemy zawsze mieć świadomość końca naszej egzystencji. Pamięć o wspólnym przeznaczeniu może być pomocna, aby prowadzić życie pełne uwagi poświęconej temu, kto jest uboższy i nie miał tych samych możliwości, jakie my mieliśmy. Istnieje również druga możliwość interpretacji, która uwydatnia przede wszystkim kres, cel, w stronę którego dążymy. Tenże kres naszego życia ukazuje, jak nieodzownym jest posiadanie projektu do zrealizowania w życiu oraz drogi, po której się kroczy, nie ulegając zmęczeniu. Ostatecznie kresem każdej naszej działalności nie może być nic innego, jak miłość. To jest cel, w stronę którego wyruszyliśmy i nic nie powinno nas od niego odciągnąć. Ta miłość jest współudziałem, oddaniem i służbą, ale zaczyna się od odkrycia, że my najpierw zostaliśmy ukochani i obudzeni do miłości. Kres ten pojawia się w momencie, w którym dziecko spotyka się z uśmiechem mamy i czuje się kochane tylko ze względu na to, że istnieje. Również uśmiech, który dzielimy z ubogim, jest źródłem miłości i pozwala żyć w radości. Ręka wyciągnięta może zawsze ubogacić się uśmiechem tego, który nie mierzy swojej obecności i pomocy, którą ofiaruje, ale cieszy się wyłącznie z życia w stylu uczniów Chrystusa.

W tej drodze codziennego spotykania się z ubogimi towarzyszy nam Matka Boga, która bardziej niż wszystkie inne jest Matką ubogich. Panna Maryja zna dobrze trudności tych, którzy są zmarginalizowani, ponieważ ona sama znalazła się w podobnej sytuacji, wydając na świat Syna Bożego w stajni. Ze względu na groźby Heroda uciekła do innego kraju wraz z Józefem, swoim mężem oraz z małym Jezusem, a sytuacja uchodźców naznaczyła na kilka lat Świętą Rodzinę. Niech modlitwa do Matki ubogich pozwoli przystąpić jej synom umiłowanym oraz tym wszystkim, którzy służą im w imię Chrystusa. A modlitwa niech przemieni wyciągniętą rękę w przytulenie, które świadczy o współuczestnictwie i o odnalezionym braterstwie.

Rzym, u Św. Jana na Lateranie, 13 czerwca 2020, we wspomnienie św. Antoniego z Padwy.

FRANCISZEK

[00754-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة قداسة البابا فرنسيس

بمناسبة اليوم العالمي الرابع للفقراء

الأحد 15 نوفمبر/تشرين الثاني 2020

"اْبسُطْ يَدَكَ لِلفَقيرِ" (را. سي 7، 32)

"أبسط يدك للفقير" (را. سير 7، 32). لقد وضعت الحكمةُ القديمة هذه الكلمات بمثابة قانون مقدّس يجب اتّباعه في الحياة. تترددّ اليوم هذه الكلمات بكل ما تحمله من معنى كي تساعدنا نحن أيضًا في تركيز نظرنا على الأمور الأساسية وفي تخطّي حواجز اللامبالاة. يتّخذ الفقر دائمًا وجوهًا مختلفة تتطلّب الانتباه إلى كلّ حالة خاصّة: في كل منها يمكننا أن نلتقي بالربّ يسوع، الذي أعلمنا أنه موجود في إخوته الأكثر ضعفًا (را. متى 25، 40).

1. لنأخذ بين أيدينا سفر يشوع بن سيراخ، أحد أسفار العهد القديم. نجد فيه كلمات معلّمٍ في الحكمة، عاش قبل المسيح بنحو مئتي سنة. كان يبحث عن الحكمة التي تجعل الأشخاص أفضل وقادرين على التمعّن في تقلّبات الحياة. كان يفعل ذلك في أوقات المحن القاسية التي يمرّ بها شعب إسرائيل، وفي أوقات الألم والحزن والبؤس بسبب هيمنة قوى أجنبية عليه. كونه رجلًا ذا إيمان كبير، متجذرًا في تقاليد الآباء، كان اهتمامه الأوّل اللجوءَ إلى الله كي يطلب منه نعمة الحكمة. والربّ لم يحرمه من عونه.

يبدأ بن سيراخ منذ الصفحات الأولى للكتاب، بشرح نصيحته بشأن العديد من أوضاع الحياة الملموسة، والفقر هو إحداها. ويصرّ على أن الإنسان، في الشدائد، يجب أن يؤمن بالله: "لا تَكُنْ قَلِقًا في وَقتِ الشِّدَّة. تَمَسَّكْ بِه ولاتَحِدْ لِكَي يَرتَفعِ شَأنُكَ في أَواخِرِكَ. مَهْما نابَكَ فاْقبَلْه كنْ صابِرًا على تَقلُباتِ حالِكَ الوَضيع فإِنَّ الذَّهَبَ يُمتَحَنُ في النَّار والمَرضِيِّينَ مِنَ النَّاسِ في أتّونِ الذُّلّ. تَوَكَّلْ علَيه يَنصُرْكَ وقَوَمْ سُبُلَكَ وأجعَل فيه رَجاءَكَ. أيها المُتَّقونَ لِلرَّبَ انتَظِروا رَحمَتَه ولا تَحيدوا لِئَلاَّ تَسقُطوا" (2، 2- 7).

2. صفحة تلو الأخرى، نجد خلاصة نصائحٍ قيّمة حول كيفية التصرّف في ضوء علاقة حميمة مع الله، الخالق ومحبّ الخلق، والعادل والمدبّر تجاه جميع أبنائه. لكن الإشارة المستمرّة إلى الله، لا تصرف الانتباه عن النظر إلى الإنسان الملموس، لا بل، فإن الأمرين مرتبطان ارتباطًا وثيقًا.

ويتجلّى ذلك بوضوح في المقطع الذي يؤخذ منه عنوان هذه الرسالة (را. 7، 29- 36). لا يمكن الفصل بين الصلاة لله والتضامن مع الفقراء والمعذّبين. كي نمارس عبادة ترضي الربّ، من الضروري أن نعترف بأن كلّ شخص، حتى الأكثر فقرًا واحتقارًا، يحمل صورة الله مطبوعة في نفسه. من هذا الانتباه تأتي نعمة البركة الإلهية، التي يجذبها السخاء تجاه الفقراء. لذا، فلا يمكن للوقت الذي نكرسه للصلاة أن يصبح عذرًا لإهمال القريب المحتاج. والعكس صحيح: إنّ بركة الربّ تحلّ علينا وصلاتنا تبلغ هدفها عندما تصحبها خدمة الفقراء.

3. كم هي حالية هذه التعاليم القديمة، بالنسبة لنا أيضًا! فكلمة الله في الواقع، تتخطّى المكان والزمان والأديان والثقافات. السخاء الذي يساند الضعيف، ويعزّي المعذّبين، ويهدّئ المعاناة، ويعيد الكرامة إلى المحرومين منها، هو شرط لحياة إنسانية بالكامل. وخيار الاهتمام بالفقراء، وباحتياجاتهم العديدة والمختلفة، لا يمكن أن يكون مشروطًا بالوقت المتاح لنا أو بالمصالح الخاصّة، ولا بمشاريع غريبة عن الواقع، رعوية كانت أو اجتماعية. لا نقدر أن نخمد قوّة نعمة الله بنزعتنا النرجسية التي تحثنا على وضع ذواتنا في المركز الأوّل على الدوام.

من الصعب إبقاء نظرنا على الفقراء، ولكنه ضروري للغاية من أجل أن نعطي الاتّجاه الصحيح لحياتنا الشخصية والاجتماعية. المسألة ليست في كثرة الكلام، إنما في بذل الحياة بشكل ملموس، بدفع من المحبّة الإلهية. إني أعود كلّ عام، مع اليوم العالمي للفقراء، إلى هذا الواقع الأساسي لحياة الكنيسة، لأن الفقراء هم وسيظلون معنا دائمًا (را. يو 12، 8) كي يساعدونا في قبول صحبة المسيح في حياتنا اليومية.

4. إن مقابلة شخص فقير تستحثّنا دائمًا وتجعلنا نتساءل. كيف يمكننا المساعدة في التخلّص من تهميشه ومعاناته أو على الأقل تخفيفهما؟ كيف يمكننا مساعدته في فقره الروحي؟ إنّ الجماعة المسيحية هي مدعوة إلى الاشتراك في خبرة المشاركة هذه، مدركة أنه لا يحقّ لها تفويضه للآخرين. ولكي نساند الفقراء، من الضروري أن نعيش الفقر الإنجيلي شخصيًّا. لا يمكننا الشعور بأننا "على ما يرام" عندما يضحي فرد من الأسرة البشرية في الخلف ويصبح ظلًا. إنّ الصرخة الصامتة للعديد من الفقراء يجب أن تجد شعب الله في المقدّمة، دائمًا وفي كلّ مكان، كي يمنحهم فرصة إسماع أصواتهم والدفاع عنهم ودعمهم في مواجهة الكثير من النفاق والعديد من الوعود الخائبة، وكي يدعوهم للمشاركة في حياة الجماعة.

صحيح أن الكنيسة لا تملك حلولًا شاملة تقترحها، ولكنها تقدّم، بنعمة المسيح، شهادتها وأعمال مشاركة. علاوة على ذلك، تشعر أنه عليها أن توصّل صوت احتياجات الذين لا يملكون ما يلزمهم للعيش. أمّا تذكير الجميع بالقيمة العظيمة للصالح العام فهو، بالنسبة للشعب المسيحي، التزام لمدى الحياة، يتحقّق عندما نحاول عدم نسيان أيّ شخص تُنتَهك إنسانيته في الاحتياجات الأساسية.

5. أن نمد يدنا يجعلنا نكتشف أوّلًا وقبل كلّ شيء أن هناك في داخلنا القدرة على القيام بأعمال تعطي معنى للحياة. كم من الأيدي الممدودة نرى كلّ يوم! ولكن لسوء الحظ، إنّ الاستعجال يُدخِلنا أكثر فأكثر في دوّامة اللامبالاة، لدرجة أننا لم نعد نعرف كيف نرى الخير الكثير الذي يتحقّق يوميًّا بصمت وبسخاء كبير. وهكذا يحدث، حتى أن أعيننا لم تعد قادرة على رؤية صلاح القدّيسين "المجاورين"، "الذين يعيشون بقربنا وهم انعكاس لحضور الله" (الإرشاد الرسولي إفرحوا وابتهجوا، 7)، إلّا عند حدوث أمور تهزّ مسار حياتنا. لكن لا أحد يتكلّم عن هؤلاء القديسين. تكثر الأخبار السيئة على صفحات الصحف وعلى المواقع الإلكترونية وعلى شاشات التلفزيون، بما يكفي لجعلنا نفكّر أن الشرّ يسود. الأمر ليس كذلك. بالطبع، الشر كثير، وأيضًا العنف، وسوء المعاملة، والفساد، لكن الحياة منسوجة بأعمال من الاحترام والسخاء، التي لا تعوّض فقط عن الشرّ، بل تدفعنا لتخطّي ذلك ولأن نمتلئ بالرجاء.

6. أن نمد يدنا للآخرين هو علامة: علامة تدعو على الفور إلى التقارب والتضامن والمحبّة. كم من الأيدي الممدودة قد رأينا في هذه الأشهر، التي بدا خلالها وكأن فيروسًا قد طغى على العالم بأسره وجلب الألم والموت واليأس والحيرة! الطبيب مدّ يده كي يهتّم بكلّ مريض محاولًا أن يجد العلاج المناسب. الممرضات والممرضون مدّوا أيديهم، مُتَخطّين ساعات العمل بكثير، من أجل رعاية المرضى. الذين يعملون في الإدارة ويوفرون الوسائل لإنقاذ أكبر عدد ممكن من الأرواح مدّوا أيديهم. الصيدلي مدّ يده وهو يرزح تحت الطلبات العديدة ويعرّض نفسه لتواصلٍ خطر مع الناس. الكاهن مدّ يده كي يبارك بحسرة قلب. المتطوّع مدّ يده كي يساعد الذين يعيشون في الشارع وأيضًا الذين، على الرغم من أن لديهم سقف يحميهم، ليس لديهم ما يأكلونه. رجال ونساء يعملون لتقديم الخدمات الأساسية والأمن، مدّوا أيديهم. يمكننا أن نضيف أياد أخرى قد مدّت، فنؤلف مجموعة من أعمال الخير. كلّ هذه الأيدي تحدّت العدوى والخوف من أجل تقديم الدعم والعزاء.

7. لقد أتت هذه الجائحة بشكل مفاجئ ووجدتنا غير مستعدّين، فشعرنا بالضياع والعجز. ولكن اليد الممدودة للفقير لم تأتِ بشكل مفاجئ. بل إنها بالأحرى تشهد على كيفيّة استعدادنا للتعرّف على الفقير كيما نخدمه وقت الحاجة. لا يمكننا أن نكون أدوات رحمة بطريقة ارتجالية. من الضروري أن نتدرّب يوميًّا، منطلقين من إدراكنا إلى مدى احتياجنا نحن أولًا إلى يد ممدودة لنا.

إنّ هذا الوقت الذي نعيشه قد أدخل في أزمة العديدَ من الأمور "المضمونة" حتى الآن. فنحن نشعر بأننا أفقر وأضعف لأننا اختبرنا معنى المحدودية والحرية المقيّدة. أمّا فقدانُ الوظيفة وأعزّ الأحباب، وكذلك الافتقارُ إلى العلاقات الشخصيّة المعتادة، ففتحوا فجأة آفاقًا لم نعد معتادين على رؤيتها. لقد شكّينا بغنانا الروحي والمادّي واكتشفنا أننا خائفون. وقد اكتشفنا مجدّدًا ونحن منغلقون في صمت منازلنا، مدى أهمّية البساطة والحفاظ على نظرنا محدقًا في ما هو أساسيّ. لقد اختبرنا الحاجة إلى أخوّة جديدة قادرة على المساعدة المتبادلة والتقدير المتبادل. هذا هو الوقت المناسب كي "نشعر مجدّدًا بأننا بحاجة بعضنا إلى بعض، وأنه تقع علينا مسؤولية تجاه الآخرين وتجاه العالم [...] لقد عرفنا حقًا التدهور الأخلاقي لمدة طويلة، مستهزئين بالأخلاقيات، وبالصلاح، وبالإيمان، وبالصدق [...] إنّ هذا التدمير لكل أساس للحياة الاجتماعية سوف يدفعنا للوقوف كلّ منّا ضد الآخر من أجل الدفاع عن المصالح الشخصية، ويتسبّب بظهور أنواع جديدة من العنف ومن القسوة، ويحول دون نموّ ثقافة حقيقية لحماية البيئة" (الرسالة العامة كن مُسبّحًا، عدد 229). باختصار، لن تتوقّف الأزمات الاقتصادية والمالية والسياسية الخطيرة طالما أننا نسمح بخمول المسؤولية التي يجب أن يشعر بها الجميع تجاه القريب وتجاه كلّ شخص.

8. "اْبسُطْ يَدَكَ لِلفَقيرِ" هي بالتالي دعوة إلى المسؤولية كالتزام مباشر من قِبَلِ أيّ شخص يشعر بأنه يشارك المصير نقسه. إنه حثّ على تحمّل أعباء الضعفاء، كما ذكّر به القدّيس بولس: "بِفَضلِ المَحَبَّةِ اخدِموا بَعضُكم بَعضًا، لأَنَّ تمامَ الشَّريعةِ كُلِّها في هذهِ الكَلِمةِ الواحِدة: أَحبِبْ قَريبَكَ حُبَّكَ لِنَفْسِكَ [...] لِيَحمِلْ بَعضُكم أَثْقالَ بَعض" (غلا 5، 13- 14؛ 6، 2). يعلّم الرسول أن الحرّية التي أُعطيت لنا بموت وقيامة يسوع المسيح هي مسؤولية بالنسبة لكلّ واحد منّا، كي نضع أنفسنا في خدمة الآخرين، ولا سيما الأضعف. هذه ليست نصيحة اختيارية، بل هي شرط لنثبت صدق الإيمان الذي نعترف به.

وفي هذا يساعدنا مجدّدًا سفر يشوع بن سيراخ: فهو يقترح أعمالًا ملموسةً لمساندة الأضعف ويستخدم أيضًا بعض الصور الموحية. يأخذ بعين الاعتبار أوّلًا ضعف المحزونين: "لا تَتَوارَ عنِ الباكينَ" (7، 34). فقد أجبرتنا فترة الجائحة على العزلة القسرية، ومنعتنا حتى من أن نعزّي وأن نكون قريبين من الأصدقاء والمعارف الذين يتألمون لفقدان أحبّائهم. ويؤكّد مجدّدًا المؤلف الكتابي: "لا تَتَقاعَدْ عن عِيادَةِ المَريض" (7 ،35). لقد اختبرنا استحالة التقرّب من الذين يعانون، وفي الوقت نفسه أدركنا هشاشة وجودنا. باختصار، إن كلمة الله لا تتركنا أبدًا مطمئنّين وتحفّزنا باستمرار على الخير.

9. "اْبسُطْ يَدَكَ لِلفَقيرِ"، يُبرِز، في المقابل، موقفَ الذين يبقون أيديهم في جيوبهم ولا يتأثّرون بالفقر، الذي غالبًا ما يشاركون به. اللامبالاة والسخرية هما طعامهم اليومي. يا له من فرق بين هذه الأيدي والأيدي السخيّة التي وصفناها! في الواقع، هناك أيادي ممدودة كي تستخدم لوحة مفاتيح الكمبيوتر بسرعة وتنقل مبالغ مالية من جزء إلى جزء آخر من العالم، معلنةً غنى "أقلية حاكمة" محدودة وبؤس الكثيرين أو إفلاس دول بأكملها. هناك أيادي ممتدّة لتجميع الأموال من بيع الأسلحة التي ستستخدمها أيد أخرى، حتى أيادي الأطفال، كي تزرع الموت والفقر. هناك أيادي ممدودة تتبادل جرعات الموت في الظلّ كي تغتني وتعيش في الترف والطمأنينة الزائلة. هناك أيد ممدودة تتبادل الخدمات غير القانونية لتحقيق مكاسب سهلة وفاسدة. وهناك أيضًا أيادي ممدودة، لأشخاص يضعون القوانين، متظاهرين بالصلاح، ولا يلتزمون بها شخصيًّا.

في هذا السيناريو، "يلبث المُستبعَدون في الانتظار. ومن أجل المحافظة على نمط عيشٍ يقصي الآخرين، أو التمتّع بالحياة مع هذه العقلية الأنانية، توسّعت عولمة اللامبالاة. ودون أن ندرك، أصبحنا غير قادرين على الإحساس بالشفقة أمام صراخ وجع الآخرين، لم نعد نبكي أمام مأساة الآخرين؛ لا يهمّنا الاعتناء بهم، كما لو أن كلّ شيء هو مسؤولية غريبة عنا، وليست من اختصاصنا" (الإرشاد الرسولي فرح الإنجيل، 54). لا يمكننا أن نرضى إلّا عندما تتحوّل هذه الأيدي التي تزرع الموت إلى أدوات للعدالة والسلام للعالم أجمع.

10. "في جَميع أَعْمالِكَ اْذكُرْ أَواخِرَكَ" (سير 7، 36). إنه التعبير الذي يختتم فيه سيراخ تأمّله هذا. يمكن تفسير هذا النصّ بطريقة مزدوجة. الطريقة الأولى تُظهِر أننا بحاجة إلى أن نضع في اعتبارنا دائمًا نهاية حياتنا. أن نتذكّر مصيرنا المشترك قد يساعدنا في أن نعيش حياة ونحن نهتمّ بالذين هم أفقر منا ولم ينالوا نفس الإمكانيات. هناك أيضًا تفسير آخر، يسلّط الضوء بالأحرى على النهاية، والغرض الذي يتوق كلّ منا واحد إليه. إنها نهاية حياتنا التي تتطلّب مشروعًا علينا تحقيقه ومسيرة علينا إتمامها دون أن نكلّ. بالتالي، الهدف من جميع أعمالنا لا يمكن أن يكون إلّا الحبّ. هذا هو الهدف الذي نسير نحوه ولا شيء يجب أن يلهينا عنه. وهذا الحبّ هو مشاركة وتفاني وخدمة، لكنه يبدأ من اكتشافنا بأننا أوّلًا محبوبون وقد أوقِظنا كي نحبّ. تظهر هذه النهاية عندما يلتقي الطفل بابتسامة أمّه ويشعر بأنه محبوب لمجرّد أنه موجود. حتى الابتسامة التي نشاركها مع الفقراء هي مصدر حبّ وتسمح بالعيش في فرح. عسى أن تغتني اليد الممدودة دائمًا بالتالي، من ابتسامة الذين لا يشكّل حضورُهم ولا المساعدةُ التي يقدّمونها عبأً على الآخرين، بل يفرحون فقط من عيشهم أسلوب تلاميذ المسيح.

في مسيرة اللقاء اليومي مع الفقراء هذه، ترافقنا والدة الله، التي هي أمّ الفقراء أكثر من أيّ أمّ أخرى. تعرف مريم العذراء صعوبات ومعاناة المهمّشين عن قرب، لأنها ولدت ابن الله في اسطبل. وبسبب تهديد هيرودس، هربت إلى بلد آخر مع يوسف خطّيبها ويسوع الصغير، وقد اختبرت العائلةَ المقدّسة لبضع سنوات حالة اللاجئين. عسى أن تجمع صلاة أمّ الفقراء أبناءَها الأحباء بالذين يخدمونهم باسم المسيح. وعسى أن تحوّل الصلاة اليدَ الممدودة إلى عناق من المشاركة الأخوّة المتجدّدة.

أعطي في روما، قرب القدّيس يوحنا اللاتيراني، 13 يونيو / حزيران 2020، في ذكرى القدّيس أنطون البادواني.

فرنسيس

[00754-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0332-XX.02]